Diritto Internazionale
Diritto Internazionale
Capitolo I
internazionali, vale a dire i rapporti tra Stati( diritto internazionale pubblico), o tra
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La Pace di Westfalia pone, infatti, fine al Sacro Romano Impero, che abbracciava sotto l’autorità
di Roma la quasi totalità dei popoli e dei territori sino ad allora conosciuti.
Questo ordinamento non presentava i caratteri della Comunità Internazionale moderna in quanto
le entità di tipo statuale non costituivano figure autonome ma erano sottoposte all’autorità del
Papa e dell’Imperatore.
Solo dopo la Pace di Westfalia si delinearono i tratti fondamentali della odierna Comunità
Internazionale.
Una inversione di tendenza rispetto ad un assetto della C.I. che privilegiava una perfetta
pariteticità tra gli Stati ( Universalismo) si è avuta con la creazione della Società delle Nazioni
prima, e dell’Organizzazione delle Nazioni unite poi.
Dopo la II Guerra Mondiale , la tendenza all’Universalismo si era accentuata in quanto la
decolonizzazione ha portato all’affermazione di nuovi centri sovrani e indipendenti di potere
politico.
In effetti nel secondo dopoguerra più che di universalismo sarebbe corretto parlare di equilibrio
tra blocchi contrapposti: da un lato il cosiddetto blocco degli Stati Eurocentrici guidati dagli
Stati Uniti, che aveva imposto le sue istituzioni ed il suo sistema economico capitalistico
all’intero assetto della C. I., dall’altro gli altri blocchi portatori di valori e ideologie diverse
( gruppo dei Paesi Socialisti).
Nel 1989 con il crollo del sistema comunista emerge un nuovo assetto nel quale il ruolo guida
viene assunto dalle Nazioni Unite ormai libere dai vincoli derivanti dalla contrapposizione dei
diversi blocchi politici.
Lo Stato diventa il principale soggetto del dritto internazionale. Gli elementi che
contraddistinguono lo Stato moderno sono il popolo, il territorio e la sovranità.
Per molto tempo il diritto internazionale è stato anche considerato come un non diritto
disconoscendo anche l’esistenza dell’ordinamento internazionale per due motivi:
perché non sempre la violazione di un obbligo giuridico è accompagnata da una
sanzione;
perché si fonda sulla volontà e sui comportamenti di soggetti che sono, allo stesso
tempo, autori e destinatari delle norme.
Queste tesi, tendenti a negare la giuridicità del diritto Inter. però, possono essere facilmente
contestate: basti pensare alla presenza negli ordinamenti interni di norme, etiche e morali, cui
corrisponde talvolta una sanzione, senza che siano considerate norme giuridiche.
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Questo significa che il carattere giuridico della norma internazionale non può essere collegata
alla capacità sanzionatoria dell’ordinamento stesso e che l’ordinamento internazionale ha
caratteristiche totalmente diverse dall’ordinamento interno.
Le caratteristiche del diritto internazionale inducono a pensare che esso abbia le stesse
caratteristiche delle società primitive in via di formazione. La società primitiva si fonda su
rapporti di alleanza, di commercio, di guerra tra i diversi gruppi e sulla subordinazione dei
gruppo a diversi enti dotati di poteri superiori.
Un’altra argomentazione utilizzata per negare la giuridicità del diritto internazionale si basa sul
modo in cui avviene il ricambio delle norme giuridiche : nell’ordinamento statale interno è
generalmente prevista una specifica procedura ai fini del ricambio e delle modificazioni delle
leggi.
Nell’ordinamento italiano, ad esempio, sono previste apposite procedure di ricambio delle norme
giuridiche: la legge successiva deroga a quella precedente, la legge speciale deroga alla legge
generale, la dichiarazione di incostituzionalità di una norma con sentenza della Corte
Costituzionale ha l’effetto di abrogare la stessa norma ed il referendum abrogativo crea un vuoto
che stimola il legislatore alla creazione di nuove norme.
Nel diritto internazionale non è prevista una procedura simile, e quando una norma non è più
considerata attuale o idonea alla realtà, non può essere oggetto di analoghi processi di revisione
o modificazioni : storicamente la modifica delle norme internazionali è avvenuto soltanto
attraverso lo strumento della guerra e i conseguenti trattati di pace attraverso i quali sono stati
stravolti e modificati i rapporti e gli equilibri tra gli stati ( vedi trattato di Versailles) .
Oggi gli strumenti giuridici in possesso degli stati consentono di poter risolvere una controversia
internazionale con diversi mezzi pacifici senza dover far ricorso alla guerra, infatti la carte delle
Nazioni Unite prevede, una volta sorta una controversia, delle soluzioni alternative al conflitto
tra cui:
Il negoziato – è un modo eccellente di risoluzione dei conflitti, perché mette in diretto
contatto i due contendenti, anche se spesso i risultati sono deludenti;
La nomina di una commissione di inchiesta per l’accertamento dei fatti relativi alla
controversia;
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Capitolo II
Le fonti del diritto internazionale sono state oggetto di varie interpretazioni da parte di diversi
autori.
Kelsen ritiene che in ogni ordinamento ciascuna norma deriva la propria validità da quella
precedente, fino ad arrivare alla cosiddetta “grundnorm” o norma base o fondamentale, che sta
all’apice della piramide: secondo questa costruzione, in ogni ordinamento ciascuna norma deriva
la propria giuridicità da un’altra che la contempla fino ad arrivare all’apice della piramide, vale a
dire alla norma base la cui giuridicità non e posta ma presupposta ( assunta come postulato).
Nel diritto internazionale, la norma base è il principio della “Consuetudo est servanda” (la
consuetudine deve essere rispettata), nel senso che la consuetudine rappresenta la fonte primaria
del diritto internazionale, seguita dalla fonte di secondo grado, cioè l’accordo che comunque
deriva dalla consuetudine.
La norma “Pacta sunt servanda”, che ha una portata generale, è considerata una norma
secondaria sulla produzione giuridica perché attribuisce giuridicità ad una fonte di norme
giuridiche, qual è appunto l’accordo.
L’accordo potrebbe rinviare ad altre fonti di diritto (ciò che si verifica quando un accordo
prevede una clausola che rimanda ad un altro accordo)ed in questo caso l’accordo successivo
diventa fonte giuridica di terzo grado. Anche la norma che prevede una sentenza dispositiva di
un giudice, si configura come una norma di produzione giuridica di terzo grado e la sentenza è
fonte di terzo grado, in quanto rinnova il diritto internazionale creando nuovo diritto che produce
effetti fra le parti della controversia.
Altra fonte di diritto è l’analogia, che si colloca al secondo grado, come l’accordo.
In sintesi FONTI del diritto internazionale , possono essere considerate, come ci suggeriscono
anche il Kelsen ed il Morelli, sia la CONSUETUDINE, che rappresenta la norma base, cioè
quella norma che, a differenza di tutte le altre, non fa derivare la propria giuridicità da un’altra
norma che la contempla, bensì viene assunta come postulato, come dato indimostrabile
( consuetudo est servanda: la consuetudine deve essere osservata), sia dall’accordo che da essa
deriva.
Nel sistema giuridico considerato, quindi:
1) la consuetudine è la fonte primaria dell’ordinamento internazionale;
2) l’accordo è una fonte di II grado ( perché riceve giuridicità dalla consuetudine).
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Qualora l’accordo contenga una clausola che rinvia ad un altro accordo successivo, tale clausola
diventerà fonte di III grado.
La consuetudine deve, però, essere accompagnata da due elementi, uno materiale(oggettivo) e
uno psicologico(soggettivo):l’usus deve essere accompagnato dalla opinio iuris ac necessitatis.
Il primo elemento, la prima caratteristica che si deve individuare nel processo consuetudinario, è
la partecipazione di coloro i quali sono membri della comunità nell’ambito della quale la
consuetudine rappresenterà regole di condotta reciproca. Deve trattarsi di un comportamento
uniforme e costante nel tempo. Relativamente all’elemento psicologico è cioè richiesto che gli
Stati abbiano tenuto quel comportamento costante ed uniforme perché convinti che esso era il
più idoneo a soddisfare gli interessi degli Stati membri della Comunità internazionale.
Quindi le norme consuetudinarie sono norme non scritte. Il contenuto normativo è il risultato di
un esame storico dei comportamenti tenuti dagli stati. Ciò comporta che la consuetudine come
fonte di norme giuridiche internazionali, deve porre in essere norme a carattere generale ( che in
quanto tali sono di difficile interpretazione).
In tempi recenti gli Stati si sono resi conto , però, che le norme consuetudinarie non sono sempre
di facile interpretazione. Da qui la necessità di tradurre in norme scritte le norme
consuetudinarie. Ciò è reso possibile perché le norme consuetudinarie non sono norme rigide,
cioè possono essere derogate dalla volontà degli stessi membri della comunità internazionale.
Gli Stati che non ritengono più idonea la norma consuetudinaria, possono creare una norma ad
hoc che regoli lo stesso rapporto in modo diverso dalla norma consuetudinaria. E’ per questo
che l’accordo si presenta come la seconda fonte di norme giuridiche internazionali.
Una , infatti, delle attività previste dallo Statuto delle Nazioni Unite, è quella di codificare il
Diritto Internazionale.
La teoria del Kelsen, e di Morelli, si ricollega al positivismo tedesco antitetico alla teoria del
diritto naturtale. Il positivismo ( corrente di pensiero che cerca di individuare la giuridicità di una
norma in un’altra norma che la contempli) individua la giuridicità delle norme attraverso un
sistema per cui ogni norma trova il suo fondamento in una norma superiore. L’ordinamento
giuridico si configura come una piramide composta di vari livelli collegati da un criterio
gerarchico, fino ad arrivare alla norma fondamentale o norma base, che conferisce validità a
tutte le altre e
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la cui validità è presupposta e non posta (cioè derivante da una formale norma di produzione del
diritto)1.
PIRAMIDE KELSENIANA
NORMA BASE
1^ Fonte sulla Produzione “Consuetudo est servanda”
CONSUETUDINE ( 1^ Fonte)
ACCORDO ( 2^ Fonte)
Sulla stessa linea di Kelsen, e traslando questi concetti nell’ambito del diritto internazionale, il
Morelli individua la norma base dell’ordinamento internazionale nel principio “Consuetudo est
servanda”, ossia bisogna osservare la consuetudine così chè l’accordo internazionale, che è fonte
di diritto internazionale, deriva la sua giuridicità dalla consuetudine e questa a sua volta dalla
consuetudo est serranda. Anche l’autrice si colloca sullo stesso filone del Kelsen e di altri autori
positivisti nel senso che considerano valida una norma giuridica in quanto viene posta in essere
dai soggetti o dai loro organi ai quali è stato conferito il relativo potere.
Diversa è l’opinione di Roberto Ago secondo cui le norme consuetudinarie avrebbero il carattere
di norme spontanee, ossia nate nelle coscienze dei consociati e nelle manifestazioni che i
consociati danno della loro coscienza.
Un’altra posizione è rappresentata da quegli autori, i quali, ponendosi anch’essi alla ricerca della
norma base, hanno individuato tale norma nella norma “pacta sunt serranda” dalla quale
discende la giuridicità delle norme contenute in tutti gli accordi e trattati : se i trattati non fossero
stati ritenuti obbligatori si sarebbe registrata una situazione di caos e di conflitto quale ad es.
quella affermata da Hobbes.
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Nell’ambito dell’ordinamento italiano, una circolare deriva da un decreto ministeriale, un decreto ministeriale
deriva da una legge, questa dalla Costituzione, fino ad arrivare ai fondamenti della Costituzione che possono
individuarsi nell’esistenza di una Costituzione democratica e nella forma di Repubblica.
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In contrasto con la tesi dei positivisti si pongono i giusnaturalisti e cioè quei giuristi che hanno
dato vita alle tesi di diritto internazionale naturale ( Grozio ,Pafendorf). Secondo queste tesi, il
D.I. ossia il diritto delle genti è consono all’umanità stessa e le stesse regole poste dai trattati di
pace e di alleanza si trovano alla base delle tesi del giusnaturalismo.
In epoca più recente, a fianco ai giusnaturalisti, si pongono gli spontaneisti, sulla base delle tesi
sostenute dal Prof. Ago il quale ha introdotto il concetto di formazione spontanea di una parte del
diritto internazionale nella quale rientrano, oltre le norme consuetudinarie, anche le norme di
“jus cogens” (diritto inderogabile) che non può essere derogato se non da un’altra norma avente
gli stessi caratteri e la stessa origine. La consuetudine è caratterizzata dalla “diuturnitas” ovvero
dalla ripetizione costante di comportamenti nel tempo con il convincimento che essi rispondono
ad un obbligo giuridico. Le norme di “jus cogens” possono assurgere al rango di diritto positivo
se diventano oggetto di trattati.
Contrariamente a Kelsen e a Morelli, alcuni autori individuano nella norma “Pacta sunt
servanda” la norma base dell’ordinamento internazionale e considerano la consuetudine come un
accordo tacito, sicché gli Stati dovrebbero di volta in volta accordarsi per riconoscere l’esistenza
di norme giuridiche internazionali. La critica a tale concezione è incentrata sull’esistenza di dati
oggettivi che prescindono dalla volontà: la consuetudine è un fatto giuridico e produce effetti a
prescindere dalla volontà dell’uomo, l’accordo resta un atto giuridico che comporta una volontà,
espressa o tacita, rispetto ad un dato oggetto. La consuetudine ha anche la caratteristica di essere
rivolta alla generalità e si rivolge a tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale.
4 L’accordo.
Ciò che differenzia l’accordo dalla consuetudine, è l’espressione di volontà del soggetto che
intende, tramite il testo scritto, regolare in tal maniera i rapporti con i contraenti.
La dottrina usava distinguere i trattati–contratto dai trattati–legge ed individuava solo nei
secondi le fonti di diritto internazionale, dato il carattere generale degli stessi. I trattati-contratto,
potrebbero essere paragonati ad accordi di natura privatistica, nel senso che avrebbero la
capacità di determinare situazioni giuridiche nei soli confronti delle parti contraenti. Ciò
conferma l’attuale tendenza a non considerare i trattati come fonte di diritto internazionale.
Mentre la norma consuetudinaria ha una efficacia generale, che riguarda, tutti gli Stati, l’accordo
ha una efficacia limitata agli autori, alle parti contraenti dell’accordo stesso.
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Nonostante l’accordo rappresenti una fonte di II grado, dobbiamo sottolineare che solo il 5%
dei rapporti che intercorrono tra gli Stati è regolato dalle norme consuetudinarie; l’altro 95% è
regolato dagli accordi che intercorrono tra gli Stati.
Oggi quando parliamo di Accordi o Trattati come fonte di norme internazionali , dobbiamo fare
riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che ha codificato le norme generali
e ha specificato in parte innovando e in parte integrando, le norme generali.
La Convenzione non precisa cosa è un Accordo. L’art. 1 dice che la presente convenzione si
applica ai trattati tra gli stati. E’ chiaro, quindi che si riferisce solo agli accordi tra gli stati e non
tra le Organizzazioni internazionali o tra Stati e Organizzazioni.All’art. 2, precisa che questi
trattati devono avere forma scritta . Anche se manca una definizione ufficiale possiamo
serenamente dire che si ha un accordo quando due o più persone vogliono la stessa cosa.
Quando due o più volontà coincidono e quindi un accordo internazionale lo possiamo definire
come un accordo che interviene tra due o più Stati circa la formazione di norme di diritto
internazionale.
In tutte le fasi della vita di un accordo, questo viene comunque e sempre regolato dalla volontà
dei soggetti nel senso che il principio del consenso e determinante in ogni fase : nella fase
iniziale delle trattative, delle consultazioni e delle negoziazioni.
Nel diritto internazionale, l’accordo tra due o più parti deroga alla consuetudine solo nei
confronti dei soggetti che vi hanno preso parte: la consuetudine continuerà ad esplicare la sua
funzione nei confronti degli enti che non hanno sottoscritto l’accordo. Conseguenza contraria si
sviluppa quando una norma consuetudinaria abroga un accordo: in questo caso la consuetudine
obbliga tutti gli Stati, non solo quelli che hanno partecipato all’accordo.
Le considerazioni svolte non si applicano al caso della codificazione del diritto internazionale.
La codificazione si ha quando una norma consuetudinaria è trasformata in diritto scritto:
eccezione fanno le norme che nascono obbligatorie perché ritenute tali dalla coscienza comune
di tutti i consociati. La convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, quella di Ginevra sul Diritto
del mare, la Convenzione sulle relazioni diplomatiche consolari sono esempi di norme
consuetudinarie trasformate in principi di diritto scritto, volto ad assicurare una certezza analoga
a quella del diritto statale. Norme consuetudinarie codificate.
Capitolo 3
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preesistente, ma ha solo una funzione conservativa del proprio diritto, quindi una funzione
strumentale rispetto a questo.
La notificazione ha la funzione di rendere nota una data situazione giuridica o di fatto, ed ha
valore costitutivo (es. uno Stato neutralizzato il cui status sia stato notificato non può essere
coinvolto in azioni militari o di pace in essere con gli altri Stati destinatari della notifica).
C) Con la denuncia ed il recesso, una parte di un trattato esprime la volontà di estinguerlo nei
propri confronti. La denuncia di un trattato bilaterale comporta l’estinzione dello stesso venendo
a mancare il requisito di bilateralità. Il recesso da un trattato plurilaterale, invece, comporta
l’estinzione del trattato solo per lo Stato recedente.
Gli accordi.
Prima della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, i trattati erano soggetti a
norme di natura consuetudinaria formatesi nel corso degli anni sulla base di comportamenti
tenuti dagli Stati per un certo periodo di tempo (requisito della cosiddetta diuturnitas), col
convincimento di ottemperare in tal modo ad un obbligo giuridico (cosiddetto opinio juris).
Se la norma di diritto internazionale consuetudinario non esisteva, si ricorreva ai princìpi
generali dei diritti riconosciuti dalle nazioni civili, i quali in base all’art. 38 n.3 dello Statuto
della Corte Permanente di Giustizia Internazionale e dello Statuto della Corte Internazionale di
Giustizia, costituivano i princìpi cui la Corte Internazionale di Giustizia deve riferirsi in assenza
di norme convenzionali e consuetudinarie per risolvere le controversie.
La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati si inserisce nell’opera di codificazione del
diritto internazionale intrapresa dalle Nazioni Unite in base all’art.13 n.1 a) dello Statuto ed ha
avuto il compito di dare una forma scritta ed una formulazione più corretta del diritto 1.
La convenzione di Vienna sul diritto dei trattati si inserisce nell’opera di codificazione del diritto
internazionale intrapresa dalle nazioni unite gia a partire dal 1947 con l’istituzione di una
commissione di esperti formata da 25 membri di riconosciuta competenza .
Rispetto alle norme che precedentemente regolavano la materia, la Convenzione di Vienna del
1969, presenta la caratteristica, comune a ogni codificazione del diritto, di conferire alle norme
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Altre innovazioni riguardano il riferimento alla corruzione dell’organo (art.50) come causa di vizio del consenso,
nonché il rilievo dato alla coercizione del consenso attraverso l’uso della violenza ed in particolare la violenza
esercitata contro uno Stato.
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una formulazione più precisa ed univoca assolvendo a quella che è la sua funzione principale di
conferire certezza al diritto.
3. Parti contraenti.
Uno dei problemi di diritto internazionale è la determinazione di quali enti possono essere parti
contraenti nel senso che essi risultano destinatari delle norme.
In primo luogo, certamente gli Stati sono tra i più importanti soggetti di diritto internazionale,
non essendoci differenza fra Stati di vecchia e di nuova formazione. Altri soggetti abilitati alla
stipula dei trattati sono:
le Organizzazioni Internazionali, quali l’ONU, la FAO (Organizzazione per
l’alimentazione e l’agricoltura) e le Organizzazioni Sovranazionali (ad es., la Comunità
Europea) possono concludere trattati e di fatto li hanno conclusi;
i cosiddetti enti dipendenti dagli Stati, cioè quegli enti che sono legati ad un ente superiore
da un rapporto di dipendenza (ad es. gli Stati membri di Stati federali o gli stati vassalli –
cantoni svizzeri – Lander germanici – Stati membri dell’URSS), limitatamente alla
possibilità loro concessa dagli Stati superiori e all’oggetto della concessione;
il partito insurrezionale che può concludere accordi purché sia fornito di un’organizzazione
operante su un determinato territorio;
i cosiddetti movimenti di liberazione nazionale (es. l’OLP, organizzazione per la
liberazione della Palestina), che hanno concluso trattati con gli Stati che li hanno
riconosciuti;
la Santa Sede ( da non confondere con lo Stato della Città del Vaticano che è un vero e
proprio Stato) che ha partecipato e partecipa a trattati che hanno per oggetto questioni di
carattere temporale e vengono denominati proprio trattati (Trattato del Laterano dell’11
febbraio 1929); altri accordi riguardano questioni di carattere spirituale prendono il nome di
concordati (Concordato dell’11 febbraio 1929 con l’Italia nonché gli accordi di revisione
concordataria, il cosiddetto Nuovo Concordato del 1984).
In ultimo, la Convenzione di Vienna all’Art. 1 prevede che la stessa si applichi ai trattati tra stati
e l’art. 3 non esclude il valore giuridico degli accordi conclusi tra soggetti di diritto
internazionale .
3 Gli organi
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Gli enti internazionali che partecipano alla stipula o alla formazione dei trattati, non agiscono
direttamente ma si avvalgono di organi, la cui manifestazione di volontà è attribuita all’ente per
cui l’organo agisce, attraverso la cosiddetta norma dell’imputazione giuridica (detta norma
consente di imputare all’ente l’attività compiuta dall’organo).
Come nel diritto privato, gli organi si distinguono in individuali e collegiali, a seconda che siano
formati da un singolo individuo o da più individui.
Esistono poi altri organi, quali ad esempio il Segretariato Generale dell’ONU, che rappresentano
la volontà di tutti i Paesi che fanno parte dell’organizzazione internazionale, ed ancora i
cosiddetti organi plenipotenziari forniti di pieni poteri a loro attribuiti dal Capo dello Stato o
dal Ministero degli Affari Esteri per la preparazione del testo dei Trattati (la fase della
negoziazione).
Altri organi dello Stato, infine, possono partecipare alla conclusione dei trattati, secondo l’art.7
della Convenzione dio Vienna sono :
- i Capi di missioni diplomatiche (se parti contraenti sono lo Stato che ha inviato la missione
diplomatica, detto Stato accreditante, e quello nei cui confronti il diplomatico agisce come
organo, il cosiddetto Stato accreditatario).
- i rappresentanti accreditati degli Stati ad una conferenza internazionale o presso
un’organizzazione o uno dei suoi organi, se deve adottarsi il testo di un trattato nel corso di
detta conferenza, presso detta organizzazione o detto organo;
- i comandanti militari competenti in materia di tregua, di armistizio o di rese .
Tutti gli organi elencati, in relazione all’espletamento delle funzioni ad esse proprie, godono di
una particolare immunità e di particolari condizioni, derivante dall’applicazione del principio
generale riguardante il rispetto della organizzazione altrui.
In genere, i vati enti internazionali sono tutti forniti di organizzazione giuridica, fondata sul
proprio ordinamento, cui corrisponde il più delle volte l’organizzazione interna effettiva,
composta da un gruppo di individui che, in un dato contesto e momento storico, svolge le
funzioni organiche dell’ente.
Può succedere che tra organizzazione effettiva e organizzazione giuridica non si riscontri tale
coincidenza perchè coloro che svolgono funzioni organiche con competenze sul piano del
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diritto internazionale, non lo siano sul piano del diritto interno (in base, cioè, alla organizzazione
che l’ente si è data all’interno dello stesso).
In questi casi, il diritto internazionale riconoscerà valore di “organo” all’individuo o al
complesso di individui che di fatto possiede questa qualità, e considererà competente
l’individuo, o il gruppo di individui, che di fatto risulti fornito di competenza internazionale.
Per determinare se effettivamente l’organo ha detta qualità, si dovrà osservare l’organizzazione
interna all’ente ed in particolare, il modo in cui detta organizzazione ha distribuito le funzioni
fra i vari organi. Ed ancora, l’attribuzione della competenza risulterà dall’atteggiamento che
l’ente ha nei confronti dell’organo imputato: se l’ente non si opporrà all’atto compiuto dal suo
organo, questi sarà considerato competente anche dal diritto internazionale; in presenza di un
formale disconoscimento da parte dell’ente stesso circa le qualità dell’organo, dovrà ritenersi
incompetente.
Gli organi degli enti internazionali compiono delle manifestazioni di volontà - imputate
dall’ordinamento internazionale ai soggetti per i quali agiscono - le quali, incontrandosi tra loro,
relativamente ad un dato oggetto, danno vita ad un accordo, la cui legittimità e valenza è
garantita dalla norma di diritto internazionale avente carattere generale, detta “Pacta sunt
servanda”, i patti devono essere rispettati. Gli accordi sono taciti, se risultano da comportamenti
concludenti, o espressi, se contenuti in un accordo verbale o scritto. Se all’accordo partecipano
due contraenti è detto bilaterale, se partecipano più contraenti è chiamato plurilaterale.
Il termine trattato è forse quello usato più frequentemente a volte solo per indicare solo un
accordo scritto o per accentuare l’importanza politica dell’accordo, così come si ricorre al
termine convenzione alternativamente rispetto al trattato o all’accordo, sebbene di solito le
convenzioni si utilizzano per codificare il diritto internazionale ( Convenzione di Vienna – di
Ginevra etc.).
Il termine accordo è usato indifferentemente per indicare accordi politici, economici o di altra
natura.
Lo scambio di note, che ha carattere accessorio rispetto al trattato, indica l’accordo risultante
dall’incontro della dichiarazione di volontà contenute in due strumenti (dette note): una delle
dichiarazioni è contenuta nella nota del Ministro degli Esteri di uno Stato indirizzata all’agente
diplomatico straniero accreditato presso lo Stato stesso, e l’altra nella nota di risposta diretta
dall’agente diplomatico al Ministro.
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Con il nome di Atto generale o Atto si indica un accordo plurilaterale che stabilisce regole di
particolare importanza.( Atto generale di Berlino sui problemi coloniali).
Il Protocollo è un accordo generale, accessorio ad un altro accordo e pone regole giuridiche di
carattere generale.
La Dichiarazione ha valore costitutivo di accordo se esprime il consenso dei contraenti;
altrimenti è utilizzata per stabilire princìpi generali cui le parti devono attenersi.
Il Modus vivendi è un accordo economico a carattere provvisorio in attesa di dare un assetto
definitivo al problema ed infine, con il termine Patto, Carta, Statuto e Costituzione si indicano
accordi costitutivi di unioni internazionali o sono utilizzati per regolare accordi istitutivi di
unioni internazionali. In tempi di guerra la termologia utilizzata per designare gli accordi assume
aspetti particolari quali tregua, armistizio, capitolazione etc.
7. Struttura di un trattato.
Sebbene i trattati si distinguono l’uno dall’altro per il loro contenuto che può essere molto vario,
dal punto di vista della struttura presentano molte analogie e risultano per lo più costituiti dalle
stesse parti: il titolo, il preambolo, il dispositivo e le disposizioni finali.
Il Titolo del trattato contiene succintamente l’indicazione dell’oggetto, le finalità che si
intendono raggiungere e, talvolta, il nome delle parti contraenti;
il Preambolo, invece, contiene l’elenco dei motivi che hanno determinato la conclusione del
trattato;
nel Dispositivo o Corpo del trattato sono presenti gli articoli suddivisi in ulteriori parti, che
contengono la disciplina del trattato (talvolta, nei primi articoli del dispositivo, è contenuta la
spiegazione di alcuni termini usati nel trattato stesso);
infine le Disposizioni finali riguardano lo scambio e il deposito delle ratifiche, la data e le
condizioni dell’entrata in vigore, le condizioni e le formalità di adesione e l’indicazione dei testi
su cui può fondarsi l’interpretazione ufficiale del trattato. Talvolta al testo del trattato si
aggiungono allegati che completano il testo e che ne fanno parte integrante o Atti finali
contenenti dichiarazioni solenni ( vedi Convenzione di Vienna – Dichiarazione di condanna
della violenza).
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Un trattato è il frutto di lunghe e laboriose trattative che gli enti internazionali pongono in essere
per ottenere il soddisfacimento delle rispettive aspettative, e questo complesso procedimento
consta generalmente di due fasi : la negoziazione e la ratifica.
La Negoziazione e la fase preparatoria ed è svolta dai plenipotenziari che provvedono alla
preparazione dell’accordo, non prima di aver indicato gli atti che attestano i loro pieni poteri.
La fase della negoziazione si conclude con la firma dei plenipotenziari e l’apposizione della
data. Il trattato così concluso sarà valido solo dopo essere stato ratificato: la Ratifica, infatti,
costituisce la manifestazione di volontà dello Stato di accettare integralmente il contenuto del
trattato e deve essere fatta dall’organo competente. E’ spesso accaduto che alla fase della
negoziazione non sia conseguita la ratifica da parte di tutti gli organi che partecipano alle
trattative. La ratifica è contenuta in un apposito strumento, detto “strumento di ratifica”, ed è
considerata, dal punto di vista giuridico, un elemento costitutivo del trattato. Essa, al pari
dell’accordo, deve essere scambiata con quella degli altri Stati contraenti e non è una
conseguenza automatica della fase di negoziazione ben potendo uno Stato rifiutarsi di ratificare
un trattato (con la conseguenza che il trattato non è obbligatorio per lo Stato che non lo ha
ratificato).
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poteri, la preparazione delle copie conformi al testo originale e le varie traduzioni nelle lingue
indicate dal trattato, la notifica dell’avvenuto deposito delle successive ratifiche agli enti che
hanno provveduto all’espletamento di detta procedura.
11. L’adesione.
Generalmente solo gli enti che hanno partecipato alla negoziazione di un trattato possono
successivamente ratificarlo. In alcuni casi, però, anche gli enti che non hanno contribuito alla
formazione del trattato, possono divenire parti dell’accordo mediante la procedura
dell’adesione.
I trattati in cui è prevista questa possibilità sono definiti aperti, se detta facoltà non è prevista si
parla di trattati chiusi.
L’art.15 della Convenzione di Vienna contempla l’ipotesi di una clausola espressa di adesione,
l’eventuale esistenza di una clausola tacita, se accertabile che gli Stati che hanno partecipato alla
negoziazione hanno convenuto che quello Stato avrebbe potuto aderire in detta maniera e una
clausola di adesione successiva, se tutte le parti hanno convenuto che il consenso sarebbe potuto
essere espresso da tale Stato con l’adesione. Anche l’adesione è un elemento costitutivo
dell’accordo.
12. Le riserve.
In alcuni casi, per allargare al massimo il numero di partecipanti al trattato, è consentito a taluni
Stati di accettare il testo del trattato apponendovi alcune riserve che rendono o non rendono
efficaci nei confronti degli Stati che lo fanno, alcune parti del trattato stesso.
L’art.19 della Convenzione di Vienna elenca i casi in cui le riserve non possono essere apposte:
se nel trattato vi è un preciso divieto in proposito ad apporre riserve;
se sono individuate delle riserve tra le quali non è contemplata quella questione;
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L’introduzione di questa norma si scontrava con uno dei princìpi cardini del diritto internazionale secondo cui un
patto è valido solo nei confronti degli Stati contraenti e non nei confronti di Stati terzi: detto principio applicato al
Patto avrebbe comportato l’obbligo della registrazione solo per i Paesi membri della Società delle Nazioni e non per
i Paesi terzi estranei alla Società delle Nazioni.
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Il termine iniziale sospende l’efficacia del trattato (che si considera comunque perfetto)
fino al verificarsi della data stabilita come termine che è considerato un avvenimento
futuro e certo;
La condizione sospensiva ritarda l’entrata in vigore del trattato ma costituisce un
avvenimento futuro e incerto che potrebbe anche non verificarsi. La condizione
sospensiva può essere propria o impropria a seconda che al verificarsi del fatto il trattato
acquisti efficacia retroattiva (propria) o dal momento in cui si è realizzato l’episodio
oggetto della condizione (impropria).
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Le parti contraenti possono anche stabilire la nascita di obblighi e diritti soggettivi in capo ad
uno Stato terzo:
1) nel caso di disposizioni di obblighi occorre che lo Stato terzo coinvolto, debba accettarli
per iscritto; l’obbligo così assunto potrà essere revocato o modificato con il consenso
delle parti contraenti e dello stesso Stato terzo;
2) mentre nel caso di acquisto di un diritto, il consenso si ritiene esistente finché non si
riscontri una indicazione contraria ed esso non potrà essere revocato senza il consenso
dello Stato terzo a meno che non sia stato stabilito che non occorre il consenso del terzo.
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Il c.d. errore ostativo è preso in considerazione dall’art.79, e riguarda la correzione degli errori
contenuti nei testi o nelle copie ed è considerato dalla convenzione come suscettibile di
correzione seguendo una appropriata procedura.
Considerazione a parte merita l’errore bilaterale, detto comunemente dissenso, il quale,
escludendo uno dei requisiti fondamentali del trattatati, cioè il consenso, implica conseguenze
più gravi quali l’inesistenza o la nullità assoluta del trattato.
Quanto al dolo, la dottrina internazionalistica ritiene si configuri come un errore in cui un ente
incorre in seguito al raggiro della controparte e produce le stesse conseguenze dell’errore.
Più complesso il problema della violenza come causa d’invalidità dei trattati. Uno degli
orientamenti più seguiti distingue la violenza esercitata contro l’organo dalla violenza esercitata
contro lo Stato.
La violenza contro l’organo può essere morale o fisica:
- la violenza morale può riguardare la sfera personale dell’organo, l’individuo che lo
rappresenta o i suoi familiare, o lo Stato, nel senso di minaccia rivolta contro un bene dello
Stato;
- la violenza contro lo Stato non era considerata come causa di invalidità dei trattati dalla
dottrina tradizionale e dalla consuetudine.
La Convenzione di Vienna ha accolto, all’art.51, come causa d’invalidità dei trattati, la violenza
esercitata contro l’organo e all’art.52, derogando dai principi tradizionali affermando l’invalidità
dei trattati conclusi sotto l’influsso di minacce o con l’uso della forza in violazione dei principi
di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite attribuendo rilevanza
giuridica alla violenza contro lo Stato.
La violenza economica costituisce oggetto di solenne condanna, insieme con qualsiasi forma di
violenza o minacce, nella Dichiarazione allegata all’atto finale della Convenzione.
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Sembra più opportuno ricondurre la corruzione all’eccesso di potere o allo sviamento di potere,
intendendosi per eccesso lo straripamento del potere e per sviamento del potere la deviazione del
potere discrezionale dell’organo dal fine che di volta in volta lo Stato intende perseguire.
Per quanto riguarda la nullità del trattato per contrasto con le norme imperative di diritto
internazionale generale, l’art.53 della Convenzione contempla la nullità di un trattato che, al
momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto
internazionale generale, intendendosi per tale una norma accettata e riconosciuta dalla Comunità
Internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma inderogabile.
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Nel caso di trattato concluso in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale
generale, le parti sono tenute ad eliminare le conseguenze di ogni atto compiuto in contrasto con
dette norme.
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diretto a regolare la materia mediante norme diverse o incompatibili con quelle del primo
trattato. Inoltre, la sospensione è considerata alternativa all’estinzione nel caso di
violazione e come conseguenza della sopravvenienza di una situazione che renda
impossibile l’esecuzione o di un mutamento fondamentale delle circostanze di fatto.
L’art. 72 prevede le conseguenza della sospensione: in seguito ad essa le parti sono
temporaneamente liberate dall’obbligo reciproco di dare esecuzione al trattato, senza che
siano pregiudicati i rapporti stabiliti dal trattato tra le parti le quali devono astenersi dal
compiere atti che possano ostacolare la ripresa del trattato.
28. La procedura.
Tutta la parte IV della Convenzione di Vienna è dedicata alla procedura da seguire in caso di
nullità di un trattato, di estinzione, recesso o sospensione ed alla procedura per la disciplina
dell’arbitrato o la conciliazione.
Sulla base degli artt.65 – 68 della Convenzione l’ente che intenda invalidare un trattato deve
notificare per iscritto, mediante uno strumento firmato dal Capo dello Stato o dal Governo o dal
Ministro degli esteri o da un plenipotenziario, la sua intenzione di recedere dal trattato indicando
il provvedimento previsto nei confronti del trattato e le ragioni che ne hanno suggerito
l’adozione. La notificata può essere revocata in un qualsiasi momento prima che abbia effetto e
se in un termine non inferiore a tre mesi, nessuna delle parti solleva obiezioni, l’ente può
applicare il provvedimento indicato all’atto di notifica; nel caso in cui vi sia una parte che
solleva obiezione, si dovrà far ricorso alla mediazione, conciliazione o accordo per risolvere la
questione. Se entro dodici mesi successivi non si è trovata una soluzione, ogni parte può
sottoporre la questione dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia o sottoporre la questione ad
arbitrato.
Per le controversie che riguardano l’esistenza di vizi del volere ci si può rivolgere al Segretariato
delle N.U. che cercherà, mediante conciliazione o nominando una Commissione di conciliazione,
di risolvere amichevolmente la questione.
29. La rappresentanza.
Anziché agire direttamente, uno Stato può farsi rappresentare da un altro Stato per il compimento
di alcuni atti di diritto internazionale. Il rapporto di rappresentanza si instaura attraverso un atto
unilaterale del rappresentato diretto a conferire i poteri al rappresentante( mandato della Gran
Bretagna all’Italia di rappresentarla con la Libia).Un rapporto di rappresentanza può essere
istituito anche attraverso una norma di un trattato senza che esso perda il carattere di atto
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La direttiva vincola lo Stato cui è rivolta solo per l’obiettivo da raggiungere, salva la
competenza degli organi nazionali per decidere che mezzi adottare per il conseguimento
dell’obiettivo. Lo Stato può in molti casi provvedere a perseguire i risultati indicati attraverso
l’emanazione di una legge o di un provvedimento amministrativo, sempre che la direttiva non
contenga delle disposizioni già presenti nell’ordinamento interno dello Stato. Generalmente è
prevista l’indicazione di un “dies a quo” per consentire allo Stato destinatario di adeguare la
normativa interna alla direttiva comunitaria, nel lasso di tempo che intercorre tra l’emanazione
della stessa e la sua entrata in vigore.
A questo proposito distinguiamo le direttive rivolte a tutti gli Stati, che entrano in vigore alla
data stabilita o, in mancanza di data, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, e
le direttive rivolte agli Stati singoli, che sono notificate agli stessi ed acquistano efficacia con la
notifica. Che si tratta di atti a carattere legislativo lo si desume dal contenuto degli emendamenti
aggiunti dal trattato di Mastricht ( 1992 ) all’art. 189 del trattato di Roma, istitutivo della
Comunità Economica Europea - CEE, con i quali si indicano le procedure per l’adozione dei
singoli atti comunitari aventi carattere legislativo. Si tratta, quindi, di atti che vincolano nei
risultati.
Lo scopo delle direttive è quello di uniformare la disciplina legislativa su una data materia in
tutti gli Stati dell’Unione. Ciò significa che lo Stato cui la direttiva è rivolta per armonizzare la
propria legislazione, deve adeguarla a quella degli altri stati essendo stata questa assunta come
modello cui adeguarsi. Tutte le direttive presentano delle caratteristiche costanti: hanno un
“preambolo”, i c.d. considerando, in cui richiamano i precedenti normativi e le motivazioni che
hanno spinto all’adozione della direttiva, un "corpo" in cui sono indicati gli obiettivi da
raggiungere con l’indicazione degli obblighi a carico dei destinatari, e delle “disposizioni finali”,
quali quelle sul termine iniziale di efficacia e quelle sulla procedura di pubblicazione. Le
direttive possono essere precise e dettagliate: in questo caso il loro contenuto è così
particolareggiato da non consentire agli Stati destinatari alcun margine di discrezionalità, al
punto che al legislatore non rimane altro che procedere al suo integrale recepimento, senza
alcuna possibilità di modifica. In questi casi la direttiva produce un effetto diretto, paragonabile a
quello dei regolamenti ed in tale circostanza lo Stato è tenuto ad applicare la direttiva. Anche se
va precisato, così come ha chiarito la Corte di Giustizia Europea, che una direttiva idonea a
produrre effetti diretti non può di per se creare obblighi a carico di un singolo e le disposizioni in
essa contenute non possono essere fatte valere nei confronti del singolo. Inoltre, oltre gli atti
comunitari indicati, previsti per la realizzazione delle varie politiche, la Comunità è dotata dei
poteri impliciti ed il Consiglio può superare qualunque limite posto al suo potere, deliberando
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all’unanimità, dopo aver consultato il Parlamento, quando una azione risulti necessaria per il
raggiungimento di uno scopo. Regolamenti, direttive e decisioni del Consiglio e della
Commissione sono motivati e fanno riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente
richiesti in esecuzione del trattato istitutivo.
I regolamenti sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Comunità ed entrano in vigore alla
data stabilita o, in mancanza, nel ventesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Direttive
e decisioni sono notificate ai loro destinatari ed entrano in vigore dalla loro notificazione. Infine,
il Consiglio Europeo è in grado di superare i limiti imposti dalle norme pattizie, deliberando
all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo, se
un’azione è necessaria al raggiungimento degli scopo della Comunità.
Capitolo IV
1
La teoria monista, invece, nega la possibilità che diritto interno e diritto internazionale possano separarsi,
affermando ora la prevalenza dell’uno ora dell’altro. In un caso il diritto internazionale è una sorta di diritto
fondamentale e quindi il diritto interno non è altro che quella parte di diritto internazionale relativa ad uno Stato. Un
altro orientamento ritiene che il diritto internazionale non sia altro che la parte di diritto che riguarda le relazioni con
gli altri Stati.
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La separazione tra gli ordinamenti implica la necessità di creare tra questi un rapporto mediante
il rinvio. Il procedimento giuridico del rinvio può avvenire dall’ordinamento interno a quello
internazionale, da un ordinamento statale ad un altro, o dall’ordinamento internazionale agli
ordinamenti interni degli Stati (nel caso in cui un trattato rinvia a principi di diritto interno). Ad
esempio un accordo sulla cittadinanza, ove non contenga una disciplina dettagliata, diretta a
definire i criteri sulla cittadinanza, farà rinvio alle norme interne in materia delle parti contraenti.
Il rinvio può avere varie forme:
il rinvio ricettizio si ha quando nell’ordinamento richiamante esiste una norma “in bianco”
che deve essere di volta in volta riempita da una norma di un altro ordinamento;
il rinvio non ricettizio comporta l’esistenza di una norma interna non completa il cui
contenuto deve essere integrato. Nel procedimento ordinario di adattamento il rinvio non è
mai ricettizio perché il legislatore interno emana norme di diritto interno richiamandosi alle
norme di diritto internazionale;
il rinvio ricettizio implicante una trasformazione nel senso che la norma internazionale è
recepita e trasformata mediante un rinvio dell’ordinamento interno allo ordinamento
internazionale (questo è quello che succede nel procedimento speciale di adattamento in cui
le norme di diritto interno hanno lo stesso contenuto delle norme internazionali).
Nell’ordinamento italiano, l’adattamento del diritto interno al diritto internazionale avviene
attraverso due procedimenti: il procedimento ordinario e il procedimento speciale.
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la norma successiva deroga alla norma precedente e la norma speciale prevale su quella
generale: la Corte Costituzionale ha affermato che anche in caso di norma successiva
contrastante con la norma comunitaria , la norma interna deve essere disapplicata. La
sentenza del 1984 si riferiva ai regolamenti ma può essere applicata anche alle direttive
dettagliate in quanto queste contengono una normazione dettagliata e immediatamente
applicabile. La stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto diretta efficacia alle direttive
dettagliate, con sentenza del 2 febbraio 1990 n.64: se, invece, la direttiva non sia in grado di
produrre effetti diretti, essa non è direttamente applicabile e la legge interna mantiene la sua
efficacia.
La discrezionalità che l’art.189 del Trattato di Roma ha lasciato agli Stati circa la scelta dei
mezzi per attuare le direttive comunitarie, ha creato delle situazioni di inadempienza da parte
di vari Stati. In effetti la funzione dell’ordine di esecuzione è proprio quella di consentire allo
Stato italiano di eseguire gli obblighi internazionali assunti e di obbligarlo all’adeguamento
con la disciplina europea anche se, in molti casi, l’Italia è stata dichiarata inadempiente.
Il Parlamento ha cercato di ovviare al problema dei ritardi di attuazione adottando diversi
provvedimenti legislativi:
- quello del 13 luglio 1965 n.871 con cui il governo venne autorizzato ad emanare decreti per
l’esecuzione degli obblighi derivati dalle direttive;
- la legge delega del 13 ottobre 1969 n.470 che dava esecuzione agli obblighi derivanti dalle
direttive, dalle decisioni; ecc.;
- ma la prima legge organica in materia è stata la legge 16 aprile 1987, n.183 (la cosiddetta
legge Fabbri), riguardante il coordinamento delle norme di adeguamento dell’ordinamento
interno agli atti normativi comunitari a cui è seguita la legge n. 86 del 1989, che prevede
l’emanazione annuale della legge comunitaria su proposta del ministro competente.
Una volta chiariti gli obblighi che gravano sullo Stato, un’altra questione riguarda la
possibilità per le Regioni di adottare direttive comunitarie. In base ad una serie di
provvedimenti legislativi, quando si tratta di direttive fatte proprie dallo Stato con legge che
indica espressamente le norme di principio, deve riconoscersi la competenza regionale: ciò
significa che è necessario che il legislatore emani una legge cornice alla quale segue la legge
regionale.
Attualmente, in conformità alla legge.n.86 sia le regioni a statuto speciale, sia quelle
ordinarie insieme alle province autonome possono dar esecuzione a direttive anche in
assenza della legge interna di attuazione dopo l’entrata in vigore della prima legge
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comunitaria successiva alla notifica della direttiva. Questo meccanismo avrebbe lo scopo di
ovviare alle inadempienze del legislatore statale, le cui norme di principio, comunque,
prevalgono sulle disposizioni contrarie già emanate dagli organi regionali e che può,
peraltro, emanare una normativa dettagliata ove le Regioni non provvedano
tempestivamente. Infine, nel caso di accertata inattività degli organi regionali, comportante
inadempimento degli obblighi comunitari, il D.P.R. del 24 luglio 1977 n.616, assegna un
potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri: potere il cui esercizio e la cui essenza stessa
urterebbero contro la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni prevista dalla
Costituzione, ma che si giustifica in relazione al fine rappresentato dall’adempimento degli
obblighi comunitari. Non si può non osservare , a conclusione di quanto detto, che la
direttiva comunitaria rappresenta lo strumento elettivo per realizzare il processo di
armonizzazione tra le legislazioni e questo comporta la necessità della eliminazione delle
incompatibilità esistenti tra le varie discipline.
Capitolo V
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2 La soggettività internazionale degli Stati. Gli elementi costitutivi dello Stato : Popolo,
territorio e sovranità.
Gli Stati sono, quindi, i principali creatori e destinatari al tempo stesso, delle norme
dell’ordinamento internazionale nel quale agiscono su basi di uguaglianza.
Gli elementi distintivi e costitutivi dello Stato sono tre:
il popolo, su cui si esercita il potere;
la sovranità, caratterizzata dall’indipendenza;
il territorio sul quale è insediato il popolo;
Questi elementi fanno si che ove ne manchi anche uno come avviene nel caso delle
organiz.internazioinali, l’ente può aspirare a possedere la soggettività internazionale, ma non si
identifica con lo Stato. ( vedi Antartide che non può avere la qualifica di Stato per la mancanza
di un popolo).
Diversamente, enti di piccole dimensioni territoriali ma nei quali i tre elementi costitutivi sono
contemporaneamente presenti, sono configurabili come Stati, talora definiti “Ministati”( San
Marino – Monaco ) etc.
La partecipazione di uno Stato ad accordi internazionali, per molto tempo, ha significato il
possesso della soggettività giuridica internazionale: secondo questa teoria il riconoscimento di
un nuovo soggetto di diritto internazionale troverebbe il suo fondamento su un accordo fra Stati
di vecchia formazione e Stati di nuova formazione riconosciuti attraverso un accordo bilaterale.
Questa teoria, che ha subito numerose critiche per la quantità notevole di accordi bilaterali che
andrebbero stipulati, visto il numero degli stati esistenti, ha poi subito una modifica , nel senso
che alcuni autori si sono riferiti alla possibilità di un riconoscimento costitutivo unilaterale
nel senso che, sorgendo un nuovo Stato ed ammettendosi la esistenza nell’ordinamento
internazionale di norme consuetudinarie, la soggettività di tale stato sarebbe legata al
riconoscimento che, con un atto unilaterale e con effetti costitutivi sarebbe compiuto dagli stati
preesistenti.
Anche questa teoria non è esente da critiche ammettendosi che uno stato è soggetto giuridico
anche se non è stato riconosciuto, purché possegga i requisiti sopra enunciati.
3 .La sovranità.
Se tra gli elementi costitutivi dello Stato il territorio è quello di più facile identificazione
trattandosi di un dato oggettivo di immediata individuazione, il concetto di popolo ha dato luogo
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a qualche problema ai fini della sua determinazione. Si è molto discusso se il concetto di popolo
deve essere limitato ad un gruppo di persone aventi la stessa lingua ed appartenenti allo stesso
gruppo etnico o può ammettersi anche l’esistenza di gruppi minoritari.
In effetti è di tutta evidenza che alcuni Stati hanno popoli costituiti da più gruppi etnico-
linguistici (es. la Svizzera, il Belgio, il Canada, ecc.) e non può negarsi che altri Stati, come
l’Italia, presentino le cosiddette minoranze etniche.
Ne consegue che l’elemento popolo considerato da solo, senza il territorio e soprattutto senza la
sovranità, stenta ad identificarsi e ad identificare lo Stato.
Si è verificato, al riguardo, il passaggio da una posizione conservatrice ad una posizione più
moderna. Per la prima, infatti, il popolo era costituito da sudditi cioè sottoposti allo Stato, per la
seconda prevale certo il concetto di cittadinanza che nei tempi più recenti tende a trasformarsi
in cittadinanza europea.
Anche l’integrazione tra sovranità e territorio è complessa. Se in passato, difatti, il territorio di
uno Stato si identificava facilmente nello spazio di terra e di mare compresi nei confini dello
Stato, l’evoluzione della scienza e della tecnologia hanno indotto a modificare in parte questa
concezione, con riferimento soprattutto, sia al mare sia allo spazio aereo sovrastante lo Stato.
Con riferimento al primo, il mare, l’indeterminatezza dell’estensione del mare territoriale,
oggetto per secoli di discussioni, è stata finalmente superata dalla Convenzione delle Nazioni
Unite di Montego Bay sul diritto del mare, che definisce mare territoriale la striscia di mare
adiacente alle coste di uno Stato su cui si estende la sovranità che quest’ultimo esercita nel
proprio territorio: l’estensione del mare territoriale può giungere fino a 12 miglia.
Dopo gli iniziali problemi legati al criterio da seguire per la misurazione delle 12 miglia, si è
giunti ad un accordo a seguito dell’intervento della Corte Internaz.( controversia tra Gran
Bretagna e Norvegia) ricorrendo al sistema delle linee rette, congiungenti le estremità degli
scogli ( due punti naturali esterni) e senza tener conto delle sinuosità della costa.
Se due Stati si fronteggiano con una distanza inferiore alle 12 miglia, la delimitazione del
rispettivo mare territoriale avviene sulla base di criteri di equidistanza, salvo contrario accordo
tra le parti.
Con riferimento alle baie, devono distinguersi le cosiddette baie storiche, sulle quali lo Stato
costiero può vantare diritti esclusivi. Il problema non si pone allorché la distanza tra le baie e lo
Stato superi le 24 miglia: in questo caso si traccia una linea retta di 24 miglia in modo da lasciare
all’interno più superficie marina possibile.
Lo Stato costiero è tenuto a consentire però il passaggio inoffensivo delle navi anche da guerra
straniere, passaggio che, per i sottomarini, deve avvenire in superficie.
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La piattaforma continentale è quella parte del fondale marino, naturale prolungamento della
terraferma, a scarsa pendenza, che forma una fascia di larghezza variabile al margine dei
continenti giungendo fino all’inizio della scarpata continentale.
Alla piattaforma è dedicata una delle Convenzioni di Ginevra del 1958 prevedendo limite fino a
200 metri di profondità oltre il mare territoriale ed oltre questo limite ove lo Stato sia in grado di
sfruttare le risorse naturali dei fondi marini. Anche per la piattaforma, nel caso in cui si
fronteggino due Stati, deve ricorrersi al criterio dell’equidistanza tracciando una linea retta,
sempre che gli Stati non concludano appositi accordi al riguardo.
Le risorse minerarie del fondo marino, essendo esauribili, sono state dichiarate dall’Assemblea
Generale dell’ONU con risoluzione del 17/12/1970 n.2749 patrimonio comune dell’umanità,
termine riprodotto anche nella Convenzione di Montego Bay e propugnato dai Paesi in Via di
Sviluppo. La citata convenzione contiene la previsione dell'istituzione della cosiddetta Autorità
Internazionale dei Fondi Marini, competente a regolare lo sfruttamento delle risorse del fondo e
del sottosuolo dell’alto mare in funzione dell’interesse dell’umanità anche in considerazione del
dislivello in termini di economia, di sviluppo, di risorse finanziarie e tecnologiche dei vari Stati
nel mondo.
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veicoli spaziali destinati a sorvolare il territorio altrui, ha mai ritenuto necessario chiedere la
preventiva autorizzazione agli Stati sorvolati.
Tale atteggiamento dei soggetti internazionali ha indotto a ritenere che si sia affermato un
principio secondo il quale il sorvolo, da parte di veicoli spaziali, del territorio di Stati diversi da
quello che ha effettuato il lancio o ne controlla il volo, è lecito e non può essere impedito dagli
Stati sorvolati.
Il trattato sui princìpi distingue, esplicitamente, l’atmosfera e lo spazio cosmico, considerandoli
come ambiti spaziali diversi, sebbene è assai vario ed incerto l’atteggiamento assunto a proposito
dei criteri da utilizzare. Tale situazione si riflette nella temporanea impossibilità di addivenire ad
un accordo sulla definizione dello spazio cosmico, nonostante i tentativi esperiti dal Comitato
delle Nazioni Unite per l’utilizzo pacifico degli spazi cosmici. La conclusione che può trarsi è
che, pur non essendosi manifestato un atteggiamento univoco e generalizzato degli Stati circa i
criteri in base ai quali possa procedere alla limitazione tra la sovranità statale la libertà di
utilizzazione dello spazio sovrastante, detta libertà è certamente un principio affermato
nell’ambito della Comunità internazionale. La sovranità dello stato, nello spazio sovrastante il
proprio territorio, è limitata, in senso verticale, solo dall’esaurirsi della funzione di governo
intesa come esclusiva, pertanto, la delimitazione tra spazio atmosferico e spazio cosmico deve
essere individuata in corrispondenza dell’impossibilità per lo Stato sottostante di disciplinare e
controllare, in maniera esclusiva, le attività che si possono svolgere in esso.
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Infine si è andato sempre più affermandosi il concetto di sviluppo sostenibile inteso come
sviluppo che uno stato può realizzare in considerazione equilibrata delle proprie risorse
finanziarie, del proprio ambiente naturale e delle proprie necessità.
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Il fenomeno della decolonizzazione, nel periodo degli anni 60, ha rappresentato il fattore
determinante della nascita di un gran numero di Stati
L’acquisizione dell’indipendenza da parte delle colonie in cui si sostanzia la decolonizzazione, è
avvenuta in vario modo: talora in modo autonomo da parte della colonia, talvolta su
sollecitazione della cosiddetta madre patria, vale a dire della Potenza coloniale.
In alcuni casi, poi, c’è stata una guerra civile o contro lo Stato coloniale, in altri, ancora, il
passaggio dal regime coloniale all’indipendenza è avvenuto in modo incruento anche a seguito
dell’azione delle Nazioni Unite. È anche possibile che uno Stato si formi attraverso
l’unificazione o la fusione di due Stati preesistenti( Yemen del Nord e del Sud) anche in
ossequio al principio di autodeterminazione dei popoli e l’applicazione di tale principio ha
spesso favorito la nascita di Stati di modeste dimensioni.
Dal novembre del 1989 ( caduta del muro) la creazione di nuovi stati è avvenuta per
smembramento o dissoluzione dell’Unione delle Rep. Socialiste Sovietiche ( URSS) della
Iugoslavia della Cecoslovacchia. La riunificazione della Germania è avvenuta sulla base di un
complesso processo di annessione dei Lander attualmente in n.di 16 ( 10 RTF + 5 RDT + 1
Berlino).
I mutamenti costituzionali si verificano perché la norma base dell’ordinamento statale muta, e si
passa ad es. da uno stato democratico ad uno totalitario, sebbene per il diritto internazionale
anche il nuovo Stato, sempre che sia sovrano, acquisisca immediatamente la qualità di soggetto
internazionale. In passato si riteneva che il mutamento costituzionale dava vita ad un nuovo
soggetto internazionale, determinando la estinzione del vecchio stato: celebre è il caso della
Russia che, per non onorare i debiti contratti dal regime zarista, sostenne che la rivoluzione
aveva dato vita ad un nuovo soggetto senza alcun obbligo con il passato, mentre il protocollo di
Londra del 1931 stabilì che gli obblighi contratti con i trattati non vengono meno qualunque sia
il regime politico o i mutamenti costituzionali successivamente intervenuti all’interno degli Stati.
L’estinzione di uno Stato è correlata alla nascita di un nuovo Stato nel senso che lo
smembramento o la dissoluzione di uno stato può determinarne la nascita di uno nuovo.
Tuttavia, uno Stato può estinguersi nel caso venga meno la sovranità o un popolo decida per una
migrazione di massa o a seguito di una disfatta militare con relativo assoggettamento allo stato
vincitore.
Conseguenze dell’estinzione di uno stato.
L’estinzione di uno Stato lascia aperta la questione della successione nei trattati che questi ha
stipulato. In materia di beni esiste una convenzione firmata a Vienna nel 1883 ma non ancora
entrata in vigore che prevede:
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In caso di smembramento, è prevista un’equa ripartizione dei beni tra i vari Stati risultanti dallo
smembramento. Per il debito pubblico la convenzione prevede la possibilità di successione
secondo cui il successore non dovrebbe ereditare il debito, secondo il principio della tabula
rasa, salvo accordi in senso contrario.
Per quanto riguarda la successione degli stati nei trattati esiste la convenzione di Vienna del 1978
che disciplina l’intera materia: tale convenzione si è ispirata al principio della continuità dei
trattati e prevede l’applicazione del principio della tabula rasa solo nei confronti di trattati cui
succedono Stati decolonizzati, il che comporta che il nuovo soggetto rinegozi il contenuto del
trattato stipulato dal predecessore Stato colonizzatore, notificando detta intenzione allo Stato
terzo. E possibile che si verifichi la cosiddetta trasmissione allo Stato successore degli obblighi
localizzabili, cioè legati ad un dato territorio, ove questo sia incluso in uno Stato di nuova
formazione. ( la Slovenia che subentra al posto della Iugoslavia nel trattato di Osimo).
La Santa Sede non coincide né con lo Stato Pontificio né con lo Stato della Città del Vaticano
che si è costituito nel 1929 con i Patti Lateranensi. Occorre quindi porsi il problema se la Santa
Sede, che ha continuato ad operare tra il 1870 e il 1929 come ente particolare, ente sui generis,
sia da considerare o meno soggetto di diritto internazionale.
Se le Santa Sede non fosse stata soggetto di diritto internazionale non avrebbe potuto concludere
i Patti Lateranensi del 1929 che sono accordi internazionali a tutti gli effetti perché essi
comprendono non solamente il Concordato successivamente modificato nel 1984, ma anche il
Trattato del Laterano che è qualcosa di diverso dal Concordato.
Per valutare se la Santa Sede sia soggetto di diritto internazionale ossia destinatario delle norme
di diritto internazionale e quindi titolare di situazioni giuridiche soggettive attive e passive
occorre considerare che :
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a) storicamente, durante tutta la sua vita millenaria la Santa Sede ha concluso trattati
internazionali. Il Concordato è un accordo internazionale concernente prevalentemente questioni
di carattere spirituale, religioso o morale. Il termine concordato indica che entrambi i
partecipanti si pongono in una posizione di reciproca preminenza nel senso che entrambi
operano delle concessioni. Ma occorre precisare che il concordato non può desumere la sua
giuridicità dall’ordinamento canonico soltanto, perché in caso contrario, lo Stato non potrebbe
fare concessioni non potendo neanche essere stato parte del detto accordo. In realtà il
Concordato desume la sua obbligatorietà dall’ordinamento internazionale in quanto accordo
internazionale.
La Santa Sede, quindi, è destinataria di tutte le norme di diritto internazionale generale con forza
vincolante “erga omnes” che obbligano tutti i soggetti della Comunità internazionale, nonché
delle norme di carattere pattizio e consuetudinario che essa stessa contribuisce a creare con la
sola esclusione di quelle norme che sono incompatibili con la funzione stessa della Chiesa come
ad es. le norme di carattere bellico.
b) E’ titolare del diritto di legazione attivo e passivo nei rapporti con gli altri Stati ed ha sempre
avuto il diritto di accreditare e di ricevere agenti diplomatici stranieri ed è destinataria di tutte
quelle norme di diritto internazionali consuetudinarie. Esistono a Roma ambasciate distinte per
la S.S. e per lo Stato Italiano ed inoltre, il Regolamento di Vienna concede al Nunzio
Apostolico, decano del Corpo diplomatico, una posizione di “primus inter pares” nell’ambito di
un Corpo diplomatico che comprende tutti gli agenti diplomatici accreditati presso uno Stato
straniero.
3. I partiti insurrezionali.
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È un gruppo sociale organizzato in grado di esercitare un potere di controllo di una porzione del
territorio dello Stato contro il quale l’insurrezione è diretta.
Si parla di soggetto di diritto internazionale solo se gli insorti istituiscono un governo di fatto,
cioè controllano una parte del territorio. Ciò che conta, quindi, è l’effettività e cioè il controllo
di una porzione di territorio: nel caso di un governo di fatto locale, ci saranno due distinti
soggetti di diritto internazionale ossia il governo legittimo ed il governo degli insorti. Il
riconoscimento, cioè un accordo tra il governo centrale ed il partito insurrezionale senza il quale
quest’ultimo non esiste sul piano internazionale, ha natura costitutiva e può essere compiuto o
unilateralmente dallo Stato o sulla base di un accordo stipulato tra i soggetti. La soggettività
internazionale del partito insurrezionale è destinata ad estinguersi perché o l’insurrezione viene
repressa, e lo Stato legittimo riacquista la sovranità sulla porzione di territorio controllata, o
l’insurrezione è vittoriosa e quindi detta porzione di territorio andrà a costituire un nuovo Stato,
oppure il governo di fatto locale si trasforma in un governo di fatto generale a seguito di una
modifica costituzionale di quella che era una certa organizzazione statale.
4. I movimenti di liberazione.
Il movimento di liberazione nazionale in genere non è dotato di una organizzazione che esercita
effettivamente un controllo su una parte del territorio di uno Stato e quindi manca un essenziale
elemento che può dar vita a la soggettività. Inoltre la stessa motivazione del movimento,
presuppone rivendicazioni che dipendono dalla volontà di autodeterminazione del popolo
rappresentato dallo stesso movimento. Così il movimento di liberazione nazionale nasce attorno
ad una certa identità etnica o religiosa e ciò lo differenzia dal partito insurrezionale che è mosso
da motivazioni politiche. Tra i movimenti di liberazione nazionale si ricorda l’organizzazione
per la liberazione della Palestina (OLP) che ha svolto attività internazionale piuttosto intensa ed
è stata invitata dalle N.U. anche se senza diritto di voto.
La stessa Corte di Cassazione le ha riconosciuto una certa soggettività, anche se limitata, che
l’ha posta sullo stesso piano degli Stati sovrani quando si è trattato di discutere su questioni
relative ai modi ed ai tempi di attuazione della autodeterminazione del popolo rappresentato.
A Yasser Arafat, comunque, sono state negate le immunità riconosciute ai capi di Stato stranieri.
5. I gruppi sociali.
Si parla di gruppi sociali come soggetti di diritto internazionale in quanto gruppi organizzati
con riferimento in particolare al periodo del Risorgimento quando nacque il concetto di nazione
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che accomuna soggetti che parlano la stessa lingua, seguono lo stesso culto ed hanno usi u
costumi comuni mentre oggi la questione sembra superata e questi gruppi non godono della
soggettività internazionale e non hanno dei diritti soggettivi ma piuttosto il diritto ad essere
tutelati dagli stessi stati sovrani ( vedi minoranze etniche).
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Sezione III
1. Le unioni di Stati.
Due o più Stati possono concludere un trattato per il perseguimento di interessi comuni,
denominato patto d’unione, poiché implica l’unione di due o più soggetti. Se il trattato ha il
carattere temporaneo, e non è diretto a creare una struttura a carattere permanente finalizzata a
sorreggere tale unione, tale unione è definita unione semplice. Se invece, l’unione realizza
un’attività unitaria, si parla di una unione istituzionale come nel caso delle organizzazioni
mondiali e regionali. Tali organizzazioni consentono a Stati terzi di acquistare la qualità di
membri attraverso la procedura di ammissione. Dalle unioni aperte, si distinguono le unioni
chiuse che consentono la partecipazione di Stati terzi solo attraverso una modifica dell’atto
istitutivo.
Le unioni si distinguono in personali, quando uno stesso individuo è investito della qualità di
Capo dello Stato in uno, due o più Stati, agendo di volta in volta come Capo dello stato in uno,
due o più stati, e in reali, il cui accordo istitutivo prevede ugualmente un fine comune,
consistente nella cooperazione tra gli Stati, sui quali verte l’obbligo di conferire ad uno stesso
individuo la qualità di Capo dello Stato.
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Le Nazioni Unite, all’art.3, distinguono i membri originari, e cioè gli Stati che hanno partecipato
alla Conferenza di San Francisco del 1945 e che firmarono la Dichiarazione delle Nazioni Unite,
da quelli che possono far parte dell’Organizzazione come membri ordinari, e possono diventarlo
successivamente se hanno determinate caratteristiche (tra cui essere amanti della pace, accettare
gli obblighi dello Statuto o essere disposti a farlo e partecipare alle spese dell’Organizzazione,
partecipare alla costituzione di un contingente militare). L’Italia fu ammessa nel 1955.
Gli unici atti vincolanti emanati dall’ONU sono: l’ammissione, la sospensione e l’espulsione.
La procedura di ammissione consiste in un atto complesso in cui si distinguono due momenti
caratterizzati da una proposta del Consiglio di Sicurezza e da una decisione dell’Assemblea
Generale, alla cui base, naturalmente, c’è la domanda di ammissione (i due elementi devono
necessariamente coesistere). Ci si trova di fronte ad una procedura di allargamento di un trattato
internazionale realizzata attraverso l’ammissione a domanda ( diversa dall’adesione).
La qualità di membro impone che lo Stato abbia un dato comportamento e, se uno Stato membro
non si conforma a quanto detto nello Statuto delle Nazioni Unite, può essere sospeso da parte
dell’Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza. Se la violazione si protrae nel tempo, la
condanna consiste nell’espulsione dall’Organizzazione proposta dall’Assemblea su
raccomandazione del Consiglio di Sicurezza. Anche la procedura della sospensione risulta da un
atto complesso composta da una raccomandazione da parte del Consiglio di Sicurezza e dalla
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delibera dell’Assemblea che, in generale, non emette atti vincolanti ma solo raccomandazioni
che servono da orientamento.
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Per meglio perseguire i fini istituzionali individuati all’art.1 e all’art.55 della Carta delle N.U.
sono previste azioni congiunte dei membri attraverso appositi enti internazionali che operano nel
campo economico e sociale. Tali enti concludono con le Nazioni Unite appositi accordi,
denominati accordi di cooperazione o di collegamento i quali, sia pure presentando
caratteristiche costanti, disciplinano le diverse forme di cooperazione. In base di detto accordo,
ciascun ente acquista lo status di istituto specializzato delle Nazioni Unite. Lo status, ossia la
condizione giuridica soggettiva che l’Ente acquista fa derivare conseguenze giuridiche
concretantesi nella titolarità di poteri giuridici, di facoltà o di diritti soggettivi, e di obblighi e lo
stesso accordo di cooperazione o collegamento pone l’Ente che lo stipula sullo stesso piano di
parità con l’Organizzazione delle N.U. e l’Ente, in virtù di tale accordo diviene destinatario delle
norme contenute nella Carta. (Pag.155)
L’art.57 della Carta delle Nazioni Unite enuncia, sia pure implicitamente, i requisiti che un dato
ente deve presentare per poter divenire un istituto specializzato.
1) Deve trattarsi di un ente costituito mediante un accordo intergovernativo nel senso, cioè, che
può trattarsi sia di un’unione di Stati in senso stretto, sia di un istituto internazionale, purché in
ogni caso risulti istituito sulla base di un accordo;
2) deve, inoltre, trattarsi di un ente con vasti compiti internazionali;
3) deve, infine, operare nel settore della cooperazione esplicando la propria attività nei settori
economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e simili. L’Organizzazione può anche
promuovere trattative tra gli Stati interessati per la creazione di nuovi istituti specializzati che
devono presentare gli stessi requisiti summenzionati. L’acquisto dello “status” indicato, avviene,
da parte dell’ente, mediante la conclusione dell’accordo di cooperazione o di collegamento con
le Nazioni Unite. Detto accordo di collegamento o di cooperazione deve essere bilaterale tra
ciascun ente e gli organi delle Nazioni Unite. In particolare, il Consiglio Economico e Sociale è
competente a definire le condizioni in base alle quali l’istituto sarà collegato con le Nazioni
Unite, e l’Assemblea Generale è competente ad approvare l’accordo stesso. Tale accordo deve
espressamente contenere l’indicazione dell’ente che ne è la controparte come di “istituto
specializzato delle Nazioni Unite”. Tale indicazione è essenziale ai fini dell’acquisizione dello
status indicato, in quanto nei casi in cui essa è stata omessa, la dottrina ha negato la possibilità di
configurare l’ente come istituto specializzato. La posizione di parità in cui si vengono a trovare
da un lato le N.U. e dall’altro l’Ente con cui stipulare il rapporto di collegamento o cooperazione,
presuppone un rapporto di reciproca indipendenza che permane anche dopo la conclusione
dell’accordo e quindi l’Ente non si trova in una posizione di subordinazione rispetto alle N.U.
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L’accordo di collegamento o di cooperazione, in effetti, non produce l’effetto di porre l’ente che
acquista lo status di istituto specializzato in posizione di subordinazione rispetto alle Nazioni
Unite, ma semplicemente di creare in capo ad esso diritti e obblighi, o reciproci o unilaterali,
nella cui titolarità si concreta lo status medesimo. (pag.157)
1
1.L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) Creata nel 1919 con lo scopo di
occuparsi dei problemi della sicurezza e dell’igiene del lavoro, e delle condizioni di lavoro.
L’Organizzazione elabora politiche e programmi internazionali diretti a migliorare le
condizioni di vita e di lavoro, ad accrescere le possibilità di lavoro, ad assicurare il rispetto
dei diritti fondamentali dell’uomo; formula e adotta le norme internazionali sul lavoro
destinate ad orientare l’azione nazionale verso la realizzazione degli obiettivi sopra citati;
esegue programmi di formazione, di insegnamento, di ricerca e di pubblicazioni, diretti a
sostenere altre forme di azione.
Gli organi dell’Organizzazione sono:
- la Conferenza Internazionale del Lavoro, organo collegiale formato dai delegati dei vari Stati
(ogni Stato ha il diritto di inviare quattro delegati ciascuno con diritto di voto, due di nomina
governativa, un delegato in rappresentanza dei datori di lavoro, un altro in rappresentanza dei
lavoratori). Essa si riunisce annualmente e ogni due anni adotta il programma e approva il
bilancio di previsione sulla base dei contributi degli Stati membri;
- il Consiglio di Amministrazione che guida i lavori ed è composto da delegati di nomina
governativa e delegati dei lavoratori e dei datori di lavoro;
- l’Ufficio Internazionale del Lavoro con sede a Ginevra, costituisce il segretariato
dell’organizzazione, coordina le attività tecniche e funge da centro di ricerca.
1
Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), organizzazione internazionale a carattere
permanente, con sede a Ginevra, che si propone di elevare le condizioni tecniche e giuridiche del
lavoro. Fu il risultato della trasformazione del BIT (Bureau international du travail) sorto nel 1919.
Mediante opportune modifiche nel suo statuto e dei suoi obiettivi (peraltro già meglio precisati dalla
conferenza di Filadelfia nel 1944, dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni (a cui era
collegata) si pose in stretta cooperazione con l'ONU. Membri dell'OIL possono essere tutti gli Stati
(1999: 174). L'Italia, già membro dal 1919 al 1939, vi rientrò nel 1945. Opera attraverso i seguenti
organi: la conferenza generale dei rappresentanti degli Stati membri; il Consiglio di amministrazione;
l'ufficio internazionale del lavoro.
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esecutivo tra i delegati degli Stati membri che si distinguano per la loro competenza nel settore
delle arti, della scienza dell’educazione e della diffusione del sapere.
- il Consiglio esecutivo: consta di 34 membri e ha la funzione di preparare un’agenda, cioè un
programma di lavoro, per la Conferenza generale, esamina il programma di lavoro dell’intera
Organizzazione, controlla il bilancio preparato dal Direttore generale, invia alla Conferenza
generale le raccomandazioni che ritenga più opportune. Esso è responsabile dell’esecuzione del
programma adottato dalla Conferenza generale, e sulla base delle circostanze verificatesi tra due
sessioni ordinarie, prende le misure necessarie al fine di assicurare l’effettiva e razionale
esecuzione del programma da parte del Direttore generale.
- il Segretariato: consta di un Direttore generale, con funzioni burocratiche e del personale
necessario a questo. Il Direttore generale è designato dal Consiglio esecutivo e nominato dalla
Conferenza generale per un periodo di sei anni, e può essere riconfermato nel suo incarico,
previa approvazione della Conferenza generale. Egli è il funzionario di grado più elevato
dell’Organizzazione e, come tale, partecipa senza diritto di voto, personalmente o mediante un
rappresentante da lui designato, a tutte le riunioni della Conferenza, del Consiglio esecutivo e dei
comitati dell’Organizzazione. Formula proposte per una azione appropriata della Conferenza
generale e del Consiglio e redige un progetto di programma di lavori da sottoporre al Consiglio,
con il relativo progetto di spese. Prepara e comunica agli Stati membri e al Consiglio esecutivo i
rapporti periodici sulle attività dell’Organizzazione, in ordine ai quali la Conferenza generale
indica l’arco di tempo che deve esservi contemplato. Sia i delegati della Conferenza generale, sia
i membri del Consiglio esecutivo, sia il Direttore generale godono delle immunità degli istituti
specializzati.
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Nato nel 1944, dovette, dopo la fine della II guerra mondiale, assumere un ruolo preponderante
nelle vicende monetarie internazionali, soprattutto in coincidenza con il processo di
decolonizzazione a partire dagli anni ’60. Gli stati aderenti non vi partecipano su un piano di
parità ma il loro peso è determinato dalla quota azionaria posseduta così come la concessione del
credito è commisurata alle quote di capitale sottoscritte di cui si dispone.
L’organizzazione interna è affidata ad un consiglio dei Governatori che è l’organo deliberante
composto da un rappresentante per ogni Stato aderente ed il peso del singolo voto è determinato
dalla ponderazione del capitale sottoscritto comportando una egemonia dei paesi più ricchi.
L’art.52 della carta delle N.U. fa riferimento alle organizzazioni internazionali regionali e agli
accordi regionali: il regionalismo internazionale riguarda la situazione di alcuni settori mondiali
(regioni) alle quali corrispondono alcune organizzazioni internazionali sia di tipo economico che
di altro genere come ad es. per la regione Europa è rappresentata dalla Comunità economica
europea (CEE) . Per quanto riguarda altre regioni possono citarsi l’UOA ( organizzazione per
l’unità africana) – l’OSA ( l’organizzazione degli stati americani) e quindi ci si trova di fronte a
un vero e proprio sistema regionale internazionale . Una condizio sine qua non, prevista dalla
Carta delle N.U. all’art. 52 è appunto che gli scopi degli Enti regionali non siano in contrasto
con gli obiettivi e i fini istituzionali delle N.U.
a) Il Consiglio d’Europa
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La prima idea di creare una Comunità Europea risale al 1929 quando lo statista francese Briand
propose la formazione di una confederazione di Stati. Egli pensava che si potesse creare una
sorta di Società delle Nazioni a livello europeo, con analoghi organi e finalità, ma la sua idea
venne ostacolata sia dalla crisi economica del 1930 – 31 sia da avvenimenti politici quali
l’avvento del Nazismo.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale le disastrose condizioni economiche in cui versava
l’Europa e la necessità da parte delle grandi Potenze vincitrici di controllare la ristrutturazione
degli apparati militari e la ricostruzione industriale portarono alla creazione di organizzazioni
internazionali tendenti a rafforzare i vincoli creatisi durante e dopo la guerra.
Durante lo stesso anno si tenne una conferenza internazionale per coordinare ed organizzare gli
aiuti: il programma redatto venne sottoposto all’approvazione americana. Durante la seconda
sessione del 1948 di tale conferenza venne firmata la Convenzione per la Cooperazione
Economica Europea, la quale prevedeva la creazione di un’Organizzazione Europea per la
Cooperazione Europea (OECE) con sede a Parigi. L’OECE, strutturata sul modello delle altre
organizzazioni internazionali, venne trasformata nell’attuale Organizzazione per la Cooperazione
e lo Sviluppo Economico (OCSE). I nuovi obiettivi erano quelli di tendere al miglioramento
della qualità di vita degli Stati membri, favorire il commercio mondiale ed aiutare l’espansione
economica dei contraenti quanto quella dei Paesi terzi.
Il 17 marzo 1948 gli Stati membri del Benelux (cioè Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo), la
Francia e la Gran Bretagna firmarono a Bruxelles un trattato con il quale creavano l’Unione
Europea Occidentale (UEO) volta a rinsaldare i legami tra i contraenti in campo economico,
sociale e culturale, in vista di stabilire una base solida per la ricostruzione dell’economia europea
e di creare i fondamenti per la mutua assistenza contro ogni aggressione armata. Il 5 maggio
1949 fu firmato a Londra da dieci Stati europei l’accordo istitutivo del Consiglio d’Europa,
diretto ad instaurare una più stretta unione tra i suoi membri per salvaguardare e attuare gli ideali
che costituiscono un loro patrimonio comune, nonché a facilitare il progresso economico e
sociale (venne volontariamente esclusa una competenza militare per la contemporanea
istituzione della NATO). Il Consiglio ha svolto anche un importante ruolo storico in anni delicati
per l’equilibrio internazionale. Nel 1949 Churchill, cercando di reintrodurre la Germania nel
concerto politico europeo, propose la sua ammissione come membro del Consiglio. La Germania
venne invitata a partecipare insieme con la Saar, ma la manovra non ebbe esito positivo in
quanto furono ammessi solo come membri associati senza rappresentanza nel Comitato dei
Ministri.
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Il Consiglio d’Europa è formato dal Comitato dei Ministri, l’organo deliberativo composto dai
Ministri degli Esteri di tutti gli Stati membri; dall’Assemblea Consultiva, che emana pareri e
raccomandazioni per il Consiglio, composta da rappresentanti eletti dai cittadini dei Paesi
membri e non dai Governi; dal Segretariato.
Il Consiglio predispone convenzioni internazionali in materie giuridiche. Il riavvicinamento fra
la Germania e il resto dell’Europa avvenne soltanto nel 1951 con la creazione della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, piano Schumann). Nel 1950 in seno al Consiglio
d’Europa venne elaborata la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, di cui fanno parte i membri del Consiglio d’Europa tranne il Liechtenstein.
La Convenzione ha dato vita a due importanti organi: la Commissione e la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Nel 1989-90, tramite un accordo, è stata creata la Conferenza per la democrazia attraverso il
diritto, la quale ha istituito un sistema di verifica per il possesso del carattere democratico da
parte dei Paesi dell’ex Blocco Socialista che chiedono di entrare a far parte del Consiglio e
domandano aiuti internazionali. ( alla fine del 1997 i membri sono circa 40). Il Consiglio
d’Europa svolge anche una funzione di controllo sui membri che chiedono l’ammissione nella
CEE, consistente nell’accertamento dei requisiti di democraticità.
La differenza fondamentale che sussiste tra Consiglio d’Europa e Consiglio Europeo è che,
secondo l’Atto Unico, il Consiglio Europeo è un organo di indirizzo politico della Comunità,
formato dai Capi di Stato e di Governo e dai Ministri degli Esteri che si riunisce due volte
l’anno.
Si occupa di problemi generali connessi all’attività della Comunità e favorisce la cooperazione
politica( nella realtà si tratta di una conferenza di tipo diplomatico, il cui scopo è quello di
cercare l’accordo su questioni importanti a livello europeo).
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo tratta la materia della tutela di
questi fondamentali diritto con un carattere decisamente rivoluzionario: può ricorrere
individualmente alla Corte europea chiunque, anvhe il singolo privato, che ritiene di aver avuto
un diritto leso; non esiste alcuna formalità per presentare il ricorso, è solo necessario che non sia
anonimo anche se può essere richiesto il mantenimento dell’anonimato e nel corso della pubblica
udienza non si farà alcun riferimento ala persona.
Essendo la Corte un tribunale straordinario, occorre dover esaurire le vie interne del proprio
Paese fino all’ultimo grado.
Stesso discorso vale per la Commissione formata da tanti commissari quanti sono i Paesi
aderenti. I compiti della Commissione sono quelli di ricevere i ricorsi, citare i testimoni, aprire
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I Paesi membri del patto di Varsavia, rivolsero formale invito ai Paesi occidentali per il
rafforzamento della pace e della sicurezza in Europa; l’invito fu accolto dopo che i rapporti tra la
Repubblica Federale tedesca, la Repubblica del Popolo polacco e la Repubblica Democratica
tedesca migliorarono. La conferenza sui rapporti multilaterali si aprì ufficialmente a Helsinki il 3
luglio 1973 e si concluse nello stesso luogo il 31 luglio; il 1 agosto 1975 avvenne la firma
dell’Atto finale da parte dei capi di stati che vi presero parte.
Detto Atto contiene i principi conformi alla Dichiarazione delle Nazioni Unite relativa ai principi
di diritto internazionale e i rapporti amichevoli e di cooperazione tra gli Stati: tra essi si
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- la Conferenza è l’organo supremo cui compete l’esame e lo studio delle questioni di interesse
comune per l’Africa, allo scopo di coordinare ed armonizzare la politica generale
dell’Organizzazione. Procede alla revisione della struttura, delle funzioni e delle attività di tutti
gli organi e di tutte le istituzioni specializzate che potranno essere create; decide di questioni
inerenti all’interpretazione della Carta (art.XXVII), nomina il Segretario generale
amministrativo, la Commissione di mediazione, conciliazione e arbitrato (art.XIX), le
commissioni specializzate. È composta dai Capi di Stato o di Governo o dai loro rappresentanti
opportunamente accreditati e si riunisce una volta l’anno. Il quorum deliberativo è costituito dai
due terzi degli Stati membri.
- Il Consiglio dei Ministri, composto dai Ministri degli esteri degli Stati membri o da ogni altro
ministro da questi designato, si riunisce in sessione ordinaria almeno due volte l’anno e, su
istanza di uno Stato e con l’accordo dei due terzi degli Stati membri, può riunirsi in sessione
straordinaria. Il Consiglio è competente a prendere delle risoluzioni, a maggioranza semplice, e
in seno ad esso ogni Stato dispone di un voto. Il quorum è costituito dai due terzi degli Stati
membri. Può istituire tutti i comitati ad hoc ed i gruppi temporanei di lavoro che esso giudichi
necessari e può modificare il proprio regolamento interno a maggioranza semplice dei suoi
membri.
Il Consiglio propone, inoltre, la nomina del Segretario generale amministrativo e di uno o più
segretari generali aggiunti dinanzi alla Conferenza che delibera sulla proposta.
- Il Segretario generale amministrativo, il quale è nominato dal Consiglio, è coadiuvato da uno o
più Segretari aggiunti, dirige i servizi del Segretariato. Oltre a funzioni meramente
amministrative, il Segretario generale prepara il bilancio dell’Organizzazione, accetta donazioni
e legati per conto della stessa. Esso si riunisce in sessione ordinaria almeno due volte l’anno e, su
istanza di uno Stato e con l’accordo dei due terzi degli Stati membri, può riunirsi in sessione
straordinaria. Nell’esercizio delle funzioni loro proprie, il Segretario generale amministrativo, i
Segretari generali aggiunti ed il personale devono astenersi dal sollecitare o dall’accettare le
istruzioni di alcun governo o di alcun ente estraneo all’Organizzazione.
- La Commissione di Mediazione, Conciliazione e Arbitrato ha lo scopo di regolare in modo
pacifico le loro eventuali controversie. Le norme riguardanti la composizione di quest’organo e il
suo funzionamento sono contenute in un protocollo approvato al Cairo dalla Conferenza dei Capi
di Stato e di Governo il 21 luglio 1964.
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Alla fine delle seconda guerra mondiale emersero, nel corso della Conferenza di Yalta (11
febbraio 1945), sostanziali divergenze fra Stati Uniti ed Unione Sovietica destinate a dare vita
alla cosiddetta guerra fredda, che segnerà la formazione del bipolarismo. Nel marzo dello stesso
anno il Belgio, la Francia, la Gran Bretagna, il Lussemburgo e l’Olanda avevano stipulato il
Trattato di Bruxelles di reciproca assistenza in vista della legittima difesa collettiva.
L’allargamento di tale trattato ad altri Stati europei diede luogo nel 1959 all’Unione dell’Europa
Occidentale (UEO) che rappresenta il precedente della NATO sotto diversi aspetti. I negoziati
intercorsi tra gli Stati membri del Trattato di Bruxelles, gli Stati Uniti ed il Canada si conclusero
nel marzo 1949 con la stesura di un progetto di accordo, firmato a Washington il 4 aprile 1949 da
dieci Stati europei (Belgio Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo,
Norvegia, Olanda e Portogallo) e da due Stati nordamericani (Stati Uniti e Canada). Le finalità
dell’Organizzazione coincidono con le finalità del Trattato e sono la riaffermazione degli scopi e
dei principi dello Statuto delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace, la salvaguardia
della libertà e della civiltà dei popoli sulla base dei principi di democrazia, di libertà individuali e
del predominio del diritto, la difesa e la stabilità del benessere nell’area del Nord Atlantico, la
riunione degli sforzi per l difesa collettiva ed il mantenimento della pace e della sicurezza.
In particolare l’art.3, che si riferisce all’obbligo di assistenza reciproca delle parti contraenti in
vista di mantenere e di sviluppare la capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco
armato, riguarda l’aspetto militare dell’Organizzazione. Le norme di cui agli artt.5 e 6 del
Trattato demandano all’Organizzazione il carattere di alleanza militare difensiva:
conformemente all’art.5, difatti, le Parti convengono che un attacco diretto contro una o più di
esse in Europa o nell’America Settentrionale sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le
Parti, le quali dovranno assistere la Parte attaccata intraprendendo immediatamente,
individualmente o di concerto con le altre Parti, l’azione che sarà giudicata necessaria, ivi
compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella zona
dell’Atlantico Settentrionale.
L’azione di cui al citato art.5 implica l’adozione immediata di misure non necessariamente
militari, bensì di misure giudicate idonee a ristabilire e a mantenere la sicurezza nella zona nord-
atlantica: essa deve inquadrarsi nell’ambito dell’esercizio del diritto di legittima difesa
individuale o collettiva riconosciuto dall’art.51 della Carta delle Nazioni Unite. Lo stesso art.5
contempla, inoltre, l’obbligo di segnalare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sia
l’esistenza di un attacco armato sia le misure prese per respingerlo, misure che, conformemente
all’art.51 della Carta delle Nazioni Unite, dovranno essere sospese non appena il Consiglio di
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Sicurezza abbia preso, in conformità della Carta, le misure necessarie per ristabilire e mantenere
la pace e la sicurezza internazionali.
Oltre alle finalità di carattere militare, la NATO persegue obiettivi che comportano la
cooperazione nel mondo politico ed economico tra gli Stati membri. Le Parti dovranno limitare o
eliminare tutti i contrasti nella politica economica internazionale e dovranno consultarsi ogni
qualvolta siano minacciate l’integrità territoriale, l’indipendenza economica o la sicurezza di
esse.
Le Parti hanno, infine, istituito un Consiglio, nel quale ciascuna di esse è rappresentata, con la
funzione di esaminare le questioni concernenti l’applicazione del Trattato. Il Consiglio avrebbe
dovuto istituire gli organi sussidiari che sarebbero risultati necessari; avrebbe, comunque,
provveduto all’istituzione immediata di un Comitato di difesa con il compito di raccomandare le
misure da adottare per l’applicazione degli artt.3 e 5. Sulla base e in adempimento di tale
disposizione, il Consiglio ha istituito numerosi organi le cui funzioni e la cui situazione giuridica
soggettiva sono regolate da un complesso di norme di origine internazionale (accordi ad hoc e
decisioni del Consiglio), le quali costituiscono un ordinamento speciale che disciplina i vari
aspetti della attività della Organizzazione.
Per ciò che riguarda l’aspetto militare dell’Organizzazione, principale organo è senz’altro il
Comitato Militare, composto dai Capi di stato maggiore delle forze armate di ciascuno degli Stati
membri. Il Comitato si riunisce due volte all’anno, tuttavia, per l’immediatezza con cui esso deve
poter agire, siede in sessione permanente a livello dei rappresentanti militari permanenti. Esso ha
la funzione di raccomandare al Consiglio le misure ritenute necessarie in tempo di pace per
assicurare la difesa comune nella zona atlantica ed è l’organo dal quale dipendono, con funzioni
diverse, altri organi di studio o di ricerca.
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salvaguardare e rafforzare la pace e la sicurezza del continente, essa si propone la soluzione dei
problemi di natura politica, giuridica ed economica dei propri Stati membri e la promozione del
loro sviluppo economico, sociale e culturale.
L’Assemblea Generale è l’organo principale. Si riunisce annualmente e decide la politica
generale dell’Organizzazione. Ha competenza generale, ma poteri limitati: essa dispone nei
confronti degli Stati membri di un potere di decisione vincolante nel caso della ripartizione delle
spese dell’Organizzazione. Le decisioni dono adottate con voto favorevole della maggioranza
assoluta degli Stati membri, salvo nei casi in cui la Carta o il Regolamento di procedura
prevedano espressamente una maggioranza dei due terzi
Il Consiglio Permanente è un organo composto da ambasciatori accreditati presso
l’Organizzazione. La Carta gli attribuisce funzioni politiche ed esecutive. Ha anche un ruolo
conciliativo e responsabilità dirette nel sistema inter-americano di risoluzione pacifica delle
controversie.
Il Consiglio Economico e Sociale, composto dai rappresentanti di tutti gli Stati membri,
promuove la cooperazione tra i Paesi al fine di accelerare il loro sviluppo economico e sociale.
Nell’assolvimento delle sue funzioni è assistito da una Commissione esecutiva permanente.
Il Consiglio inter-americano per l’Educazione, la Scienza e la Cultura si occupa della
cooperazione e dello sviluppo educativi, scientifici e culturali dei popoli del Continente.
La Riunione di Consultazione dei Ministri degli Affari Esteri è un organo composto dai Ministri
degli Affari esteri di tutti gli Stati membri; si riunisce solo su espressa convocazione degli Stati
membri per risolvere questioni di comune interesse o per agire come organo di consultazione in
base al trattato di Rio.
Il Segretariato Generale è eletto dall’Assemblea con un mandato di cinque anni, rinnovabile una
sola volta. I suoi componenti, ivi compreso il Segretario Generale, svolgono il ruoli di funzionari
internazionali e sono responsabili solo di fronte alla Organizzazione.
La Commissione inter-americana dei Diritti dell’Uomo è un organo di composizione ristretta,
formato da sette membri, eletti a titolo individuale per quattro anni dall’Assemblea Generale. Ha
il compito di incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo rivolgendo raccomandazioni e richieste
di informazione.
Il Comitato Giuridico inter-americano è composto da undici membri e svolge la funzione di
organo consultivo dell’Organizzazione per le questioni giuridiche.
Le Conferenze Specializzate, come pure le Organizzazioni inter-americane Specializzate, si
occupano di questioni tecniche e di aspetti specifici della cooperazione inter-americana.
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La questione è comunque aperta perché si sono verificati episodi in cui, anche in paesi con
costituzioni rigide, organi che non avrebbero competenze internazionali, le hanno comunque
esercitate (il loro operato è stato successivamente salvato da un atto di sanatoria emesso
dall’organo costituzionalmente competente). In casi come questi, l’ordinamento internazionale
ha operato un rinvio all’organizzazione effettiva dello Stato e non già a quella formale, prevista
in Costituzione. In conclusione, per riconoscere in un individuo la qualità di organo
internazionale, occorre vedere:
- l’organizzazione effettiva dello Stato,
- la ripartizione delle competenze;
- la verifica della qualità dichiarata dai soggetti internazionali;
- la verifica circa le loro effettive competenze;
- la reazione degli organi statali effettivamente competenti;
- la rivendicazione degli organi che effettivamente detengono il potere.
La violazione di una norma si ha quando gli altri organi sconfessano l’attività posta in essere
dall’organo che ha agito fuori dalla sua competenza ed un atto compiuto da un organo che non ha
la qualità organica è un atto inesistente per il diritto internazionale, mentre un atto compiuto da
un organo che ha la qualità ma che ha superato la propria competenza è un atto nullo
relativamente.
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4. Le immunità diplomatiche.
L’accreditamento comporta il riconoscimento ufficiale dell’Agente Diplomatico che godrà, da
questo momento, di una serie di immunità che lo accompagneranno fino al rientro nel suo Paese
d’origine al termine della missione. Le norme sulle immunità hanno natura consuetudinaria in
gran parte codificate nella citata Convenzione di Vienna del 1961.
Esse si fondano sul broccardo 1 latino del “ne impediatur legatio” (non sia ostacolata la missione
diplomatica) e tendono ad agevolare l’attività dell’agente straniero durante la sua missione. Il
riconoscimento di tali immunità comporta una limitazione del potere di impero da parte dello
Stato accreditante nei confronti dell’agente diplomatico straniero.
1
broccardo (dal latino medievale: Brocardus, da Burcardo di Worms, XI sec.). Regola giuridica,
enunciata in forma concisa e tale da esser facilmente ricordata.
L'uso e l'abuso di massime, di sentenze, che in forma chiara e rapida sintetizzano un pensiero giuridico è
una delle caratteristiche della dottrina medievale e moderna, destinata a provocare critiche, ma efficace,
nell'ambito processuale, perché determina immediatamente il terreno sul quale le parti vogliono o non
vogliono contendere. Molte di queste massime vengono dal diritto romano, altre sono creazione
medievale o adattamento medievale di schemi formati dalla dottrina precedente (es. Malitiis non est
indulgendum, Volenti non fit iniuria, Qui iure suo utitur neminem laedit, ecc.).
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Secondo la Convenzione di Vienna del 1961, l’agente diplomatico gode della inviolabilità
personale, ossia non può subire atti di coercizione fisica diretta, né può essere violato il segreto
dei suoi documenti o della sua corrispondenza e dei suoi beni, gode dell’immunità fisica e
tributaria, ma deve versare le tasse sulle proprietà che detiene sullo Stato accreditario che non
facciano parte della missione. L’immunità si estende ai suoi familiari, al personale dipendente
della missione, alla sua dimora e al suo domicilio. Inoltre l’agente diplomatico gode
dell’immunità dalla giurisdizione penale per gli atti che egli compia in quanto privato, nel senso
che non può essere processato per i reati commessi in un altro Stato (ma potrà esserlo quando vi
ritorni), e dalla giurisdizione civile, non potendo essere citato in giudizio ma potendo citare in
giudizio.
Inoltre, la sede diplomatica si ritiene appartenga allo Stato di cui batte bandiera e non allo Stato
sul cui territorio è posta ( Stato accreditatario) quindi la sede diplomatica è considerata come
extra territoriale.
Con riferimento alla sua attività, si distingue l’attività jure imperii, quella posta in essere in
quanto organo dello Stato per le relazioni internazionali, e l’attività jure gestionis, quella
realizzata allo scopo di consentire ad uno Stato straniero di compiere atti in qualità di soggetto
privato dell’ordinamento dello Stato in cui esso è accreditato ( acquisto di un immobile).
Agendo esso come organo, è lo Stato straniero a risultare totalmente immune per atti concernenti
lo svolgimento delle attività internazionali, sempre che tali attività non configurino un fatto
illecito internazionale.
L’immunità dalla giurisdizione implica che il giudice adito dovrebbe negare la propria
giurisdizione, ove si tratti di giudicare uno Stato straniero per atti inerenti alle relazioni tra
questo ed altri soggetti internazionali.
In tempo di guerra è sospesa la copertura creata dal sistema delle immunità: oltre alla rottura
delle relazioni diplomatiche, previste anche dall’art.41 della Carta delle Nazioni Unite, è
possibile il cosiddetto congelamento delle relazioni diplomatiche, che prevede l’abbassamento al
minimo indispensabile del livello dei diplomatici accreditati. L’Italia ha adottato tale
provvedimento nei confronti della Bulgaria in occasione dell’attentato al Papa Giovanni Paolo II.
Anche l’attività jure gestionis è coperta dall’immunità; tuttavia vi sono tendenze recenti a
prevedere eccezioni per le controversie relative ai contratti commerciali, ai danni causati a
persone o cose, alla proprietà ed agli altri diritti reali, alla proprietà industriale.
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Gli organi militari sono persone appartenenti alle forze armate di uno Stato e si distinguono in
legittimi combattenti e in comandanti militari.
I legittimi combattenti comprendono le forze regolari e le milizie direttamente chiamate alle
armi, i corpi volontari organizzati sottoposti al comando di un capo responsabile sempre che
abbiano un distintivo riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi, conducano le
operazioni secondo le leggi e gli usi di guerra. Sono del pari considerati legittimi combattenti i
franchi tiratori e la popolazione civile che prenda spontaneamente le armi purché portino le armi
apertamente e conducano le operazioni secondo le leggi e gli usi di guerra; i guerriglieri o
combattenti irregolari impegnati in azioni di guerriglia nell’ambito di un conflitto internazionale
o in una guerra di liberazione nazionale.
I comandanti militari si distinguono in comandanti supremi e comandanti di forze isolate.
Per decidere chi sia il comandante supremo il diritto internazionale rinvia all’organizzazione
effettiva degli Stati. Egli è competente a stipulare armistizi, tregue, capitolazioni, ecc. ed altri atti
inerenti alle operazioni militari. Il comandante delle forze isolate deve essere individuato volta
per volta.
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Particolare importanza è attribuita al voto dei membri permanenti: se uno di essi non dà il suo
voto favorevole la decisione su una cosa importante non può essere presa (c.d. diritto di veto).
Il Consiglio tiene riunioni periodiche alle quali i membri possono essere rappresentati da membri
del governo o da un altro rappresentante appositamente designato.
Anche gli Stati non membri possono essere invitati a partecipare, senza il diritto di voto, alla
discussione relativa ad una controversia che li vede coinvolti. Altri organi delle Nazioni Unite
sono il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio di Amministrazione fiduciaria, la Corte
Internazionale di Giustizia e il Segretariato delle Nazioni Unite.
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Corte partecipa alla formazione di un nuovo diritto europeo che si impone a tutti gli Stati
membri, istituzioni comunitarie, tribunali nazionali e privati.
f) La Corte dei Conti esercita un controllo generale in quanto esamina i conti di tutte le entrate
e le spese della Comunità. Il controllo è in genere di legittimità, ma può avere anche carattere
sostanziale.
h) La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) è dotata di una propria personalità giuridica,
di organi decisionali specifici e di un capitale sottoscritto dagli Stati membri. La BEI
sostiene, attraverso l’erogazione di prestiti, gli investimenti privati e pubblici, industriali e di
infrastrutture che contribuiscono alla realizzazione di obiettivi prioritari della Comunità. Essa
può chiedere prestiti di fondi sui mercati dei capitali e può concedere senza fini lucrativi.
Infine può accordare prestiti accompagnati da condizioni di politica economica, il cui scopo è
di sostenere le bilance dei pagamenti.
i) L’Istituto Monetario Europeo è stato istituito nel 1994 con il compito di accelerare
l’Unione Monetaria Europea. L’Istituto ha il compito precipuo di rafforzare la cooperazione
e il coordinamento fra le politiche monetarie.
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CAP. VII
Esistono due categorie di controversie a seconda del carattere giuridico o politico della loro
ragione, intendendosi per ragione l’oggetto del contendere posto a base della controversia.
Mentre una controversia di carattere giuridico riguarda l’interpretazione dei trattati, una norma di
diritto internazionale o cogente, una controversia politica può avere ragioni più svariate (il
conflitto in Israele si considera politico). Se la controversia ha carattere politico, e sono la
maggioranza, i modi di risoluzione sono di carattere politico sebbene nulla vieti il ricorso a
strumenti giuridici.
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risolvere una controversia che possa mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale. La
scelta del mezzo è lasciata alle parti, ma se non viene trovato l’accordo, l’articolo citato prevede
che il Consiglio di Sicurezza possa invitare le parti a scegliere uno dei mezzi elencati.
I negoziati rappresentano dei tentativi di creare un accordo tra le parti mettendole in diretto
contatto. Se l’accordo non riesce, le Nazioni Unite possono nominare una “Commissione di
inchiesta” o deferire l’esercizio del potere di inchiesta al Segretario Generale delle Nazioni Unite
per analizzare le cause della controversia e i termini della stessa.
La mediazione si realizza con la nomina di un mediatore ( spesso lo stesso Segretario come nel
caso del conflitto con l’Afghanistan) che, dopo aver approfondito la questione tenta di avvicinare
le parti predisponendo un piano di conciliazione, che le parti dovranno sottoscrivere, chiamato
erroneamente compromesso (il compromesso ha carattere giudiziale, il testo proposto dal
mediatore realizza un metodo di risoluzione della controversia con carattere stragiudiziale).
La Commissione di Conciliazione esamina la posizione delle parti ed indica le vie praticabili di
conciliazione senza partecipare direttamente all’evento negoziato.
L’art.34 della Carta delle Nazioni Unite attribuisce al Consiglio di Sicurezza poteri di indagine
nei confronti di una controversia già in atto e la possibilità di prevenire una controversia che
potrebbe sorgere. L’intervento del Consiglio può essere chiesto dagli Stati membri
dell’Organizzazione sulla base di una facoltà accordata ai Paesi membri a prescindere
dall’eventuale coinvolgimento della controversia, e da quelli non membri, sempre che vi sia un
accordo fra lo Stato non membro e l’Organizzazione per l’adozione di mezzi pacifici di
risoluzione della controversia. Il Consiglio dovrà comunque rispettare l’attività che le parti
hanno già posto in essere opera la risoluzione della controversia. La Corte Internazionale di
Giustizia è chiamata ad intervenire se le controversie sono di carattere giuridico.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, inoltre, ha competenza su tutte le questioni relative
al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale( art.36-37-38) e può adottare misure
economiche o militari, successive o preventive, sotto forma di raccomandazione o di risoluzione.
Il potere dell’Assemblea incontra un limite se la controversia è sottoposta al vaglio del
Consiglio; in questo caso essa dovrà astenersi dal fare raccomandazioni, a meno che non sia
sollecitata in tal senso dal Consiglio stesso che ha una supremazia assoluta sulle questioni di
carattere politico. All’Assemblea possono rivolgersi i Paesi membri delle Nazioni Unite, i Paesi
non membri e il Consiglio di Sicurezza.
L’art.98 della Carta attribuisce al Segretario Generale il compito di richiamare l’attenzione del
Consiglio di Sicurezza su qualunque questione che possa minacciare il mantenimento della pace.
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Egli può agire autonomamente quando esplica attività di mediazione, conciliazione e di buoni
uffici, pur non essendo previste dallo Statuto dell’ONU.
L’arbitrato è una forma di regolamento giudiziario che si sostanzia nella nomina di un arbitro,
scelto da tutte le parti, cui sarà devoluta la risoluzione della controversia attraverso un accordo.
L’accordo che prevede la nomina, la competenza e anche le norme sulle quali il giudizio
arbitrale deve conformarsi, si chiama compromesso e si differenzia dalla transazione che è il
negoziato stragiudiziario in base al quale le parti si accordano. L’istituzione dell’arbitro può
anche risultare da un trattato più ampio e la clausola che contempla la designazione dell’arbitro è
detta clausola compromissoria. Spesso le parti, allo scopo di evitare controversie future, possono
preventivamente istituire ed indicare in precisi trattati il collegio arbitrale competente ad
intervenire.
E questo accade perché nel diritto interno si indica il foro competente per territorio, mentre nel
diritto internazionale non esiste una competenza esclusiva della Corte Inter.di Giustizia.
Nel trattato di compromesso sono già indicate le norme da applicare in caso di controversie.
La conclusione del giudizio di arbitrato è la pronuncia da parte dell’arbitro di una sentenza
arbitrale motivata che decide su una controversia e che è considerata vincolante ed obbligatoria
per le parti ed è inappellabile, a meno della scoperta di fatti nuovi ed in questo caso si richiede la
revisione.
È composta da 15 giudici nominati a titolo personale e non rappresentanti degli Stati ma scelti
per la loro preparazione e per l’alta qualità morale; la durata del mandato è di nove anni ma tutti i
giudici sono rieleggibili. La Corte In.di Giustizia, oltre alla giurisdizione in materia di
controversie o contenzioso svolge anche un’importante funzione consultiva ed infatti possono
chiedere pareri alla Corte: il Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale su qualsiasi questione
giuridica e, dietro autorizzazione di quest’ultima, gli altri organi dell’Organizzazione e gli istituti
specializzati su questioni giuridiche inerenti la loro attività. I pareri della Corte non hanno forza
vincolante e possono adirla solo gli Stati e non i singolo individui.
La Corte può chiedere informazioni ad organizzazioni pubbliche su questioni su cui essa sia stata
investita e le organizzazioni possono fornire informazioni alla Corte di propria iniziativa. Se una
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non sulla base di nessun diritto interno. A tale proposito vi è un particolare ordine gerarchico
sulle norme da applicare:
al primo posto, anziché la consuetudine, si trovano le convenzioni internazionali generali e
particolari. Il termine “generale” sta ad indicare che la convenzione riguarda un elevato
numero di Stati; si parla ad esempio di convenzione generale di arbitrato per indicare una
convenzione conclusa da un gran numero di stati per risolvere eventuali controversie e alla
quale uno stato per poterne essere parte deve aderire, mentre quella “particolare”, di origine
pattizia, indica che riguarda le norme dei trattati sottoscritti dagli Stati che hanno proposto la
controversia. Inoltre le stesse parti dovranno indicare al giudice internazionale le norme da
applicare per la risoluzione di quella determinata controversia;
successivamente, in ordine subordinato ai trattati, la Corte può giovarsi della “consuetudine”,
intesa come pratica consolidata generale accettata come diritto;
al terzo posto, di questa scala gerarchica, si fa riferimento ai“principi generali del diritto” e
alle “nazioni civili”. I principi del diritto a cui si fa riferimento non sono quelli
costituzionali, ma quelli fondamentali presenti in tutti gli ordinamenti, anche diversi fra loro.
Inoltre, nell’ordinamento internazionale prevale il principio della impossibilità di adire per
due volte la Corte per la stessa controversia;
al punto 2 dell’art.38 è previsto che la Corte può utilizzare dei criteri equitativi per dirimere
una controversia: qualora le parti non siano d’accordo circa l’applicazione del diritto
internazionale convenzionale o sulle consuetudini internazionali la Corte potrà decidere ex
aequo et bono, ( secondo equità) purché ciò conduca ad una sentenza dispositiva.
Il funzionamento e l’organizzazione della Corte richiedono alcune precisazioni:
- le lingue ufficiali della Corte sono l’inglese ed il francese, al contrario di quanto avviene in
campo comunitario dove tutte le lingue sono considerate ufficiali;
- durante il processo si può usare l’una o l’altra lingua mentre le sentenze dovranno essere
trascritte in entrambe le lingue;
- le controversie sono sollevate dinanzi alla Corte mediante la notificazione del compromesso
o mediante istanza scritta a seconda dei casi, con l’obbligo della indicazione dell’oggetto
della controversia e delle parti. Ogni parte in causa dovrà ricevere la notificazione della
stessa ed ogni Stato, parte della controversia, dovrà inviare un agente che lo rappresenterà
dinanzi alla Corte e sarà affiancato da avvocati e da consulenti. Tutti i delegati degli Stati
godono delle immunità e dei privilegi necessari per l’esercizio indipendente delle loro
funzioni.
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Il procedimento si divide in una parte scritta ed in un’altra orale. Il procedimento scritto consiste
nella presentazione da parte degli Stati alla Corte di memorie, contro memorie, repliche e di tutti
i possibili documenti probatori da parte degli stati alla Corte e agli altri contendenti, tramite il
Cancelliere. Ogni parte deve ricevere una copia autenticata di tutti i documenti proposti mentre il
procedimento orale consiste nell’ascolto da parte della Corte di testimoni, esperti, agenti e
avvocati. Se è necessario notificare atti a persone diverse dagli agenti, dai consulenti e dagli
avvocati, ci si rivolge direttamente al Governo dello Stato nel cui territorio deve essere eseguita
la notificazione.
Le udienze della Corte sono normalmente pubbliche sempre che le parti non richiedano
espressamente l’esclusione del pubblico o la Corte stessa non decida in tal senso. Di ogni
udienza è ufficialmente redatto un verbale, unico documento a fare fede, firmato dal Cancelliere
e dal Presidente. La Corte Internazionale di Giustizia emette delle ordinanze durante lo
svolgimento del processo. Essa è libera di decidere la forma e i termini per la presentazione delle
conclusioni finali e non è vincolata da una procedura obbligatoria, come invece lo sono i
tribunali nazionali. La Corte può richiedere alle parti, in qualsiasi momento del giudizio, di
produrre documenti o fornire spiegazioni, prendendo atto di possibili rifiuti (valutabili come
mezzo di prova a carico) e può interpellare periti ed esperti a cui affidare inchieste o indagini.
Le decisioni della Corte vengono prese a maggioranza dei giudici presenti; in caso di parità il
voto decisivo è quello del Presidente. La sentenza, che contiene i motivi e i nomi dei giudici, è
composta da tre parti: l’esposizione in fatto e in diritto dei motivi reali e concreti in causa
(l’antefatto); la motivazione della sentenza che è la spiegazione in fatto e in diritto del perché si
giunge ad una decisione; il dispositivo che contiene la decisione della controversia con possibili
misure punitive che è la parte più importante. La sentenza della Corte è definitiva e senza appello
e dunque non impugnabile davanti ad altro tribunale, salvo il caso della revocazione, sulla base
di una istanza di revisione prevista dallo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia.
La sentenza così emessa, fa stato tra le parti solo sulla questione che ne forma oggetto e una delle
parte può solo presentare istanza di revisione nel caso in cui sia stato scoperto un “elemento
decisivo” che non può essere dolosamente precostituito. I termini per la presentazione della
istanza di revisione sono sei mesi dalla scoperta del fatto nuovo e dieci anni dall’emanazione
della prima sentenza e l’iter da seguire per la revisione del processo è il seguente : sulla base di
un motivo non doloso la Corte si riunisce e dichiara la ricevibilità o non ricevibilità del fatto
nuovo dopo di chè si può operare la revisione.
.
5 Le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia: la sentenza come fatto giuridico.
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Secondo una parte della dottrina la Corte deve essere considerata come un istituto collettivo e le
sentenze che essa emana non possono essere riferite come proprie all’unione di Stati e ne
consegue che la sentenza pur essendo propria del giudice non può essere considerato un atto
giuridico ma un fatto giuridico. La sentenza è idonea a risolvere una controversia ma non è
imputabile nemmeno agli Stati che hanno istituito il giudice in quanto vi sarebbe identità tra
giudice e parti. Infine la sentenza costituisce un fatto giuridico perché non è riferibile ad un
soggetto di diritto internazionale ma resta attribuita alla Corte che è un istituto collettivo.
La Corte emana sentenza vincolanti per le parti che ne hanno accettato preventivamente la
giurisdizione. Se una delle parti non vi si adegua commetterà un illecito internazionale nei
confronti della Carta delle N.U. e in tal caso, la controparte potrà ricorrere al Consiglio di
Sicurezza che ha la facoltà di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere per
far rispettare la sentenza. Occorre rilevare che fino ad oggi tutte le sentenze della Corte sono
state eseguite.
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il ricorso non deve avere il medesimo contenuto di un precedente ricorso già presentato
presso la stessa Corte o innanzi ad altro organismo internazionale a meno che nello stesso
tempo non siano presenti nuovi elementi;
il ricorso non deve essere manifestamente infondato o abusivo.
La Camera ristretta esperisce inoltre i tentativi di conciliazione.
Il Protocollo prevede poi la creazione della Grande Camera composta da diciassette giudici cui
può essere presentato appello sempre che la questione riguardi l’interpretazione o l’applicazione
della Convenzione e dei suoi Protocolli o una questione grave di carattere generale.
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Capitolo VIII
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di un evento.( violazione della persona del Capo dello Stato, occupazione di una sede
diplomatica etc.).
Data l’importanza della materia riguardante i fatti illeciti, le N.U. conscie di questo rilievo,
hanno posto particolare attenzione all’argomento affidando ad una commissione di diritto
internazionale già a partire dal 1953 il compito di codificare la materia, ma, purtroppo,
nonostante anche l’autorevole contributo fornito dal Prof. Roberto Ago, non si è ancora
pervenuti ad un risultato completo, ma è stato solo redatto un progetto di articoli sulla
responsabilità e pertanto, anche secondo tale progetto l’illeicità del fatto si fonda su due
elementi costitutivi : un elemento soggettivo che consiste nella possibilità di attribuire un dato
comportamento ad uno stato, ed un elemento oggettivo derivante dall’antigiuridicità del
comportamento stesso.
Una posizione a parte, rispetto ai fatti illeciti internazionali, la occupano i crimini internazionali,
quali la pirateria marittima ed aerea, alcuni atti di terrorismo, nonché i crimini indicati nel
processo di Norimberga, crimini contro la pace, crimini contro l’umanità e genocidio, nonché lo
stupro realizzato in guerra (caso della Bosnia) secondo la decisione del 1996 del Tribunale
dell’Aia per i crimini nella ex Jugoslavia.
2. L’elemento soggettivo.
Allo scopo di precisare gli elementi costitutivi dell’illecito, occorre aggiungere che viene
qualificata come illecita sia la condotta di un Ente posta in essere da un individuo dotato della
qualità organica e della competenza, ma anche quella posta in essere da un organo che superi i
limiti della competenza o di un individuo privo della qualità organica.
Per quanto riguarda il caso degli organi che abbiano agito superando i limiti di competenza loro
attribuita, il cosiddetto eccesso di potere o sviamento di potere, è stato diversamente classificato:
parte della dottrina ritiene di dover imputare tale attività allo stato per conto del quale l’organo
agisce; un’altra parte ritiene di equiparare l’attività di tali organi a quella dei privati, mentre
un’altra parte ancora della dottrina afferma l’esistenza della responsabilità ove apparentemente
un individuo risulti essere organo.
Non costituisce illecito internazionale, a causa della mancanza dell’elemento soggettivo, la
condotta di un individuo che comunque non abbia una qualità organica. Lo Stato è ritenuto
responsabile solo nel caso in cui esso sia tenuto sul piano internazionale ad assumere misure
preventive o repressive in correlazione ad una determinata situazione: misure finalizzate ad
impedire il verificarsi di comportamenti individuali illegali sul piano interno.
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Quanto ad attività di movimenti insurrezionali, il Progetto prevede che i danni a persone e cose
causate dal movimento nel corso di una insurrezione non possono essere imputati allo Stato, il
quale può avvalersi del principio di forza maggiore. Ove, invece, il movimento riesca a
affermarsi e prenda il potere, esso sarà responsabile per le azioni sue e del governo precedente,
se queste non ricadano nella categoria delle azioni per le quali vigono le disposizioni sui conflitti
armati o in materia di diritto umanitario. Sempre con riferimento all’elemento soggettivo
dell’illecito, tale elemento sussiste se:
- uno Stato offre assistenza ad un altro nella realizzazione di un fatto illecito, si riconosce la
responsabilità del primo Stato (sempre che sia effettivamente dimostrabile un rapporto di
connessione tra l’attività svolta dai due Stati).
- ed ancora, nel caso in cui uno Stato eserciti un potere di direzione o di controllo o una vera
forma di coazione come potrebbe essere il caso di protettorato, di amministrazione fiduciaria
dei territori, di occupazione bellica, molti autori (Morelli) fanno riferimento alla cosiddetta
responsabilità indiretta.
Il Progetto invece non fa riferimento alla responsabilità indiretta, ma al concorso di
responsabilità sia da parte dello Stato autore materiale dell’illecito sia da parte dell’altro Stato
che gode di poteri di controllo o di ingerenza sul primo o chi risulta controllato.
3 La responsabilità e la colpa.
La responsabilità si configura come l’insieme delle conseguenze scaturenti dal fatto illecito e
viene normalmente fatta discendere dall’esistenza di una norma consuetudinaria la quale
ricollega le conseguenze in cui la responsabilità si concretizza, al verificarsi dell’illecito.
La responsabilità internazionale può riscontrarsi anche nei casi in cui uno Stato compia attività
non vietate dal diritto internazionale, ma che, comunque, possano recare danni a terzi.
Queste attività normalmente rientrano nella categoria delle c.d. attività pericolose, le quali sono
lecite perché sono in genere finalizzate non ad abusare di un proprio diritto, ma al progresso
economico e scientifico dello Stato e dell’intera umanità; esse tuttavia possono arrecare danni a
terzi per essere lesive della sicurezza delle persone e dell’integrità dell’ambiente. La liceità del
comportamento dello Stato non esclude che questo sia responsabile nel caso in cui non adotti
tutte le cautele necessarie a non arrecare danni ad altri Stati.
Allo scopo di prevedere forme di riparazione in caso di attività pericolose, sono state concluse
alcune convenzioni (ad esempio per danni nucleari o per attività spaziale) nelle quali si configura
la responsabilità dello stato colpevole del danno arrecato a terzi.
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Si è discusso a lungo nel diritto internazionale sulla necessità o meno, ai fini del sorgere della
responsabilità, della presenza di un ulteriore elemento nel fatto illecito, rappresentato dalla colpa.
Va chiarito che nel diritto internazionale la colpa, intesa come negligenza, o mancanza di
diligenza, che avrebbe evitato il danno qualora fosse stata adoperata, è equivalente al dolo, ossia
al comportamento nocivo volontario, diretto a causare un reato.
Alcuni autori fanno dipendere il sorgere della responsabilità da un nesso stretto di causalità tra
l’evento stesso e il comportamento dello Stato e la mancanza di tale connessione solleverebbe lo
Stato da ogni responsabilità. Non vi è dubbio che vi è responsabilità in tutti i casi in cui si
riscontri una colpa, imputabile all’organo dello stato e quindi allo stato stesso e tuttavia è
estremamente limitante, affermare, come afferma una parte della dottrina che la colpa è
l’elemento del fatto illecito senza il quale non sorgerebbe responsabilità.
Un esame della struttura organizzativa degli Stati induce ad affermare che non si può svolgere
alcuna attività internazionale che non implichi l’intervento di almeno uno dei suoi organi che
potrebbe aver agito con colpa, con la conseguenza di dover imputare il fatto allo Stato (elemento
soggettivo). La responsabilità dello Stato, quindi, sussiste indipendentemente dall’esistenza di
una colpa, sempre che lo Stato stesso non riesca a dimostrare che il fatto illecito internazionale
si è verificato per ragioni ad esso estranee.
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Il diritto bellico è stato oggetto di trattati internazionali a partire dallo scorso secolo con la
convenzione dell’Aia del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre, nonché in questo secolo con le
convenzioni del 1949 di Ginevra sul miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle
forze armate nella guerra terrestre, dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate nella
guerra marittima, sul trattamento dei prigionieri di guerra, sulla protezione dei civili. Alle su
ricordate Convenzioni sono stati aggiunti i Protocolli addizionali firmati nel 1977. Queste
convenzioni e i relativi protocolli , insieme alla convenzione di Ginevra sulla Croce Rossa,
costituiscono il diritto internazionale umanitario.
Il passaggio dalla autotutela alla legittima difesa è determinato dalla Carta delle Nazioni Unite
che rappresenta, dopo lo Statuto della Società delle Nazioni, il primo atto giuridico ai sensi del
quale gli Stati vengono privati di questa loro importante facoltà e nonostante ciò non vi è stata
applicazione del divieto dello scontro bellico nei quasi 50 anni di vità della Carta dell’ONU.
La legittima difesa è prevista dall’art.51 della Carta e la difficoltà di interpretazione è data
dall’affermazione di un “diritto naturale di autotutela individuale” nell’ambito del diritto
internazionale che oggi è un ordinamento formato prevalentemente da diritto positivo
(contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo: nella società naturale vige il principio
dell’autotutela individuale o collettiva – società primitive – nelle società evolute, caratterizzate
da un diritto positivo, tale compito è affidato allo Stato). La difficoltà interpretativa, con
l’evoluzione del diritto internazionale, si concreta nella possibilità che ad intervenire, in regime
di autotutela non sia più il singolo individuo inteso come Ente o stato, ma collettivamente più
Stati.
Procedendo all’esame della norma contenuta all’art.51, si rileva che l’attacco armato ( e non
l’aggressione intesa come schieramento di truppe sul confine) deve riguardare un membro delle
Nazioni Unite ed è inoltre necessario che il Consiglio di Sicurezza, nel frattempo, non abbia
ancora preso le misure necessarie al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Se, per ipotesi, il Consiglio di Sicurezza avesse già deciso qualche misura, il principio di
legittima difesa di cui all’art.51 non dovrebbe trovare applicazione. In questo caso, infatti, si
avrà una situazione analoga a quella che sussiste all’interno dello Stato: il Consiglio di
Sicurezza accentrerebbe su di sé il compito di difesa degli Stati membri così come lo Stato
accentra su di sé, in quanto creatore e detentore di diritto, il compito di tutelare i propri cittadini.
Analogamente le Nazioni Unite hanno privato i singoli dell’uso della forza (in base all’art.2) ma
hanno restituito agli Stati, in via eccezionale, il potere di agire in legittima difesa “nel caso abbia
luogo un attacco armato”.
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ha privato gli Stati dell’uso della forza individuale e collettiva, salva l’eccezione rappresentata
dall’art.51 della Carta stessa (art.2).
In attesa delle adozioni di misure definitive, il Consiglio di Sicurezza può prendere misure
provvisorie.
Tali misure, assunte al fine di prevenire un aggravarsi della situazione, precedono
cronologicamente l’adozione di raccomandazioni da parte del Consiglio. Si tratta, quindi, di
misure preventive o preliminari aventi lo scopo di bloccare lo svolgersi degli avvenimenti in atto
ed evitare che la situazione si aggravi. Qualora una delle parti in conflitto non si attenesse alle
disposizioni provvisorie dettate, il Consiglio può infliggere al colpevole sanzioni economiche o
di altro tipo previste all’art.41.
Infine, se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste dall’art.41 siano inadeguate o si
siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con le forze aeree, navali o terrestri, ogni
azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale. Tale
azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali
o terrestri di Stati membri delle Nazioni Unite.
Deve, peraltro, notarsi che le misure ora accennate trovano il loro fondamento nel diritto
internazionale particolare quale è quello contenuto nella Carta.
Un’altra misura che trova il suo fondamento nel diritto internazionale generale e che per di più
rappresenta una delle conseguenze del fatto illecito, è la rappresaglia che consiste in una
condotta di uno Stato che sarebbe in sé illecita, ma perde tale carattere perché costituisce
reazione ad un fatto illecito commesso da un altro Stato. La rappresaglia che, dunque, si
sostanzia in una semplice condotta, non è un atto giuridico: presuppone, dunque, la violazione
da parte di un altro soggetto di un diritto soggettivo ed implica, a sua volta, che la condotta del
soggetto leso, in cui essa si concreta, comporti ugualmente la violazione di un diritto soggettivo
dell’autore dell’illecito. In ciò la rappresaglia si differenzia dalla ritorsione in quanto in questa
tanto il primo comportamento quanto quello che costituisce reazione al primo non comportano
violazione di un diritto soggettivo, bensì di un interesse privo di tutela giuridica.
Tipico della rappresaglia e delle misure e contromisure è il carattere di sanzione che l’autore
dell’illecito è tenuto a subire senza reagire, essendo le une e le altre lecite, con la conseguenza
che la controrappresaglia o altre misure reattive avrebbero il carattere dell’illiceità.
La rappresaglia e le altre misure devono essere proporzionate all’entità della violazione prodotta
dall’autore del fatto illecito e incontrano un limite nel rispetto del diritto cogente, in particolare
del diritto umanitario considerato appunto come diritto cogente.
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Tuttavia, mentre nel diritto interno la pena (sanzione) è erogata da un ente superiore, nel caso
della rappresaglia la condotta è tenuta dallo stesso soggetto leso.
Da un fatto illecito internazionale possono scaturire danni subiti dallo Stato o dagli Stati vittime
dell’illecito. Il danno può essere morale, ossia non suscettibile di valutazione economica ed ha,
come conseguenza, la cosiddetta soddisfazione, che si può concretare nell’obbligo del
pagamento di una somma simbolica di denaro, nella presentazione di scuse in forma solenne
allo Stato leso, nello schieramento di navi o nel saluto solenne alla bandiera in segno di rispetto
verso lo Stato leso e i suoi organi supremi, o materiale, cui corrisponde l’obbligo di riparazione,
comprensivo della restituzione e del risarcimento in denaro. La restituzione non ha luogo
evidentemente nel caso di illeciti omissivi (in questo caso l’obbligo di non fare resta in vita
nonostante la violazione).
L’obbligo del risarcimento in denaro si pone tra soggetti di diritto internazionale e in particolare
tra lo Stato responsabile e lo Stato leso; non si pone, invece, tra soggetti di diritto interno o tra
uno Stato da una parte, e i cittadini, persone fisiche o giuridiche, di un altro Stato, dall’altra.
In diritto internazionale viene risarcito il danno emergente ed il lucro cessante ove si dimostri
che dal mancato, tempestivo pagamento di una somma di denaro, sia scaturito un danno
ulteriore determinato dal ritardo.
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