Inferno - Canto 6
L’intreccio
Dante si risveglia dopo lo svenimento al termine del colloquio con Paolo e Francesca
e si accorge di essere arrivato nel III Cerchio, dov'è tormentata una nuova schiera di
dannati. Una pioggia eterna, fredda, fastidiosa cade incessante nel Cerchio, mista
ad acqua sporca e neve; forma al suolo una disgustosa fanghiglia, da cui si leva un
puzzo insopportabile.
I golosi sono sdraiati nel fango e Cerbero latra orribilmente sopra di essi con le sue
tre fauci. Ha gli occhi rossi, il muso sporco, il ventre gonfio e le zampe artigliate;
graffia le anime facendole a brandelli e rintronandole coi suoi latrati. I dannati urlano
come cani per la pioggia, voltandosi spesso sui fianchi nel vano tentativo di ripararsi
l'un l'altro. Quando Cerbero vede i due poeti gli si avventa contro, mostrando i denti,
ma Virgilio raccoglie una manciata di terra e gliela getta nelle tre gole. Il mostro
sembra placarsi, proprio come un cane affamato quando qualcuno gli getta un
boccone.
Dante e Virgilio proseguono e passano letteralmente sopra le anime, che essendo
immateriali non oppongono ostacolo. Tutte giacciono al suolo, ma una di esse si leva
improvvisamente a sedere e si rivolge a Dante, chiedendogli se lo riconosce, dal
momento che il poeta è nato prima che lui morisse. Dante risponde che il suo
aspetto è talmente stravolto da renderlo irriconoscibile, quindi gli domanda il suo
nome, affermando che la pena sua e degli altri golosi è certo la più spiacevole
dell'Inferno, se non forse la più grave.
Il dannato risponde dichiarando anzittutto di essere stato cittadino di Firenze, la città
che è piena di invidia. Il suo nome è Ciacco ed è condannato fra i golosi, che
affollano in gran numero il Cerchio. Detto ciò, rimane in silenzio.
A questo punto Dante ribatte dicendosi pronto a piangere per l'angoscia provocata
dalla pena di Ciacco e gli pone tre domande riguardanti la loro comune patria,
Firenze: Dante vuol sapere quale sarà l'esito delle lotte politiche, se vi sono cittadini
giusti, quali sono le ragioni delle discordie intestine.
Ciacco risponde alla prima domanda con una oscura profezia, dicendo che dopo una
lunga contesa i due partiti (Guelfi Bianchi e Neri) verranno allo scontro fisico (la
cosiddetta zuffa di Calendimaggio del 1300) e i Bianchi cacceranno i Neri con grave
danno. Prima che passino tre anni, però, i Neri avranno il sopravvento grazie all'aiuto
di un personaggio che si tiene in bilico tra i due partiti (Bonifacio VIII). I Neri
conserveranno il potere per lungo tempo, infliggendo gravi pene alla parte avversa
(condanne ed esili).
La risposta alla seconda domanda è che i giusti a Firenze sono solo in due, ma
nessuno li ascolta. Alla terza domanda Ciacco risponde che superbia, invidia ed
avarizia sono le tre scintille che hanno acceso le lotte politiche.
Dopo che Ciacco ha cessato di parlare lamentosamente, Dante gli domanda ancora
se sa quale sia il destino ultraterreno di alcuni celebri fiorentini, tra cui Farinata Degli
Uberti, Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, Iacopo Rusticucci, un Arrigo (di cui non
conosciamo l'identità), Mosca dei Lamberti. Dante ha gran desiderio di sapere se
essi sono all'Inferno o in Paradiso e Ciacco risponde prontamente che essi sono tra
le anime peggiori e si trovano tutti nel più profondo dell'Inferno, dove Dante stesso
potrà vederli se scenderà fin laggiù.
Ciacco conclude il suo discorso pregando Dante di ricordarlo ai vivi una volta tornato
sulla Terra, quindi non aggiunge un'altra parola. Il dannato strabuzza gli occhi,
guarda per qualche istante il poeta e poi china la testa, ricadendo nel fango insieme
agli altri golosi
Virgilio prende la parola per spiegare a Dante che Ciacco non si solleverà più fino al
giorno del Giudizio Universale, quando udirà il suono della tromba angelica. Allora
tutti i trapassati si rivestiranno del corpo mortale, ascoltando la sentenza finale che
fisserà in eterno il loro destino ultraterreno. Mentre i due poeti attraversano la
fanghiglia tra le anime, Dante chiede a Virgilio se i tormenti dei dannati
aumenteranno dopo il Giudizio, oppure saranno attenuati o resteranno uguali.
Virgilio risponde a Dante invitandolo a pensare alla Fisica di Aristotele, in base alla
quale quanto più una cosa è perfetta, tanto più è in grado di percepire il dolore e il
piacere. I dannati non saranno mai perfetti, tuttavia è logico supporre che dopo la
sentenza finale raggiungeranno la pienezza del proprio essere (essendosi
riappropriati del loro corpo), quindi implicitamente afferma che le loro pene
aumenteranno.
I due poeti aggirano a tondo il Cerchio, parlando di altri argomenti che Dante non
riferisce. Quando giungono al punto in cui si scende dal III al IV Cerchio, trovano il
gran nemico Pluto.
Temi
Il Canto VI dell’Inferno, nel suo complesso, è quasi totalmente privo di azione;
grande risalto è invece dato a tre tematiche che ne costituiscono lo scheletro:
La tematica politica. Il VI Canto di ciascuna delle tre cantiche, nella struttura della
Commedia, è di ambito politico. In questo caso ad essere sviscerate sono le lotte
intestine che hanno dilaniato la città di Firenze, una tematica che Dante sente
particolarmente cara in quanto è proprio a causa di esse che egli è stato esiliato.
La tematica etico-morale. Nel ripercorrere gli eventi che hanno segnato la città di
Firenze, Dante – per bocca di Ciacco – riesce ad individuarne le cause: superbia,
invidia e avarizia. Anche l’aspetto politico è quindi influenzato da quello morale. In
quest’ottica è significativo l’esempio di cinque illustri personaggi fiorentini che si sono
impegnati virtuosamente nell’ambito politico; essi, spiega Ciacco, sono dannati
all’Inferno, per via di peccati ancor più gravi di quello della Gola. Si evince quindi
chiaramente come l’operare politico, seppur giusto, non sia sufficiente ad ottenere la
salvezza divina.
La tematica religioso-dottrinale. Nell’ultima parte del sesto Canto dell’Inferno, Virgilio
illustra a Dante il futuro delle anime dannate. Esse, dopo il Giudizio Universale, si
riapproprieranno dei propri corpi: la loro sensibilità aumenterà ed avvertiranno la
pena eterna con maggiore intensità, in accordo con le teorie della filosofia
aristotelica.
Cerbero
Il primo nuovo personaggio che Dante e Virgilio incontrano all’ingresso del III
Cerchio è Cerbero, una figura mostruosa posta a custodia delle anime dei golosi.
Come già avvenuto per Caronte (vedi: Inferno III) e Minosse (vedi: Inferno V), anche
il personaggio di Cerbero è desunto dall’antica mitologia pagana: figlio di Tifone ed
Echidna egli era uno dei mostri posti a guardia dell’Ade, rappresentato come un
cane a tre teste con colli avvolti da serpenti.
I precedenti illustri più cari a Dante sono sicuramente Virgilio,
che inserisce la figura di Cerbero nel libro VI dell’Eneide, e Ovidio, che descrive
questo personaggio nel libro IV delle Metamorfosi, entrambe due opere
particolarmente care a Dante il cui materiale è spesso riutilizzato per la stesura della
Commedia.
A differenza delle sue fonti, però, Dante nel Canto VI dell’Inferno ridimensiona il
ruolo di Cerbero, rendendolo non più custode degli Inferi ma di un Cerchio solo, il
terzo, quello dei golosi. Egli è privo, inoltre, di una qualsiasi autorevolezza: a
dimostrazione di ciò, basti pensare quanto a tranquillizzarlo sia sufficiente una
sprezzante manciata di terra gettatagli nelle fauci.
Pur perdendo dignità, il cane a tre teste acquisisce nella Commedia una fortissima
carica grottesca: egli è una belva feroce che presenta però diversi tratti umani
(come, ad esempio, la barba).
Ciacco
Il personaggio a cui viene dato più spessore all’interno del Canto VI dell’Inferno è
senza alcun dubbio Ciacco, unica tra le anime dei golosi a prendere parola.
Sull’identità storica di quest’uomo non possediamo alcuna notizia; tutto ciò che
sappiamo lo dobbiamo a questi versi di Dante e ad una novella del Decameron di
Boccaccio, in particolar modo l’ottava della nona giornata. Egli fu, quindi, un cittadino
di Firenze (come apprendiamo dai vv. 49-51) che conobbe Dante (vv. 40-42); per
questo motivo si suppone possa essere nato intorno al 1250.
Sebbene diversi critici abbiano tentato di identificare il portavoce delle anime dei
golosi con Ciacco dell’Anguillara, poeta duecentesco, quest’ ipotesi sarebbe tuttavia
da scartare. Allo stesso modo, molti dubbi esistono sulla teoria secondo cui “ciacco”
non sarebbe il nome proprio del personaggio, bensì un nome comune dal significato
di “porco”: questo vocabolo, secondo gli studi, non era infatti utilizzato ai tempi di
Dante con questo significato.
Quello che deduciamo dal testo è che “Ciacco” potrebbe essere un soprannome o
un diminutivo: l’ipotesi più accreditata è che si tratti di una deformazione di Giacco,
diminutivo di Giacomo, un nome piuttosto diffuso nella Toscana dell’epoca.
Privo di spessore storico, Ciacco si presenta ai nostri occhi nell’unica veste, attestata
dal testo stesso, che ci interessa: quella di un comune cittadino di Firenze.
In virtù di questo suo ruolo egli può esprimere tutto il proprio dissenso per le sorti
della città, divisa al suo interno dalle lotte intestine tra i Bianchi e i Neri, e illustrarne
efficacemente – anche attraverso il ricorso a un lessico municipale – vizi e difetti.
La colpa: la gola
La colpa punita del sesto Canto dell’Inferno è quella della Gola, uno dei sette peccati
capitali. Si tratta, secondo Dante, del vizio che più rende l’uomo simile ad una belva,
allontanandolo dalla propria natura spirituale.
Tutto il Canto insiste infatti su questa bestialità della Gola, cui richiamano diversi
elementi:
● Il linguaggio, crudo e aspro, evocativo di un senso di disgusto e ricco di
vocaboli popolari;
● Cerbero, belva feroce e ingorda che diventa quasi emblema delle anime dei
golosi, tant’è che tra i dannati e il loro custode si crea un forte parallelismo (si
veda ad esempio il verso 19: «Urlar li fa la pioggia come cani»);
● La pena inflitta.
Quest’ultimo aspetto merita un’analisi più approfondita. La pena che Dante auctor
infligge alle anime dei golosi è talmente molesta che lo stesso poeta giunge ad
affermare all’interno del Canto che «s’altra è maggio, nulla è sì spiacente». Le anime
dei golosi sono, infatti, flagellate da una continua pioggia sporca e gelida,
semimmerse in una disgustosa e maleodorante fanghiglia; inoltre, sono graffiate e
tormentate da Cerbero, che le assorda con i suoi latrati.
Siamo di fronte ad una pena dal doppio significato:
● Come in vita, per via del peccato della Gola, le anime si sono disumanizzate
divenendo sempre più simili a delle belve, così sono immerse in una
fanghiglia sudicia, al pari dei porci (contrappasso per analogia);
● Come in vita hanno ceduto ai piaceri del cibo e alle sue prelibatezze, così
sono ora punite con il cattivo odore e il sudiciume del fango (contrappasso per
antitesi).
Un canto politico
La tematica politica, estremamente importante per Dante e che viene trattata in
diverse delle opere dell’autore (il Convivio e la Monarchia, per fare due esempi),
trova spazio anche all’interno della Commedia, in una modalità schematica e
strutturale.
Sebbene, infatti, i richiami alla sfera politica siano presenti in tutta l’opera, sono nello
specifico i canti VI delle tre cantiche ad essere destinati a questo tema, in un
progressivo ampliamento dell’ambito di riflessione:
● Il Canto VI dell’Inferno è dedicato alla dimensione cittadina di Firenze
● Il Canto VI del Purgatorio è dedicato alla dimensione nazionale d’Italia
● Il Canto VI del Paradiso è dedicato alla dimensione universale dell’Impero
Nello specifico, la riflessione di Dante si focalizza sulle lotte di fazione all’interno di
ciascuno di questi ambiti, che minano il disegno di unità e pace che è nella volontà
divina.
Nel sesto Canto dell’Inferno a parlare è Ciacco, un comune cittadino di Firenze che,
facendosi portavoce di Dante auctor, si scaglia contro il municipalismo che affligge la
città e le lotte di fazione tra Bianchi e Neri che la dilaniano – e che, non
dimentichiamolo, saranno la causa dell’esilio del poeta dalla città natale. In
particolare l’anima, dopo aver ripercorso tramite il ricorso ad una profezia
post-eventum gli eventi che si susseguiranno a Firenze dopo il 1300, smaschera le
cause morali che si celano dietro queste contese: la superbia, l’invidia e l’avarizia. In
questo modo, si arriva ben a comprendere come per Dante anche gli eventi politici
siano il risultato di determinati comportamenti etici e rientrino perciò nella sfera della
morale.
Tra i celebri ghiottoni della storia, non citati nell'Inferno, possiamo annoverare anche
Enrico VIII, Carlo Magno, l'imperatore Claudio e Maria Luisa d’Austria, chiamata la
duchessa golosa per la sua passione per i dolci.