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Diritto Internazionale

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DIRITTO INTERNAZIONALE

Capitolo I

Definizione e funzione del diritto internazionale.

1. Nozione dell’ordinamento internazionale e princìpi ispiratori.

Il Diritto Internazionale è quella branca del diritto che regola le relazioni

internazionali, vale a dire i rapporti tra Stati( diritto internazionale pubblico), o tra

soggetti di Stati diversi (diritto internazionale privato).


Per affrontare lo studio del Diritto Internazionale bisogna necessariamente partire dal concetto
di sovranità:
LA SOVRANITA’ E’ LA QUALITA’ GIURIDICA PERTINENTE ALLO STATO IN QUANTO POTERE
ORIGINARIO ED INDIPENDENTE DA OGNI ALTRO POTERE.
La sovranità può essere :
INTERNA. quando si riferisce ai rapporti intercorrenti tra lo Stato ed i propri cittadini,
ESTERNA quando riguarda i rapporti dello Stato con gli altri soggetti dell’Ordinamento
internazionale.
Per molto tempo la dottrina del diritto internazionale non è stata scissa da quella del diritto
naturale, tanto è vero che i primi internazionalisti possono essere considerati i giusnaturalisti per
i quali lo stato di natura e una forma di vita associata nella quale sono riconosciuti alcuni diritti
originali ed incoercibili come la vita, la libertà e la proprietà.
Il rispetto di tali diritti è assicurato mediante l’istituzione di un potere capace di garantirne
l’osservanza. L’origine di detto potere è in un patto attraverso cui gli uomini rinunciano a parte
della loro libertà e si limitano reciprocamente attribuendo un potere coercitivo ad un ente
superiore. Essi rinvengono nel diritto internazionale una sorta di “jus comune gentium”, diritto
comune delle genti, esistente alla base dei rapporti fra gli Stati.
Cenni storici:
La nascita del diritto internazionale moderno viene fatta risalire al 1648, data della pace di
Westfalia, che mise fine alla Guerra dei Trent’Anni (1618-1648).Con i Trattati di Munster e
Osnabruck, noti come i Trattati di Westfalia, sorse una Società costituita da enti, in prevalenza
Stati, che nell’assumere obblighi e nel disporre i propri diritti attraverso trattati, si trovarono in
una posizione di assoluta parità.

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3

La Pace di Westfalia pone, infatti, fine al Sacro Romano Impero, che abbracciava sotto l’autorità
di Roma la quasi totalità dei popoli e dei territori sino ad allora conosciuti.
Questo ordinamento non presentava i caratteri della Comunità Internazionale moderna in quanto
le entità di tipo statuale non costituivano figure autonome ma erano sottoposte all’autorità del
Papa e dell’Imperatore.
Solo dopo la Pace di Westfalia si delinearono i tratti fondamentali della odierna Comunità
Internazionale.
Una inversione di tendenza rispetto ad un assetto della C.I. che privilegiava una perfetta
pariteticità tra gli Stati ( Universalismo) si è avuta con la creazione della Società delle Nazioni
prima, e dell’Organizzazione delle Nazioni unite poi.
Dopo la II Guerra Mondiale , la tendenza all’Universalismo si era accentuata in quanto la
decolonizzazione ha portato all’affermazione di nuovi centri sovrani e indipendenti di potere
politico.
In effetti nel secondo dopoguerra più che di universalismo sarebbe corretto parlare di equilibrio
tra blocchi contrapposti: da un lato il cosiddetto blocco degli Stati Eurocentrici guidati dagli
Stati Uniti, che aveva imposto le sue istituzioni ed il suo sistema economico capitalistico
all’intero assetto della C. I., dall’altro gli altri blocchi portatori di valori e ideologie diverse
( gruppo dei Paesi Socialisti).
Nel 1989 con il crollo del sistema comunista emerge un nuovo assetto nel quale il ruolo guida
viene assunto dalle Nazioni Unite ormai libere dai vincoli derivanti dalla contrapposizione dei
diversi blocchi politici.
Lo Stato diventa il principale soggetto del dritto internazionale. Gli elementi che
contraddistinguono lo Stato moderno sono il popolo, il territorio e la sovranità.
Per molto tempo il diritto internazionale è stato anche considerato come un non diritto
disconoscendo anche l’esistenza dell’ordinamento internazionale per due motivi:
 perché non sempre la violazione di un obbligo giuridico è accompagnata da una
sanzione;
 perché si fonda sulla volontà e sui comportamenti di soggetti che sono, allo stesso
tempo, autori e destinatari delle norme.
Queste tesi, tendenti a negare la giuridicità del diritto Inter. però, possono essere facilmente
contestate: basti pensare alla presenza negli ordinamenti interni di norme, etiche e morali, cui
corrisponde talvolta una sanzione, senza che siano considerate norme giuridiche.

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Questo significa che il carattere giuridico della norma internazionale non può essere collegata
alla capacità sanzionatoria dell’ordinamento stesso e che l’ordinamento internazionale ha
caratteristiche totalmente diverse dall’ordinamento interno.
Le caratteristiche del diritto internazionale inducono a pensare che esso abbia le stesse
caratteristiche delle società primitive in via di formazione. La società primitiva si fonda su
rapporti di alleanza, di commercio, di guerra tra i diversi gruppi e sulla subordinazione dei
gruppo a diversi enti dotati di poteri superiori.

2. Ricambio delle norme.

Un’altra argomentazione utilizzata per negare la giuridicità del diritto internazionale si basa sul
modo in cui avviene il ricambio delle norme giuridiche : nell’ordinamento statale interno è
generalmente prevista una specifica procedura ai fini del ricambio e delle modificazioni delle
leggi.
Nell’ordinamento italiano, ad esempio, sono previste apposite procedure di ricambio delle norme
giuridiche: la legge successiva deroga a quella precedente, la legge speciale deroga alla legge
generale, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma con sentenza della Corte
Costituzionale ha l’effetto di abrogare la stessa norma ed il referendum abrogativo crea un vuoto
che stimola il legislatore alla creazione di nuove norme.
Nel diritto internazionale non è prevista una procedura simile, e quando una norma non è più
considerata attuale o idonea alla realtà, non può essere oggetto di analoghi processi di revisione
o modificazioni : storicamente la modifica delle norme internazionali è avvenuto soltanto
attraverso lo strumento della guerra e i conseguenti trattati di pace attraverso i quali sono stati
stravolti e modificati i rapporti e gli equilibri tra gli stati ( vedi trattato di Versailles) .
Oggi gli strumenti giuridici in possesso degli stati consentono di poter risolvere una controversia
internazionale con diversi mezzi pacifici senza dover far ricorso alla guerra, infatti la carte delle
Nazioni Unite prevede, una volta sorta una controversia, delle soluzioni alternative al conflitto
tra cui:
 Il negoziato – è un modo eccellente di risoluzione dei conflitti, perché mette in diretto
contatto i due contendenti, anche se spesso i risultati sono deludenti;
 La nomina di una commissione di inchiesta per l’accertamento dei fatti relativi alla
controversia;

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 La mediazione, che si concretizza con la nomina di un mediatore ( può essere lo stesso


Segretario ONU) con il compito di approfondire la questione e proporre soluzioni
diplomatiche;
 La Commissione di conciliazione che ha il compito di esaminare la posizione delle parti
e proporre vie praticabili per la soluzione pacifica, ma non entra in profondità come il
mediatore;
 L’arbitrato, che comporta la nomina di un giudice al quale le parti si affidano dopo aver
stabilito le norme sulle quali il giudizio arbitrale deve fondarsi.
Quando lo stesso diritto internazionale ha dovuto affrontare circostanze nuove non previste dalla
sua normazione, ha colmato le lacune attraverso il procedimento analogico.
Il procedimento analogico si configura in due modi:
- mediante l’estensione, per via interpretativa, dell’applicazione di una norma a fattispecie con
caratteristiche simili a quelle che la norma disciplina;
- ipotizzando la creazione di una norma nuova, simile alla precedente, che regoli una
fattispecie che contempli fatti analoghi rispetto a quelli contemplati dalla norma preesistente.

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Capitolo II

1. Le fonti del diritto internazionale secondo Kelsen e Morelli.

Le fonti del diritto internazionale sono state oggetto di varie interpretazioni da parte di diversi
autori.
Kelsen ritiene che in ogni ordinamento ciascuna norma deriva la propria validità da quella
precedente, fino ad arrivare alla cosiddetta “grundnorm” o norma base o fondamentale, che sta
all’apice della piramide: secondo questa costruzione, in ogni ordinamento ciascuna norma deriva
la propria giuridicità da un’altra che la contempla fino ad arrivare all’apice della piramide, vale a
dire alla norma base la cui giuridicità non e posta ma presupposta ( assunta come postulato).
Nel diritto internazionale, la norma base è il principio della “Consuetudo est servanda” (la
consuetudine deve essere rispettata), nel senso che la consuetudine rappresenta la fonte primaria
del diritto internazionale, seguita dalla fonte di secondo grado, cioè l’accordo che comunque
deriva dalla consuetudine.
La norma “Pacta sunt servanda”, che ha una portata generale, è considerata una norma
secondaria sulla produzione giuridica perché attribuisce giuridicità ad una fonte di norme
giuridiche, qual è appunto l’accordo.
L’accordo potrebbe rinviare ad altre fonti di diritto (ciò che si verifica quando un accordo
prevede una clausola che rimanda ad un altro accordo)ed in questo caso l’accordo successivo
diventa fonte giuridica di terzo grado. Anche la norma che prevede una sentenza dispositiva di
un giudice, si configura come una norma di produzione giuridica di terzo grado e la sentenza è
fonte di terzo grado, in quanto rinnova il diritto internazionale creando nuovo diritto che produce
effetti fra le parti della controversia.
Altra fonte di diritto è l’analogia, che si colloca al secondo grado, come l’accordo.
In sintesi FONTI del diritto internazionale , possono essere considerate, come ci suggeriscono
anche il Kelsen ed il Morelli, sia la CONSUETUDINE, che rappresenta la norma base, cioè
quella norma che, a differenza di tutte le altre, non fa derivare la propria giuridicità da un’altra
norma che la contempla, bensì viene assunta come postulato, come dato indimostrabile
( consuetudo est servanda: la consuetudine deve essere osservata), sia dall’accordo che da essa
deriva.
Nel sistema giuridico considerato, quindi:
1) la consuetudine è la fonte primaria dell’ordinamento internazionale;
2) l’accordo è una fonte di II grado ( perché riceve giuridicità dalla consuetudine).

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Qualora l’accordo contenga una clausola che rinvia ad un altro accordo successivo, tale clausola
diventerà fonte di III grado.
La consuetudine deve, però, essere accompagnata da due elementi, uno materiale(oggettivo) e
uno psicologico(soggettivo):l’usus deve essere accompagnato dalla opinio iuris ac necessitatis.
Il primo elemento, la prima caratteristica che si deve individuare nel processo consuetudinario, è
la partecipazione di coloro i quali sono membri della comunità nell’ambito della quale la
consuetudine rappresenterà regole di condotta reciproca. Deve trattarsi di un comportamento
uniforme e costante nel tempo. Relativamente all’elemento psicologico è cioè richiesto che gli
Stati abbiano tenuto quel comportamento costante ed uniforme perché convinti che esso era il
più idoneo a soddisfare gli interessi degli Stati membri della Comunità internazionale.
Quindi le norme consuetudinarie sono norme non scritte. Il contenuto normativo è il risultato di
un esame storico dei comportamenti tenuti dagli stati. Ciò comporta che la consuetudine come
fonte di norme giuridiche internazionali, deve porre in essere norme a carattere generale ( che in
quanto tali sono di difficile interpretazione).
In tempi recenti gli Stati si sono resi conto , però, che le norme consuetudinarie non sono sempre
di facile interpretazione. Da qui la necessità di tradurre in norme scritte le norme
consuetudinarie. Ciò è reso possibile perché le norme consuetudinarie non sono norme rigide,
cioè possono essere derogate dalla volontà degli stessi membri della comunità internazionale.
Gli Stati che non ritengono più idonea la norma consuetudinaria, possono creare una norma ad
hoc che regoli lo stesso rapporto in modo diverso dalla norma consuetudinaria. E’ per questo
che l’accordo si presenta come la seconda fonte di norme giuridiche internazionali.
Una , infatti, delle attività previste dallo Statuto delle Nazioni Unite, è quella di codificare il
Diritto Internazionale.

2. Kelsen e alcune altre teorie sulle fonti del diritto internazionale.

La teoria del Kelsen, e di Morelli, si ricollega al positivismo tedesco antitetico alla teoria del
diritto naturtale. Il positivismo ( corrente di pensiero che cerca di individuare la giuridicità di una
norma in un’altra norma che la contempli) individua la giuridicità delle norme attraverso un
sistema per cui ogni norma trova il suo fondamento in una norma superiore. L’ordinamento
giuridico si configura come una piramide composta di vari livelli collegati da un criterio
gerarchico, fino ad arrivare alla norma fondamentale o norma base, che conferisce validità a
tutte le altre e

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la cui validità è presupposta e non posta (cioè derivante da una formale norma di produzione del
diritto)1.
PIRAMIDE KELSENIANA

NORMA BASE
1^ Fonte sulla Produzione “Consuetudo est servanda”

CONSUETUDINE ( 1^ Fonte)

2^ Fonte sulla Produzione “Pacta sunt serranda”

ACCORDO ( 2^ Fonte)

3^ Fonte sulla Produzione CLAUSOLA (3^ Fonte)

Sulla stessa linea di Kelsen, e traslando questi concetti nell’ambito del diritto internazionale, il
Morelli individua la norma base dell’ordinamento internazionale nel principio “Consuetudo est
servanda”, ossia bisogna osservare la consuetudine così chè l’accordo internazionale, che è fonte
di diritto internazionale, deriva la sua giuridicità dalla consuetudine e questa a sua volta dalla
consuetudo est serranda. Anche l’autrice si colloca sullo stesso filone del Kelsen e di altri autori
positivisti nel senso che considerano valida una norma giuridica in quanto viene posta in essere
dai soggetti o dai loro organi ai quali è stato conferito il relativo potere.
Diversa è l’opinione di Roberto Ago secondo cui le norme consuetudinarie avrebbero il carattere
di norme spontanee, ossia nate nelle coscienze dei consociati e nelle manifestazioni che i
consociati danno della loro coscienza.
Un’altra posizione è rappresentata da quegli autori, i quali, ponendosi anch’essi alla ricerca della
norma base, hanno individuato tale norma nella norma “pacta sunt serranda” dalla quale
discende la giuridicità delle norme contenute in tutti gli accordi e trattati : se i trattati non fossero
stati ritenuti obbligatori si sarebbe registrata una situazione di caos e di conflitto quale ad es.
quella affermata da Hobbes.
1
Nell’ambito dell’ordinamento italiano, una circolare deriva da un decreto ministeriale, un decreto ministeriale
deriva da una legge, questa dalla Costituzione, fino ad arrivare ai fondamenti della Costituzione che possono
individuarsi nell’esistenza di una Costituzione democratica e nella forma di Repubblica.

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In contrasto con la tesi dei positivisti si pongono i giusnaturalisti e cioè quei giuristi che hanno
dato vita alle tesi di diritto internazionale naturale ( Grozio ,Pafendorf). Secondo queste tesi, il
D.I. ossia il diritto delle genti è consono all’umanità stessa e le stesse regole poste dai trattati di
pace e di alleanza si trovano alla base delle tesi del giusnaturalismo.
In epoca più recente, a fianco ai giusnaturalisti, si pongono gli spontaneisti, sulla base delle tesi
sostenute dal Prof. Ago il quale ha introdotto il concetto di formazione spontanea di una parte del
diritto internazionale nella quale rientrano, oltre le norme consuetudinarie, anche le norme di
“jus cogens” (diritto inderogabile) che non può essere derogato se non da un’altra norma avente
gli stessi caratteri e la stessa origine. La consuetudine è caratterizzata dalla “diuturnitas” ovvero
dalla ripetizione costante di comportamenti nel tempo con il convincimento che essi rispondono
ad un obbligo giuridico. Le norme di “jus cogens” possono assurgere al rango di diritto positivo
se diventano oggetto di trattati.

3 Conseguenze delle varie teorie: la consuetudine come accordo tacito.

Contrariamente a Kelsen e a Morelli, alcuni autori individuano nella norma “Pacta sunt
servanda” la norma base dell’ordinamento internazionale e considerano la consuetudine come un
accordo tacito, sicché gli Stati dovrebbero di volta in volta accordarsi per riconoscere l’esistenza
di norme giuridiche internazionali. La critica a tale concezione è incentrata sull’esistenza di dati
oggettivi che prescindono dalla volontà: la consuetudine è un fatto giuridico e produce effetti a
prescindere dalla volontà dell’uomo, l’accordo resta un atto giuridico che comporta una volontà,
espressa o tacita, rispetto ad un dato oggetto. La consuetudine ha anche la caratteristica di essere
rivolta alla generalità e si rivolge a tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale.

4 L’accordo.
Ciò che differenzia l’accordo dalla consuetudine, è l’espressione di volontà del soggetto che
intende, tramite il testo scritto, regolare in tal maniera i rapporti con i contraenti.
La dottrina usava distinguere i trattati–contratto dai trattati–legge ed individuava solo nei
secondi le fonti di diritto internazionale, dato il carattere generale degli stessi. I trattati-contratto,
potrebbero essere paragonati ad accordi di natura privatistica, nel senso che avrebbero la
capacità di determinare situazioni giuridiche nei soli confronti delle parti contraenti. Ciò
conferma l’attuale tendenza a non considerare i trattati come fonte di diritto internazionale.
Mentre la norma consuetudinaria ha una efficacia generale, che riguarda, tutti gli Stati, l’accordo
ha una efficacia limitata agli autori, alle parti contraenti dell’accordo stesso.

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Nonostante l’accordo rappresenti una fonte di II grado, dobbiamo sottolineare che solo il 5%
dei rapporti che intercorrono tra gli Stati è regolato dalle norme consuetudinarie; l’altro 95% è
regolato dagli accordi che intercorrono tra gli Stati.
Oggi quando parliamo di Accordi o Trattati come fonte di norme internazionali , dobbiamo fare
riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che ha codificato le norme generali
e ha specificato in parte innovando e in parte integrando, le norme generali.
La Convenzione non precisa cosa è un Accordo. L’art. 1 dice che la presente convenzione si
applica ai trattati tra gli stati. E’ chiaro, quindi che si riferisce solo agli accordi tra gli stati e non
tra le Organizzazioni internazionali o tra Stati e Organizzazioni.All’art. 2, precisa che questi
trattati devono avere forma scritta . Anche se manca una definizione ufficiale possiamo
serenamente dire che si ha un accordo quando due o più persone vogliono la stessa cosa.
Quando due o più volontà coincidono e quindi un accordo internazionale lo possiamo definire
come un accordo che interviene tra due o più Stati circa la formazione di norme di diritto
internazionale.
In tutte le fasi della vita di un accordo, questo viene comunque e sempre regolato dalla volontà
dei soggetti nel senso che il principio del consenso e determinante in ogni fase : nella fase
iniziale delle trattative, delle consultazioni e delle negoziazioni.

5 Rapporti tra consuetudine ed accordo.

Nel diritto internazionale, l’accordo tra due o più parti deroga alla consuetudine solo nei
confronti dei soggetti che vi hanno preso parte: la consuetudine continuerà ad esplicare la sua
funzione nei confronti degli enti che non hanno sottoscritto l’accordo. Conseguenza contraria si
sviluppa quando una norma consuetudinaria abroga un accordo: in questo caso la consuetudine
obbliga tutti gli Stati, non solo quelli che hanno partecipato all’accordo.
Le considerazioni svolte non si applicano al caso della codificazione del diritto internazionale.
La codificazione si ha quando una norma consuetudinaria è trasformata in diritto scritto:
eccezione fanno le norme che nascono obbligatorie perché ritenute tali dalla coscienza comune
di tutti i consociati. La convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, quella di Ginevra sul Diritto
del mare, la Convenzione sulle relazioni diplomatiche consolari sono esempi di norme
consuetudinarie trasformate in principi di diritto scritto, volto ad assicurare una certezza analoga
a quella del diritto statale. Norme consuetudinarie codificate.

Capitolo 3

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Gli atti giuridici internazionali

( Definizione di atto giuridico internazionale v. cap. II)


Gli atti giuridici internazionali possono distinguersi in:
1. Atti unilaterali;
2. Accordi bilaterali e plurilaterali;
3. Atti delle organizzazioni internazionali;
4. Atti della Comunità europea.

1. Gli atti unilaterali.


Gli atti unilaterali sono atti compiuti da un solo soggetto o da un insieme di soggetti e
consistono in una o più manifestazioni di volontà produttive in effetti giuridici conformi alla
volontà manifestata, diretti a creare od estinguere un diritto soggettivo, a determinare una
situazione giuridica nuova o a modificarne una già esistente. L’accordo internazionale
differisce dall’atto unilaterale collettivo perché con il primo le volontà si incontrano e creano
diritti e obblighi reciproci, mentre con il secondo le volontà di due o più soggetti, non
stabiliscono tra loro diritti e doveri ma sono parallelamente rivolte alla realizzazione di uno
stesso fine. ( rinuncia congiunta di un diritto soggettivo da parte di più stati costituisce atto
unilaterale collettivo).( riconoscimento di un nuovo stato compiuto congiuntamente).
Atti unilaterali sono il riconoscimento, la rinuncia, la denuncia di un trattato ed il recesso da
questo.
A) Il riconoscimento è utilizzato per riconoscere l’esistenza di un nuovo soggetto giuridico o di
nuova situazione di fatto e può avere natura dichiarativa (nel momento in cui uno Stato ne
riconosce un altro come soggetto di diritto internazionale con cui instaurare relazioni
diplomatiche), o natura costitutiva (nel caso in cui si attribuisca personalità internazionale ad un
partito insurrezionale o ad un movimento di liberazione nazionale che, in mancanza di detto
atto, non esisterebbe sul piano internazionale. I movimenti di liberazione nazionale non possono
partecipare a trattative internazionali se gli Stati con cui devono trattare non li riconoscono).
Il riconoscimento può essere espresso, nel caso in cui consiste in una manifestazione di volontà
scritta od orale, o tacito, se si deduce da un comportamento concludente.
B) La rinuncia è una dichiarazione di volontà, espressa o tacita, con la quale uno o più soggetti
rinunciano ad un proprio diritto soggettivo. Se uno Stato non esercita i propri diritti per molto
tempo, ove sia dichiarato rinunciatario degli stessi, potrà difendersi con una protesta che non ha
natura di atto unilaterale perché è inidonea a modificare in qualsiasi modo la situazione

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preesistente, ma ha solo una funzione conservativa del proprio diritto, quindi una funzione
strumentale rispetto a questo.
La notificazione ha la funzione di rendere nota una data situazione giuridica o di fatto, ed ha
valore costitutivo (es. uno Stato neutralizzato il cui status sia stato notificato non può essere
coinvolto in azioni militari o di pace in essere con gli altri Stati destinatari della notifica).
C) Con la denuncia ed il recesso, una parte di un trattato esprime la volontà di estinguerlo nei
propri confronti. La denuncia di un trattato bilaterale comporta l’estinzione dello stesso venendo
a mancare il requisito di bilateralità. Il recesso da un trattato plurilaterale, invece, comporta
l’estinzione del trattato solo per lo Stato recedente.

Gli accordi.

Prima della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, i trattati erano soggetti a
norme di natura consuetudinaria formatesi nel corso degli anni sulla base di comportamenti
tenuti dagli Stati per un certo periodo di tempo (requisito della cosiddetta diuturnitas), col
convincimento di ottemperare in tal modo ad un obbligo giuridico (cosiddetto opinio juris).
Se la norma di diritto internazionale consuetudinario non esisteva, si ricorreva ai princìpi
generali dei diritti riconosciuti dalle nazioni civili, i quali in base all’art. 38 n.3 dello Statuto
della Corte Permanente di Giustizia Internazionale e dello Statuto della Corte Internazionale di
Giustizia, costituivano i princìpi cui la Corte Internazionale di Giustizia deve riferirsi in assenza
di norme convenzionali e consuetudinarie per risolvere le controversie.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati si inserisce nell’opera di codificazione del
diritto internazionale intrapresa dalle Nazioni Unite in base all’art.13 n.1 a) dello Statuto ed ha
avuto il compito di dare una forma scritta ed una formulazione più corretta del diritto 1.

I principi ispiratori della Convenzione

La convenzione di Vienna sul diritto dei trattati si inserisce nell’opera di codificazione del diritto
internazionale intrapresa dalle nazioni unite gia a partire dal 1947 con l’istituzione di una
commissione di esperti formata da 25 membri di riconosciuta competenza .
Rispetto alle norme che precedentemente regolavano la materia, la Convenzione di Vienna del
1969, presenta la caratteristica, comune a ogni codificazione del diritto, di conferire alle norme

1
Altre innovazioni riguardano il riferimento alla corruzione dell’organo (art.50) come causa di vizio del consenso,
nonché il rilievo dato alla coercizione del consenso attraverso l’uso della violenza ed in particolare la violenza
esercitata contro uno Stato.

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una formulazione più precisa ed univoca assolvendo a quella che è la sua funzione principale di
conferire certezza al diritto.

3. Parti contraenti.

Uno dei problemi di diritto internazionale è la determinazione di quali enti possono essere parti
contraenti nel senso che essi risultano destinatari delle norme.
In primo luogo, certamente gli Stati sono tra i più importanti soggetti di diritto internazionale,
non essendoci differenza fra Stati di vecchia e di nuova formazione. Altri soggetti abilitati alla
stipula dei trattati sono:
 le Organizzazioni Internazionali, quali l’ONU, la FAO (Organizzazione per
l’alimentazione e l’agricoltura) e le Organizzazioni Sovranazionali (ad es., la Comunità
Europea) possono concludere trattati e di fatto li hanno conclusi;
 i cosiddetti enti dipendenti dagli Stati, cioè quegli enti che sono legati ad un ente superiore
da un rapporto di dipendenza (ad es. gli Stati membri di Stati federali o gli stati vassalli –
cantoni svizzeri – Lander germanici – Stati membri dell’URSS), limitatamente alla
possibilità loro concessa dagli Stati superiori e all’oggetto della concessione;
 il partito insurrezionale che può concludere accordi purché sia fornito di un’organizzazione
operante su un determinato territorio;
 i cosiddetti movimenti di liberazione nazionale (es. l’OLP, organizzazione per la
liberazione della Palestina), che hanno concluso trattati con gli Stati che li hanno
riconosciuti;
 la Santa Sede ( da non confondere con lo Stato della Città del Vaticano che è un vero e
proprio Stato) che ha partecipato e partecipa a trattati che hanno per oggetto questioni di
carattere temporale e vengono denominati proprio trattati (Trattato del Laterano dell’11
febbraio 1929); altri accordi riguardano questioni di carattere spirituale prendono il nome di
concordati (Concordato dell’11 febbraio 1929 con l’Italia nonché gli accordi di revisione
concordataria, il cosiddetto Nuovo Concordato del 1984).
In ultimo, la Convenzione di Vienna all’Art. 1 prevede che la stessa si applichi ai trattati tra stati
e l’art. 3 non esclude il valore giuridico degli accordi conclusi tra soggetti di diritto
internazionale .

3 Gli organi

13
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Gli enti internazionali che partecipano alla stipula o alla formazione dei trattati, non agiscono
direttamente ma si avvalgono di organi, la cui manifestazione di volontà è attribuita all’ente per
cui l’organo agisce, attraverso la cosiddetta norma dell’imputazione giuridica (detta norma
consente di imputare all’ente l’attività compiuta dall’organo).
Come nel diritto privato, gli organi si distinguono in individuali e collegiali, a seconda che siano
formati da un singolo individuo o da più individui.
Esistono poi altri organi, quali ad esempio il Segretariato Generale dell’ONU, che rappresentano
la volontà di tutti i Paesi che fanno parte dell’organizzazione internazionale, ed ancora i
cosiddetti organi plenipotenziari forniti di pieni poteri a loro attribuiti dal Capo dello Stato o
dal Ministero degli Affari Esteri per la preparazione del testo dei Trattati (la fase della
negoziazione).
Altri organi dello Stato, infine, possono partecipare alla conclusione dei trattati, secondo l’art.7
della Convenzione dio Vienna sono :
- i Capi di missioni diplomatiche (se parti contraenti sono lo Stato che ha inviato la missione
diplomatica, detto Stato accreditante, e quello nei cui confronti il diplomatico agisce come
organo, il cosiddetto Stato accreditatario).
- i rappresentanti accreditati degli Stati ad una conferenza internazionale o presso
un’organizzazione o uno dei suoi organi, se deve adottarsi il testo di un trattato nel corso di
detta conferenza, presso detta organizzazione o detto organo;
- i comandanti militari competenti in materia di tregua, di armistizio o di rese .
Tutti gli organi elencati, in relazione all’espletamento delle funzioni ad esse proprie, godono di
una particolare immunità e di particolari condizioni, derivante dall’applicazione del principio
generale riguardante il rispetto della organizzazione altrui.

5. Presupposti dell’imputazione: qualità di organo e competenza.

In genere, i vati enti internazionali sono tutti forniti di organizzazione giuridica, fondata sul
proprio ordinamento, cui corrisponde il più delle volte l’organizzazione interna effettiva,
composta da un gruppo di individui che, in un dato contesto e momento storico, svolge le
funzioni organiche dell’ente.
Può succedere che tra organizzazione effettiva e organizzazione giuridica non si riscontri tale
coincidenza perchè coloro che svolgono funzioni organiche con competenze sul piano del

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diritto internazionale, non lo siano sul piano del diritto interno (in base, cioè, alla organizzazione
che l’ente si è data all’interno dello stesso).
In questi casi, il diritto internazionale riconoscerà valore di “organo” all’individuo o al
complesso di individui che di fatto possiede questa qualità, e considererà competente
l’individuo, o il gruppo di individui, che di fatto risulti fornito di competenza internazionale.
Per determinare se effettivamente l’organo ha detta qualità, si dovrà osservare l’organizzazione
interna all’ente ed in particolare, il modo in cui detta organizzazione ha distribuito le funzioni
fra i vari organi. Ed ancora, l’attribuzione della competenza risulterà dall’atteggiamento che
l’ente ha nei confronti dell’organo imputato: se l’ente non si opporrà all’atto compiuto dal suo
organo, questi sarà considerato competente anche dal diritto internazionale; in presenza di un
formale disconoscimento da parte dell’ente stesso circa le qualità dell’organo, dovrà ritenersi
incompetente.

6. Lo scambio del consenso: l’accordo.

Gli organi degli enti internazionali compiono delle manifestazioni di volontà - imputate
dall’ordinamento internazionale ai soggetti per i quali agiscono - le quali, incontrandosi tra loro,
relativamente ad un dato oggetto, danno vita ad un accordo, la cui legittimità e valenza è
garantita dalla norma di diritto internazionale avente carattere generale, detta “Pacta sunt
servanda”, i patti devono essere rispettati. Gli accordi sono taciti, se risultano da comportamenti
concludenti, o espressi, se contenuti in un accordo verbale o scritto. Se all’accordo partecipano
due contraenti è detto bilaterale, se partecipano più contraenti è chiamato plurilaterale.
Il termine trattato è forse quello usato più frequentemente a volte solo per indicare solo un
accordo scritto o per accentuare l’importanza politica dell’accordo, così come si ricorre al
termine convenzione alternativamente rispetto al trattato o all’accordo, sebbene di solito le
convenzioni si utilizzano per codificare il diritto internazionale ( Convenzione di Vienna – di
Ginevra etc.).
Il termine accordo è usato indifferentemente per indicare accordi politici, economici o di altra
natura.
Lo scambio di note, che ha carattere accessorio rispetto al trattato, indica l’accordo risultante
dall’incontro della dichiarazione di volontà contenute in due strumenti (dette note): una delle
dichiarazioni è contenuta nella nota del Ministro degli Esteri di uno Stato indirizzata all’agente
diplomatico straniero accreditato presso lo Stato stesso, e l’altra nella nota di risposta diretta
dall’agente diplomatico al Ministro.

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Con il nome di Atto generale o Atto si indica un accordo plurilaterale che stabilisce regole di
particolare importanza.( Atto generale di Berlino sui problemi coloniali).
Il Protocollo è un accordo generale, accessorio ad un altro accordo e pone regole giuridiche di
carattere generale.
La Dichiarazione ha valore costitutivo di accordo se esprime il consenso dei contraenti;
altrimenti è utilizzata per stabilire princìpi generali cui le parti devono attenersi.
Il Modus vivendi è un accordo economico a carattere provvisorio in attesa di dare un assetto
definitivo al problema ed infine, con il termine Patto, Carta, Statuto e Costituzione si indicano
accordi costitutivi di unioni internazionali o sono utilizzati per regolare accordi istitutivi di
unioni internazionali. In tempi di guerra la termologia utilizzata per designare gli accordi assume
aspetti particolari quali tregua, armistizio, capitolazione etc.

7. Struttura di un trattato.

Sebbene i trattati si distinguono l’uno dall’altro per il loro contenuto che può essere molto vario,
dal punto di vista della struttura presentano molte analogie e risultano per lo più costituiti dalle
stesse parti: il titolo, il preambolo, il dispositivo e le disposizioni finali.
Il Titolo del trattato contiene succintamente l’indicazione dell’oggetto, le finalità che si
intendono raggiungere e, talvolta, il nome delle parti contraenti;
il Preambolo, invece, contiene l’elenco dei motivi che hanno determinato la conclusione del
trattato;
nel Dispositivo o Corpo del trattato sono presenti gli articoli suddivisi in ulteriori parti, che
contengono la disciplina del trattato (talvolta, nei primi articoli del dispositivo, è contenuta la
spiegazione di alcuni termini usati nel trattato stesso);
infine le Disposizioni finali riguardano lo scambio e il deposito delle ratifiche, la data e le
condizioni dell’entrata in vigore, le condizioni e le formalità di adesione e l’indicazione dei testi
su cui può fondarsi l’interpretazione ufficiale del trattato. Talvolta al testo del trattato si
aggiungono allegati che completano il testo e che ne fanno parte integrante o Atti finali
contenenti dichiarazioni solenni ( vedi Convenzione di Vienna – Dichiarazione di condanna
della violenza).

8. Modo di formazione dell’accordo: Negoziazione e ratifica.

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Un trattato è il frutto di lunghe e laboriose trattative che gli enti internazionali pongono in essere
per ottenere il soddisfacimento delle rispettive aspettative, e questo complesso procedimento
consta generalmente di due fasi : la negoziazione e la ratifica.
La Negoziazione e la fase preparatoria ed è svolta dai plenipotenziari che provvedono alla
preparazione dell’accordo, non prima di aver indicato gli atti che attestano i loro pieni poteri.
La fase della negoziazione si conclude con la firma dei plenipotenziari e l’apposizione della
data. Il trattato così concluso sarà valido solo dopo essere stato ratificato: la Ratifica, infatti,
costituisce la manifestazione di volontà dello Stato di accettare integralmente il contenuto del
trattato e deve essere fatta dall’organo competente. E’ spesso accaduto che alla fase della
negoziazione non sia conseguita la ratifica da parte di tutti gli organi che partecipano alle
trattative. La ratifica è contenuta in un apposito strumento, detto “strumento di ratifica”, ed è
considerata, dal punto di vista giuridico, un elemento costitutivo del trattato. Essa, al pari
dell’accordo, deve essere scambiata con quella degli altri Stati contraenti e non è una
conseguenza automatica della fase di negoziazione ben potendo uno Stato rifiutarsi di ratificare
un trattato (con la conseguenza che il trattato non è obbligatorio per lo Stato che non lo ha
ratificato).

9. Scambio e deposito delle ratifiche.


L’art.18 della Convenzione di Vienna stabilisce che uno Stato partecipante alla fase della
negoziazione non deve compiere, prima della ratifica, atti che annullino l’oggetto o lo scopo del
trattato. Detto obbligo sussiste fin tanto che il trattato entri in vigore. Le ratifiche devono avere
contenuto identico e devono riportare il testo sottoscritto dai plenipotenziari: esse dovranno
essere o scambiate (nel caso di accordi bilaterali) o depositate (nel caso di accordi plurilaterali).
Lo scambio delle ratifiche consiste nella reciproca e contemporanea consegna degli strumenti di
ratifica dei rispettivi Stati di cui viene redatto un processo verbale: lo scambio delle ratifiche
indica il momento in cui il trattato viene in esistenza.
Il deposito della ratifica presso un organo o un ufficio internazionale può essere effettuato dai
vari contraenti in momenti diversi ed in questo caso il trattato può considerarsi esistente con il
deposito della seconda ratifica, limitatamente ai due enti che hanno ratificato per primi mentre
per gli altri contraenti si perfeziona man mano che vengono depositate le ratifiche e se ne dà
comunicazione a tutti gli Stati contraenti ( il trattato esiste ed entra in vigore quando almeno due
stati hanno provveduto alla ratifica).
L’art.77 della Convenzione di Vienna contiene l’indicazione delle funzioni del depositario e
l’adempimento degli altri obblighi quali: la custodia del testo originale del trattato e dei pieni

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poteri, la preparazione delle copie conformi al testo originale e le varie traduzioni nelle lingue
indicate dal trattato, la notifica dell’avvenuto deposito delle successive ratifiche agli enti che
hanno provveduto all’espletamento di detta procedura.

10. Trattati in forma semplificata.


I trattati conclusi in forma semplificata sono quei trattati posti in essere senza che ci sia la
successiva ratifica e sono così indicati quelli conclusi da organi che, secondo il diritto
internazionale, hanno competenza a manifestare la volontà di un ente (come nel caso del Capo
dello Stato o del Ministro degli esteri). Anche i plenipotenziari possono concludere trattati di
forma semplificata ma, in questo caso, dovranno essere muniti sia del potere di negoziare sia del
potere di concludere un trattato e quando ciò è espressamente previsto dal trattato stesso.

11. L’adesione.
Generalmente solo gli enti che hanno partecipato alla negoziazione di un trattato possono
successivamente ratificarlo. In alcuni casi, però, anche gli enti che non hanno contribuito alla
formazione del trattato, possono divenire parti dell’accordo mediante la procedura
dell’adesione.
I trattati in cui è prevista questa possibilità sono definiti aperti, se detta facoltà non è prevista si
parla di trattati chiusi.
L’art.15 della Convenzione di Vienna contempla l’ipotesi di una clausola espressa di adesione,
l’eventuale esistenza di una clausola tacita, se accertabile che gli Stati che hanno partecipato alla
negoziazione hanno convenuto che quello Stato avrebbe potuto aderire in detta maniera e una
clausola di adesione successiva, se tutte le parti hanno convenuto che il consenso sarebbe potuto
essere espresso da tale Stato con l’adesione. Anche l’adesione è un elemento costitutivo
dell’accordo.

12. Le riserve.
In alcuni casi, per allargare al massimo il numero di partecipanti al trattato, è consentito a taluni
Stati di accettare il testo del trattato apponendovi alcune riserve che rendono o non rendono
efficaci nei confronti degli Stati che lo fanno, alcune parti del trattato stesso.
L’art.19 della Convenzione di Vienna elenca i casi in cui le riserve non possono essere apposte:
 se nel trattato vi è un preciso divieto in proposito ad apporre riserve;
 se sono individuate delle riserve tra le quali non è contemplata quella questione;

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 se la riserva sia incompatibile con l’oggetto o lo scopo del trattato.


Le riserve sono formulate dai plenipotenziari al momento della sottoscrizione con la
conseguenza che la ratifica comprenderà anche la riserva. La riserva ha effetto solo fra lo Stato
che la formula e quello che l’accetta. Inoltre, singole parti contraenti possono opporre obiezioni
alla riserva senza che ciò impedisca all’intero trattato di entrare in vigore.

13. Registrazione e pubblicazione dei trattati.


La registrazione e la pubblicazione dei trattati è stata introdotta dall’art.33 del Patto della
Società delle Nazioni che prevedeva la necessità della registrazione presso il Segretariato, di
qualsiasi trattato o accordo concluso da un membro della Società, non essendo obbligatori in
mancanza di registrazione.
L’introduzione di questa norma ha dato luogo a molte perplessità nel senso che una
interpretazione letterale avrebbe esteso la sua applicazione non solo ai patti conclusi tra stati
membri della Società delle Nazioni ma anche agli accordi conclusi dai membri con paesi
estranei.
Per evitare problemi di adattabilità al diritto internazionale 2, si ritenne di dover considerare
la registrazione un elemento non costitutivo dell’accordo, il quale avrebbe mantenuto la sua
efficacia obbligatoria anche in mancanza di registrazione. L’obbligo della registrazione restava
vincolante solo nell’ambito della Società delle nazioni.
L’art.102 della Carta delle Nazioni Unite e l’art.77 della Convenzione di Vienna, dispongono
l’obbligo di registrazione e di pubblicazione dei trattati stipulati da un membro delle Nazioni
Unite a cura dello stesso membro, in assenza di tale registrazione, nessuno Stato contraente può
invocare l’accordo o il trattato davanti ad un organo delle Nazioni Unite.

14. Termine iniziale e condizione sospensiva.


L’entrata in vigore del trattato coincide con il suo perfezionamento che si ha con lo scambio
delle ratifiche, nel caso di trattati bilaterali, e con il deposito delle varie ratifiche e di adesioni,
nel caso di trattati multilaterali.
È possibile che l’efficacia del trattato venga differita nel tempo mediante l’apposizione di
condizione sospensiva o di termine iniziale:

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L’introduzione di questa norma si scontrava con uno dei princìpi cardini del diritto internazionale secondo cui un
patto è valido solo nei confronti degli Stati contraenti e non nei confronti di Stati terzi: detto principio applicato al
Patto avrebbe comportato l’obbligo della registrazione solo per i Paesi membri della Società delle Nazioni e non per
i Paesi terzi estranei alla Società delle Nazioni.

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 Il termine iniziale sospende l’efficacia del trattato (che si considera comunque perfetto)
fino al verificarsi della data stabilita come termine che è considerato un avvenimento
futuro e certo;
 La condizione sospensiva ritarda l’entrata in vigore del trattato ma costituisce un
avvenimento futuro e incerto che potrebbe anche non verificarsi. La condizione
sospensiva può essere propria o impropria a seconda che al verificarsi del fatto il trattato
acquisti efficacia retroattiva (propria) o dal momento in cui si è realizzato l’episodio
oggetto della condizione (impropria).

15. Rispetto e applicazione dei trattati.


Gli art.26-30 della Convenzione di Vienna contengono alcune regole inerenti il rispetto e
l’applicazione dei trattati. In particolare:
 l’art.26 consacra il principio dell’esecuzione dei trattati secondo “buona fede”;
 l’art.27 sancisce l’impossibilità per ciascun contraente di invocare le disposizioni legislative
interne Al fine di giustificare la mancata esecuzione di un trattato essendo l’ordinamento
interno e quello internazionale originari ed indipendenti ( fondatesi ciascuno su una norma
base per cui totalmente autonomi);
 l’art.28 contempla il principio della irretroattività dei trattati, stabilisce cioè che, salva altra
volontà, contenuta nel trattato stesso, le disposizioni di un trattato non vincolano una parte su
un fatto o un atto anteriore alla entrata in vigore dello stesso;
 l’art. 29 riguarda l’applicazione territoriale dei trattati, stabilendo che, salvo il diverso
intendimento delle parti, risultante dal testo dell’accordo, un trattato vincola ciascuna delle
parti per tutto l’insieme del territorio;
 l’art. 30, infine, stabilisce che un trattato posteriore prevale sul precedente (se i trattati sono
stati conclusi dalle stesse parti). Nel caso in cui il trattato precedente non abbia avuto termine
o non sia stato sospeso, vige il principio della compatibilità dei due trattati, nel senso che il
trattato anteriore potrà applicarsi solo nella misura in cui le sue disposizioni siano compatibili
con quelle del trattato posteriore.
Nessun trattato posteriore può essere in contrasto con lo Statuto dell’ONU cui si attribuisce
superiorità giuridica, secondo l’art.103 dello stesso trattato stabilendo una regola fondamentale
della vita internazionale : tutte le organizzazioni internazionali si adeguano alla Carta ( Statuto
ONU).
Si considera infatti il contenuto dell’art. 103 come avente valore erga onmes.

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16. Interpretazione dei trattati.


Il problema dell’interpretazione dei trattati è dovuto essenzialmente all’assenza, sul piano del
diritto internazionale, di princìpi costituzionali in materia e di un ente sovraordinato agli Stati
dotato del potere di interpretare i trattati in forma autoritaria (come la Corte Costituzionale è
chiamata a fare in Italia).
La Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, superando le discordanze della
dottrina, introdusse alcuni princìpi fondamentali. Il principio più importante è contenuto
all’art.31 ed afferma che il trattato deve essere interpretato secondo buona fede, tenendo conto
dell’interpretazione letterale e di quella logica per il rilievo conferito all’oggetto ed allo scopo
dello stesso.
Fondamentale è l’analisi di tutte le parti del trattato, quali il preambolo, gli allegati, ogni accordo
intervenuto tra le parti relativo al trattato e ogni strumento disposto da una o più parti in
occasione della sua conclusione. I mezzi che l’interprete deve utilizzare sono gli accordi conclusi
successivamente tra le parti ai fini interpretativi ed ogni norma di diritto internazionale
applicabile tra le parti.
L’art.32 della Convenzione stabilisce che il ricorso ai mezzi complementari di interpretazione e
all’analisi dei lavori preparatori (per lavori preparatori si intendono le manifestazioni di volontà
espresse nella fase della negoziazione e quelle che risultano dai processi verbali e dalle
discussioni precedenti la formazione del testo del trattato) è ammesso solo ove, sulla base
dell’interpretazione testuale o logica, il significato del trattato resti oscuro.
L’art. 33 riguarda i trattati redatti in più lingue e precisa che, nel caso di discordanza tra i testi
redatti, nelle varie lingue sarà adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo
del trattato, concili nel migliore dei modi i testi in questione.

17. Trattati e Stati terzi.


Dai trattati internazionali sorgono diritti e doveri per i soggetti che vi hanno preso parte e
produce solo quegli effetti che i contraenti, mediante l’accordo, intendono perseguire.
A questo principio, affermato anche in sede giurisdizionale dalla Corte Permanente di Giustizia
internazionale nella sentenza del 25 marzo 1926, si è adeguata anche la Convenzione di Vienna
che all’art.34 non esclude che una norma, posta mediante accordo, possa obbligare tutti i Paesi
solo se si trasforma in una norma consuetudinaria internazionale e che sia riconosciuta come tale.
In questo caso la norma perderebbe il carattere di norma pattizia o particolare, diretta cioè
soltanto verso i soggetti che l’hanno posta in essere, per acquistare il valore di norma generale
ossia rivolta verso tutti i consociati.

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Le parti contraenti possono anche stabilire la nascita di obblighi e diritti soggettivi in capo ad
uno Stato terzo:
1) nel caso di disposizioni di obblighi occorre che lo Stato terzo coinvolto, debba accettarli
per iscritto; l’obbligo così assunto potrà essere revocato o modificato con il consenso
delle parti contraenti e dello stesso Stato terzo;
2) mentre nel caso di acquisto di un diritto, il consenso si ritiene esistente finché non si
riscontri una indicazione contraria ed esso non potrà essere revocato senza il consenso
dello Stato terzo a meno che non sia stato stabilito che non occorre il consenso del terzo.

18. Emendamenti e modifiche dei trattati.


Con il patto della Società delle Nazioni (art. 26) e l’Atto istitutivo dell’Organizzazione
Permanente Internazionale del Lavoro è stata introdotta, nella pratica del diritto internazionale,
una innovazione consistente nella possibilità di apportare emendamenti, indicandovi la procedura
più idonea. Alla stessa previsione si è conformato lo Statuto della N.U. allorché prevede la
possibilità di apportare modifiche o effettuare revisioni dello Statuto stesso indicando la
procedura da seguire. Anche la Commissione di diritto internazionale delle N.U., contemplando
la possibilità di emendare o modificare i trattati secondo una specifica procedura.
La Convenzione di Vienna del 1969 dispone che il trattato può essere emendato allorché sussista
un’intesa comune tra le parti e venga seguita una specifica disposizione contenuta nell’art.40.
È anche prevista la possibilità di modificare trattati multilaterali solo relativamente ad alcune
parti contraenti nel caso in cui detta possibilità sia prevista dal trattato stesso e laddove non
pregiudichi il godimento dei diritti stabiliti per le altre parti contraenti e non si tratti di una
questione che non può essere modificata senza che vi sia un’incompatibilità con l’effettiva
realizzazione dell’oggetto o dello scopo trattato.

19. La clausola della nazione più favorita.


La clausola della nazione più favorita consente di modificare, in presenza di date circostanze e
nei limiti indicati nel trattato, il contenuto di determinate disposizioni pattizie. Questa clausola
comporta che se uno Stato conclude con enti diversi dei trattati in cui si applica un trattamento
più favorevole rispetto a trattati stipulati in precedenza e sulla stessa materia con altri enti, la
clausola produrrà l’effetto di fare variare il contenuto del primo accordo adeguandolo a quello
dell’accordo contemplante il trattamento più favorevole. Se la clausola impegna un solo
contraente ha carattere unilaterale, se impegna entrambi i contraenti si chiamerà bilaterale.

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20. Inesistenza e invalidità dei trattati.


Già prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Vienna la dottrina internazionalistica
individuava alcuni requisiti necessari per dichiarare l’esistenza e la validità dei trattati e tra
questi requisiti vanno citati :
- la presenza di due o più manifestazioni di volontà vertenti sullo stesso oggetto ( consenso);
- l’imputazione delle suddette volontà a degli Enti internazionali;
- la necessità che tali manifestazioni di volontà fossero esenti da vizi e compiute da soggetti
dotati di capacità di agire e cioè destinatari della norma internazionale.
Quindi, circa i requisiti che la dottrina tradizionale considera come attinenti all’esistenza del
trattato, deve rilevarsi che non sussiste alcun dubbio sulla possibilità che sia il difetto di
manifestazione di volontà, sia il dissenso ( mancato incontro delle volontà) sia ancora l’assenza
di qualità di organo dell’individuo che compie tale manifestazione comportino l’inesistenza del
trattato per il diritto internazionale in quanto in simili circostanze esso non avrebbe la parvenza
di atto internazionale.
In caso di incompetenza dell’organo che compie la manifestazione di volontà, non si parlerà di
atto inesistente ma di trattato invalido, la cui nullità possa essere invocata solo dalla parte
interessata, nel caso in cui, nonostante la mancanza di qualità organica dell’individuo che ha
concluso il trattato, altri organi delle stesso ente si comportino in maniera conforme al contenuto
del trattato. Inoltre la Convenzione afferma che la nullità del trattato non pregiudica il dovere di
uno Stato di adempiere ad ogni obbligo che sia stato enunciato nello stesso, al quale sia soggetto
in base al diritto internazionale a prescindere dal trattato stesso.
Inoltre, se il potere dell’organo di esprimere il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un
dato trattato è oggetto di particolari restrizioni, detta circostanza non può essere invocata per
togliere validità al consenso espresso, a meno che la restrizione non sia stata prevalentemente
notificata agli altri Stati che hanno partecipato al negoziato.

21 .Cause di invalidità: i vizi della volontà.


Anche con riferimento alle cause di invalidità ed in particolare ai vizi della volontà, la dottrina
internazionalistica era solita riferirsi alla teoria generale del diritto interno, individuando come
tali l’errore, il dolo e la violenza.
Per quanto riguarda l’errore, la Convenzione di Vienna contempla, all’art.48, come causa di
invalidità del trattato, l’errore motivo, il quale, ai fini della rilevanza, deve possedere i requisiti
della essenzialità e della scusabilità.

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Il c.d. errore ostativo è preso in considerazione dall’art.79, e riguarda la correzione degli errori
contenuti nei testi o nelle copie ed è considerato dalla convenzione come suscettibile di
correzione seguendo una appropriata procedura.
Considerazione a parte merita l’errore bilaterale, detto comunemente dissenso, il quale,
escludendo uno dei requisiti fondamentali del trattatati, cioè il consenso, implica conseguenze
più gravi quali l’inesistenza o la nullità assoluta del trattato.
Quanto al dolo, la dottrina internazionalistica ritiene si configuri come un errore in cui un ente
incorre in seguito al raggiro della controparte e produce le stesse conseguenze dell’errore.
Più complesso il problema della violenza come causa d’invalidità dei trattati. Uno degli
orientamenti più seguiti distingue la violenza esercitata contro l’organo dalla violenza esercitata
contro lo Stato.
La violenza contro l’organo può essere morale o fisica:
- la violenza morale può riguardare la sfera personale dell’organo, l’individuo che lo
rappresenta o i suoi familiare, o lo Stato, nel senso di minaccia rivolta contro un bene dello
Stato;
- la violenza contro lo Stato non era considerata come causa di invalidità dei trattati dalla
dottrina tradizionale e dalla consuetudine.
La Convenzione di Vienna ha accolto, all’art.51, come causa d’invalidità dei trattati, la violenza
esercitata contro l’organo e all’art.52, derogando dai principi tradizionali affermando l’invalidità
dei trattati conclusi sotto l’influsso di minacce o con l’uso della forza in violazione dei principi
di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite attribuendo rilevanza
giuridica alla violenza contro lo Stato.
La violenza economica costituisce oggetto di solenne condanna, insieme con qualsiasi forma di
violenza o minacce, nella Dichiarazione allegata all’atto finale della Convenzione.

22. Corruzione dell’organo e contrarietà a norme di “jus cogens”.


La Convenzione ha introdotto altre due cause di invalidità pressoché sconosciute alla dottrina,
quali la corruzione dell’organo (art.50) e la violazione di una norma imperativa di diritto
internazionale generale (art.53).
La corruzione produce conseguenze identiche a quelle connesse col verificarsi dell’errore o del
dolo, ma mentre nell’ipotesi di violenza lo Stato o l’ente è sottoposto a coercizione, non avendo
altra possibilità se non quella di concludere il trattato, nel caso di corruzione l’organo resta libero
di esprimere il suo consenso cedendo deliberatamente alle “proposte” del corruttore.

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Sembra più opportuno ricondurre la corruzione all’eccesso di potere o allo sviamento di potere,
intendendosi per eccesso lo straripamento del potere e per sviamento del potere la deviazione del
potere discrezionale dell’organo dal fine che di volta in volta lo Stato intende perseguire.
Per quanto riguarda la nullità del trattato per contrasto con le norme imperative di diritto
internazionale generale, l’art.53 della Convenzione contempla la nullità di un trattato che, al
momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto
internazionale generale, intendendosi per tale una norma accettata e riconosciuta dalla Comunità
Internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma inderogabile.

23. Conseguenze dell’invalidità. Nullità assoluta e nullità relativa.

La Commissione di diritto internazionale ha introdotto nella Convenzione di Vienna una netta


distinzione tra le cause di invalidità dei trattati:
- la violenza o la violazione dello “jus cogens” sono considerate causa di nullità assoluta dei
trattati che opera automaticamente;
- l’errore, il dolo e la corruzione, invece, possono essere invocate dallo Stato che vi è incorso,
come “suscettibili di viziare il proprio consenso ad essere legato al trattato” e generano
nullità relativa e non annullabilità.
Per quanto riguarda la possibilità di scindere le disposizioni di un trattato in modo da invalidarlo
soltanto parzialmente, se il trattato è affetto da una causa di nullità assoluta, nessuna sua parte
può essere recuperata; negli altri casi, è previsto che il trattato possa essere in parte salvato se
detta possibilità è presente nel testo del trattato o se le parti si accordino in tal senso e sempre che
le clausole inficiate d’invalidità siano scindibili dal resto del trattato.
Se uno Stato abbia dichiarato di accettare un trattato viziato o si sia comportato in maniera
conforme a ciò che è imposto dal trattato sottoscritto, non potrà successivamente invocare una
causa di nullità dello stesso.
L’art.69 della Convenzione, che enuncia il principio generale secondo cui le disposizioni di un
trattato nullo sono prive di valore giuridico, stabilisce che le parti possono rispettivamente
chiedersi quale sarebbe stato il quadro delle loro relazioni se non fosse intervenuto il trattato
nullo; gli atti compiuti in buona fede prima che sia invocata la nullità del trattato, non possono
considerarsi illeciti – questo principio non si applica se il trattato è stato compiuto sotto l’azione
del dolo o della violenza o sotto l’azione della corruzione, non potendosi attribuire un vantaggio
allo Stato che, volontariamente abbia usato la violenza o abbia corrotto la controparte.

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Nel caso di trattato concluso in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale
generale, le parti sono tenute ad eliminare le conseguenze di ogni atto compiuto in contrasto con
dette norme.

24. Estinzione dei trattati. Cause di estinzione previste dall’accordo.


L’estinzione del trattato comporta la definitiva cessazione della efficacia delle norme poste
attraverso esso. L’estinzione può essere totale o parziale: è totale se le parti contraenti esprimono
contemporaneamente la volontà di voler far cessare l’efficacia del trattato;
è parziale se in un trattato plurilaterale solo uno dei contraenti compie un atto idoneo a
determinare l’estinzione del trattato, restando efficace e valido per gli altri contraenti.
Oltre che dal punto di vista soggettivo, l’estinzione può essere totale o parziale dal punto di vista
oggettivo, a seconda che cessino di aver efficacia tutte le norme poste dal contratto o solo alcune.
Le cause di estinzione possono essere fondate sul diritto internazionale generale, come la
desuetudine e consuetudine contraria, l’accordo abrogativo, l’impossibilità della prestazione,
ecc., e quelle che solitamente sono indicate nello stesso accordo e cioè il termine finale, la
condizione risolutiva, la denuncia, il recesso.
1) Il termine finale è contenuto in una clausola del trattato e da esso dipende la cessazione
del trattato e risulta dal riferimento di una data fissa o un avvenimento futuro ed incerto.
2) la condizione risolutiva è un avvenimento futuro ed incerto da cui dipende la cessazione
dell’efficacia del trattato e può essere impropria (l’estinzione si sviluppa dal momento in
cui si verifica l’avvenimento indicato dalla condizione – ex nunc) o propria (come se il
trattato non fosse mai stato posto in essere – ex tunc);
3) la denuncia o il recesso sono quasi sinonimi e spesso sono utilizzati indistintamente;
indicano una manifestazione unilaterale di volontà di un ente diretta ad estinguere il
trattato nei riguardi dello stesso ente che la compie. La denuncia è spesso riferita ai
trattati bilaterali, mentre il recesso a quelli plurilaterali.
Per quanto riguarda l’estinzione del trattato la Convenzione di Vienna dispone, in termini
generali, che essa può aver luogo solo in applicazione delle disposizioni del trattato o con il
consenso di tutte le parti e comunque l’art. 54 disciplina la materia dell’estinzione del trattato.
La dichiarazione di volontà diretta a denunciare un trattato o a recedere da esso dovrà essere
notificata alla controparte o alle altre parti con un anticipo di almeno dodici mesi.
Secondo l’art. 45 uno Stato non può recedere da un trattato ove abbia esplicitamente accettato di
considerare il trattato ancora in vigore o abbia tenuto in tal senso un comportamento
concludente.

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25. Cause di estinzione non previste dall’accordo.


Tra le cause di estinzione non previste dall’accordo e che traggono il loro fondamento dalla
consuetudine ricordiamo:
 L’abrogazione: se tutti i contraenti stipulano un nuovo accordo avente lo stesso oggetto di un
accordo precedente, implicitamente si ritiene che il nuovo abroghi il vecchio trattato;
l’abrogazione può verificarsi anche a seguito di una norma consuetudinaria in contrasto con
il contenuto del trattato. La consuetudine può essere sia generale, cioè riguardante tutti i
soggetti della comunità internazionale, sia particolare, ossia riguardare solo quelli che hanno
stipulato il trattato.
 L’estinzione dei soggetti: si realizza se un ente cessa di essere destinatario delle norme
dell’ordinamento internazionale. Se il trattato stipulato dall’ente è bilaterale, esso si
estingue; se il trattato è plurilaterale si verifica solo una riduzione della sfera dei destinatari
delle norme poste mediante tali accordi.
 L’impossibilità di esecuzione: si verifica se l’impossibilità sopravvenuta dipende o dalla
sparizione o dalla distruzione dell’oggetto (bene) indispensabile per l’esecuzione del trattato.
È necessario che la distruzione non sia stata causata da una delle parti del trattato.
 L’inadempimento: la violazione di una delle due parti degli obblighi previsti dal trattato,
autorizza la controparte ad invocare detta violazione come causa di estinzione del trattato.
Nel caso di trattati multilaterali, la violazione da parte di uno dei contraenti autorizza gli altri
a porre termine al rapporto con la parte che ha dato causa alla violazione.
 Mutamento delle circostanze; Il tema del mutamento delle circostanze è uno dei più discussi
nel diritto internazionale. Naturalmente ci si riferisce a mutamenti non previsti nel momento
della conclusione del trattato perché, se fossero previsti, si tratterebbe di condizione
risolutiva, con efficacia “ex nunc”. Mentre il mutamento non previsto delle condizioni che
hanno portato alla stipula del trattato, la cosiddetta clausola “rebus sic stantibus”, può essere
invocato come motivo per porre termine al trattato o per recedere dallo stesso ove l’esistenza
di quella situazione sia stata fondamentale per il consenso delle parti ad essere vincolate dal
trattato e il cambiamento delle stesse abbia trasformato il peso degli obblighi che ancora
restano da eseguire in base al trattato.( Convenzione di Vienna art:62).
 La rinuncia: Se lo scopo di un trattato è l’attribuzione di un diritto soggettivo ad un soggetto,
nel caso in cui detto soggetto abbia intenzione di rinunciarvi si verifica la cessazione degli
effetti del trattato. La rinuncia può essere espressa o tacita e deve risultare da un
comportamento inequivocabile del soggetto che ne è l’autore. Se il comportamento di un

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ente è erroneamente interpretato come rinunciatario di un dato diritto, per evitare la


cessazione degli effetti del trattato, sarà necessario che detto ente invii una formale protesta
per tutelare e conservare i diritti.

26. Conseguenze dell’estinzione.


Il diritto internazionale non indica una particolare procedura da seguire per porre termine ad un
trattato o per recedere da esso mentre la Convenzione di V. all’ art. 65 prevede che la parte che
intende recedere da un trattato deve notificare la sua volontà alle altre parti seguendo una
procedura identica a quella prevista per i casi di nullità del trattato.
Per quanto riguarda invece le conseguenze dell’estinzione di un trattato, in base all’art.43 della
Convenzione di Vienna, l’estinzione di un trattato non pregiudica il dovere di uno Stato di
adempiere ad ogni obbligo menzionato nel trattato, al quale sia tenuto sulla base del diritto
internazionale generale indipendentemente dal trattato stesso mentre la previsione contenuta
all’art.70, l’estinzione del trattato libera le parti da ogni obbligo di esecuzione.
Nel caso di trattato bilaterale, la denuncia produce l’estinzione del trattato; in quello di trattato
plurilaterale, se l’estinzione è conseguenza di una dichiarazione di recesso, l’effetto liberatorio si
produce nei rapporti tra l’ente che ha compiuto la dichiarazione e le altre parti dal momento in
cui il recesso entra in vigore. L’estinzione del trattato non pregiudica alcun diritto o obbligo o
situazione giuridica venutasi a creare durante la vita del trattato e prima della sua cessazione.

27. Sospensione dell’efficacia di un accordo.


La sospensione dell’efficacia di un accordo si ha se lo stesso non produce effetti giuridici per un
determinato periodo di tempo. Secondo la consuetudine internazionale la sospensione
dell’efficacia di un trattato può verificarsi se è già stata prevista dalle parti o perché,
successivamente, concludano in forma espressa o tacita, un accordo in tal senso. Sempre per la
consuetudine la sospensione dell’efficacia delle norme poste con un accordo può determinarsi
per causa di una guerra tra i contraenti( il trattato di commercio si sospende mentre il trattato
sugli usi di guerra esplica la sua efficacia proprio in tempo di guerra).
 La Convenzione fornisce una regolamentazione talvolta integrativa della consuetudine:
all’art.58, ad esempio, prevede la possibilità per due o più parti di un trattato plurilaterale
di sospendere per un dato periodo di tempo l’efficacia del trattato, notificando alle altre
parti quali sono le disposizioni di cui intendono sospendere l’efficacia.
 L’art.59 consente alle parti di sospendere l’applicazione del trattato, nel caso in cui le
parti abbiano stipulato successivamente un altro trattato, avente lo stesso oggetto, e

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29

diretto a regolare la materia mediante norme diverse o incompatibili con quelle del primo
trattato. Inoltre, la sospensione è considerata alternativa all’estinzione nel caso di
violazione e come conseguenza della sopravvenienza di una situazione che renda
impossibile l’esecuzione o di un mutamento fondamentale delle circostanze di fatto.
 L’art. 72 prevede le conseguenza della sospensione: in seguito ad essa le parti sono
temporaneamente liberate dall’obbligo reciproco di dare esecuzione al trattato, senza che
siano pregiudicati i rapporti stabiliti dal trattato tra le parti le quali devono astenersi dal
compiere atti che possano ostacolare la ripresa del trattato.

28. La procedura.
Tutta la parte IV della Convenzione di Vienna è dedicata alla procedura da seguire in caso di
nullità di un trattato, di estinzione, recesso o sospensione ed alla procedura per la disciplina
dell’arbitrato o la conciliazione.
Sulla base degli artt.65 – 68 della Convenzione l’ente che intenda invalidare un trattato deve
notificare per iscritto, mediante uno strumento firmato dal Capo dello Stato o dal Governo o dal
Ministro degli esteri o da un plenipotenziario, la sua intenzione di recedere dal trattato indicando
il provvedimento previsto nei confronti del trattato e le ragioni che ne hanno suggerito
l’adozione. La notificata può essere revocata in un qualsiasi momento prima che abbia effetto e
se in un termine non inferiore a tre mesi, nessuna delle parti solleva obiezioni, l’ente può
applicare il provvedimento indicato all’atto di notifica; nel caso in cui vi sia una parte che
solleva obiezione, si dovrà far ricorso alla mediazione, conciliazione o accordo per risolvere la
questione. Se entro dodici mesi successivi non si è trovata una soluzione, ogni parte può
sottoporre la questione dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia o sottoporre la questione ad
arbitrato.
Per le controversie che riguardano l’esistenza di vizi del volere ci si può rivolgere al Segretariato
delle N.U. che cercherà, mediante conciliazione o nominando una Commissione di conciliazione,
di risolvere amichevolmente la questione.

29. La rappresentanza.
Anziché agire direttamente, uno Stato può farsi rappresentare da un altro Stato per il compimento
di alcuni atti di diritto internazionale. Il rapporto di rappresentanza si instaura attraverso un atto
unilaterale del rappresentato diretto a conferire i poteri al rappresentante( mandato della Gran
Bretagna all’Italia di rappresentarla con la Libia).Un rapporto di rappresentanza può essere
istituito anche attraverso una norma di un trattato senza che esso perda il carattere di atto

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unilaterale. Se nel trattato di protettorato è inserita la clausola di rappresentanza obbligatoria, lo


Stato protetto non potrà gestire direttamente gli affari esteri ma dovrà sempre farsi rappresentare
dal protettore

III: Gli atti delle Organizzazioni Internazionali.


Le organizzazioni internazionali, sia quelle che operano a livello mondiale (Organizzazione delle
Nazioni Unite e Istituti specializzati) che quelle operanti a livello regionale (Unione Europea,
Consiglio d’Europa) hanno il potere giuridico di concludere accordi. Inoltre alcune
organizzazioni costituiscono il centro di discussione e di elaborazione degli accordi che poi
vengono presentati e aperti agli altri paesi per le ratifiche e le adesioni.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, ad esempio, può anche emettere pareri, raccomandazioni
e risoluzioni cui gli Stati membri dovrebbero adeguarsi. Le risoluzioni delle Nazioni Unite non
sono vincolanti e obbligatorie, a meno che lo Stato non voglia accettarle: in quel caso, ogni
comportamento contrario alla risoluzione costituirà violazione di una norma internazionale, e
quindi, fatto illecito anche se, ove lo Stato non si adegui ad una data risoluzione e dichiari di non
volerla accettare, c’è da chiedersi che cosa accada: l’art.41 elenca una serie di misure utili a
“rinforzare” l’efficacia delle decisioni prese dal Consiglio di Sicurezza la cui efficacia, oggi, è
molto diminuita. Le Nazioni Unite possono promuovere la redazione di dichiarazioni di principi
ed adottarle, con valore di “soft law”, dal momento che esse potrebbero anche rappresentare la
base per la formazione di norme consuetudinarie o offrire elementi fondamentali per determinare
il contenuto di nuovi accordi. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1984 sui
diritti umani ha determinato la creazione di norme di diritto cogente, cioè inderogabili, che
prevalgono anche sulla norma della Carta delle Nazioni Unite concernente la cosiddetta
giurisdizione domestica o dominio riservato.

IV. Gli atti comunitari.


Per l’espletamento dei loro compiti, il Consiglio e la Commissione Eur. adottano decisioni
attraverso degli atti comunitari quali: direttive, regolamenti, decisioni e raccomandazioni o
pareri.
Il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutte le sue parti e direttamente
applicabile a tutti gli Stati membri.
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi e vincola tutti i destinatari da essa designati.
Le raccomandazioni e i pareri non solo vincolanti per gli Stati membri.

30
31

La direttiva vincola lo Stato cui è rivolta solo per l’obiettivo da raggiungere, salva la
competenza degli organi nazionali per decidere che mezzi adottare per il conseguimento
dell’obiettivo. Lo Stato può in molti casi provvedere a perseguire i risultati indicati attraverso
l’emanazione di una legge o di un provvedimento amministrativo, sempre che la direttiva non
contenga delle disposizioni già presenti nell’ordinamento interno dello Stato. Generalmente è
prevista l’indicazione di un “dies a quo” per consentire allo Stato destinatario di adeguare la
normativa interna alla direttiva comunitaria, nel lasso di tempo che intercorre tra l’emanazione
della stessa e la sua entrata in vigore.
A questo proposito distinguiamo le direttive rivolte a tutti gli Stati, che entrano in vigore alla
data stabilita o, in mancanza di data, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, e
le direttive rivolte agli Stati singoli, che sono notificate agli stessi ed acquistano efficacia con la
notifica. Che si tratta di atti a carattere legislativo lo si desume dal contenuto degli emendamenti
aggiunti dal trattato di Mastricht ( 1992 ) all’art. 189 del trattato di Roma, istitutivo della
Comunità Economica Europea - CEE, con i quali si indicano le procedure per l’adozione dei
singoli atti comunitari aventi carattere legislativo. Si tratta, quindi, di atti che vincolano nei
risultati.
Lo scopo delle direttive è quello di uniformare la disciplina legislativa su una data materia in
tutti gli Stati dell’Unione. Ciò significa che lo Stato cui la direttiva è rivolta per armonizzare la
propria legislazione, deve adeguarla a quella degli altri stati essendo stata questa assunta come
modello cui adeguarsi. Tutte le direttive presentano delle caratteristiche costanti: hanno un
“preambolo”, i c.d. considerando, in cui richiamano i precedenti normativi e le motivazioni che
hanno spinto all’adozione della direttiva, un "corpo" in cui sono indicati gli obiettivi da
raggiungere con l’indicazione degli obblighi a carico dei destinatari, e delle “disposizioni finali”,
quali quelle sul termine iniziale di efficacia e quelle sulla procedura di pubblicazione. Le
direttive possono essere precise e dettagliate: in questo caso il loro contenuto è così
particolareggiato da non consentire agli Stati destinatari alcun margine di discrezionalità, al
punto che al legislatore non rimane altro che procedere al suo integrale recepimento, senza
alcuna possibilità di modifica. In questi casi la direttiva produce un effetto diretto, paragonabile a
quello dei regolamenti ed in tale circostanza lo Stato è tenuto ad applicare la direttiva. Anche se
va precisato, così come ha chiarito la Corte di Giustizia Europea, che una direttiva idonea a
produrre effetti diretti non può di per se creare obblighi a carico di un singolo e le disposizioni in
essa contenute non possono essere fatte valere nei confronti del singolo. Inoltre, oltre gli atti
comunitari indicati, previsti per la realizzazione delle varie politiche, la Comunità è dotata dei
poteri impliciti ed il Consiglio può superare qualunque limite posto al suo potere, deliberando

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all’unanimità, dopo aver consultato il Parlamento, quando una azione risulti necessaria per il
raggiungimento di uno scopo. Regolamenti, direttive e decisioni del Consiglio e della
Commissione sono motivati e fanno riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente
richiesti in esecuzione del trattato istitutivo.
I regolamenti sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Comunità ed entrano in vigore alla
data stabilita o, in mancanza, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Direttive
e decisioni sono notificate ai loro destinatari ed entrano in vigore dalla loro notificazione. Infine,
il Consiglio Europeo è in grado di superare i limiti imposti dalle norme pattizie, deliberando
all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, se
un’azione è necessaria al raggiungimento degli scopo della Comunità.

Capitolo IV

L’adattamento del diritto interno al diritto internazionale

1, Il principio della separazione degli ordinamenti giuridici.


Il problema del rinvio da un ord. Giuridico ad un altro ha la sua ragione logica nel principio della
separazione degli ordinamenti giuridici.
Ogni ordinamento giuridico è tale perché esiste, al suo interno, una norma base che lo legittima e
da cui discende la giuridicità dell’intero sistema: in quello internazionale tale norma è
rappresentata dalla consuetudo est servanda, mentre, ad esempio, in Italia la norma in esame è
quella in cui si afferma che l’Italia è fondata su un sistema di carattere costituzionale
democratico repubblicano. Il principio della separazione dei due ordinamenti non esclude che
non possano esserci dei rapporti di rinvio. Spesso il diritto interno deve adeguarsi al diritto
internazionale emanando norme di contenuto identiche a quelle dell’ordinamento sopranazionale
affinché l’obbligo internazionale non rimanga un fatto meramente teorico ( trattato sul traforo del
Monte Bianco – norme interne di contenuto conforme). La teoria della separazione degli
ordinamenti giuridici, c.d. dualista, che oggi nessuno nega e quindi i vari ordinamenti si
considerano autonomi, è stata per lungo tempo contestata soprattutto dal Kelsen che affermava
l’unità del fenomeno giuridico (c.d. teoria monista) 1.

1
La teoria monista, invece, nega la possibilità che diritto interno e diritto internazionale possano separarsi,
affermando ora la prevalenza dell’uno ora dell’altro. In un caso il diritto internazionale è una sorta di diritto
fondamentale e quindi il diritto interno non è altro che quella parte di diritto internazionale relativa ad uno Stato. Un
altro orientamento ritiene che il diritto internazionale non sia altro che la parte di diritto che riguarda le relazioni con
gli altri Stati.

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2) Conseguenze della separazioni tra gli ordinamenti giuridici: rinvio.

La separazione tra gli ordinamenti implica la necessità di creare tra questi un rapporto mediante
il rinvio. Il procedimento giuridico del rinvio può avvenire dall’ordinamento interno a quello
internazionale, da un ordinamento statale ad un altro, o dall’ordinamento internazionale agli
ordinamenti interni degli Stati (nel caso in cui un trattato rinvia a principi di diritto interno). Ad
esempio un accordo sulla cittadinanza, ove non contenga una disciplina dettagliata, diretta a
definire i criteri sulla cittadinanza, farà rinvio alle norme interne in materia delle parti contraenti.
Il rinvio può avere varie forme:
 il rinvio ricettizio si ha quando nell’ordinamento richiamante esiste una norma “in bianco”
che deve essere di volta in volta riempita da una norma di un altro ordinamento;
 il rinvio non ricettizio comporta l’esistenza di una norma interna non completa il cui
contenuto deve essere integrato. Nel procedimento ordinario di adattamento il rinvio non è
mai ricettizio perché il legislatore interno emana norme di diritto interno richiamandosi alle
norme di diritto internazionale;
 il rinvio ricettizio implicante una trasformazione nel senso che la norma internazionale è
recepita e trasformata mediante un rinvio dell’ordinamento interno allo ordinamento
internazionale (questo è quello che succede nel procedimento speciale di adattamento in cui
le norme di diritto interno hanno lo stesso contenuto delle norme internazionali).
Nell’ordinamento italiano, l’adattamento del diritto interno al diritto internazionale avviene
attraverso due procedimenti: il procedimento ordinario e il procedimento speciale.

3. Il procedimento ordinario di adattamento.


Il procedimento ordinario si ha quando il legislatore interno crea delle norme aventi lo stesso
contenuto delle norme internazionali. Questo tipo di procedimento è poco utilizzato perché
potrebbe creare dei problemi interpretativi: il legislatore interno mal potrebbe interpretare la
norma internazionale di cui ricalca il contenuto, oppure la stessa norma internazionale potrebbe
essere successivamente abrogata o modificata, senza che ciò avvenga nell’ordinamento interno.
Con il procedimento interno non sempre è assicurata l’esatta applicazione del diritto
internazionale

4. Il procedimento speciale di adattamento.


In questo tipo di procedimento la norma internazionale non viene creata nell’ordinamento
interno, ma viene introdotta mediante un rinvio all’ordinamento internazionale.

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Tale procedimento si concretizza nell’ordine di esecuzione, per quanto riguarda le norme


convenzionali mentre per le norme di “jus cogens” o di diritto internazionale consuetudinario,
si concretizza mediante il procedimento automatico dell’adattamento previsto dall’art.10
della Costituzione italiana.
1) L’ordine di esecuzione è un atto emanato dal Capo dello Stato, approvato dal Parlamento
contestualmente all’autorizzazione a ratificare ed ha carattere di legge ordinaria o costituzionale.
 Esso ha in genere la formula : “ Piena ed intera esecuzione sia data al trattato …….” alla
quale segue il testo dell’accordo (o del trattato) e consente l’ingresso nell’ordinamento
interno delle norme dell’accordo di cui segue le sorti: se l’ordine di esecuzione è emesso
prima dello scambio e del deposito della ratifica, la sua efficacia sarà sospesa fintanto che
l’accordo si perfezioni anche sul piano del diritto internazionale. Una parte della dottrina
ritiene, a torto, che l’ordine di esecuzione non rende immediatamente efficaci le norme
introdotte con un trattato, ma occorre una serie di atti legislativi idonei a tale scopo.
 Alcuni trattati sono direttamente efficaci all’interno dell’ordinamento, nonostante sia già
stato emanato l’ordine di esecuzione, laddove la norma del trattato comporta già degli
obblighi specifici posti a carico dei soggetti cui si riferisce. Se invece la norma del
trattato contiene solo un obbligo di risultato, sarà compito dell’interprete o del legislatore
emanare atti o provvedimenti legislativi atti al conseguimento dello stesso. Se la norma
internazionale è modificata o abrogata, l’ordine di esecuzione avrà l’effetto di produrre
tutte le variazioni all’interno dell’ordinamento statale in corrispondenza delle variazioni
che la norma subisce sul piano internazionale.

Il procedimento automatico di adattamento è un procedimento speciale attraverso il quale


la norma internazionale viene automaticamente e immediatamente recepita nell’ordinamento
interno grazie all’esistenza di una norma interna che opera un rinvio automatico al diritto
internazionale permettendone la trasformazione. Nel nostro ordinamento detta norma è
quella contenuta nell’art.10 della Costituzione secondo cui l’Ordinamento Giuridico italiano
si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e tale articolo e
considerato il “trasformatore permanente” delle norme di diritto internazionale.
L’art.10 è una norma sulla produzione giuridica in grado di determinare la creazione di
norme giuridiche di rango corrispondente a quello necessario a dare efficacia alle norme
consuetudinarie introdotte ed è proprio attraverso l’art. 10 che a tali norme internazionali
viene riconosciuta la giuridicità.
In sintesi il procedimento automatico di adattamento presenta quattro peculiarità:

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 è automatico, in virtù dell’art.10 della Costituzione le norme consuetudinarie e quelle di


diritto cogenti per il solo fatto di esistere entrano direttamente a far parte
dell’ordinamento statale italiano. Non è necessario nessun ordine di esecuzione in quanto
la norma che consente l’introduzione è una norma costituzionale e rende giuridiche le
norme internazionali.
 è completo nel senso che nell’ordinamento interno si verificano tutte le trasformazioni
necessarie per consentire l’adattamento dell’ord. statale all’ordinamento internazionale.
 è continuo, in quanto se la norma di diritto internazionale è modificata, la modifica si
ripercuote all’interno dell’ordinamento interno statale (adattamento permanente
dall’art10)
 è immediato, dal momento in cui esiste una norma di diritto internazionale generale,
l’ordinamento interno si adatta immediatamente. Se la norma cogente o consuetudinaria
esterna cessa di esistere è chiaro che la norme interna seguirà la stessa sorte.

L’adattamento alle norme degli enti internazionali.


Il principio della separazione tra gli ordinamenti giuridici diviene ancora più evidente con
riferimento all’adattamento dell’ordinamento statale italiano rispetto agli atti delle
organizzazioni internazionali.
Gli atti delle organizzazioni internazionali, anche se hanno carattere vincolante, ( ad es. le
risoluzioni accettate dagli stati) non producono effetti giuridici diretti all’interno degli Stati
in quanto la loro efficacia resta limitata alla sfera del diritto internazionale e non interno.
La possibilità che atti delle organizzazioni internazionali producano effetti sul piano del
diritto interno è subordinata alla attivazione delle procedure di produzione normativa prevista
dall’ordinamento statale in relazione alla materia oggetto dell’atto internazionale: ciò
comporta che l’esecuzione e l’adattamento di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, dovrà essere recepita, a seconda dell’oggetto o dell’importanza, da una
legge o da un atto amministrativo dell’ordinamento giuridico italiano per cui l’ordinamento
interno si adatterà a tale risoluzione una volta espletato l’iter procedurale previsto per
l’adattamento.( fornitura di contingenti militari attraverso una legge).
Il sistema di adattamento dell’ordinamento interno alle norme di enti internazionali comporta
spesso dei problemi di immediatezza e di tempestività ( vedi ad esempio casi in cui è
richiesto un fare o un non fare) ma non sembra possibile ovviare a tali problemi visto il
contenuto dell’art.11 Cost. che prevede le limitazioni di sovranità ma che non implica

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l’effetto immediato, nell’ordinamento italiano, degli atti delle organizzazioni internazionali


che sono, tra l’altro, soggetti al controllo di legittimità costituzionale.
Considerazioni diverse valgono invece per i trattati internazionali negoziati nell’ambito di
varie organizzazioni quali le N.U., l’Unesco, l’O.I.L. per i quali l’adattamento si realizza
mediante l’ordine di esecuzione la cui efficacia si concretizza con lo scambio o il deposito
della ratifica.

L’adattamento alle norme comunitarie.


Le considerazioni svolte sulla separazione degli ordinamenti non possono applicarsi al diritto
comunitario ( art.189 trattato di Roma) e ciò deriva dalla circostanza che il diritto
comunitario rappresenta un “tertium genus” (terzo genere) rispetto al diritto internazionale,
da un lato, e al diritto interno, dall’altro: un diritto sovranazionale, che si pone su un piano
superiore agli Stati e può rivolgersi direttamente ad individui e ad imprese ( c.d. permeabilità
del diritto interno al diritto comunitario). La stessa storica sentenza n.170 dell’8 giugno
1984, sancì il cosiddetto principio dell’efficacia immediata dei regolamenti comunitari
nell’ordinamento italiano, così affermando che l’art.11 della Costituzione e l’art.189 del
Trattato di Roma esiste un collegamento 2.
La gestione normativa di un settore che lo Stato italiano affida alla comunità europea
costituisce una delega. Se uno Stato delega in un determinato settore, quello Stato non può
più fare uso del potere normativo in quel determinato settore e proprio in vista della
creazione dell’Europa comunitaria gli Stati si sono spogliati dei poteri normativi nei settori in
cui è stata prevista una delega alla Comunità. Come conseguenza, il diritto comunitario è
immediatamente esecutivo nell’ambito degli stati membri.
Se uno Stato emana una norma interna in un settore in cui esiste una normativa comunitaria,
lo Stato compie un fatto illecito. Il giudice nazionale deve disapplicare la norma nazionale ed
applicare il diritto comunitario.
In Italia, in un primo tempo, si pensava che una norma interna, successiva ad una norma
comunitaria, potesse prevalere su questa perché nel nostro sistema, basato sulla costituzione,
2
L’art.11 afferma che l’Italia, in condizioni di parità con altri paesi, consente alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri la pace, la giustizia fra le Nazioni e promuove le organizzazioni internazionali volte
a tale scopo, mentre l’art.189 del trattato di Roma afferma che i regolamenti comunitari hanno una portata generale e
che sono obbligatori in tutti i loro elementi, nonché applicabili in ciascuno degli Stati membri.

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la norma successiva deroga alla norma precedente e la norma speciale prevale su quella
generale: la Corte Costituzionale ha affermato che anche in caso di norma successiva
contrastante con la norma comunitaria , la norma interna deve essere disapplicata. La
sentenza del 1984 si riferiva ai regolamenti ma può essere applicata anche alle direttive
dettagliate in quanto queste contengono una normazione dettagliata e immediatamente
applicabile. La stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto diretta efficacia alle direttive
dettagliate, con sentenza del 2 febbraio 1990 n.64: se, invece, la direttiva non sia in grado di
produrre effetti diretti, essa non è direttamente applicabile e la legge interna mantiene la sua
efficacia.
La discrezionalità che l’art.189 del Trattato di Roma ha lasciato agli Stati circa la scelta dei

mezzi per attuare le direttive comunitarie, ha creato delle situazioni di inadempienza da parte
di vari Stati. In effetti la funzione dell’ordine di esecuzione è proprio quella di consentire allo
Stato italiano di eseguire gli obblighi internazionali assunti e di obbligarlo all’adeguamento
con la disciplina europea anche se, in molti casi, l’Italia è stata dichiarata inadempiente.
Il Parlamento ha cercato di ovviare al problema dei ritardi di attuazione adottando diversi
provvedimenti legislativi:
- quello del 13 luglio 1965 n.871 con cui il governo venne autorizzato ad emanare decreti per
l’esecuzione degli obblighi derivati dalle direttive;
- la legge delega del 13 ottobre 1969 n.470 che dava esecuzione agli obblighi derivanti dalle
direttive, dalle decisioni; ecc.;
- ma la prima legge organica in materia è stata la legge 16 aprile 1987, n.183 (la cosiddetta
legge Fabbri), riguardante il coordinamento delle norme di adeguamento dell’ordinamento
interno agli atti normativi comunitari a cui è seguita la legge n. 86 del 1989, che prevede
l’emanazione annuale della legge comunitaria su proposta del ministro competente.
Una volta chiariti gli obblighi che gravano sullo Stato, un’altra questione riguarda la
possibilità per le Regioni di adottare direttive comunitarie. In base ad una serie di
provvedimenti legislativi, quando si tratta di direttive fatte proprie dallo Stato con legge che
indica espressamente le norme di principio, deve riconoscersi la competenza regionale: ciò
significa che è necessario che il legislatore emani una legge cornice alla quale segue la legge
regionale.
Attualmente, in conformità alla legge.n.86 sia le regioni a statuto speciale, sia quelle
ordinarie insieme alle province autonome possono dar esecuzione a direttive anche in
assenza della legge interna di attuazione dopo l’entrata in vigore della prima legge

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comunitaria successiva alla notifica della direttiva. Questo meccanismo avrebbe lo scopo di
ovviare alle inadempienze del legislatore statale, le cui norme di principio, comunque,
prevalgono sulle disposizioni contrarie già emanate dagli organi regionali e che può,
peraltro, emanare una normativa dettagliata ove le Regioni non provvedano
tempestivamente. Infine, nel caso di accertata inattività degli organi regionali, comportante
inadempimento degli obblighi comunitari, il D.P.R. del 24 luglio 1977 n.616, assegna un
potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri: potere il cui esercizio e la cui essenza stessa
urterebbero contro la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni prevista dalla
Costituzione, ma che si giustifica in relazione al fine rappresentato dall’adempimento degli
obblighi comunitari. Non si può non osservare , a conclusione di quanto detto, che la
direttiva comunitaria rappresenta lo strumento elettivo per realizzare il processo di
armonizzazione tra le legislazioni e questo comporta la necessità della eliminazione delle
incompatibilità esistenti tra le varie discipline.

Capitolo V

I soggetti internazionali ( Sezione I)

1 Gli Stati: generalità.

Nell’Ordinamento Internazionale si definisce soggetto internazionale l’Ente che sia destinatario


di almeno una norma dell’Ordinamento considerato.
Lo Stato è, infatti, destinatario di norme di diritto internazionale a carattere consuetudinario e di
norme pattizie contenute nei trattati.
Mentre negli ordinamenti statali si distingue tra capacità di agire ( produrre effetti giuridici) e
capacità di diritto (destinatario di diritti e obblighi), nel diritto internazionale tale distinzione
non esiste in quanto lo Stato è titolare effettivo e potenziale di tutte le situazioni giuridiche
derivanti dalle norme consuetudinarie. E’ inoltre titolare delle altre situazioni giuridiche che
dipendono dalla sua partecipazione ad accordi internazionali vertenti su qualsiasi oggetto.
Altrettanto non può dirsi di altri enti quali la Santa Sede, le Org. Internazionali, i partiti
insurrezionali. Gruppi sociali, movimenti di liberazione che, pur essendo destinatari della norma
“pacta sunt servanda” partecipano solo alla conclusione di accordi compatibili con la loro
natura. Si discute se questi enti abbiano o meno la soggettività internazionale.

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2 La soggettività internazionale degli Stati. Gli elementi costitutivi dello Stato : Popolo,
territorio e sovranità.

Gli Stati sono, quindi, i principali creatori e destinatari al tempo stesso, delle norme
dell’ordinamento internazionale nel quale agiscono su basi di uguaglianza.
Gli elementi distintivi e costitutivi dello Stato sono tre:
 il popolo, su cui si esercita il potere;
 la sovranità, caratterizzata dall’indipendenza;
 il territorio sul quale è insediato il popolo;
Questi elementi fanno si che ove ne manchi anche uno come avviene nel caso delle
organiz.internazioinali, l’ente può aspirare a possedere la soggettività internazionale, ma non si
identifica con lo Stato. ( vedi Antartide che non può avere la qualifica di Stato per la mancanza
di un popolo).
Diversamente, enti di piccole dimensioni territoriali ma nei quali i tre elementi costitutivi sono
contemporaneamente presenti, sono configurabili come Stati, talora definiti “Ministati”( San
Marino – Monaco ) etc.
La partecipazione di uno Stato ad accordi internazionali, per molto tempo, ha significato il
possesso della soggettività giuridica internazionale: secondo questa teoria il riconoscimento di
un nuovo soggetto di diritto internazionale troverebbe il suo fondamento su un accordo fra Stati
di vecchia formazione e Stati di nuova formazione riconosciuti attraverso un accordo bilaterale.
Questa teoria, che ha subito numerose critiche per la quantità notevole di accordi bilaterali che
andrebbero stipulati, visto il numero degli stati esistenti, ha poi subito una modifica , nel senso
che alcuni autori si sono riferiti alla possibilità di un riconoscimento costitutivo unilaterale
nel senso che, sorgendo un nuovo Stato ed ammettendosi la esistenza nell’ordinamento
internazionale di norme consuetudinarie, la soggettività di tale stato sarebbe legata al
riconoscimento che, con un atto unilaterale e con effetti costitutivi sarebbe compiuto dagli stati
preesistenti.
Anche questa teoria non è esente da critiche ammettendosi che uno stato è soggetto giuridico
anche se non è stato riconosciuto, purché possegga i requisiti sopra enunciati.

3 .La sovranità.
Se tra gli elementi costitutivi dello Stato il territorio è quello di più facile identificazione
trattandosi di un dato oggettivo di immediata individuazione, il concetto di popolo ha dato luogo

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a qualche problema ai fini della sua determinazione. Si è molto discusso se il concetto di popolo
deve essere limitato ad un gruppo di persone aventi la stessa lingua ed appartenenti allo stesso
gruppo etnico o può ammettersi anche l’esistenza di gruppi minoritari.
In effetti è di tutta evidenza che alcuni Stati hanno popoli costituiti da più gruppi etnico-
linguistici (es. la Svizzera, il Belgio, il Canada, ecc.) e non può negarsi che altri Stati, come
l’Italia, presentino le cosiddette minoranze etniche.
Ne consegue che l’elemento popolo considerato da solo, senza il territorio e soprattutto senza la
sovranità, stenta ad identificarsi e ad identificare lo Stato.
Si è verificato, al riguardo, il passaggio da una posizione conservatrice ad una posizione più
moderna. Per la prima, infatti, il popolo era costituito da sudditi cioè sottoposti allo Stato, per la
seconda prevale certo il concetto di cittadinanza che nei tempi più recenti tende a trasformarsi
in cittadinanza europea.
Anche l’integrazione tra sovranità e territorio è complessa. Se in passato, difatti, il territorio di
uno Stato si identificava facilmente nello spazio di terra e di mare compresi nei confini dello
Stato, l’evoluzione della scienza e della tecnologia hanno indotto a modificare in parte questa
concezione, con riferimento soprattutto, sia al mare sia allo spazio aereo sovrastante lo Stato.
Con riferimento al primo, il mare, l’indeterminatezza dell’estensione del mare territoriale,
oggetto per secoli di discussioni, è stata finalmente superata dalla Convenzione delle Nazioni
Unite di Montego Bay sul diritto del mare, che definisce mare territoriale la striscia di mare
adiacente alle coste di uno Stato su cui si estende la sovranità che quest’ultimo esercita nel
proprio territorio: l’estensione del mare territoriale può giungere fino a 12 miglia.
Dopo gli iniziali problemi legati al criterio da seguire per la misurazione delle 12 miglia, si è
giunti ad un accordo a seguito dell’intervento della Corte Internaz.( controversia tra Gran
Bretagna e Norvegia) ricorrendo al sistema delle linee rette, congiungenti le estremità degli
scogli ( due punti naturali esterni) e senza tener conto delle sinuosità della costa.
Se due Stati si fronteggiano con una distanza inferiore alle 12 miglia, la delimitazione del
rispettivo mare territoriale avviene sulla base di criteri di equidistanza, salvo contrario accordo
tra le parti.
Con riferimento alle baie, devono distinguersi le cosiddette baie storiche, sulle quali lo Stato
costiero può vantare diritti esclusivi. Il problema non si pone allorché la distanza tra le baie e lo
Stato superi le 24 miglia: in questo caso si traccia una linea retta di 24 miglia in modo da lasciare
all’interno più superficie marina possibile.
Lo Stato costiero è tenuto a consentire però il passaggio inoffensivo delle navi anche da guerra
straniere, passaggio che, per i sottomarini, deve avvenire in superficie.

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La piattaforma continentale è quella parte del fondale marino, naturale prolungamento della
terraferma, a scarsa pendenza, che forma una fascia di larghezza variabile al margine dei
continenti giungendo fino all’inizio della scarpata continentale.
Alla piattaforma è dedicata una delle Convenzioni di Ginevra del 1958 prevedendo limite fino a
200 metri di profondità oltre il mare territoriale ed oltre questo limite ove lo Stato sia in grado di
sfruttare le risorse naturali dei fondi marini. Anche per la piattaforma, nel caso in cui si
fronteggino due Stati, deve ricorrersi al criterio dell’equidistanza tracciando una linea retta,
sempre che gli Stati non concludano appositi accordi al riguardo.
Le risorse minerarie del fondo marino, essendo esauribili, sono state dichiarate dall’Assemblea
Generale dell’ONU con risoluzione del 17/12/1970 n.2749 patrimonio comune dell’umanità,
termine riprodotto anche nella Convenzione di Montego Bay e propugnato dai Paesi in Via di
Sviluppo. La citata convenzione contiene la previsione dell'istituzione della cosiddetta Autorità
Internazionale dei Fondi Marini, competente a regolare lo sfruttamento delle risorse del fondo e
del sottosuolo dell’alto mare in funzione dell’interesse dell’umanità anche in considerazione del
dislivello in termini di economia, di sviluppo, di risorse finanziarie e tecnologiche dei vari Stati
nel mondo.

3 la sovranità e il problema dello spazio atmosferico e cosmico.


L’affermarsi del mezzo di trasporto aereo negli anni successivi alla fine del primo conflitto
mondiale ha promosso la formulazione delle prime norme internazionali relative al regime
giuridico dello spazio aereo in quanto ambiente utilizzato dall’aviazione civile e militare.
Lo stesso principio della sovranità completa ed esclusiva dello Stato sullo spazio aereo
sovrastante il proprio territorio è stato costantemente riaffermato dalla prassi internazionale.
In tal senso dispone l’art.1 della convenzione di Parigi sulla navigazione aerea al quale si sono
ispirate le legislazioni interne e il principio della sovranità completa ed esclusiva dello stato
sullo spazio sovrastante il proprio territorio è costantemente riaffermato dalla prassi
internazionale e costituisce una norma generale di diritto internazionale.
Uno degli aspetti più interessanti del fenomeno connesso ai più recenti progressi dell’attività
dell’uomo nello spazio è costituito dal fatto che, da un lato, nessuno degli Stati sorvolati dai
mezzi spaziali ha ritenuto tale conseguenza come una violazione della propria sovranità né ha
ritenuto opportuno riservarsi, esplicitamente, la facoltà di assumere in futuro un diverso
atteggiamento in proposito, al fine di lasciare impregiudicato il diritto sulla legittimità
internazionale di siffatto sorvolo e, dall’altro, nessuno degli Stati che ha effettuato il lancio di

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veicoli spaziali destinati a sorvolare il territorio altrui, ha mai ritenuto necessario chiedere la
preventiva autorizzazione agli Stati sorvolati.
Tale atteggiamento dei soggetti internazionali ha indotto a ritenere che si sia affermato un
principio secondo il quale il sorvolo, da parte di veicoli spaziali, del territorio di Stati diversi da
quello che ha effettuato il lancio o ne controlla il volo, è lecito e non può essere impedito dagli
Stati sorvolati.
Il trattato sui princìpi distingue, esplicitamente, l’atmosfera e lo spazio cosmico, considerandoli
come ambiti spaziali diversi, sebbene è assai vario ed incerto l’atteggiamento assunto a proposito
dei criteri da utilizzare. Tale situazione si riflette nella temporanea impossibilità di addivenire ad
un accordo sulla definizione dello spazio cosmico, nonostante i tentativi esperiti dal Comitato
delle Nazioni Unite per l’utilizzo pacifico degli spazi cosmici. La conclusione che può trarsi è
che, pur non essendosi manifestato un atteggiamento univoco e generalizzato degli Stati circa i
criteri in base ai quali possa procedere alla limitazione tra la sovranità statale la libertà di
utilizzazione dello spazio sovrastante, detta libertà è certamente un principio affermato
nell’ambito della Comunità internazionale. La sovranità dello stato, nello spazio sovrastante il
proprio territorio, è limitata, in senso verticale, solo dall’esaurirsi della funzione di governo
intesa come esclusiva, pertanto, la delimitazione tra spazio atmosferico e spazio cosmico deve
essere individuata in corrispondenza dell’impossibilità per lo Stato sottostante di disciplinare e
controllare, in maniera esclusiva, le attività che si possono svolgere in esso.

4 Segue: la sovranità e l’ambiente.


Fino agli anni 60 non si ponevano problemi di sorta sul carattere esclusivo della sovranità degli
stati in materia di tutela ambientale e cioè fino all’incidente della petroliera liberiana che
determinò un disastro ecologico di proporzioni enormi. Gli incidenti di Bhopal e di Chernobyl
hanno poi reso ancora più pressante la questione legata al fenomeno dell’inquinamento
ambientale al punto da indurre le Nazioni Unite ha definire l’ambiente come patrimonio
comune dell’umanità ed hanno considerato il deterioramento dello stesso come lesione degli
interessi fondamentali dell’umanità.
Queste considerazioni hanno portato ad una dichiarazione non vincolante e ad un programma
d’azione per l’ambiente conclusasi il 13 novembre a Ginevra con l’adozione della convenzione
sull’inquinamento atmosferico attraverso le frontiere a lunga distanza, cui è seguita la
Convenzione per la protezione della fascia di ozono di Vienna del 22 marzo1985 e il Protocollo
di Montreal del 1987 riguardante una progressiva riduzione delle emissioni di clorofluorocarburi.

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Infine si è andato sempre più affermandosi il concetto di sviluppo sostenibile inteso come
sviluppo che uno stato può realizzare in considerazione equilibrata delle proprie risorse
finanziarie, del proprio ambiente naturale e delle proprie necessità.

6. La sovranità e la non ingerenza.


La sovranità di uno Stato coincide con il rispetto del principio della c.d. giurisdizione domestica
(che dovrebbe garantire la non ingerenza di uno Stato negli affari di un altro Stato) la cui
inviolabilità è enunciata al n.7 dell’art.2 della Carta delle Nazioni Unite.
Uno Stato è sovrano in quanto non tollera e non subisce ingerenza nei suoi affari interni. Al
contrario, uno Stato non sovrano o uno Stato che è diventato parte di un altro, subisce
integralmente l’ingerenza di quest’ultimo.
Anche nei casi di protettorato c’era, e c’è tuttora, ingerenza. Il protettorato nasce da un trattato
bilaterale, il quale prevede che uno Stato, quello che assume la situazione giuridica soggettiva
del protetto, avrà diritto alla protezione di un altro Stato ma, dall’altra, subirà l’ingerenza nei
propri affari esteri. Lo Stato che assume la situazione giuridica soggettiva di protettore, a sua
volta avrà il diritto di ingerirsi negli affari esterni dello Stato protetto, ma avrà anche il dovere di
proteggerlo.
L’aspetto negativo è che, in molti casi, lo Stato protettore non si limita ad interferire negli affari
esterni dello Stato protetto, ma riesce ad interferire nella stessa politica interna addirittura
influendo sull’attività legislativa.
Le Nazioni Unite hanno affrontato il problema delle ingerenze ed hanno previsto all’art.2 n.7 la
inviolabilità del principio di sovranità e quindi il divieto di ingerenza tranne per la tutela dei
diritti umani, unico caso in cui le N.U. possono ingerirsi negli affari interni di uno Stato, anche
se questa previsione non è condivisa dal Prof. Ago, il quale sostiene la parità di grado tra la
norma che tutela i diritti dell’uomo e la norma che vieta l’ingerenza negli affari interni di uno
stato.
Contrariamente, la dottrina prevalente ritiene che l’ingerenza della Comunità internazionale
all’interno degli Stati, è giustificata da episodi di efferata violenza che i Capi di Stato, o
comunque, soggetti interni agli Stati stessi, hanno procurato alla stessa popolazione degli Stati ed
è questo il concetto che consente di affermare l’ingerenza della comunità internazionale per la
tutela dei diritti umani.

7. Nascita, mutamenti ed estinzione dello Stato.

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Il fenomeno della decolonizzazione, nel periodo degli anni 60, ha rappresentato il fattore
determinante della nascita di un gran numero di Stati
L’acquisizione dell’indipendenza da parte delle colonie in cui si sostanzia la decolonizzazione, è
avvenuta in vario modo: talora in modo autonomo da parte della colonia, talvolta su
sollecitazione della cosiddetta madre patria, vale a dire della Potenza coloniale.
In alcuni casi, poi, c’è stata una guerra civile o contro lo Stato coloniale, in altri, ancora, il
passaggio dal regime coloniale all’indipendenza è avvenuto in modo incruento anche a seguito
dell’azione delle Nazioni Unite. È anche possibile che uno Stato si formi attraverso
l’unificazione o la fusione di due Stati preesistenti( Yemen del Nord e del Sud) anche in
ossequio al principio di autodeterminazione dei popoli e l’applicazione di tale principio ha
spesso favorito la nascita di Stati di modeste dimensioni.
Dal novembre del 1989 ( caduta del muro) la creazione di nuovi stati è avvenuta per
smembramento o dissoluzione dell’Unione delle Rep. Socialiste Sovietiche ( URSS) della
Iugoslavia della Cecoslovacchia. La riunificazione della Germania è avvenuta sulla base di un
complesso processo di annessione dei Lander attualmente in n.di 16 ( 10 RTF + 5 RDT + 1
Berlino).
I mutamenti costituzionali si verificano perché la norma base dell’ordinamento statale muta, e si
passa ad es. da uno stato democratico ad uno totalitario, sebbene per il diritto internazionale
anche il nuovo Stato, sempre che sia sovrano, acquisisca immediatamente la qualità di soggetto
internazionale. In passato si riteneva che il mutamento costituzionale dava vita ad un nuovo
soggetto internazionale, determinando la estinzione del vecchio stato: celebre è il caso della
Russia che, per non onorare i debiti contratti dal regime zarista, sostenne che la rivoluzione
aveva dato vita ad un nuovo soggetto senza alcun obbligo con il passato, mentre il protocollo di
Londra del 1931 stabilì che gli obblighi contratti con i trattati non vengono meno qualunque sia
il regime politico o i mutamenti costituzionali successivamente intervenuti all’interno degli Stati.
L’estinzione di uno Stato è correlata alla nascita di un nuovo Stato nel senso che lo
smembramento o la dissoluzione di uno stato può determinarne la nascita di uno nuovo.
Tuttavia, uno Stato può estinguersi nel caso venga meno la sovranità o un popolo decida per una
migrazione di massa o a seguito di una disfatta militare con relativo assoggettamento allo stato
vincitore.
Conseguenze dell’estinzione di uno stato.
L’estinzione di uno Stato lascia aperta la questione della successione nei trattati che questi ha
stipulato. In materia di beni esiste una convenzione firmata a Vienna nel 1883 ma non ancora
entrata in vigore che prevede:

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In caso di smembramento, è prevista un’equa ripartizione dei beni tra i vari Stati risultanti dallo
smembramento. Per il debito pubblico la convenzione prevede la possibilità di successione
secondo cui il successore non dovrebbe ereditare il debito, secondo il principio della tabula
rasa, salvo accordi in senso contrario.
Per quanto riguarda la successione degli stati nei trattati esiste la convenzione di Vienna del 1978
che disciplina l’intera materia: tale convenzione si è ispirata al principio della continuità dei
trattati e prevede l’applicazione del principio della tabula rasa solo nei confronti di trattati cui
succedono Stati decolonizzati, il che comporta che il nuovo soggetto rinegozi il contenuto del
trattato stipulato dal predecessore Stato colonizzatore, notificando detta intenzione allo Stato
terzo. E possibile che si verifichi la cosiddetta trasmissione allo Stato successore degli obblighi
localizzabili, cioè legati ad un dato territorio, ove questo sia incluso in uno Stato di nuova
formazione. ( la Slovenia che subentra al posto della Iugoslavia nel trattato di Osimo).

Gli Altri Soggetti (Sezione II)


1 La Santa Sede.

La Santa Sede non coincide né con lo Stato Pontificio né con lo Stato della Città del Vaticano
che si è costituito nel 1929 con i Patti Lateranensi. Occorre quindi porsi il problema se la Santa
Sede, che ha continuato ad operare tra il 1870 e il 1929 come ente particolare, ente sui generis,
sia da considerare o meno soggetto di diritto internazionale.
Se le Santa Sede non fosse stata soggetto di diritto internazionale non avrebbe potuto concludere
i Patti Lateranensi del 1929 che sono accordi internazionali a tutti gli effetti perché essi
comprendono non solamente il Concordato successivamente modificato nel 1984, ma anche il
Trattato del Laterano che è qualcosa di diverso dal Concordato.
Per valutare se la Santa Sede sia soggetto di diritto internazionale ossia destinatario delle norme
di diritto internazionale e quindi titolare di situazioni giuridiche soggettive attive e passive
occorre considerare che :

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a) storicamente, durante tutta la sua vita millenaria la Santa Sede ha concluso trattati
internazionali. Il Concordato è un accordo internazionale concernente prevalentemente questioni
di carattere spirituale, religioso o morale. Il termine concordato indica che entrambi i
partecipanti si pongono in una posizione di reciproca preminenza nel senso che entrambi
operano delle concessioni. Ma occorre precisare che il concordato non può desumere la sua
giuridicità dall’ordinamento canonico soltanto, perché in caso contrario, lo Stato non potrebbe
fare concessioni non potendo neanche essere stato parte del detto accordo. In realtà il
Concordato desume la sua obbligatorietà dall’ordinamento internazionale in quanto accordo
internazionale.
La Santa Sede, quindi, è destinataria di tutte le norme di diritto internazionale generale con forza
vincolante “erga omnes” che obbligano tutti i soggetti della Comunità internazionale, nonché
delle norme di carattere pattizio e consuetudinario che essa stessa contribuisce a creare con la
sola esclusione di quelle norme che sono incompatibili con la funzione stessa della Chiesa come
ad es. le norme di carattere bellico.
b) E’ titolare del diritto di legazione attivo e passivo nei rapporti con gli altri Stati ed ha sempre
avuto il diritto di accreditare e di ricevere agenti diplomatici stranieri ed è destinataria di tutte
quelle norme di diritto internazionali consuetudinarie. Esistono a Roma ambasciate distinte per
la S.S. e per lo Stato Italiano ed inoltre, il Regolamento di Vienna concede al Nunzio
Apostolico, decano del Corpo diplomatico, una posizione di “primus inter pares” nell’ambito di
un Corpo diplomatico che comprende tutti gli agenti diplomatici accreditati presso uno Stato
straniero.

2. Il Sovrano Militare Ordine di Malta ( S.O.M.M.)


Non è un soggetto di diritto internazionale ma è un ordine religioso dipendente dalla Santa Sede.
Il suo ordinamento non trae la sua giuridicità da una Costituzione anche se una parte della
dottrina gli riconosce la soggettività internazionale in virtù di uno scambio di note e ciò
comporta una limitazione alla sovranità dello Stato italiano.
Al capo dell’Ordine vengono riconosciute tutte le prerogative sovrane di Gran Maestro e le sedi
dell’Aventino e di via Condotti godono di tutte le immunità proprie delle rappresentanze
diplomatiche tra cui l’esenzione tributaria (tutti i beni sono sottratti al fisco).
Le prerogative all’immunità fondano la loro legittimazione su uno scambio di note del 1960 tra
il Governo italiano e il S.O.M.M..

3. I partiti insurrezionali.

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È un gruppo sociale organizzato in grado di esercitare un potere di controllo di una porzione del
territorio dello Stato contro il quale l’insurrezione è diretta.
Si parla di soggetto di diritto internazionale solo se gli insorti istituiscono un governo di fatto,
cioè controllano una parte del territorio. Ciò che conta, quindi, è l’effettività e cioè il controllo
di una porzione di territorio: nel caso di un governo di fatto locale, ci saranno due distinti
soggetti di diritto internazionale ossia il governo legittimo ed il governo degli insorti. Il
riconoscimento, cioè un accordo tra il governo centrale ed il partito insurrezionale senza il quale
quest’ultimo non esiste sul piano internazionale, ha natura costitutiva e può essere compiuto o
unilateralmente dallo Stato o sulla base di un accordo stipulato tra i soggetti. La soggettività
internazionale del partito insurrezionale è destinata ad estinguersi perché o l’insurrezione viene
repressa, e lo Stato legittimo riacquista la sovranità sulla porzione di territorio controllata, o
l’insurrezione è vittoriosa e quindi detta porzione di territorio andrà a costituire un nuovo Stato,
oppure il governo di fatto locale si trasforma in un governo di fatto generale a seguito di una
modifica costituzionale di quella che era una certa organizzazione statale.

4. I movimenti di liberazione.

Il movimento di liberazione nazionale in genere non è dotato di una organizzazione che esercita
effettivamente un controllo su una parte del territorio di uno Stato e quindi manca un essenziale
elemento che può dar vita a la soggettività. Inoltre la stessa motivazione del movimento,
presuppone rivendicazioni che dipendono dalla volontà di autodeterminazione del popolo
rappresentato dallo stesso movimento. Così il movimento di liberazione nazionale nasce attorno
ad una certa identità etnica o religiosa e ciò lo differenzia dal partito insurrezionale che è mosso
da motivazioni politiche. Tra i movimenti di liberazione nazionale si ricorda l’organizzazione
per la liberazione della Palestina (OLP) che ha svolto attività internazionale piuttosto intensa ed
è stata invitata dalle N.U. anche se senza diritto di voto.
La stessa Corte di Cassazione le ha riconosciuto una certa soggettività, anche se limitata, che
l’ha posta sullo stesso piano degli Stati sovrani quando si è trattato di discutere su questioni
relative ai modi ed ai tempi di attuazione della autodeterminazione del popolo rappresentato.
A Yasser Arafat, comunque, sono state negate le immunità riconosciute ai capi di Stato stranieri.

5. I gruppi sociali.
Si parla di gruppi sociali come soggetti di diritto internazionale in quanto gruppi organizzati
con riferimento in particolare al periodo del Risorgimento quando nacque il concetto di nazione

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che accomuna soggetti che parlano la stessa lingua, seguono lo stesso culto ed hanno usi u
costumi comuni mentre oggi la questione sembra superata e questi gruppi non godono della
soggettività internazionale e non hanno dei diritti soggettivi ma piuttosto il diritto ad essere
tutelati dagli stessi stati sovrani ( vedi minoranze etniche).

6. Gli enti dipendenti da Stati.


Nel diritto internazionale un soggetto è considerato tale in quanto dotato di sovranità e non
subordinato ad un ente superiore. Tuttavia vi sono degli Stati che vengono definiti dipendenti e
questo è il caso degli stati membri di uno Stato Federale il cui ordinamento dipende da una
norma base dell’ordinamento superiore di cui fa parte. Da qui la conclusione che non si può
parlare di stato sovrano nel caso di uno stato membro di uno stato federale: la mancanza della
sovranità porterebbe ad escludere che esso sia soggetto di diritto internazionale.Tuttavia vi sono
dei casi nei quali lo stato membro di uno stato federale può essere considerato soggetto in
relazione ai tre tipi di rapporti che lo stato può intrattenere: 1) con lo stato superiore - e in questo
caso si trova in posizione subordinata rispetto allo Stato federale: in quest’ambito non è soggetto
di diritto internazionale; 2) con gli stati dipendenti dallo stato superiore - lo Stato superiore può
concedere la possibilità agli Stati membri di concludere accordi tra loro che, in quanto regolati
dal diritto federale, non sono considerati di diritto internazionale; 3) con stati terzi – questi
ultimi sono possibili ed hanno valore giuridico solo se lo Stato superiore ha attribuito allo Stato
membro una certa autonomia su determinate materie, e quest’ultimo potrà allora concludere
validamente accordi rilevanti sul piano internazionale( la Bielorussia e l’Ucraniia della ex
URSS godevano di una certa autonomia ). Dallo Stato membro di Stato Federale occorre
distinguere lo Stato vassallo la cui situazione dipende da quanto lo Stato centrale vorrà
concedergli.
Il Commonwealth è un raggruppamento di stati che venne costituito nel 1931 con lo Statuto di
Westminster legando alla Corona britannica le ex colonie, alcune delle quali avevano ottenuto
già forme di autogoverno attraverso il cosiddetto Dominio. Questo comportava la dipendenza
dalla Corona per le questioni di difesa e di politica estera, per cui impossibilitati ad essere
considerati soggetti di diritto internazionale.
I territori non autonomi in amministrazione fiduciaria non possono considerarsi soggetti di
diritto internazionale in quanto privi di sovranità. La stesa Carta dell’ONU all’art.73 afferma
che tra i compiti delle Nazioni Unite, in relazione alle popolazioni che non abbiano ancora una
piena autonomia, ci sono anche degli obblighi di assicurare il loro progresso politico-
economico.

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Sezione III

Le organizzazioni internazionali universali e regionali.

1. Le unioni di Stati.

Due o più Stati possono concludere un trattato per il perseguimento di interessi comuni,
denominato patto d’unione, poiché implica l’unione di due o più soggetti. Se il trattato ha il
carattere temporaneo, e non è diretto a creare una struttura a carattere permanente finalizzata a
sorreggere tale unione, tale unione è definita unione semplice. Se invece, l’unione realizza
un’attività unitaria, si parla di una unione istituzionale come nel caso delle organizzazioni
mondiali e regionali. Tali organizzazioni consentono a Stati terzi di acquistare la qualità di
membri attraverso la procedura di ammissione. Dalle unioni aperte, si distinguono le unioni
chiuse che consentono la partecipazione di Stati terzi solo attraverso una modifica dell’atto
istitutivo.
Le unioni si distinguono in personali, quando uno stesso individuo è investito della qualità di
Capo dello Stato in uno, due o più Stati, agendo di volta in volta come Capo dello stato in uno,
due o più stati, e in reali, il cui accordo istitutivo prevede ugualmente un fine comune,
consistente nella cooperazione tra gli Stati, sui quali verte l’obbligo di conferire ad uno stesso
individuo la qualità di Capo dello Stato.

2. Il problema della soggettività delle organizzazioni internazionali.


Le organizzazioni internazionali sono riconducibili alla categoria delle unioni istituzionali, in
quanto il loro atto istitutivo non solo prevede un rapporto di unione tra i suoi membri, ma un
complesso apparato organizzativo che consente loro di operare in maniera autonoma dagli Stati
membri. Le organizzazioni internazionali sono soggetti dell’ordinamento in base all’assunto per
il quale è soggetto un ente destinatario di norme giuridiche internazionali, tra cui la norma
“pacta sunt servanda” e quindi le Org. Int. sono soggetti dell’ordinamento internazionale. Esse
sono anche destinatarie delle norme incluse nell’accordo istitutivo che conferiscono a ciascuna di
esse diritti e obblighi, nonché degli accordi successivi che ciascuna di esse ponga in essere ( tesi
discendente dal pragmatismo anglosassone, condivisa dall’autrice).

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Altre tesi, invece, ( Morelli ) tendono, a negare la soggettività internazionale di tali


organizzazioni, asserendo che dietro queste ultime, in definitiva, vi sarebbero gli stati e che le
situazioni giuridiche prodotte da tali organizzazioni alla fine, fanno capo sempre agli stati che vi
partecipano. Quindi l’organizzazione internazionale dipende in tutto e per tutto dagli stati ed
essa non ha una propria esistenza indipendente rispetto ad essi.
Allo scopo di verificare quale delle due tesi sia più aderente alla realtà, e cioè se le
organizzazioni sono soggetti autonomi, occorre verificare se, una volta costituita,
l’organizzazione abbia vita propria e si manifesta attraverso relazioni internazionali su un piano
di parità e quindi occorre accertare. Attraverso la prassi concreta:
1) se vi è effettivamente un’entità indipendente, che abbia vita giuridica autonoma;
2) ed in quale relazione si pone nei confronti di altre organizzazioni ( parità o subordinazione).

3. La qualità di membro delle Nazioni Unite.

Le Nazioni Unite, all’art.3, distinguono i membri originari, e cioè gli Stati che hanno partecipato
alla Conferenza di San Francisco del 1945 e che firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite,
da quelli che possono far parte dell’Organizzazione come membri ordinari, e possono diventarlo
successivamente se hanno determinate caratteristiche (tra cui essere amanti della pace, accettare
gli obblighi dello Statuto o essere disposti a farlo e partecipare alle spese dell’Organizzazione,
partecipare alla costituzione di un contingente militare). L’Italia fu ammessa nel 1955.
Gli unici atti vincolanti emanati dall’ONU sono: l’ammissione, la sospensione e l’espulsione.
La procedura di ammissione consiste in un atto complesso in cui si distinguono due momenti
caratterizzati da una proposta del Consiglio di Sicurezza e da una decisione dell’Assemblea
Generale, alla cui base, naturalmente, c’è la domanda di ammissione (i due elementi devono
necessariamente coesistere). Ci si trova di fronte ad una procedura di allargamento di un trattato
internazionale realizzata attraverso l’ammissione a domanda ( diversa dall’adesione).
La qualità di membro impone che lo Stato abbia un dato comportamento e, se uno Stato membro
non si conforma a quanto detto nello Statuto delle Nazioni Unite, può essere sospeso da parte
dell’Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza. Se la violazione si protrae nel tempo, la
condanna consiste nell’espulsione dall’Organizzazione proposta dall’Assemblea su
raccomandazione del Consiglio di Sicurezza. Anche la procedura della sospensione risulta da un
atto complesso composta da una raccomandazione da parte del Consiglio di Sicurezza e dalla

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delibera dell’Assemblea che, in generale, non emette atti vincolanti ma solo raccomandazioni
che servono da orientamento.

4. Gli Istituti specializzati delle Nazioni Unite.

a) Gli istituti specializzati nell’ambito delle attività delle Nazioni Unite.


A differenza della Società delle Nazioni, che aveva come scopo solo il mantenimento della pace,
le Nazioni Unite, all’art.1 della Carta, indicano, tra i loro obiettivi, non soltanto il mantenimento
della pace, ma anche la cooperazione internazionale e la soluzione di problemi di carattere
economico, sociale, culturale e umanitario. La differenza delle finalità tra le due organizzazioni
internazionali risiede, oltre che nei diversi momenti storici in cui hanno operato, soprattutto sul
fatto che la Società delle Nazioni era nata come esperimento di unione volto all’esigenza di
evitare guerre – il che, peraltro, non si verificò - mentre le N.U. hanno notevolmente ampliato
gli scopi, ponendosi come obiettivo prioritario, al pari del mantenimento della pace, la soluzione
dei problemi che limitano e condizionano lo sviluppo di ampie aree del mondo.

b) Principali Istituti specializzati delle Nazioni Unite.


I principali Organismi internazionali di cui si avvale l’ONU quali strumenti idonei al
perseguimento dei propri scopi sono:
1) L’ Organizzazione internazionale del Lavoro; (OIL)
2) L’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura; (FAO)
3) L’Organizzazione delle N.U. per l’educazione la scienza e la cultura; (UNESCO)
4) L’Organizzazione dell’aviazione civile;(OACI)
5) L’Organizzazione mondiale della sanità ( OMS)
6) La Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo ( BANK)
7) L’Unione postale universale (UPU)
8) L’Unione internazionale delle telecomunicazioni ((UIT)
9) L’Organizzazione metereologica mondiale (OMM)
10) L’Organizzazione marittima consultiva (OMCI)
11) L’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI)
12) Il fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD)
13) L’Organizzazione per lo sviluppo industriale (UNIDO)

Status di Istituto Specializzato delle Nazioni Unite.

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Per meglio perseguire i fini istituzionali individuati all’art.1 e all’art.55 della Carta delle N.U.
sono previste azioni congiunte dei membri attraverso appositi enti internazionali che operano nel
campo economico e sociale. Tali enti concludono con le Nazioni Unite appositi accordi,
denominati accordi di cooperazione o di collegamento i quali, sia pure presentando
caratteristiche costanti, disciplinano le diverse forme di cooperazione. In base di detto accordo,
ciascun ente acquista lo status di istituto specializzato delle Nazioni Unite. Lo status, ossia la
condizione giuridica soggettiva che l’Ente acquista fa derivare conseguenze giuridiche
concretantesi nella titolarità di poteri giuridici, di facoltà o di diritti soggettivi, e di obblighi e lo
stesso accordo di cooperazione o collegamento pone l’Ente che lo stipula sullo stesso piano di
parità con l’Organizzazione delle N.U. e l’Ente, in virtù di tale accordo diviene destinatario delle
norme contenute nella Carta. (Pag.155)
L’art.57 della Carta delle Nazioni Unite enuncia, sia pure implicitamente, i requisiti che un dato
ente deve presentare per poter divenire un istituto specializzato.
1) Deve trattarsi di un ente costituito mediante un accordo intergovernativo nel senso, cioè, che
può trattarsi sia di un’unione di Stati in senso stretto, sia di un istituto internazionale, purché in
ogni caso risulti istituito sulla base di un accordo;
2) deve, inoltre, trattarsi di un ente con vasti compiti internazionali;
3) deve, infine, operare nel settore della cooperazione esplicando la propria attività nei settori
economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili. L’Organizzazione può anche
promuovere trattative tra gli Stati interessati per la creazione di nuovi istituti specializzati che
devono presentare gli stessi requisiti summenzionati. L’acquisto dello “status” indicato, avviene,
da parte dell’ente, mediante la conclusione dell’accordo di cooperazione o di collegamento con
le Nazioni Unite. Detto accordo di collegamento o di cooperazione deve essere bilaterale tra
ciascun ente e gli organi delle Nazioni Unite. In particolare, il Consiglio Economico e Sociale è
competente a definire le condizioni in base alle quali l’istituto sarà collegato con le Nazioni
Unite, e l’Assemblea Generale è competente ad approvare l’accordo stesso. Tale accordo deve
espressamente contenere l’indicazione dell’ente che ne è la controparte come di “istituto
specializzato delle Nazioni Unite”. Tale indicazione è essenziale ai fini dell’acquisizione dello
status indicato, in quanto nei casi in cui essa è stata omessa, la dottrina ha negato la possibilità di
configurare l’ente come istituto specializzato. La posizione di parità in cui si vengono a trovare
da un lato le N.U. e dall’altro l’Ente con cui stipulare il rapporto di collegamento o cooperazione,
presuppone un rapporto di reciproca indipendenza che permane anche dopo la conclusione
dell’accordo e quindi l’Ente non si trova in una posizione di subordinazione rispetto alle N.U.

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L’accordo di collegamento o di cooperazione, in effetti, non produce l’effetto di porre l’ente che
acquista lo status di istituto specializzato in posizione di subordinazione rispetto alle Nazioni
Unite, ma semplicemente di creare in capo ad esso diritti e obblighi, o reciproci o unilaterali,
nella cui titolarità si concreta lo status medesimo. (pag.157)

I principali Istituti specializzati

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1.L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) Creata nel 1919 con lo scopo di
occuparsi dei problemi della sicurezza e dell’igiene del lavoro, e delle condizioni di lavoro.
L’Organizzazione elabora politiche e programmi internazionali diretti a migliorare le
condizioni di vita e di lavoro, ad accrescere le possibilità di lavoro, ad assicurare il rispetto
dei diritti fondamentali dell’uomo; formula e adotta le norme internazionali sul lavoro
destinate ad orientare l’azione nazionale verso la realizzazione degli obiettivi sopra citati;
esegue programmi di formazione, di insegnamento, di ricerca e di pubblicazioni, diretti a
sostenere altre forme di azione.
Gli organi dell’Organizzazione sono:
- la Conferenza Internazionale del Lavoro, organo collegiale formato dai delegati dei vari Stati
(ogni Stato ha il diritto di inviare quattro delegati ciascuno con diritto di voto, due di nomina
governativa, un delegato in rappresentanza dei datori di lavoro, un altro in rappresentanza dei
lavoratori). Essa si riunisce annualmente e ogni due anni adotta il programma e approva il
bilancio di previsione sulla base dei contributi degli Stati membri;
- il Consiglio di Amministrazione che guida i lavori ed è composto da delegati di nomina
governativa e delegati dei lavoratori e dei datori di lavoro;
- l’Ufficio Internazionale del Lavoro con sede a Ginevra, costituisce il segretariato
dell’organizzazione, coordina le attività tecniche e funge da centro di ricerca.

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Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), organizzazione internazionale a carattere
permanente, con sede a Ginevra, che si propone di elevare le condizioni tecniche e giuridiche del
lavoro. Fu il risultato della trasformazione del BIT (Bureau international du travail) sorto nel 1919.
Mediante opportune modifiche nel suo statuto e dei suoi obiettivi (peraltro già meglio precisati dalla
conferenza di Filadelfia nel 1944, dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni (a cui era
collegata) si pose in stretta cooperazione con l'ONU. Membri dell'OIL possono essere tutti gli Stati
(1999: 174). L'Italia, già membro dal 1919 al 1939, vi rientrò nel 1945. Opera attraverso i seguenti
organi: la conferenza generale dei rappresentanti degli Stati membri; il Consiglio di amministrazione;
l'ufficio internazionale del lavoro.

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2.L’Organizzazione per l’alimentazione e per l’agricoltura (FAO)


Istituita nel 1945, ereditando parte delle competenze dell’Istituto internazionale per
l’agricoltura, ha acquistato lo “status” di Istituto specializzato nel 1946. Essa vuole elevare i
livelli di nutrizione ed il tenore di vita delle popolazioni dei rispettivi Stati membri ed ottenere
miglioramenti della produzione e della distribuzione di tutti i prodotti alimentari.
I suoi organi sono:
- la Conferenza che riunisce ogni due anni i rappresentanti degli Stati membri, approva il
bilancio ed il programma per il biennio successivo, elegge il Direttore generale e decide
sull’immissione di nuovi membri;
- il Consiglio, composto da 49 membri eletti dalla conferenza che durano in carica tre anni;
- il Segretariato, retto dal Direttore generale responsabile nei confronti dei governi.
I finanziamenti provengono da tutti gli stati membri in proporzione al PIL

3.L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO)


Fu istituita nel 1946 ed ha la funzione di realizzare, attraverso la cooperazione intellettuale, una
maggiore comprensione tra i popoli allo scopo di eliminare alcuni tra i principali problemi che
travagliano l’esistenza dell’umanità.
Gli organi dell’UNESCO sono:
- la Conferenza generale, organo collegiale composto dai delegati degli Stati membri i quali, pur
potendo raggiungere per ciascuno Stato il numero di cinque, dispongono di un solo voto. La
Conferenza generale prende decisioni a maggioranza semplice, si riunisce annualmente in luoghi
diversi in sessione ordinaria ogni due anni. Può riunirsi in sessione straordinaria su sua decisione
o su convocazione del Consiglio esecutivo. La Conferenza ha adottato il suo regolamento di
procedura; essa ad ogni sessione elegge il Presidente e può consentire la presenza del pubblico
alle riunioni. Con deliberazione presa a maggioranza dei due terzi e su raccomandazione del
Consiglio esecutivo, può invitare i rappresentanti di altre Organizzazioni internazionali, con le
quali siano stati instaurati rapporti di consultazione o di cooperazione, ad assistere ad alcune
sessioni determinate o a partecipare a talune commissioni. La Conferenza determina le linee
generali dell’ente, prende decisioni sui programmi ad essa sottoposti dal Consiglio esecutivo.
Esplica funzioni consultive nei confronti dell’ONU relativamente agli aspetti educativi,
scientifici e culturali dei problemi che interessano le Nazioni Unite, nelle condizioni e secondo le
modalità indicate dagli organi competenti delle due organizzazioni. Riceve ed esamina i rapporti
che le vengono sottoposti periodicamente dagli Stati membri ed elegge i membri del Consiglio

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esecutivo tra i delegati degli Stati membri che si distinguano per la loro competenza nel settore
delle arti, della scienza dell’educazione e della diffusione del sapere.
- il Consiglio esecutivo: consta di 34 membri e ha la funzione di preparare un’agenda, cioè un
programma di lavoro, per la Conferenza generale, esamina il programma di lavoro dell’intera
Organizzazione, controlla il bilancio preparato dal Direttore generale, invia alla Conferenza
generale le raccomandazioni che ritenga più opportune. Esso è responsabile dell’esecuzione del
programma adottato dalla Conferenza generale, e sulla base delle circostanze verificatesi tra due
sessioni ordinarie, prende le misure necessarie al fine di assicurare l’effettiva e razionale
esecuzione del programma da parte del Direttore generale.
- il Segretariato: consta di un Direttore generale, con funzioni burocratiche e del personale
necessario a questo. Il Direttore generale è designato dal Consiglio esecutivo e nominato dalla
Conferenza generale per un periodo di sei anni, e può essere riconfermato nel suo incarico,
previa approvazione della Conferenza generale. Egli è il funzionario di grado più elevato
dell’Organizzazione e, come tale, partecipa senza diritto di voto, personalmente o mediante un
rappresentante da lui designato, a tutte le riunioni della Conferenza, del Consiglio esecutivo e dei
comitati dell’Organizzazione. Formula proposte per una azione appropriata della Conferenza
generale e del Consiglio e redige un progetto di programma di lavori da sottoporre al Consiglio,
con il relativo progetto di spese. Prepara e comunica agli Stati membri e al Consiglio esecutivo i
rapporti periodici sulle attività dell’Organizzazione, in ordine ai quali la Conferenza generale
indica l’arco di tempo che deve esservi contemplato. Sia i delegati della Conferenza generale, sia
i membri del Consiglio esecutivo, sia il Direttore generale godono delle immunità degli istituti
specializzati.

4. L’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale (OACI).

5.L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),


Creata nel 1948, con lo scopo di garantire a tutti un più elevato livello di salute. A tal fine,
l’OMS promuove l’educazione sanitaria, individuale e collettiva, le ricerche per sviluppare
tecnologie appropriate in tal senso, includendo anche ricerche sulla salute ambientale, mentale,
ecc. Gli organi sono: l’Assemblea Mondiale della Sanità, costituita dagli Stati membri, il
Consiglio esecutivo e il Segretariato.

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6. Il Fondo Monetario Internazionale (FUND) ( IMF) Intern.Monetary Fond

Nato nel 1944, dovette, dopo la fine della II guerra mondiale, assumere un ruolo preponderante
nelle vicende monetarie internazionali, soprattutto in coincidenza con il processo di
decolonizzazione a partire dagli anni ’60. Gli stati aderenti non vi partecipano su un piano di
parità ma il loro peso è determinato dalla quota azionaria posseduta così come la concessione del
credito è commisurata alle quote di capitale sottoscritte di cui si dispone.
L’organizzazione interna è affidata ad un consiglio dei Governatori che è l’organo deliberante
composto da un rappresentante per ogni Stato aderente ed il peso del singolo voto è determinato
dalla ponderazione del capitale sottoscritto comportando una egemonia dei paesi più ricchi.

7.La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BANK - BIRS)


che, al pari del Fondo Monetario Internazionale, è stata istituita nel 1944 con lo scopo di
assistere ad aiutare gli stati nella ricostruzione postbellica e facilitare gli investimenti di capitale
volti allo sviluppo produttivo nei vari settori con particolare riferimento alla gestione del Piano
Marshall.

Le Organizzazioni internazionali regionali

L’art.52 della carta delle N.U. fa riferimento alle organizzazioni internazionali regionali e agli
accordi regionali: il regionalismo internazionale riguarda la situazione di alcuni settori mondiali
(regioni) alle quali corrispondono alcune organizzazioni internazionali sia di tipo economico che
di altro genere come ad es. per la regione Europa è rappresentata dalla Comunità economica
europea (CEE) . Per quanto riguarda altre regioni possono citarsi l’UOA ( organizzazione per
l’unità africana) – l’OSA ( l’organizzazione degli stati americani) e quindi ci si trova di fronte a
un vero e proprio sistema regionale internazionale . Una condizio sine qua non, prevista dalla
Carta delle N.U. all’art. 52 è appunto che gli scopi degli Enti regionali non siano in contrasto
con gli obiettivi e i fini istituzionali delle N.U.

A) L’integrazione europea e i suoi sviluppi

a) Il Consiglio d’Europa

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La prima idea di creare una Comunità Europea risale al 1929 quando lo statista francese Briand
propose la formazione di una confederazione di Stati. Egli pensava che si potesse creare una
sorta di Società delle Nazioni a livello europeo, con analoghi organi e finalità, ma la sua idea
venne ostacolata sia dalla crisi economica del 1930 – 31 sia da avvenimenti politici quali
l’avvento del Nazismo.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale le disastrose condizioni economiche in cui versava
l’Europa e la necessità da parte delle grandi Potenze vincitrici di controllare la ristrutturazione
degli apparati militari e la ricostruzione industriale portarono alla creazione di organizzazioni
internazionali tendenti a rafforzare i vincoli creatisi durante e dopo la guerra.
Durante lo stesso anno si tenne una conferenza internazionale per coordinare ed organizzare gli
aiuti: il programma redatto venne sottoposto all’approvazione americana. Durante la seconda
sessione del 1948 di tale conferenza venne firmata la Convenzione per la Cooperazione
Economica Europea, la quale prevedeva la creazione di un’Organizzazione Europea per la
Cooperazione Europea (OECE) con sede a Parigi. L’OECE, strutturata sul modello delle altre
organizzazioni internazionali, venne trasformata nell’attuale Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico (OCSE). I nuovi obiettivi erano quelli di tendere al miglioramento
della qualità di vita degli Stati membri, favorire il commercio mondiale ed aiutare l’espansione
economica dei contraenti quanto quella dei Paesi terzi.
Il 17 marzo 1948 gli Stati membri del Benelux (cioè Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo), la
Francia e la Gran Bretagna firmarono a Bruxelles un trattato con il quale creavano l’Unione
Europea Occidentale (UEO) volta a rinsaldare i legami tra i contraenti in campo economico,
sociale e culturale, in vista di stabilire una base solida per la ricostruzione dell’economia europea
e di creare i fondamenti per la mutua assistenza contro ogni aggressione armata. Il 5 maggio
1949 fu firmato a Londra da dieci Stati europei l’accordo istitutivo del Consiglio d’Europa,
diretto ad instaurare una più stretta unione tra i suoi membri per salvaguardare e attuare gli ideali
che costituiscono un loro patrimonio comune, nonché a facilitare il progresso economico e
sociale (venne volontariamente esclusa una competenza militare per la contemporanea
istituzione della NATO). Il Consiglio ha svolto anche un importante ruolo storico in anni delicati
per l’equilibrio internazionale. Nel 1949 Churchill, cercando di reintrodurre la Germania nel
concerto politico europeo, propose la sua ammissione come membro del Consiglio. La Germania
venne invitata a partecipare insieme con la Saar, ma la manovra non ebbe esito positivo in
quanto furono ammessi solo come membri associati senza rappresentanza nel Comitato dei
Ministri.

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Il Consiglio d’Europa è formato dal Comitato dei Ministri, l’organo deliberativo composto dai
Ministri degli Esteri di tutti gli Stati membri; dall’Assemblea Consultiva, che emana pareri e
raccomandazioni per il Consiglio, composta da rappresentanti eletti dai cittadini dei Paesi
membri e non dai Governi; dal Segretariato.
Il Consiglio predispone convenzioni internazionali in materie giuridiche. Il riavvicinamento fra
la Germania e il resto dell’Europa avvenne soltanto nel 1951 con la creazione della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, piano Schumann). Nel 1950 in seno al Consiglio
d’Europa venne elaborata la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, di cui fanno parte i membri del Consiglio d’Europa tranne il Liechtenstein.
La Convenzione ha dato vita a due importanti organi: la Commissione e la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Nel 1989-90, tramite un accordo, è stata creata la Conferenza per la democrazia attraverso il
diritto, la quale ha istituito un sistema di verifica per il possesso del carattere democratico da
parte dei Paesi dell’ex Blocco Socialista che chiedono di entrare a far parte del Consiglio e
domandano aiuti internazionali. ( alla fine del 1997 i membri sono circa 40). Il Consiglio
d’Europa svolge anche una funzione di controllo sui membri che chiedono l’ammissione nella
CEE, consistente nell’accertamento dei requisiti di democraticità.
La differenza fondamentale che sussiste tra Consiglio d’Europa e Consiglio Europeo è che,
secondo l’Atto Unico, il Consiglio Europeo è un organo di indirizzo politico della Comunità,
formato dai Capi di Stato e di Governo e dai Ministri degli Esteri che si riunisce due volte
l’anno.
Si occupa di problemi generali connessi all’attività della Comunità e favorisce la cooperazione
politica( nella realtà si tratta di una conferenza di tipo diplomatico, il cui scopo è quello di
cercare l’accordo su questioni importanti a livello europeo).
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo tratta la materia della tutela di
questi fondamentali diritto con un carattere decisamente rivoluzionario: può ricorrere
individualmente alla Corte europea chiunque, anvhe il singolo privato, che ritiene di aver avuto
un diritto leso; non esiste alcuna formalità per presentare il ricorso, è solo necessario che non sia
anonimo anche se può essere richiesto il mantenimento dell’anonimato e nel corso della pubblica
udienza non si farà alcun riferimento ala persona.
Essendo la Corte un tribunale straordinario, occorre dover esaurire le vie interne del proprio
Paese fino all’ultimo grado.
Stesso discorso vale per la Commissione formata da tanti commissari quanti sono i Paesi
aderenti. I compiti della Commissione sono quelli di ricevere i ricorsi, citare i testimoni, aprire

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un contraddittorio a porte chiuse, chiudere con un rapporto conclusivo con motivazione e


soluzione, decidendo se c’è stata violazione totale, parziale o se non ve n’è stata alcuna.
Entro tre mesi viene trasmesso il ricorso alla Corte. Essa è costituita da giudici proposti dagli
Stati; ogni Paese propone una terna scelta tra magistrati di Corti supreme, avvocati e professori
in materie giuridiche che rimangono in carica per nove anni. L’udienza può essere fissata davanti
alla Camera o alla Corte plenaria. La Camera è costituita da nove giudici effettivi: due sono il
Presidente ed il giudice del Paese in causa, gli altri sette, dei quali quattro sono supplenti, sono
nominati dal Presidente.
In tre casi la Camera si spoglia della causa e la trasferisce alla plenaria: quando si modifica la
giurisprudenza, quando la Camera è fortemente divisa e quando si tratta di una questione di vita
o di morte.
Nella prima udienza le parti espongono il proprio punto di vista; il Presidente riassume i termini
della questione, si vota e si decide se ci sia stata violazione o meno. I giudici in minoranza hanno
il diritto di esporre le proprie ragioni. Le sentenze hanno grande validità morale e piena efficacia
nei Paesi. La decisione della Corte, secondo l’art.51 della Convenzione, è definitiva. Il Comitato
dei Ministri sorveglia l’esecuzione delle sentenze con le quali non si giudica la legge ma il caso
concreto. Se uno stato è condannato perché una sua legge ha provocato una violazione o un
danno, dovrà intervenire modificandola.

b. Verso la Comunità Europea


Il 9 maggio 1950 il ministro degli affari esteri francese, Robert Schumann, propose ai Paesi
europei di porre in comune la produzione del carbone e dell’acciaio. Questa proposta fu accolta
favorevolmente dagli USA ma incontrò le critiche dell’URSS.
Quanto alla Gran Bretagna, essa partecipò inizialmente ai negoziati del progetto Schumann, ma
successivamente si rifiutò di intervenire ai lavori preparatori, adducendo che, essendo essa legata
al Commonwealth, non avrebbe potuto consentire a limitazioni di sovranità. Nel giugno 1950 fu
convocata a Parigi una Conferenza dei delegati dei sei Paesi che avevano accettato i principi del
piano Schumann e i negoziati proseguirono fino al 18 aprile 1951, giorno in cui furono firmati il
Trattato istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), un Protocollo sui
privilegi e le immunità della Comunità, un Protocollo sulle relazioni con il Consiglio d’Europa e
una Convenzione relativa alle disposizioni transitorie. Il 9 agosto 1961 la Gran Bretagna
presentò la domanda di adesione alla CEE, ma l’intervento del Capo dello Stato francese De
Gaulle determinò, nel 1963, l’interruzione delle trattative. Soltanto il 2 gennaio 1972 furono
firmati gli Atti di adesione da parte della Gran Bretagna, Danimarca ed Irlanda, i quali

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determinarono l’allargamento dell’area comunitaria a questi Stati, con decorrenza da 10 gennaio


1973, data di entrata in vigore di tali Atti.
Il 27 maggio 1952 venne firmato a Parigi il trattato costitutivo della Comunità Europea di Difesa
(CED), e nel giugno 1955 i Ministri degli esteri della CECA si riunirono in una Conferenza nel
corso della quale fu votata una risoluzione indicante il tracciato per il processo di integrazione
europea, processo che sarebbe dovuto avvenire in due settori, in quello nucleare e in quello del
Mercato Comune. In esecuzione di questa risoluzione ed in conseguenza dell’attività svolta in
questo ambito da organi della CECA, il 25 marzo 1957 furono firmati a Roma in Campidoglio i
due trattai istitutivi rispettivamente della CEE (Comunità Economica Europea) e
dell’EURATOM (Comunità Europea per l’Energia Atomica).
L’Atto unico, firmato nel febbraio 1986, emenda e completa questi trattati. Esso precisa taluni
obiettivi della Comunità: completamento del mercato interno europeo e realizzazione di uno
spazio senza frontiere, sviluppo tecnologico, progresso verso un'unione economica e monetaria,
rafforzamento della coesione economica e sociale, miglioramento dell’ambiente e delle
condizioni di lavoro.
Il trattato dell’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 completa il processo di
integrazione ed ha previsto tre pilastri fondamentali: le Comunità Europee già esistenti, la
Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e la cooperazione nel settore della giustizia e
degli affari interni. Esso ha inoltre introdotto il principio della sussidiarietà per il quale, se ci
sono materie non previste nella competenza esclusiva della comunità, questa possa intervenire
sempre che l’azione prevista abbia una dimensione europea e l’intervento comunitario risulti
essere la migliore soluzione per problemi che gli Stati dovrebbero comunque affrontare.

B. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

I Paesi membri del patto di Varsavia, rivolsero formale invito ai Paesi occidentali per il
rafforzamento della pace e della sicurezza in Europa; l’invito fu accolto dopo che i rapporti tra la
Repubblica Federale tedesca, la Repubblica del Popolo polacco e la Repubblica Democratica
tedesca migliorarono. La conferenza sui rapporti multilaterali si aprì ufficialmente a Helsinki il 3
luglio 1973 e si concluse nello stesso luogo il 31 luglio; il 1 agosto 1975 avvenne la firma
dell’Atto finale da parte dei capi di stati che vi presero parte.
Detto Atto contiene i principi conformi alla Dichiarazione delle Nazioni Unite relativa ai principi
di diritto internazionale e i rapporti amichevoli e di cooperazione tra gli Stati: tra essi si

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ricordano il principio di uguaglianza giuridica, il diritto all’integrità territoriale, la libertà e


l’indipendenza politica.
Particolarmente importante l’affermazione della inviolabilità delle frontiere, dalla quale deriva il
divieto dell’occupazione del territorio altrui, il divieto di ingerenza negli affari interni e il divieto
di assistenza diretta o indiretta in attività terroristiche o sovversive ai danni degli Stati membri.
Trattazioni singole sono dedicate ai diritti dell’uomo e alla autodeterminazione dei popoli, la cui
importanza si rileva, oltre che sulla base dei contenuti, anche in relazione al periodo storico in
cui fu redatto l’atto finale, periodo contrassegnato dalla guerra fredda.
Al momento della sua creazione, l’Atto ha avuto valore fieramente programmatico. Tuttavia non
si può escludere che esso abbia determinato, da parte degli Stati partecipanti, un tipo di
comportamento conforme alle sue prescrizioni. Ciò consente di qualificare l’Atto stesso come
contenete regole di condotta osservate spontaneamente dagli Stati o come base per la formazione
di una consuetudine internazionale.
La Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa si è trasformata in Organizzazione
per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) il 5-6 dicembre 1994.
Gli organi dell’Organizzazione sono il Consiglio dei Ministri degli Esteri con funzioni
decisionali, l’Assemblea parlamentare che non ha poteri decisionali rilevanti, il Comitato degli
Alti Funzionari con funzioni operative ed il Segretariato, con sede a Praga.

C. L’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA).


Fondata su un accordo regionale, l’Organizzazione per l’Unità Africana ha i caratteri di
un’Organizzazione internazionale di tipo regionale perché riunisce solo gli Stati di una parte del
mondo e in un certo numero di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza risulta che è sempre stata
considerata tale. L’Organizzazione tende alla mutua comprensione e alla collaborazione tra i
popoli, alla salvaguardia e al consolidamento dell’indipendenza duramente ottenuta, alla
sovranità e all’integrità territoriale degli Stati, alla lotta contro ogni forma di neo-colonialismo,
alla adesione alla Carta delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo, al progresso dei popoli del continente e al rafforzamento dei legami fra gli Stati e
delle loro comuni istituzioni, a promuovere l’unità e la solidarietà degli Stati africani; a
coordinare e intensificare la collaborazione e gli sforzi per migliorare il tenore di vita dei popoli
africani. Nell’osservanza della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo, gli Stati membri hanno formulato a Nairobi il 27 giugno 1981 la Carta africana
dei diritti dell’uomo e dei popoli, nota anche come Carta di Banjul.
Per il conseguimento di detti obiettivi, l’Organizzazione dispone di alcuni organi:

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- la Conferenza è l’organo supremo cui compete l’esame e lo studio delle questioni di interesse
comune per l’Africa, allo scopo di coordinare ed armonizzare la politica generale
dell’Organizzazione. Procede alla revisione della struttura, delle funzioni e delle attività di tutti
gli organi e di tutte le istituzioni specializzate che potranno essere create; decide di questioni
inerenti all’interpretazione della Carta (art.XXVII), nomina il Segretario generale
amministrativo, la Commissione di mediazione, conciliazione e arbitrato (art.XIX), le
commissioni specializzate. È composta dai Capi di Stato o di Governo o dai loro rappresentanti
opportunamente accreditati e si riunisce una volta l’anno. Il quorum deliberativo è costituito dai
due terzi degli Stati membri.
- Il Consiglio dei Ministri, composto dai Ministri degli esteri degli Stati membri o da ogni altro
ministro da questi designato, si riunisce in sessione ordinaria almeno due volte l’anno e, su
istanza di uno Stato e con l’accordo dei due terzi degli Stati membri, può riunirsi in sessione
straordinaria. Il Consiglio è competente a prendere delle risoluzioni, a maggioranza semplice, e
in seno ad esso ogni Stato dispone di un voto. Il quorum è costituito dai due terzi degli Stati
membri. Può istituire tutti i comitati ad hoc ed i gruppi temporanei di lavoro che esso giudichi
necessari e può modificare il proprio regolamento interno a maggioranza semplice dei suoi
membri.
Il Consiglio propone, inoltre, la nomina del Segretario generale amministrativo e di uno o più
segretari generali aggiunti dinanzi alla Conferenza che delibera sulla proposta.
- Il Segretario generale amministrativo, il quale è nominato dal Consiglio, è coadiuvato da uno o
più Segretari aggiunti, dirige i servizi del Segretariato. Oltre a funzioni meramente
amministrative, il Segretario generale prepara il bilancio dell’Organizzazione, accetta donazioni
e legati per conto della stessa. Esso si riunisce in sessione ordinaria almeno due volte l’anno e, su
istanza di uno Stato e con l’accordo dei due terzi degli Stati membri, può riunirsi in sessione
straordinaria. Nell’esercizio delle funzioni loro proprie, il Segretario generale amministrativo, i
Segretari generali aggiunti ed il personale devono astenersi dal sollecitare o dall’accettare le
istruzioni di alcun governo o di alcun ente estraneo all’Organizzazione.
- La Commissione di Mediazione, Conciliazione e Arbitrato ha lo scopo di regolare in modo
pacifico le loro eventuali controversie. Le norme riguardanti la composizione di quest’organo e il
suo funzionamento sono contenute in un protocollo approvato al Cairo dalla Conferenza dei Capi
di Stato e di Governo il 21 luglio 1964.

D. Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

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Alla fine delle seconda guerra mondiale emersero, nel corso della Conferenza di Yalta (11
febbraio 1945), sostanziali divergenze fra Stati Uniti ed Unione Sovietica destinate a dare vita
alla cosiddetta guerra fredda, che segnerà la formazione del bipolarismo. Nel marzo dello stesso
anno il Belgio, la Francia, la Gran Bretagna, il Lussemburgo e l’Olanda avevano stipulato il
Trattato di Bruxelles di reciproca assistenza in vista della legittima difesa collettiva.
L’allargamento di tale trattato ad altri Stati europei diede luogo nel 1959 all’Unione dell’Europa
Occidentale (UEO) che rappresenta il precedente della NATO sotto diversi aspetti. I negoziati
intercorsi tra gli Stati membri del Trattato di Bruxelles, gli Stati Uniti ed il Canada si conclusero
nel marzo 1949 con la stesura di un progetto di accordo, firmato a Washington il 4 aprile 1949 da
dieci Stati europei (Belgio Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo,
Norvegia, Olanda e Portogallo) e da due Stati nordamericani (Stati Uniti e Canada). Le finalità
dell’Organizzazione coincidono con le finalità del Trattato e sono la riaffermazione degli scopi e
dei principi dello Statuto delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, la salvaguardia
della libertà e della civiltà dei popoli sulla base dei principi di democrazia, di libertà individuali e
del predominio del diritto, la difesa e la stabilità del benessere nell’area del Nord Atlantico, la
riunione degli sforzi per l difesa collettiva ed il mantenimento della pace e della sicurezza.
In particolare l’art.3, che si riferisce all’obbligo di assistenza reciproca delle parti contraenti in
vista di mantenere e di sviluppare la capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco
armato, riguarda l’aspetto militare dell’Organizzazione. Le norme di cui agli artt.5 e 6 del
Trattato demandano all’Organizzazione il carattere di alleanza militare difensiva:
conformemente all’art.5, difatti, le Parti convengono che un attacco diretto contro una o più di
esse in Europa o nell’America Settentrionale sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le
Parti, le quali dovranno assistere la Parte attaccata intraprendendo immediatamente,
individualmente o di concerto con le altre Parti, l’azione che sarà giudicata necessaria, ivi
compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella zona
dell’Atlantico Settentrionale.
L’azione di cui al citato art.5 implica l’adozione immediata di misure non necessariamente
militari, bensì di misure giudicate idonee a ristabilire e a mantenere la sicurezza nella zona nord-
atlantica: essa deve inquadrarsi nell’ambito dell’esercizio del diritto di legittima difesa
individuale o collettiva riconosciuto dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite. Lo stesso art.5
contempla, inoltre, l’obbligo di segnalare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sia
l’esistenza di un attacco armato sia le misure prese per respingerlo, misure che, conformemente
all’art.51 della Carta delle Nazioni Unite, dovranno essere sospese non appena il Consiglio di

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Sicurezza abbia preso, in conformità della Carta, le misure necessarie per ristabilire e mantenere
la pace e la sicurezza internazionali.
Oltre alle finalità di carattere militare, la NATO persegue obiettivi che comportano la
cooperazione nel mondo politico ed economico tra gli Stati membri. Le Parti dovranno limitare o
eliminare tutti i contrasti nella politica economica internazionale e dovranno consultarsi ogni
qualvolta siano minacciate l’integrità territoriale, l’indipendenza economica o la sicurezza di
esse.
Le Parti hanno, infine, istituito un Consiglio, nel quale ciascuna di esse è rappresentata, con la
funzione di esaminare le questioni concernenti l’applicazione del Trattato. Il Consiglio avrebbe
dovuto istituire gli organi sussidiari che sarebbero risultati necessari; avrebbe, comunque,
provveduto all’istituzione immediata di un Comitato di difesa con il compito di raccomandare le
misure da adottare per l’applicazione degli artt.3 e 5. Sulla base e in adempimento di tale
disposizione, il Consiglio ha istituito numerosi organi le cui funzioni e la cui situazione giuridica
soggettiva sono regolate da un complesso di norme di origine internazionale (accordi ad hoc e
decisioni del Consiglio), le quali costituiscono un ordinamento speciale che disciplina i vari
aspetti della attività della Organizzazione.
Per ciò che riguarda l’aspetto militare dell’Organizzazione, principale organo è senz’altro il
Comitato Militare, composto dai Capi di stato maggiore delle forze armate di ciascuno degli Stati
membri. Il Comitato si riunisce due volte all’anno, tuttavia, per l’immediatezza con cui esso deve
poter agire, siede in sessione permanente a livello dei rappresentanti militari permanenti. Esso ha
la funzione di raccomandare al Consiglio le misure ritenute necessarie in tempo di pace per
assicurare la difesa comune nella zona atlantica ed è l’organo dal quale dipendono, con funzioni
diverse, altri organi di studio o di ricerca.

E. L’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).


Con l’Organizzazione degli Stati Americani si formalizzò quanto fino allora realizzato
nell’ambito del cosiddetto sistema inter-americano, ossia una forma di cooperazione tra gli Stati
del nuovo continente avviatasi con lo svolgimento della I Conferenza inter-americana di
Washington del 1889 – 1890 1.
L’OSA riproduce su scala regionale le funzioni e le attività dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite. Oltre a promuovere la risoluzione pacifica delle controversie tra gli Stati membri e a
1
Attualmente fanno parte dell’Organizzazione: Antigua e Barbuda, Argentina, Bahama, Barbados, Bolivia, Brasile,
Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Grenada, Giamaica, Guatemala, Haiti,
Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù. Saint Cristopher e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent,
Suriname, Trinidad e Tobago, Uruguay, U.S.A. e Venezuela. Cuba venne sospesa all’Ottava Riunione di
Consultazione dei Ministri degli Affari Esteri, tenutasi a Punta del Este dal 22 al 31 gennaio 1961, nonostante la
Carta di Bogotà non contenesse disposizione alcuna concernente l’espulsione o sospensione di uno Stato membro.

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salvaguardare e rafforzare la pace e la sicurezza del continente, essa si propone la soluzione dei
problemi di natura politica, giuridica ed economica dei propri Stati membri e la promozione del
loro sviluppo economico, sociale e culturale.
L’Assemblea Generale è l’organo principale. Si riunisce annualmente e decide la politica
generale dell’Organizzazione. Ha competenza generale, ma poteri limitati: essa dispone nei
confronti degli Stati membri di un potere di decisione vincolante nel caso della ripartizione delle
spese dell’Organizzazione. Le decisioni dono adottate con voto favorevole della maggioranza
assoluta degli Stati membri, salvo nei casi in cui la Carta o il Regolamento di procedura
prevedano espressamente una maggioranza dei due terzi
Il Consiglio Permanente è un organo composto da ambasciatori accreditati presso
l’Organizzazione. La Carta gli attribuisce funzioni politiche ed esecutive. Ha anche un ruolo
conciliativo e responsabilità dirette nel sistema inter-americano di risoluzione pacifica delle
controversie.
Il Consiglio Economico e Sociale, composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri,
promuove la cooperazione tra i Paesi al fine di accelerare il loro sviluppo economico e sociale.
Nell’assolvimento delle sue funzioni è assistito da una Commissione esecutiva permanente.
Il Consiglio inter-americano per l’Educazione, la Scienza e la Cultura si occupa della
cooperazione e dello sviluppo educativi, scientifici e culturali dei popoli del Continente.
La Riunione di Consultazione dei Ministri degli Affari Esteri è un organo composto dai Ministri
degli Affari esteri di tutti gli Stati membri; si riunisce solo su espressa convocazione degli Stati
membri per risolvere questioni di comune interesse o per agire come organo di consultazione in
base al trattato di Rio.
Il Segretariato Generale è eletto dall’Assemblea con un mandato di cinque anni, rinnovabile una
sola volta. I suoi componenti, ivi compreso il Segretario Generale, svolgono il ruoli di funzionari
internazionali e sono responsabili solo di fronte alla Organizzazione.
La Commissione inter-americana dei Diritti dell’Uomo è un organo di composizione ristretta,
formato da sette membri, eletti a titolo individuale per quattro anni dall’Assemblea Generale. Ha
il compito di incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo rivolgendo raccomandazioni e richieste
di informazione.
Il Comitato Giuridico inter-americano è composto da undici membri e svolge la funzione di
organo consultivo dell’Organizzazione per le questioni giuridiche.
Le Conferenze Specializzate, come pure le Organizzazioni inter-americane Specializzate, si
occupano di questioni tecniche e di aspetti specifici della cooperazione inter-americana.

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F. L’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO).


È stata istituita nel 1986, nel corso della Conferenza di Punta dell’Este attraverso negoziati a
carattere multilaterale. Essa ha lo scopo di rappresentare un contesto istituzionale nel cui ambito
negoziale gli Stati membri possono negoziare i rapporti commerciali multilaterali nei settori
contemplati dagli accordi allegati e regolare le politiche commerciali attraverso un apposito
meccanismo. L’OCM coopera con il Fondo Monetario e con la Banca Mondiale nelle materie
previste dall’atto istitutivo. I suoi organi sono la Conferenza dei Ministri, composta dai
rappresentanti di tutti gli Stati membri e si riunisce ogni due anni; il Consiglio Generale,
costituito dai rappresentanti degli Stati membri e rappresenta l’organo operativo dell’ente; il
Direttore Generale che dirige il Segretariato dell’Organizzazione, nominato dalla Conferenza, e
svolge funzioni internazionali.
Capitolo VI

Gli organi degli Stati e delle Organizzazioni internazionali.

1. L’organizzazione dei soggetti.


Per organizzazione internazionale si intende un sistema o un apparato organico di un soggetto di
diritto internazionale o insieme di organi di cui esso dispone per realizzare le attività e compiere
le manifestazioni di volontà sul piano internazionale. Occore rilevare che l’organo non è
soggetto di diritto internazionale : esso è lo strumento attraverso cui l’ente compie la
manifestazione di volontà. L’ordinamento internazionale prevede attraverso una propria norma
di diritto consuetudinario, denominata norma sull’imputazione giuridica, ad attribuire come
propria allo Stato o al soggetto internazionale la manifestazione di volontà o l’attività compiuta
dall’organo e la volontà dei soggetti internazionali è espressa attraverso degli organi dotati di
qualità organica e di specifiche competenze.
Il problema dell’esatta individuazione degli organi che hanno competenze internazionali e
l’estensione di detta competenza, è stato oggetto di dibattito dottrinale: taluni autori ritengono
che l’individuazione debba essere fatta dall’ordinamento statale, essendo compito esclusivo
dell’ordinamento in cui un soggetto agisce determinarne la qualità o meno di organo.
Questa tesi, prevalente in passato, è stata superata da quella che ritiene l’ordinamento
internazionale come un vero e proprio ordinamento con compiti di controllo e vigilanza sugli
organi che agiscono al suo interno. L'ordinamento internazionale, poi, potrà decidere di rinviare
detta questione all’ordinamento statale.

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La questione è comunque aperta perché si sono verificati episodi in cui, anche in paesi con
costituzioni rigide, organi che non avrebbero competenze internazionali, le hanno comunque
esercitate (il loro operato è stato successivamente salvato da un atto di sanatoria emesso
dall’organo costituzionalmente competente). In casi come questi, l’ordinamento internazionale
ha operato un rinvio all’organizzazione effettiva dello Stato e non già a quella formale, prevista
in Costituzione. In conclusione, per riconoscere in un individuo la qualità di organo
internazionale, occorre vedere:
- l’organizzazione effettiva dello Stato,
- la ripartizione delle competenze;
- la verifica della qualità dichiarata dai soggetti internazionali;
- la verifica circa le loro effettive competenze;
- la reazione degli organi statali effettivamente competenti;
- la rivendicazione degli organi che effettivamente detengono il potere.
La violazione di una norma si ha quando gli altri organi sconfessano l’attività posta in essere
dall’organo che ha agito fuori dalla sua competenza ed un atto compiuto da un organo che non ha
la qualità organica è un atto inesistente per il diritto internazionale, mentre un atto compiuto da
un organo che ha la qualità ma che ha superato la propria competenza è un atto nullo
relativamente.

2. Il Capo dello Stato e il Ministro degli Affari Esteri.


Secondo l’ordinamento internazionale il Capo dello Stato:
 è l’organo supremo di uno Stato per le relazioni internazionali e rappresenta lo Stato,
firma atti di politica estera controfirmati dal Ministro degli Esteri oppure da un
Sottosegretario che sia competente in quel settore della politica estera;
 egli accredita e riceve gli Ambasciatori stranieri nonché i Diplomatici stranieri di grado
più elevato;
 fa le dichiarazioni di guerra e ratifica i trattati a nome dello Stato.
Il Ministro degli Affari Esteri, invece, dirige la politica estera dello Stato, accredita i Diplomatici
di rango inferiore e riceve, per l’accreditamento, i Diplomatici stranieri di rango inferiore, può
concludere accordi anche direttamente e firma gli accordi in forma semplificata.

3. Gli agenti diplomatici e i consoli.


La determinazione della qualità organica e della competenza degli agenti diplomatici si fonda, a
differenza di quelle degli altri organi internazionali dello Stato, esclusivamente sul diritto

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internazionale. Il diritto internazionale determina la qualità di agenti diplomatici secondo le


norme del cerimoniale (di procedura), le norme consuetudinarie, le norme di codificazione del
diritto internazionale, perché contenute nella Convenzione sulle relazioni diplomatiche (Vienna
1961) o nella Convenzione sulle relazioni consolari (Vienna 1963).
Gli agenti diplomatici si distinguono in:
1) ambasciatori e nunzi pontifici,
2) ministri plenipotenziari ed internunzi,
3) ministri residenti,
4) incaricati di affari.
In genere Ambasciatori lo diventano coloro i quali sono arrivati all’apice della carriera
diplomatica, ma nulla esclude l’assegnazione della carica per motivi politici.
La procedura di accreditamento si fonda sul cerimoniale e si apre con la richiesta di gradimento
(lo Stato che deve inviare un soggetto in un altro Stato deve chiedere se detta persona è gradita o
meno). Dopo il gradimento, la persona sarà accompagnata da una lettera di credenziali che dovrà
essere consegnata o al Capo dello Stato o al Ministro degli Esteri e sarà restituita al termine della
“missione”. Le credenziali possono essere restituite anche unitamente al passaporto, il che indica
che quella persona è sgradita in quello Stato e deve lasciare il territorio statale.

4. Le immunità diplomatiche.
L’accreditamento comporta il riconoscimento ufficiale dell’Agente Diplomatico che godrà, da
questo momento, di una serie di immunità che lo accompagneranno fino al rientro nel suo Paese
d’origine al termine della missione. Le norme sulle immunità hanno natura consuetudinaria in
gran parte codificate nella citata Convenzione di Vienna del 1961.
Esse si fondano sul broccardo 1 latino del “ne impediatur legatio” (non sia ostacolata la missione
diplomatica) e tendono ad agevolare l’attività dell’agente straniero durante la sua missione. Il
riconoscimento di tali immunità comporta una limitazione del potere di impero da parte dello
Stato accreditante nei confronti dell’agente diplomatico straniero.
1
broccardo (dal latino medievale: Brocardus, da Burcardo di Worms, XI sec.). Regola giuridica,
enunciata in forma concisa e tale da esser facilmente ricordata.
L'uso e l'abuso di massime, di sentenze, che in forma chiara e rapida sintetizzano un pensiero giuridico è
una delle caratteristiche della dottrina medievale e moderna, destinata a provocare critiche, ma efficace,
nell'ambito processuale, perché determina immediatamente il terreno sul quale le parti vogliono o non
vogliono contendere. Molte di queste massime vengono dal diritto romano, altre sono creazione
medievale o adattamento medievale di schemi formati dalla dottrina precedente (es. Malitiis non est
indulgendum, Volenti non fit iniuria, Qui iure suo utitur neminem laedit, ecc.).

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Secondo la Convenzione di Vienna del 1961, l’agente diplomatico gode della inviolabilità
personale, ossia non può subire atti di coercizione fisica diretta, né può essere violato il segreto
dei suoi documenti o della sua corrispondenza e dei suoi beni, gode dell’immunità fisica e
tributaria, ma deve versare le tasse sulle proprietà che detiene sullo Stato accreditario che non
facciano parte della missione. L’immunità si estende ai suoi familiari, al personale dipendente
della missione, alla sua dimora e al suo domicilio. Inoltre l’agente diplomatico gode
dell’immunità dalla giurisdizione penale per gli atti che egli compia in quanto privato, nel senso
che non può essere processato per i reati commessi in un altro Stato (ma potrà esserlo quando vi
ritorni), e dalla giurisdizione civile, non potendo essere citato in giudizio ma potendo citare in
giudizio.
Inoltre, la sede diplomatica si ritiene appartenga allo Stato di cui batte bandiera e non allo Stato
sul cui territorio è posta ( Stato accreditatario) quindi la sede diplomatica è considerata come
extra territoriale.
Con riferimento alla sua attività, si distingue l’attività jure imperii, quella posta in essere in
quanto organo dello Stato per le relazioni internazionali, e l’attività jure gestionis, quella
realizzata allo scopo di consentire ad uno Stato straniero di compiere atti in qualità di soggetto
privato dell’ordinamento dello Stato in cui esso è accreditato ( acquisto di un immobile).
Agendo esso come organo, è lo Stato straniero a risultare totalmente immune per atti concernenti
lo svolgimento delle attività internazionali, sempre che tali attività non configurino un fatto
illecito internazionale.
L’immunità dalla giurisdizione implica che il giudice adito dovrebbe negare la propria
giurisdizione, ove si tratti di giudicare uno Stato straniero per atti inerenti alle relazioni tra
questo ed altri soggetti internazionali.
In tempo di guerra è sospesa la copertura creata dal sistema delle immunità: oltre alla rottura
delle relazioni diplomatiche, previste anche dall’art.41 della Carta delle Nazioni Unite, è
possibile il cosiddetto congelamento delle relazioni diplomatiche, che prevede l’abbassamento al
minimo indispensabile del livello dei diplomatici accreditati. L’Italia ha adottato tale
provvedimento nei confronti della Bulgaria in occasione dell’attentato al Papa Giovanni Paolo II.
Anche l’attività jure gestionis è coperta dall’immunità; tuttavia vi sono tendenze recenti a
prevedere eccezioni per le controversie relative ai contratti commerciali, ai danni causati a
persone o cose, alla proprietà ed agli altri diritti reali, alla proprietà industriale.

5. Gli organi militari.

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Gli organi militari sono persone appartenenti alle forze armate di uno Stato e si distinguono in
legittimi combattenti e in comandanti militari.
I legittimi combattenti comprendono le forze regolari e le milizie direttamente chiamate alle
armi, i corpi volontari organizzati sottoposti al comando di un capo responsabile sempre che
abbiano un distintivo riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi, conducano le
operazioni secondo le leggi e gli usi di guerra. Sono del pari considerati legittimi combattenti i
franchi tiratori e la popolazione civile che prenda spontaneamente le armi purché portino le armi
apertamente e conducano le operazioni secondo le leggi e gli usi di guerra; i guerriglieri o
combattenti irregolari impegnati in azioni di guerriglia nell’ambito di un conflitto internazionale
o in una guerra di liberazione nazionale.
I comandanti militari si distinguono in comandanti supremi e comandanti di forze isolate.
Per decidere chi sia il comandante supremo il diritto internazionale rinvia all’organizzazione
effettiva degli Stati. Egli è competente a stipulare armistizi, tregue, capitolazioni, ecc. ed altri atti
inerenti alle operazioni militari. Il comandante delle forze isolate deve essere individuato volta
per volta.

B) Gli organi degli enti internazionali.


1. Gli Organi delle Nazioni Unite.
Gli Organi delle Nazioni Unite sono:
- l’Assemblea generale, composta da tutti i membri delle Nazioni Unite; le sue deliberazioni
sono imputate all’ONU e vincolano tutti gli Stati che ne fanno parte. È un organo collegiale
composto da Stati e ogni Stato dispone di un voto (in rappresentanza di ogni Stato ci sono cinque
persone, per cui si parla di “voto unitario”).
L’Assemblea generale può discutere qualsiasi questione che rientri nello Statuto dell’ONU e può
fare raccomandazioni ai membri delle Nazioni Unite o al Consiglio di sicurezza su qualsiasi
argomento; può discutere tutte le questioni che riguardano la pace e la sicurezza internazionale
presentate da un membro delle Nazioni Unite o del Consiglio di sicurezza. Questi ultimi sono
titolari del potere di iniziativa, il mancato esercizio del quale impedisce la pronuncia
dell’Assemblea (che può comunque sollecitare l’intervento del Consiglio su un obiettivo, ma non
decidere). Essa può raccomandare misure per il regolamento pacifico di qualsiasi situazione che
possa pregiudicare il benessere generale o le relazioni amichevoli tra le nazioni; riceve ed
esamina le relazioni degli altri organi ed, in particolare, le relazioni annuali del Consiglio di
Sicurezza in materia di mantenimento della pace.

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L’Assemblea ha anche il compito di svolgere funzioni derivanti dalla cosiddetta amministrazione


fiduciaria di alcuni territori. Attualmente esistono solo tre gruppi di isole. le Marianne, le
Marschal e le Caroline i cui territori sono ancora amministrati fiduciariamente dagli Stati Uniti,
in quanto ritenuti “Zone Strategiche”. L’Assemblea, inoltre, può provare solo quelle
Convenzioni che istituiscono un regime di amministrazione fiduciaria per i territori non
strategici, mentre per quelli strategici è competente il Consiglio di Sicurezza.
L’Assemblea Generale esamina ed approva il bilancio dell’Organizzazione, le cui spese sono
sostenute dai membri secondo la ripartizione fissata dall’Assemblea Generale. Questa esamina i
bilanci amministrativi di istituti specializzati al fine di fare ad essi delle raccomandazioni.
Le decisioni dell’Assemblea Generale su questioni importanti sono prese a maggioranza di due
terzi dei membri presenti e votanti. Tali questioni comprendono:
- le raccomandazioni riguardo al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale;
- l’elezione dei membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza;
- l’elezione dei membri del Consiglio Economico e sociale;
- l’ammissione di nuovi membri alle Nazioni Unite.
L’Assemblea si riunisce una volta l’anno, ma non si escludono riunioni speciali convocate dal
Segretario Generale su richiesta del Consiglio di Sicurezza o della maggioranza dei membri
dell’ONU, con procedure d’urgenza per circostanze specifiche.
-Il Consiglio di Sicurezza, la cui composizione è stabilita all’art.23 della Carta, è formato da 15
membri di cui cinque permanenti con diritto di veto ( USA – CSI (Comunità Stati indipendenti ex
URSS) – Francia – Rep.popolare Cinese – Gran Bretagna). Gli altri Stati sono eletti come membri
non permanenti se mostrano di osservare nella loro politica estera le principali direttive
dell’ONU. L’elezione dei membri non permanenti avviene ogni due anni. Ogni Stato membro è
rappresentato da un solo delegato che può essere accompagnato da consiglieri e segretari a cui
può cedere il posto in Consiglio. I membri delle Nazioni Unite conferiscono al Consiglio di
Sicurezza il compito principale del mantenimento della pace, riconoscono che il Consiglio agisce
in loro nome e si impegnano a rispettare le decisioni prese dal Consiglio in conformità alle
disposizioni delle Nazioni Unite.
Una risoluzione ha un’efficacia obbligatoria rafforzata rispetto ad una semplice
raccomandazione e gli stati membri sono tenuti ad eseguirla, cosa che non sempre è accaduta.
La dichiarazione di uno Stato di volersi adeguare ad una risoluzione del Consiglio crea un
obbligo assoluto da parte dello stesso Stato, per cui la violazione di detto obbligo si configura
come una violazione di diritto internazionale.

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Particolare importanza è attribuita al voto dei membri permanenti: se uno di essi non dà il suo
voto favorevole la decisione su una cosa importante non può essere presa (c.d. diritto di veto).
Il Consiglio tiene riunioni periodiche alle quali i membri possono essere rappresentati da membri
del governo o da un altro rappresentante appositamente designato.
Anche gli Stati non membri possono essere invitati a partecipare, senza il diritto di voto, alla
discussione relativa ad una controversia che li vede coinvolti. Altri organi delle Nazioni Unite
sono il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio di Amministrazione fiduciaria, la Corte
Internazionale di Giustizia e il Segretariato delle Nazioni Unite.

2. Privilegi e immunità degli enti internazionali.


Le organizzazioni internazionali, con la loro organizzazione di persone e di mezzi, godono,
nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati, di privilegi e immunità per se e per i propri
organi e funzionari.
La norma fondamentale in materia è rappresentata dall’art.105 della Carta delle Nazioni Unite in
cui si afferma che l’Organizzazione gode, all’interno dei territori, delle immunità necessarie per
il conseguimento dei suoi fini. Le disposizioni sulle immunità sono di origine pattizia, le Nazioni
Unite hanno stipulato con tutti i Paesi in cui persistono gli uffici dell’organizzazione, specifici
accordi in materia di immunità e di privilegi.
L’Assemblea Generale ha adottato, infatti, il 21 novembre 1974 la Convenzione sui privilegi e le
immunità delle istituzioni specializzate, resa esecutiva in Italia con la legge del 24 luglio 1951
con la quale si stabilisce che le istituzioni specializzate e i loro beni, ovunque situati e da
chiunque detenuti, godono delle immunità di giurisdizione. Detta immunità è suscettibile di
rinuncia riferita ai casi concreti, non essendo possibile una rinuncia generalizzata.
Anche gli organi dell’Unione Europea, aventi sede in Italia, hanno stipulato accordi con il nostro
Paese circa le immunità attribuite a ciascun ente.
Le immunità giurisdizionali comportano che essi siano esenti dalla giurisdizione italiana in
relazione all’attività che devono svolgere per il raggiungimento dei fini prescelti. La Corte di
Cassazione tende ad escludere dall’ambito della applicazione dell’immunità i rapporti
intercorrenti tra un ente o un’Organizzazione e un privato a titolo precario o che, comunque, non
abbia il carattere di jure imperii.

3. Le immunità dei funzionari internazionali


I funzionari internazionali sono agenti che lavorano in maniera continuativa e stabile per le
Organizzazioni internazionali; essi esercitano delle funzioni in modo indipendente dallo Stato di

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cui hanno la cittadinanza o da altro membro dell’Organizzazione. Dipendono, ove abbiano


mansioni amministrative, solo dal Segretario (o Direttore) generale.
I rapporti di impiego sono stabiliti attraverso specifici accordi con le Organizzazioni
internazionali ed eventuali controversie sono risolte con il ricorso all’organo gerarchicamente
superiore.
Si può ricorrere al Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite o ad altro designato dalle stesse
Nazioni Unite.
Il tribunale può annullare il provvedimento dell’Organizzazione e condannare l’ente al
risarcimento al proprio dipendente, reintegrarlo nel posto di lavoro se sospeso, o licenziarlo. Le
decisioni sono inappellabili, ma suscettibili di revisione secondo le procedure previste dalle
singole organizzazioni.
Il funzionario gode di immunità personali, fiscali, il suo domicilio o la sua residenza sono
inviolabili ed è immune dalla giurisdizione civile e penale dello Stato ospitante.

2 Gli organi della Unione Europea.


Per il conseguimento dei suoi fini le Comunità si avvalgono di organi o istituzioni : la
Commissione, il Parlamento, il Consiglio Europeo, la Corte di Giustizia, la Corte dei Conti, il
Comitato economico e sociale, la Banca Europea, il Comitato delle Regioni.
Va rilevato che sin dalla loro costituzione, il Parlamento europeo e la Corte erano organi comuni
alle tre Comunità (CE, Euratom e CECA), mentre ciascuna comunità aveva un proprio consiglio
e una propria commissione.
a) la Commissione Europea è composta da almeno un cittadino per ogni Paese della Comunità
e non più di due (ora ci sono 20 membri). La Commissione rappresenta gli Stati membri ed è
nominata in base ad un preciso procedimento: i governi degli Stati, dopo aver consultato il
Parlamento Europeo, che si deve esprimere a maggioranza semplice, indicano il nome del
Presidente della Commissione; successivamente i governi designano gli altri componenti
della Commissione dopo aver consultato il Presidente e il Parlamento Europeo che dovrà
esprimere un voto sul collegio così formato. La Commissione ha il compito di assicurare il
rispetto delle norme comunitarie e i principi del mercato comune. Vigila sull’esatta
applicazione dei trattati e sul rispetto delle decisioni prese dalle istituzioni comunitarie. Può
condurre indagini ed applicare sanzioni ai privati e propone al Consiglio dei Ministri della
Comunità tutte le misure utili allo sviluppo delle politiche comunitarie.

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b) Il Consiglio dell’Unione è l’organo decisionale delle Comunità europee; provvede al


coordinamento delle politiche economiche generali degli stati membri: è composto
attualmente da venticinque membri, tanti quanti sono gli Stati delle Comunità. I
rappresentanti degli Stati devono far parte dei rispettivi governi anche se non devono essere
necessariamente dei ministri (sottosegretari) ed occorre che siano abilitati ad impegnare il
proprio governo;
la Presidenza è esercitata a turno, per sei mesi, da ciascuno dei Paesi membri della Comunità
seguendo l’ordine stabilito dal Consiglio con una votazione che richiede l’unanimità. Il
Consiglio rappresenta la volontà definitiva dell’attività della Comunità. Il suo potere
decisionale è subordinato alle condizioni poste dai trattati, esso potrà emettere provvedimenti
( regolamenti,direttive,decisioni) che sono previsti dai trattati istitutivi delle Comunità
Europee. Oltre all’emanazione di atti normativi il Consiglio forma ed approva il bilancio della
Comunità.

c) Il Parlamento Europeo partecipa alla formazione degli atti comunitari ed ha poteri


deliberativi e di controllo. I poteri deliberativi sono stati ulteriormente accresciuti dall’Atto
Unico e dal Trattato di Mastricht. Quattro sono le procedure cui partecipa il Parlamento: la
consultazione, in cui è richiesto un parere non vincolante da parte del Parlamento; la
cooperazione consiste in una doppia lettura dell’atto: nella prima lettura il Parlamento
interviene con un parere consultivo, nella seconda approva entro tre mesi o nel caso di
silenzio-assenso; nella codecisione il Parlamento deve approvare l’atto, pena l’impossibilità
di adozione dello stesso; nella procedura del parere conforme il Consiglio non può legiferare
se il Parlamento non esprime parere conforme. Con riferimento ai poteri di controllo, il
Parlamento può approvare una mozione di censura nei confronti della Commissione i cui
membri per essere nominati commissari necessitano dell’approvazione del Parlamento.

d) La Corte di Giustizia è formata da quindici giudici assistiti da otto avvocati generali e


durano in carica sei anni (la loro nomina è decisa di comune accordo dagli Stati membri) e la
loro indipendenza è garantita. La Corte di Giustizia, su richiesta di uno stato, di una
istituzione comunitaria o di un privato direttamente interessato, può annullare gli atti della
Commissione e del Consiglio dei Ministri incompatibili con i trattati e può condannare gli
Stati in caso di violazione delle norme comunitarie. Si pronuncia sulla corretta
interpretazione delle norme di diritto comunitario, in via pregiudiziale. Con le sue sentenze la

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Corte partecipa alla formazione di un nuovo diritto europeo che si impone a tutti gli Stati
membri, istituzioni comunitarie, tribunali nazionali e privati.

e) Il Comitato Economico e Sociale è un organo consultivo composto da 189 membri. Prima


che il Consiglio adotti una proposta della Commissione, questa viene trasmessa, non soltanto
al Parlamento ma anche al Consiglio Economico e Sociale per un parere. Del Comitato fanno
parte i rappresentanti dei datori di lavoro, dei sindacati degli operai, degli agricoltori, dei
consumatori e di altre categorie sociali.

f) La Corte dei Conti esercita un controllo generale in quanto esamina i conti di tutte le entrate
e le spese della Comunità. Il controllo è in genere di legittimità, ma può avere anche carattere
sostanziale.

g) Il Comitato delle Regioni è un organo consultivo istituito con il trattato di Maastricht: è


composto dalle collettività regionali e locali degli Stati membri. Dura in carica quattro anni.

h) La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è dotata di una propria personalità giuridica,
di organi decisionali specifici e di un capitale sottoscritto dagli Stati membri. La BEI
sostiene, attraverso l’erogazione di prestiti, gli investimenti privati e pubblici, industriali e di
infrastrutture che contribuiscono alla realizzazione di obiettivi prioritari della Comunità. Essa
può chiedere prestiti di fondi sui mercati dei capitali e può concedere senza fini lucrativi.
Infine può accordare prestiti accompagnati da condizioni di politica economica, il cui scopo è
di sostenere le bilance dei pagamenti.

i) L’Istituto Monetario Europeo è stato istituito nel 1994 con il compito di accelerare
l’Unione Monetaria Europea. L’Istituto ha il compito precipuo di rafforzare la cooperazione
e il coordinamento fra le politiche monetarie.

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CAP. VII

Le controversie internazionali e la loro soluzione

1. Nozione di controversia internazionale.

Nel diritto internazionale il concetto di controversia differisce da quello di conflitto di interessi


che si verifica ogni volta che l’interesse di uno Stato non coincide con l’interesse di un altro
Stato (il conflitto d’interessi non sempre sfocia in controversia). Una controversia internazionale
si ha quando uno Stato pretende il soddisfacimento di un certo interesse e l’altro Stato resiste a
detta richiesta ( esempio di due stati che hanno lo stesso interesse per la pesca in tratto di mare o
la stessa pretesa di proprietà sullo stesso territorio). Se il conflitto non si risolve naturalmente (o
perché lo stato desiste dalla richiesta o perchè trovano un accordo pacifico), scaturisce una
controversia che si instaura quando due soggetti internazionali reclamano lo stesso diritto
soggettivo su una questione: si parla, quindi, di pretesa contestata, nel caso in cui la controparte
non riconosce alla prima l’esistenza del diritto di questa e contesta l'esercizio dello stesso –
contestazione detta anche resistenza che si configura in una controversia, in quanto la
controparte afferma un proprio diritto (contropretesa).

2. Configurazione delle controversie: controversie giuridiche e politiche.

Esistono due categorie di controversie a seconda del carattere giuridico o politico della loro
ragione, intendendosi per ragione l’oggetto del contendere posto a base della controversia.
Mentre una controversia di carattere giuridico riguarda l’interpretazione dei trattati, una norma di
diritto internazionale o cogente, una controversia politica può avere ragioni più svariate (il
conflitto in Israele si considera politico). Se la controversia ha carattere politico, e sono la
maggioranza, i modi di risoluzione sono di carattere politico sebbene nulla vieti il ricorso a
strumenti giuridici.

Soluzione delle controversie: la soluzione delle controversie nelle Nazioni Unite.


L’art.33 della Carta delle Nazioni Unite contiene un elenco di mezzi pacifici (negoziato,
inchiesta, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ecc) da utilizzare per

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risolvere una controversia che possa mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale. La
scelta del mezzo è lasciata alle parti, ma se non viene trovato l’accordo, l’articolo citato prevede
che il Consiglio di Sicurezza possa invitare le parti a scegliere uno dei mezzi elencati.
I negoziati rappresentano dei tentativi di creare un accordo tra le parti mettendole in diretto
contatto. Se l’accordo non riesce, le Nazioni Unite possono nominare una “Commissione di
inchiesta” o deferire l’esercizio del potere di inchiesta al Segretario Generale delle Nazioni Unite
per analizzare le cause della controversia e i termini della stessa.
La mediazione si realizza con la nomina di un mediatore ( spesso lo stesso Segretario come nel
caso del conflitto con l’Afghanistan) che, dopo aver approfondito la questione tenta di avvicinare
le parti predisponendo un piano di conciliazione, che le parti dovranno sottoscrivere, chiamato
erroneamente compromesso (il compromesso ha carattere giudiziale, il testo proposto dal
mediatore realizza un metodo di risoluzione della controversia con carattere stragiudiziale).
La Commissione di Conciliazione esamina la posizione delle parti ed indica le vie praticabili di
conciliazione senza partecipare direttamente all’evento negoziato.
L’art.34 della Carta delle Nazioni Unite attribuisce al Consiglio di Sicurezza poteri di indagine
nei confronti di una controversia già in atto e la possibilità di prevenire una controversia che
potrebbe sorgere. L’intervento del Consiglio può essere chiesto dagli Stati membri
dell’Organizzazione sulla base di una facoltà accordata ai Paesi membri a prescindere
dall’eventuale coinvolgimento della controversia, e da quelli non membri, sempre che vi sia un
accordo fra lo Stato non membro e l’Organizzazione per l’adozione di mezzi pacifici di
risoluzione della controversia. Il Consiglio dovrà comunque rispettare l’attività che le parti
hanno già posto in essere opera la risoluzione della controversia. La Corte Internazionale di
Giustizia è chiamata ad intervenire se le controversie sono di carattere giuridico.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, inoltre, ha competenza su tutte le questioni relative
al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale( art.36-37-38) e può adottare misure
economiche o militari, successive o preventive, sotto forma di raccomandazione o di risoluzione.
Il potere dell’Assemblea incontra un limite se la controversia è sottoposta al vaglio del
Consiglio; in questo caso essa dovrà astenersi dal fare raccomandazioni, a meno che non sia
sollecitata in tal senso dal Consiglio stesso che ha una supremazia assoluta sulle questioni di
carattere politico. All’Assemblea possono rivolgersi i Paesi membri delle Nazioni Unite, i Paesi
non membri e il Consiglio di Sicurezza.
L’art.98 della Carta attribuisce al Segretario Generale il compito di richiamare l’attenzione del
Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che possa minacciare il mantenimento della pace.

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Egli può agire autonomamente quando esplica attività di mediazione, conciliazione e di buoni
uffici, pur non essendo previste dallo Statuto dell’ONU.

3. I mezzi giurisdizionali delle controversie: l’arbitrato.

L’arbitrato è una forma di regolamento giudiziario che si sostanzia nella nomina di un arbitro,
scelto da tutte le parti, cui sarà devoluta la risoluzione della controversia attraverso un accordo.
L’accordo che prevede la nomina, la competenza e anche le norme sulle quali il giudizio
arbitrale deve conformarsi, si chiama compromesso e si differenzia dalla transazione che è il
negoziato stragiudiziario in base al quale le parti si accordano. L’istituzione dell’arbitro può
anche risultare da un trattato più ampio e la clausola che contempla la designazione dell’arbitro è
detta clausola compromissoria. Spesso le parti, allo scopo di evitare controversie future, possono
preventivamente istituire ed indicare in precisi trattati il collegio arbitrale competente ad
intervenire.
E questo accade perché nel diritto interno si indica il foro competente per territorio, mentre nel
diritto internazionale non esiste una competenza esclusiva della Corte Inter.di Giustizia.
Nel trattato di compromesso sono già indicate le norme da applicare in caso di controversie.
La conclusione del giudizio di arbitrato è la pronuncia da parte dell’arbitro di una sentenza
arbitrale motivata che decide su una controversia e che è considerata vincolante ed obbligatoria
per le parti ed è inappellabile, a meno della scoperta di fatti nuovi ed in questo caso si richiede la
revisione.

4. La Corte Internazionale di Giustizia.

È composta da 15 giudici nominati a titolo personale e non rappresentanti degli Stati ma scelti
per la loro preparazione e per l’alta qualità morale; la durata del mandato è di nove anni ma tutti i
giudici sono rieleggibili. La Corte In.di Giustizia, oltre alla giurisdizione in materia di
controversie o contenzioso svolge anche un’importante funzione consultiva ed infatti possono
chiedere pareri alla Corte: il Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale su qualsiasi questione
giuridica e, dietro autorizzazione di quest’ultima, gli altri organi dell’Organizzazione e gli istituti
specializzati su questioni giuridiche inerenti la loro attività. I pareri della Corte non hanno forza
vincolante e possono adirla solo gli Stati e non i singolo individui.
La Corte può chiedere informazioni ad organizzazioni pubbliche su questioni su cui essa sia stata
investita e le organizzazioni possono fornire informazioni alla Corte di propria iniziativa. Se una

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discussione riguarda l’interpretazione di uno statuto o di una convenzione pubblica, il


Cancelliere deve dare notizia alla pubblica amministrazione interessata, pena la invalidità del
procedimento. Solo gli Stati che hanno aderito allo statuto della Corte possono adirla in quanto
non tutti gli stati aderenti alla carta delle N.U. hanno aderito allo statuto istitutivo della Corte;
quelli che non hanno aderito possono farlo rispettando alcune condizioni poste dal Consiglio di
Sicurezza.
La Corte può pronunciarsi solo sulle controversie sottoposte al suo giudizio dagli Stati interessati
tralasciando tutte le altre questioni. La volontà di adire la Corte rappresenta una scelta politica e
lo Stato che decide di adire la Corte è consapevole che la sua questione avrà un rilievo
internazionale e molti stati non preferiscono dare pubblicità alle proprie controversie.
Gli Stati che aderiscono allo Statuto della Corte possono chiedere il parere della Corte previo
rilascio di una dichiarazione con la quale entrambi i contendenti accettano la sua giurisdizione.
La Corte si pronuncia solo su controversie giuridiche in quanto per quelle politiche è competente
il Consiglio di Sicurezza e le competenze della Corte possono anche riguardare l’interpretazione
di un trattato.
Essa ha anche il potere di decidere nel caso che una delle parti contesti la sua incompetenza
(questa questione è pregiudiziale, cioè preliminare alla presentazione dell’oggetto della
controversia).
La Corte si pronuncia:
 su controversie giuridiche;
 su ogni questione di diritto internazionale, ossia su qualsiasi argomento rilevante sul piano
giuridico internazionale;
 sull’esistenza di un fatto che, se accertato, costituirebbe violazione di un obbligo
internazionale.( l’invasione del Kuwait rappresentava ad esempio una questione sulla quale
la Corte avrebbe potuto pronunciarsi se solo l’Iraq ne avesse accettato la giurisdizione).
Quando si ha violazione di un obbligo internazionale, la Corte ha il compito di valutare la natura
del danno e di decidere le conseguenze possono essere di vario tipo:
- la soddisfazione, si verifica quando il danno ha un carattere morale;
- la riparazione comporta o il ripristino dello stato di fatto o il risarcimento previa
determinazione dell’ammontare
- o la restituzione come nel caso del Kuwait, in aggiunta ad un risarcimento per i danni subiti.
L’art.38 dello statuto della Corte è fondamentale ed in base ad esso la Corte int.di Giustizia
pronuncia le sue sentenze le cui decisioni devono fondarsi su norme di diritto internazionale e

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non sulla base di nessun diritto interno. A tale proposito vi è un particolare ordine gerarchico
sulle norme da applicare:
 al primo posto, anziché la consuetudine, si trovano le convenzioni internazionali generali e
particolari. Il termine “generale” sta ad indicare che la convenzione riguarda un elevato
numero di Stati; si parla ad esempio di convenzione generale di arbitrato per indicare una
convenzione conclusa da un gran numero di stati per risolvere eventuali controversie e alla
quale uno stato per poterne essere parte deve aderire, mentre quella “particolare”, di origine
pattizia, indica che riguarda le norme dei trattati sottoscritti dagli Stati che hanno proposto la
controversia. Inoltre le stesse parti dovranno indicare al giudice internazionale le norme da
applicare per la risoluzione di quella determinata controversia;
 successivamente, in ordine subordinato ai trattati, la Corte può giovarsi della “consuetudine”,
intesa come pratica consolidata generale accettata come diritto;
 al terzo posto, di questa scala gerarchica, si fa riferimento ai“principi generali del diritto” e
alle “nazioni civili”. I principi del diritto a cui si fa riferimento non sono quelli
costituzionali, ma quelli fondamentali presenti in tutti gli ordinamenti, anche diversi fra loro.
Inoltre, nell’ordinamento internazionale prevale il principio della impossibilità di adire per
due volte la Corte per la stessa controversia;
 al punto 2 dell’art.38 è previsto che la Corte può utilizzare dei criteri equitativi per dirimere
una controversia: qualora le parti non siano d’accordo circa l’applicazione del diritto
internazionale convenzionale o sulle consuetudini internazionali la Corte potrà decidere ex
aequo et bono, ( secondo equità) purché ciò conduca ad una sentenza dispositiva.
Il funzionamento e l’organizzazione della Corte richiedono alcune precisazioni:
- le lingue ufficiali della Corte sono l’inglese ed il francese, al contrario di quanto avviene in
campo comunitario dove tutte le lingue sono considerate ufficiali;
- durante il processo si può usare l’una o l’altra lingua mentre le sentenze dovranno essere
trascritte in entrambe le lingue;
- le controversie sono sollevate dinanzi alla Corte mediante la notificazione del compromesso
o mediante istanza scritta a seconda dei casi, con l’obbligo della indicazione dell’oggetto
della controversia e delle parti. Ogni parte in causa dovrà ricevere la notificazione della
stessa ed ogni Stato, parte della controversia, dovrà inviare un agente che lo rappresenterà
dinanzi alla Corte e sarà affiancato da avvocati e da consulenti. Tutti i delegati degli Stati
godono delle immunità e dei privilegi necessari per l’esercizio indipendente delle loro
funzioni.

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Il procedimento si divide in una parte scritta ed in un’altra orale. Il procedimento scritto consiste
nella presentazione da parte degli Stati alla Corte di memorie, contro memorie, repliche e di tutti
i possibili documenti probatori da parte degli stati alla Corte e agli altri contendenti, tramite il
Cancelliere. Ogni parte deve ricevere una copia autenticata di tutti i documenti proposti mentre il
procedimento orale consiste nell’ascolto da parte della Corte di testimoni, esperti, agenti e
avvocati. Se è necessario notificare atti a persone diverse dagli agenti, dai consulenti e dagli
avvocati, ci si rivolge direttamente al Governo dello Stato nel cui territorio deve essere eseguita
la notificazione.
Le udienze della Corte sono normalmente pubbliche sempre che le parti non richiedano
espressamente l’esclusione del pubblico o la Corte stessa non decida in tal senso. Di ogni
udienza è ufficialmente redatto un verbale, unico documento a fare fede, firmato dal Cancelliere
e dal Presidente. La Corte Internazionale di Giustizia emette delle ordinanze durante lo
svolgimento del processo. Essa è libera di decidere la forma e i termini per la presentazione delle
conclusioni finali e non è vincolata da una procedura obbligatoria, come invece lo sono i
tribunali nazionali. La Corte può richiedere alle parti, in qualsiasi momento del giudizio, di
produrre documenti o fornire spiegazioni, prendendo atto di possibili rifiuti (valutabili come
mezzo di prova a carico) e può interpellare periti ed esperti a cui affidare inchieste o indagini.
Le decisioni della Corte vengono prese a maggioranza dei giudici presenti; in caso di parità il
voto decisivo è quello del Presidente. La sentenza, che contiene i motivi e i nomi dei giudici, è
composta da tre parti: l’esposizione in fatto e in diritto dei motivi reali e concreti in causa
(l’antefatto); la motivazione della sentenza che è la spiegazione in fatto e in diritto del perché si
giunge ad una decisione; il dispositivo che contiene la decisione della controversia con possibili
misure punitive che è la parte più importante. La sentenza della Corte è definitiva e senza appello
e dunque non impugnabile davanti ad altro tribunale, salvo il caso della revocazione, sulla base
di una istanza di revisione prevista dallo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia.
La sentenza così emessa, fa stato tra le parti solo sulla questione che ne forma oggetto e una delle
parte può solo presentare istanza di revisione nel caso in cui sia stato scoperto un “elemento
decisivo” che non può essere dolosamente precostituito. I termini per la presentazione della
istanza di revisione sono sei mesi dalla scoperta del fatto nuovo e dieci anni dall’emanazione
della prima sentenza e l’iter da seguire per la revisione del processo è il seguente : sulla base di
un motivo non doloso la Corte si riunisce e dichiara la ricevibilità o non ricevibilità del fatto
nuovo dopo di chè si può operare la revisione.
.
5 Le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia: la sentenza come fatto giuridico.

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Secondo una parte della dottrina la Corte deve essere considerata come un istituto collettivo e le
sentenze che essa emana non possono essere riferite come proprie all’unione di Stati e ne
consegue che la sentenza pur essendo propria del giudice non può essere considerato un atto
giuridico ma un fatto giuridico. La sentenza è idonea a risolvere una controversia ma non è
imputabile nemmeno agli Stati che hanno istituito il giudice in quanto vi sarebbe identità tra
giudice e parti. Infine la sentenza costituisce un fatto giuridico perché non è riferibile ad un
soggetto di diritto internazionale ma resta attribuita alla Corte che è un istituto collettivo.
La Corte emana sentenza vincolanti per le parti che ne hanno accettato preventivamente la
giurisdizione. Se una delle parti non vi si adegua commetterà un illecito internazionale nei
confronti della Carta delle N.U. e in tal caso, la controparte potrà ricorrere al Consiglio di
Sicurezza che ha la facoltà di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere per
far rispettare la sentenza. Occorre rilevare che fino ad oggi tutte le sentenze della Corte sono
state eseguite.

6 Classificazione delle sentenze: sentenze dispositive e sentenze di accertamento.

La Corte Internazionale di Giustizia emana due tipi di sentenze: di accertamento e dispositive.


La sentenza di accertamento ha la funzione di assicurare la certezza del diritto attraverso la
verifica dell’esistenza o meno di una data situazione giuridica vantata da una delle due parti. Non
produce nuovo diritto ma accerta che ad una data situazione deve essere regolata da una norma
giuridica. Vi sono dei casi in cui la norma giuridica non esiste nel diritto internazionale e il
giudice dovrebbe rigettare la causa ma ciò non avviene in concreto in quanto, in questi casi, il
giudice si pronuncia sulla base di consuetudini o di convenzioni e la sentenza sarà di
accertamento.
Se si avvarrà invece di criteri extragiuridici quali i principi generali di diritto, la dottrina o
l’equità, la sentenza è dispositiva.
Con la sentenza di accertamento la situazione giuridica è accertata tra le parti in causa; con la
sentenza dispositiva il giudice crea nuovo diritto che diventa norma internazionale con validità
solo tra le parti in causa (la sentenza ha due funzioni: dispone sulla controversia e crea una
norma precedentemente inesistente cui il giudice successivo può attingere). La sentenza è
dispositiva se non si fonda su una norma giuridica preesistente. Nel caso in cui la Corte non è
riuscita a trovare una norma, una consuetudine o un precedente giudiziale, si può pronunciare s
ex aequo et bono ( secondo equità) solo se le parti si mostrano d’accordo.

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7 La Corte di Giustizia della Comunità Europea.


La Corte di Giustizia della Comunità Europea effettua un controllo di legittimità sugli atti posti
in essere dalle istituzioni comunitarie (sugli atti posti in essere congiuntamente dal Parlamento,
dal Consiglio, dalla BCE, dalla Commissione e gli atti del Parlamento Europeo, destinati a
produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi).
Possono adire la Corte, al fine di chiedere l’annullamento degli atti, la Commissione, il
Consiglio, gli Stati membri, il privato direttamente interessato, il Parlamento Europeo e la Banca
Centrale Europea. La Corte, oltre al potere di annullamento, ha anche il potere di condannare gli
Stati in caso di violazione di norme comunitarie. Lo Stato è tenuto a prendere provvedimenti per
eseguire la sentenza della Corte. In caso contrario, la Commissione precisa i punti sui quali lo
Stato membro non si è attenuto e può adire la Corte precisando l’importo della somma forfetaria
o della penalità che lo Stato deve versare.
La Corte può pronunciarsi, su richiesta di un tribunale nazionale, sull’interpretazione delle
disposizioni di diritto comunitario, ed è competente ad occuparsi di qualsiasi controversia tra
Stati membri riguardo a questioni del Trattato CEE, quando queste controversie le vengono
sottoposte. Le sentenze della Corte si impongono su tutti ed esse prevalgono sull’autorità dei
tribunali nazionali e contribuiscono alla creazione di un vero e proprio diritto europeo. Con l’atto
unico europeo è stato istituito il tribunale di prima istanza che, composto da 15 giudici ha sede in
Lussemburgo e a competenza a giudicare tutti i ricorsi proposti da persone fisiche o giuriche.

8 La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo verso il futuro.


La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è prevista dagli artt.38 e segg. della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950. Essa è attualmente
composta dallo stesso numero di Stati che compongono il Consiglio d’Europa (40). Inoltre, il
protocollo dell’11 maggio 1994 ha previsto la fusione tra la Commissione e la Corte con la
creazione di una Corte unica, con un doppio grado di giurisdizione. Infatti è prevista una Camera
ristretta di primo grado formata da sette giudici che esamina la ricevibilità del ricorso, che si
configura quando:
 il ricorrente ha rispettato la regola del previo esaurimento di ricorso interno e lo presenta
entro sei mesi dalla decisione interna definitiva;
 il ricorso non deve essere anonimo;

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 il ricorso non deve avere il medesimo contenuto di un precedente ricorso già presentato
presso la stessa Corte o innanzi ad altro organismo internazionale a meno che nello stesso
tempo non siano presenti nuovi elementi;
 il ricorso non deve essere manifestamente infondato o abusivo.
La Camera ristretta esperisce inoltre i tentativi di conciliazione.
Il Protocollo prevede poi la creazione della Grande Camera composta da diciassette giudici cui
può essere presentato appello sempre che la questione riguardi l’interpretazione o l’applicazione
della Convenzione e dei suoi Protocolli o una questione grave di carattere generale.

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Capitolo VIII

I fatti illeciti e la responsabilità internazionale.

1. Nozione di fatto illecito internazionale. L’elemento oggettivo.


Nel diritto internazionale fatto illecito è ogni comportamento o manifestazione di volontà di un
ente, che costituisca violazione di un obbligo derivante da una norma giuridica internazionale.
Si tratta inoltre di un fatto soggettivo, cioè di un fatto concretamente posto in essere da individui
(o gruppi di individui) organi di un soggetto di diritto internazionale che norme internazionali
imputano direttamente o indirettamente a tale soggetto.
Perché si possa parlare di fatto illecito, occorrono un elemento oggettivo (quando il
comportamento di un soggetto sia difforme da quello prescritto da una norma ed in contrasto
con questa), ed un elemento soggettivo (se il comportamento è posto in essere da un ente, al
quale una data norma impone un determinato comportamento). Quando si accerti la presenza di
questi due elementi, entra in azione una data norma diretta a qualificare il fatto come illecito e il
soggetto “colpevole” sarà destinatario di una serie di conseguenze giuridiche connesse alla
commissione di un illecito internazionale, il cui insieme configura la responsabilità
internazionale.
Va comunque precisato che affinché si configuri un fatto illecito internazionale occorra che vi
sia una vera e opropria violazione di una norma posta a divieto di un dato comportamento e, a
differenza di quanto avviene nel diritto interno, un comportamento meramente emulativo non
può essere considerato illecito. ( come ad esempio il passaggio delle navi ).
Un fatto illecito internazionale può essere commissivo se l’obbligo impone un non fare o
omissivo, se l’obbligo violato consiste in un fare e quindi si concretizza in una omissione.
Costituisce illecito omissivo anche il mancato adeguamento ad obblighi comuni da parte degli
stati aderenti.(oltraggio a Kennedy in occasione della visita per le contestazioni subite ed
omissione da parte dello Stato italiano ad assumere adeguate misure di controllo e di sicurezza).
Un’ulteriore distinzione si pone tra fatti illeciti di condotta e fatti di risultato.
I primi si verificano quando la norma impone ad uno Stato di conformarsi ad un certo
comportamento, ad esempio ad una risoluzione dell’ONU, mentre i secondi, invece, si
riscontrano quando lo Stato è libero nella scelta dei mezzi per perseguire un determinato
risultato che gli viene richiesto e tuttavia non realizza tale risultato. Il cosiddetto fatto illecito di
evento è quello che si realizza nel caso di violazione di una norma diretta ad evitare il verificarsi

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di un evento.( violazione della persona del Capo dello Stato, occupazione di una sede
diplomatica etc.).
Data l’importanza della materia riguardante i fatti illeciti, le N.U. conscie di questo rilievo,
hanno posto particolare attenzione all’argomento affidando ad una commissione di diritto
internazionale già a partire dal 1953 il compito di codificare la materia, ma, purtroppo,
nonostante anche l’autorevole contributo fornito dal Prof. Roberto Ago, non si è ancora
pervenuti ad un risultato completo, ma è stato solo redatto un progetto di articoli sulla
responsabilità e pertanto, anche secondo tale progetto l’illeicità del fatto si fonda su due
elementi costitutivi : un elemento soggettivo che consiste nella possibilità di attribuire un dato
comportamento ad uno stato, ed un elemento oggettivo derivante dall’antigiuridicità del
comportamento stesso.
Una posizione a parte, rispetto ai fatti illeciti internazionali, la occupano i crimini internazionali,
quali la pirateria marittima ed aerea, alcuni atti di terrorismo, nonché i crimini indicati nel
processo di Norimberga, crimini contro la pace, crimini contro l’umanità e genocidio, nonché lo
stupro realizzato in guerra (caso della Bosnia) secondo la decisione del 1996 del Tribunale
dell’Aia per i crimini nella ex Jugoslavia.

2. L’elemento soggettivo.
Allo scopo di precisare gli elementi costitutivi dell’illecito, occorre aggiungere che viene
qualificata come illecita sia la condotta di un Ente posta in essere da un individuo dotato della
qualità organica e della competenza, ma anche quella posta in essere da un organo che superi i
limiti della competenza o di un individuo privo della qualità organica.
Per quanto riguarda il caso degli organi che abbiano agito superando i limiti di competenza loro
attribuita, il cosiddetto eccesso di potere o sviamento di potere, è stato diversamente classificato:
parte della dottrina ritiene di dover imputare tale attività allo stato per conto del quale l’organo
agisce; un’altra parte ritiene di equiparare l’attività di tali organi a quella dei privati, mentre
un’altra parte ancora della dottrina afferma l’esistenza della responsabilità ove apparentemente
un individuo risulti essere organo.
Non costituisce illecito internazionale, a causa della mancanza dell’elemento soggettivo, la
condotta di un individuo che comunque non abbia una qualità organica. Lo Stato è ritenuto
responsabile solo nel caso in cui esso sia tenuto sul piano internazionale ad assumere misure
preventive o repressive in correlazione ad una determinata situazione: misure finalizzate ad
impedire il verificarsi di comportamenti individuali illegali sul piano interno.

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Quanto ad attività di movimenti insurrezionali, il Progetto prevede che i danni a persone e cose
causate dal movimento nel corso di una insurrezione non possono essere imputati allo Stato, il
quale può avvalersi del principio di forza maggiore. Ove, invece, il movimento riesca a
affermarsi e prenda il potere, esso sarà responsabile per le azioni sue e del governo precedente,
se queste non ricadano nella categoria delle azioni per le quali vigono le disposizioni sui conflitti
armati o in materia di diritto umanitario. Sempre con riferimento all’elemento soggettivo
dell’illecito, tale elemento sussiste se:
- uno Stato offre assistenza ad un altro nella realizzazione di un fatto illecito, si riconosce la
responsabilità del primo Stato (sempre che sia effettivamente dimostrabile un rapporto di
connessione tra l’attività svolta dai due Stati).
- ed ancora, nel caso in cui uno Stato eserciti un potere di direzione o di controllo o una vera
forma di coazione come potrebbe essere il caso di protettorato, di amministrazione fiduciaria
dei territori, di occupazione bellica, molti autori (Morelli) fanno riferimento alla cosiddetta
responsabilità indiretta.
Il Progetto invece non fa riferimento alla responsabilità indiretta, ma al concorso di
responsabilità sia da parte dello Stato autore materiale dell’illecito sia da parte dell’altro Stato
che gode di poteri di controllo o di ingerenza sul primo o chi risulta controllato.

3 La responsabilità e la colpa.

La responsabilità si configura come l’insieme delle conseguenze scaturenti dal fatto illecito e
viene normalmente fatta discendere dall’esistenza di una norma consuetudinaria la quale
ricollega le conseguenze in cui la responsabilità si concretizza, al verificarsi dell’illecito.
La responsabilità internazionale può riscontrarsi anche nei casi in cui uno Stato compia attività
non vietate dal diritto internazionale, ma che, comunque, possano recare danni a terzi.
Queste attività normalmente rientrano nella categoria delle c.d. attività pericolose, le quali sono
lecite perché sono in genere finalizzate non ad abusare di un proprio diritto, ma al progresso
economico e scientifico dello Stato e dell’intera umanità; esse tuttavia possono arrecare danni a
terzi per essere lesive della sicurezza delle persone e dell’integrità dell’ambiente. La liceità del
comportamento dello Stato non esclude che questo sia responsabile nel caso in cui non adotti
tutte le cautele necessarie a non arrecare danni ad altri Stati.
Allo scopo di prevedere forme di riparazione in caso di attività pericolose, sono state concluse
alcune convenzioni (ad esempio per danni nucleari o per attività spaziale) nelle quali si configura
la responsabilità dello stato colpevole del danno arrecato a terzi.

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Si è discusso a lungo nel diritto internazionale sulla necessità o meno, ai fini del sorgere della
responsabilità, della presenza di un ulteriore elemento nel fatto illecito, rappresentato dalla colpa.
Va chiarito che nel diritto internazionale la colpa, intesa come negligenza, o mancanza di
diligenza, che avrebbe evitato il danno qualora fosse stata adoperata, è equivalente al dolo, ossia
al comportamento nocivo volontario, diretto a causare un reato.
Alcuni autori fanno dipendere il sorgere della responsabilità da un nesso stretto di causalità tra
l’evento stesso e il comportamento dello Stato e la mancanza di tale connessione solleverebbe lo
Stato da ogni responsabilità. Non vi è dubbio che vi è responsabilità in tutti i casi in cui si
riscontri una colpa, imputabile all’organo dello stato e quindi allo stato stesso e tuttavia è
estremamente limitante, affermare, come afferma una parte della dottrina che la colpa è
l’elemento del fatto illecito senza il quale non sorgerebbe responsabilità.
Un esame della struttura organizzativa degli Stati induce ad affermare che non si può svolgere
alcuna attività internazionale che non implichi l’intervento di almeno uno dei suoi organi che
potrebbe aver agito con colpa, con la conseguenza di dover imputare il fatto allo Stato (elemento
soggettivo). La responsabilità dello Stato, quindi, sussiste indipendentemente dall’esistenza di
una colpa, sempre che lo Stato stesso non riesca a dimostrare che il fatto illecito internazionale
si è verificato per ragioni ad esso estranee.

4 Circostanze escludenti l’illiceità del fatto.


Vi sono alcune circostanze, nel D.I., che privano il fatto del carattere di illecito ed escludono la
responsabilità che, come si è visto, può anche configurarsi in assenza di fatto illecito.
Se uno Stato, ad esempio, non vuole adempiere ad un obbligo discendente da un trattato ed ha il
consenso della controparte, il comportamento non sarà considerato illecito; uno stato che occupa
il territorio di un altro stato con il consenso di quest’ultimo non commette fatto illecito perché
non viola nessuna norma.
Altre circostanze che escludono l’illiceità del fatto sono:
1) la sanzione, nelle varie forme, spesso realizzata attraverso l’uso della forza;
2)l’autotutela, il cui principio comporta che ciascuno prevenga il proprio danno o un attacco
ingiusto o, ancora, possa farsi giustizia da sé.
3) la legittima difesa.
La creazione dello Stato moderno, e con essa la centralizzazione del diritto, comporta che il
potere di autotutela dei singoli di prevenire e reprimere il danno sia attribuito allo Stato, il quale
tutela i propri cittadini centralizzando l’uso della forza.

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Il diritto bellico è stato oggetto di trattati internazionali a partire dallo scorso secolo con la
convenzione dell’Aia del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre, nonché in questo secolo con le
convenzioni del 1949 di Ginevra sul miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle
forze armate nella guerra terrestre, dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate nella
guerra marittima, sul trattamento dei prigionieri di guerra, sulla protezione dei civili. Alle su
ricordate Convenzioni sono stati aggiunti i Protocolli addizionali firmati nel 1977. Queste
convenzioni e i relativi protocolli , insieme alla convenzione di Ginevra sulla Croce Rossa,
costituiscono il diritto internazionale umanitario.
Il passaggio dalla autotutela alla legittima difesa è determinato dalla Carta delle Nazioni Unite
che rappresenta, dopo lo Statuto della Società delle Nazioni, il primo atto giuridico ai sensi del
quale gli Stati vengono privati di questa loro importante facoltà e nonostante ciò non vi è stata
applicazione del divieto dello scontro bellico nei quasi 50 anni di vità della Carta dell’ONU.
La legittima difesa è prevista dall’art.51 della Carta e la difficoltà di interpretazione è data
dall’affermazione di un “diritto naturale di autotutela individuale” nell’ambito del diritto
internazionale che oggi è un ordinamento formato prevalentemente da diritto positivo
(contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo: nella società naturale vige il principio
dell’autotutela individuale o collettiva – società primitive – nelle società evolute, caratterizzate
da un diritto positivo, tale compito è affidato allo Stato). La difficoltà interpretativa, con
l’evoluzione del diritto internazionale, si concreta nella possibilità che ad intervenire, in regime
di autotutela non sia più il singolo individuo inteso come Ente o stato, ma collettivamente più
Stati.
Procedendo all’esame della norma contenuta all’art.51, si rileva che l’attacco armato ( e non
l’aggressione intesa come schieramento di truppe sul confine) deve riguardare un membro delle
Nazioni Unite ed è inoltre necessario che il Consiglio di Sicurezza, nel frattempo, non abbia
ancora preso le misure necessarie al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Se, per ipotesi, il Consiglio di Sicurezza avesse già deciso qualche misura, il principio di
legittima difesa di cui all’art.51 non dovrebbe trovare applicazione. In questo caso, infatti, si
avrà una situazione analoga a quella che sussiste all’interno dello Stato: il Consiglio di
Sicurezza accentrerebbe su di sé il compito di difesa degli Stati membri così come lo Stato
accentra su di sé, in quanto creatore e detentore di diritto, il compito di tutelare i propri cittadini.
Analogamente le Nazioni Unite hanno privato i singoli dell’uso della forza (in base all’art.2) ma
hanno restituito agli Stati, in via eccezionale, il potere di agire in legittima difesa “nel caso abbia
luogo un attacco armato”.

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Se uno o più Stati esercitano il diritto di autodifesa, devono immediatamente informare il


Consiglio di Sicurezza. Inoltre, le misure adottate non pregiudicano in alcun modo il potere del
Consiglio di Sicurezza di intraprendere in qualsiasi momento l’azione di mantenimento della
pace e la sicurezza internazionale(la legittima difesa è un istituto eccezionale e a carattere
temporaneo). Si può agire, infatti, solo quando il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le
sue misure e deliberato in materia.
Dal 1945 in poi, in qualunque trattato internazionale, istitutivo di una alleanza a carattere
militare ( NATO, Patto di Varsavia) vi è il riferimento all’art.51, nel senso che l’alleanza stessa
dovrà essere conforme a quanto prescrive tale articolo della Carta delle Nazioni Unite e quindi
si tratta di una norma la cui validità è stata riconosciuta da tutte le alleanze militari. Esso è stato
applicato nel caso del Kuwait attraverso la coalizione dell’ONU per il ripristino della sovranità
violata.
Anche lo stato di necessità rappresenta una causa di esclusione dell’illecito in quanto lo Stato si
trova in pericolo grave ed imminente per cui si vede costretto a violare una norma
internazionale. Perché si possa invocare lo stato di necessità, occorre che sia lo Stato e non
l’individuo organo a commettere il fatto illecito e che questo rappresenti l’unico mezzo per
proteggere interessi vitali dello Stato stesso. Lo stato di necessità non può essere invocato per
violare una norma di jus cogens o per ledere interessi vitali dello Stato titolare dell’obbligo
rimasto inadempiuto.
Anche la sopravvenienza di una situazione che rende impossibile l’esecuzione dell’obbligo
esonera dall’adempimento dell’obbligo è, ai sensi dell’art.61 della Convenzione di Vienna, una
circostanza che esclude l’illecito internazionale.
Il Consiglio di Sicurezza, in un primo momento, compie accertamenti e verifiche sull’esistenza
di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione.
Successivamente emana l’atto più semplice, una raccomandazione, o decide in alternativa quali
misure debbano essere adottate per mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza internazionali.
È importante definire l’atto di aggressione cui si fa riferimento nell’art.39: per “atto di forza” si
intende l’azione di uno Stato che compia un’azione militare ingiustificata ai danni di un altro
Stato: in questo senso l’invasione del Kuwait è stata indubbiamente un atto di forza irachena.
Anche se Kelsen ha messo in discussione tale definizione prevedendo il caso di uno stato che
aggredisce per non essere aggredito: in questo caso è ben difficile stabilire chi è l’aggressore.
L’atto di violenza ha una sua valenza anche sotto il profilo economico. Il giudizio sulla
definizione di “atto di forza” è importante qualora si consideri che la Carta delle Nazioni Unite

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ha privato gli Stati dell’uso della forza individuale e collettiva, salva l’eccezione rappresentata
dall’art.51 della Carta stessa (art.2).
In attesa delle adozioni di misure definitive, il Consiglio di Sicurezza può prendere misure
provvisorie.
Tali misure, assunte al fine di prevenire un aggravarsi della situazione, precedono
cronologicamente l’adozione di raccomandazioni da parte del Consiglio. Si tratta, quindi, di
misure preventive o preliminari aventi lo scopo di bloccare lo svolgersi degli avvenimenti in atto
ed evitare che la situazione si aggravi. Qualora una delle parti in conflitto non si attenesse alle
disposizioni provvisorie dettate, il Consiglio può infliggere al colpevole sanzioni economiche o
di altro tipo previste all’art.41.
Infine, se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste dall’art.41 siano inadeguate o si
siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con le forze aeree, navali o terrestri, ogni
azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale. Tale
azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali
o terrestri di Stati membri delle Nazioni Unite.
Deve, peraltro, notarsi che le misure ora accennate trovano il loro fondamento nel diritto
internazionale particolare quale è quello contenuto nella Carta.
Un’altra misura che trova il suo fondamento nel diritto internazionale generale e che per di più
rappresenta una delle conseguenze del fatto illecito, è la rappresaglia che consiste in una
condotta di uno Stato che sarebbe in sé illecita, ma perde tale carattere perché costituisce
reazione ad un fatto illecito commesso da un altro Stato. La rappresaglia che, dunque, si
sostanzia in una semplice condotta, non è un atto giuridico: presuppone, dunque, la violazione
da parte di un altro soggetto di un diritto soggettivo ed implica, a sua volta, che la condotta del
soggetto leso, in cui essa si concreta, comporti ugualmente la violazione di un diritto soggettivo
dell’autore dell’illecito. In ciò la rappresaglia si differenzia dalla ritorsione in quanto in questa
tanto il primo comportamento quanto quello che costituisce reazione al primo non comportano
violazione di un diritto soggettivo, bensì di un interesse privo di tutela giuridica.
Tipico della rappresaglia e delle misure e contromisure è il carattere di sanzione che l’autore
dell’illecito è tenuto a subire senza reagire, essendo le une e le altre lecite, con la conseguenza
che la controrappresaglia o altre misure reattive avrebbero il carattere dell’illiceità.
La rappresaglia e le altre misure devono essere proporzionate all’entità della violazione prodotta
dall’autore del fatto illecito e incontrano un limite nel rispetto del diritto cogente, in particolare
del diritto umanitario considerato appunto come diritto cogente.

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Tuttavia, mentre nel diritto interno la pena (sanzione) è erogata da un ente superiore, nel caso
della rappresaglia la condotta è tenuta dallo stesso soggetto leso.

5 Conseguenze del fatto illecito.

Da un fatto illecito internazionale possono scaturire danni subiti dallo Stato o dagli Stati vittime
dell’illecito. Il danno può essere morale, ossia non suscettibile di valutazione economica ed ha,
come conseguenza, la cosiddetta soddisfazione, che si può concretare nell’obbligo del
pagamento di una somma simbolica di denaro, nella presentazione di scuse in forma solenne
allo Stato leso, nello schieramento di navi o nel saluto solenne alla bandiera in segno di rispetto
verso lo Stato leso e i suoi organi supremi, o materiale, cui corrisponde l’obbligo di riparazione,
comprensivo della restituzione e del risarcimento in denaro. La restituzione non ha luogo
evidentemente nel caso di illeciti omissivi (in questo caso l’obbligo di non fare resta in vita
nonostante la violazione).
L’obbligo del risarcimento in denaro si pone tra soggetti di diritto internazionale e in particolare
tra lo Stato responsabile e lo Stato leso; non si pone, invece, tra soggetti di diritto interno o tra
uno Stato da una parte, e i cittadini, persone fisiche o giuridiche, di un altro Stato, dall’altra.
In diritto internazionale viene risarcito il danno emergente ed il lucro cessante ove si dimostri
che dal mancato, tempestivo pagamento di una somma di denaro, sia scaturito un danno
ulteriore determinato dal ritardo.

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