Sbobina di filosofia 23/10/2024 – 1° parte
La giustizia - Perché la visione della giustizia di Porzia è una
visione un principio di mediazione che non trova Antigone?
Non siamo andati avanti oltre Antigone, no? Ci siamo fermati ad Antigone e
Porzia. Perfetto, Facciamo oggi, chiudiamo ancora il tema di Antigone e Porzia
con una, come dire, clausola finale a questo tema. L'ultima cosa che ci resta,
probabilmente da chiarire, su Porzia. Antigone abbiamo già detto tutto, anche
quello che non dovevamo dire e che dovete dimenticare.
Quindi andiamo a Porzia e dopo di che, passiamo, inauguriamo una nuova
parte del programma, quella che io preferisco in assoluto, non fosse altro che
poi in realtà è data nel mio libro, e come dire; quindi, diciamo la parte che mi
diverte da spiegare. Anche lì però come abbiamo annunciato, seguiremo e non
seguiremo la traccia del libro, in realtà anche tutto il tema della fallacia
naturalistica, lo trovate, l’ho scritto sempre io tra i vostri libri di testo,
comunque queste cose poi ve le dirò, non so se oggi alla fine della lezione,
adesso vediamo se abbiamo tempo o meno. In ogni caso, qual è la differenza
su cui ci siamo soffermati l'altro ieri, non ieri, a proposito di Porzia e Antigone?
Perché la missione della giustizia di Porzia è una missione che alla fine trova un
principio di mediazione che non trova Antigone? Che dal punto di vista diciamo,
teatrale, drammaturgico, permette di svoltare tutto sommato la... direbbero
però gli studiosi di cinema ecco c'è un dramma, cioè il, come dire, la commedia
Shakespeariana giudiziaria è una commedia, mentre Antigone finisce in
tragedia. Che cosa fa? Dicevamo che i due concetti sono diversi di giustizia.
Uno è un concetto di carattere sostanziale, l'altro è un concetto a carattere
formale procedurale, come riesce, mentre Antigone rivendica la giustizia sulla
base di che cosa? Sulla base di una sua pretesa che si fonda su una richiesta
che risulta essere completamente antitetica rispetto a quella di Creonte. Ecco,
Porzia invece che cosa fa? In Porzia non c'è lo sconto fra due ordini di ragione.
Porzia utilizza che cosa? Utilizza il diritto positivo, chiamiamolo diritto sempre
positivo tra virgolette. Porzia legge e rilegge questo fatto e che fa? Lo
interpreta diversamente. Quindi la giustizia moderna che inaugura almeno
metaforicamente Porzia è una giustizia che si basa su un criterio formale
procedurale e che è risultato di un processo di interpretazione. Ecco perché si
giunge alla fine ad una composizione degli interessi, perché si interpreta il
patto, fintanto che non si trova il modo, come dire, per ottenere o per fare
giustizia. Rapidamente, ragazzi, ma proprio rapidamente questa mattina,
perché è un tema su cui in quest'anno non intendo soffermarmi
particolarmente, considerate che ci sono degli insegnamenti del settore che
fanno capo ufficio del diritto, perché poi c'è del diritto, come si dice, che è
l’esame fondamentale. Poi ci sono una serie di insegnamenti che gravitano,
non che sono delle appendici, delle specificazioni di filosofia del diritto - sono
sempre i professori di filosofia del diritto che, come dire, li tengono perché
fanno parte dell’area disciplinare. Considerate che in alcune università uno dei
complementari della filosofia del diritto è la teoria dell'interpretazione quindi
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immaginate quanto sia complesso il tema dell'interpretazione. I vostri colleghi
del Dipartimento Ionico, presenti a Taranto, studiano la teoria
dell'argomentazione, che è un'altra, diciamo, l'argomentazione giuridica, che è
un'altra, come dire, pratica, che riguarda l'interpretazione, la costruzione del
testo normativo. Però, rapidamente, soffermandoci un attimo, che cosa
significa interpretare una norma giuridica?
Perché qui abbiamo detto che Porzia interpreta, e quindi interpretando quella
norma riesce a mettere in sacco la pretesa di Shyloc. Se ci fossimo basati sul
significato letterale del patto, non ci sarebbe stato, non c'era storia, no?
Avrebbe dovuto ottenere le proprie ragioni Shyloc. Porzia, invece, attraverso
una sua rilettura del significato, di quella disposizione, di quel fatto, riesce
evidentemente a individuare un significato ulteriore. Dedichiamo qualche
minuto, soltanto, a che cosa significa interpretare e quando si devono
interpretare le norme. Il tema di interpretazione presuppone, che cosa? Che il
linguaggio del diritto si muova su due lineari diversi. Per questo noi, a
qualunque momento, abbiamo parlato di che cosa? Della teoria che kelseniana
del diritto, ci siamo sempre riferiti a cosa? Al linguaggio del legislatore, tutto
sommato, il quale costruisce l'ordinamento giuridico come un sistema a gradi
gerarchico, fondato su un presupposto a priori e ci siamo sempre riferiti al
linguaggio del legislatore, quando abbiamo considerato il tema delle norme
intese come proposizioni di prescrittivo sanzionatoria che hanno lo schema di
qualificazione trascendentale se A è B no? Quando diciamo che A è il fatto
qualificato dalla norma come illecito è il legislatore che qualifica quel fatto
come illecito ok? Eppure, chi applica poi la legge, chi applica la norma al caso
concreto non è mai il legislatore ma il giudice, solo le corti. Lo vedremo tra
qualche settimana quando ci occuperemo della filosofia del diritto di Alfros in
maniera più specifica quindi adesso mi sto anticipando un attimo proprio
perché con Porzia sembrava proprio dire è frutto di interpretazione e non
chiarirne che cosa significhi interpretare in realtà una norma. Interpretare una
norma significa applicare, fondamentalmente la fattispecie generale e astratta
che è contenuta all'interno di una norma giuridica al caso concreto.
Ok? Le norme per loro essenza, per loro natura, hanno “è vietato fumare”.
Torniamo alla nostra norma, quella diciamo, la madre di tutte le norme che
utilizziamo nei nostri ragionamenti. Che significa il vietato fumare? Ok,
ragioniamo. La norma prevede tutti i possibili casi in cui qualcuno possa
fumare.
Quindi è vietato fumare le sigarette, è vietato fumare il sigaro, è vietato fumare
la pipa, a maggior ragione è vietato, come dire, fumare sostanze stupefacenti,
per esempio, no? Quindi la fattispecie, come dire, è generale ed è astratta.
Perché tende, tenta di coprire il maggior numero di casi possibili, va bene? Il
legislatore è così che parla, costruisce delle norme che sono rivolte a una
maggioranza, in questo caso di casi concreti, e questa maggioranza poi deve
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essere, come dire, specificata di volta in volta da parte del giudice. Può
capitare che cosa? Lo dicevamo qualche lezione fa. Che tipo di sistema è
l'ordinamento giuridico? È un sistema statico o è un sistema dinamico? È un
sistema dinamico. Che significa che è un sistema dinamico?
Significa che, mentre nel sistema statico non ci sono, c'è una serie di previsioni
che si incastrano una con l'altra secondo il principio, di deduzione logica. Quel
sistema è un sistema fisso, immobile e immutabile, che vale per tutti i casi che
possono essere ricondotti alle fattispecie considerate all'interno di quel
determinato sistema. Ci siamo? Abbiamo visto che nel diritto, inteso come
sistema dinamico, non funziona così. Il diritto deve avere che cosa? Deve avere
la norma che espressamente prevede e qualifica quel fatto come
giuridicamente rilevante.
Cioè, la norma che fa? Seleziona una serie di fatti sociali o naturali e che
assegna una qualificazione deontica o una qualificazione giuridica. Che cosa
accade nel momento in cui vengono, si producono fatti socialmente rilevanti
che però non sono espressamente previsti dalla norma? Questo può accadere o
perché manca completamente la norma e in questo caso si parla di “lacuna del
diritto”, l’ordinamento è lacunoso in questo caso, cioè non contempla
all'interno delle fattispecie previste dalle sue norme la possibilità di regolare
quel determinato caso, non se ne occupa.
Interpretazione dell’ordinamento giuridico
Questo succede spessissimo, soprattutto è un tema di ampia attualità, perché?
Perché soprattutto nel corso di questi ultimi decenni con lo sviluppo tecnologico
o con lo sviluppo sociale che ha reso possibile tutta una serie di azioni,
operazioni e di processi, per cui ovviamente la società ha accelerato in un
senso, il diritto restava cristallizzato in un altro, perché il legislatore faticava
adeguarsi ai mutamenti, alle metamorfosi della società accelerata per esempio
dal progresso tecnologico. Pensate a tutti i problemi che si stanno creando oggi
sul tema dell'intelligenza artificiale, il legislatore, quelli che si sono creati fino a
qualche anno fa ma che si continuano a creare per quel che riguarda il diritto
informatico, cioè la regolamentazione degli spazi virtuali sulla rete e anche lì
improvvisamente i legislatori sia quelli nazionali sia quelli sovranazionali si
sono trovati dinanzi a realtà che difficilmente rientravano nelle fattispecie che
avevano finora costruito ma dove si scontravano interessi e molti, dei soggetti
coinvolti che vedevano pregiudicati i propri interessi ricorrevano (13:52)
all'annianza del giudice e il giudice come poteva decidere in questi casi? Perché
all'interno del nostro, ordinamento giuridico per esempio, il legislatore
costruisce le fatti specie, al giudice aspetta di applicare, interpretando quelle
fattispecie, le norme al caso concreto, ok? Applicando la norma al caso
concreto si arriva alla decisione giurisprudenziale, al diritto giurisprudenziale
che è il diritto evidentemente costituito e formato non dalle norme intese in
senso astratto e generale, ma delle decisioni, cioè delle sentenze che sono
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l'istrumento con cui i giudici applicano le norme astratte al caso concreto. In
molti di questi casi si verificava che cosa? Si verificava un'impossibilità da
parte del giudice di effettuare questo tipo di operazione semplicemente perché
il legislatore non aveva inserito all'interno dell'ordinamento giuridico, giuridico
la norma valida che qualificava quei fatti dal punto di vista deontico o giuridico.
Dunque, il giudice come poteva decidere, come può decidere in questi casi?
Attraverso l'interpretazione. L'articolo 12 per esempio delle disposizioni
preliminari del nostro Codice civile stabilisce tutta una serie di criteri che
possono essere utilizzati da parte dei giudici quando il caso concreto è dubbio
su quale norma, quale fatti stessi andare ad applicare. Nonostante le
sciocchezze che si sentono soprattutto in questi giorni in televisione quando si
dice che i giudici si devono limitare ad applicare la legge, ma limitarsi ad
applicare la legge significa sempre interpretare, cioè non c'è, come dire,
l'automaticità dell'applicazione di una legge. Ogni legge, ogni norma, proprio
perché diciamo è in generale astratta (15:58) per altri molto spesso in cui si
devono tenere conto, nelle decisioni su una proposta, norme nazionali che
dipendono gerarchicamente da ordinamenti sovraordinati, pensate
all'ordinamento dell'Unione Europea, immaginate il lavorio di interpretazione
che c'è sia nell'ambito della struttura gerarchica di validità, sia nell'ambito della
circoscrizione del caso concreto da applicare una norma generale astratta, che
dia che il giudice si deve limitare ad applicare la norma, in quello di limitare c'è
un mondo, c'è un mondo di interpretazioni, di norme, in questo caso di
ordinamenti gerarchici che si incastrano tra loro. In ogni caso, e poi chiudiamo
per, diciamo, la nostra rapidissima indagine su che significa interpretare una
norma. L’articolo 12 delle nostre disposizioni preliminari, per esempio,
suggerisce di privilegiare sempre l'interpretazione letterale della norma. Cioè,
prima di tutto, andiamo a leggere la norma, vediamo se in caso concreto può
rientrare nella lettera della norma, cioè nel significato che immediatamente
risulta essere evidente seguendo proprio la costruzione letterale del linguaggio
del legislatore. Quasi mai l'interpretazione letterale risulta essere soddisfacente
o idonea a riuscire ad incastrare il caso concreto all'interno della fattispecie
generale (17:36) della Stata, soprattutto quando non c'è una norma che
espressamente regola proprio quel caso concreto.
Poi torniamo al nostro esempio di “è vietato fumare”. C'è un filosofo che è
venuto dalla seconda metà dell'Ottocento, che si chiama Rudolf von Jekyll, che
fa un esempio, secondo me, particolarmente interessante sul tema
dell'interpretazione delle norme. Quindi ragioniamo proprio sul caso concreto.
Dice Von Jekill che racconta questo episodio di vita: in un paese, in un paesino
del Danubio, intorno alla seconda metà dell'Ottocento, quindi un bel po’ di anni
fa, c'era una piccola stazione ferroviaria, all'interno di questa stazione
ferroviaria c'è la sala d'aspetto. Davanti alla sala d'aspetto c'è una bella scritta
in cui c'è scritto che è “vietato l'accesso ai cani” all'interno della sala d'aspetto.
Si presenta una persona con al guinzaglio un enorme pastore (18:50)
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maremano, cane gigantesco per esempio. Qualcuno protesta e chiede
l'applicazione della norma. In questo caso c'è la norma espressamente prevista
e dunque chi si presenta con al guinzaglio il cane è evidente che c'è la piena
sussunzione del caso concreto all'interno della norma generale ed astratta,
primo caso.
Però, come per quel che riguarda la norma “è vietato fumare”, le fattispecie
sono generali ed astratte, i casi però che si possono verificare possono essere
infiniti. Mettiamo il caso che siamo nella Germania, in Bassa Sassonia, adesso
mi sfugge per la località geografica dove ambienta questo meraviglioso
episodio giurisprudenziale di Jekill.
Immaginate che per l'epoca non potesse essere un'eventualità così remota, si
presenti in sala d’attesa un signore che ha al guinzaglio un orso, un cucciolo di
orso, la fattispecie non prevede il divieto di accesso per gli orsi eppure
qualcuno nella sala d'attesa protesta e la norma non c’è, cioè la fattispecie
generale ed estratta non c’è. Si presenta un caso, dice l'articolo 12 che
presenta, analogie rispetto al divieto posto espressamente dal legislatore se
restiamo con l'interpretazione letterale mentre nel caso precedente
l'interpretazione letterale ci salva, tutto sommato cane uno, cane l'altro non
può entrare e anche su questo adesso mi riempirò dopo vi stimolerò un
ragionamento diverso per farvi vedere come anche l'interpretazione letterale è
passibile in molte, molte (19:58) re di interpretazione però adesso facciamo
casi più semplici va bene. La norma, ma qui non c'è, la fattispecie generale e
astratta non prevede, non fa riferimento al caso dell’orso quindi se ci
muoviamo nell'ambito di un'interpretazione letterale tutto sommato,
dovremmo dire che il soggetto può tranquillamente attendere il suo treno con il
guinzaglio l’orso, magari saranno tutti quelli che si trovano nella sala d'attesa a
fuggire via, impauriti. Dice però, dicono però i giuristi che tutto sommato
quando si presentano casi simili, bisogna molto spesso andare a vedere qual è
la ratio della norma quindi effettuare che cosa? effettuare probabilmente
un'interpretazione di casi, si dice, teleologica cioè qual è la finalità che il
legislatore voleva raggiungere con la fattispecie generale ed astratta? Forse il
caso concreto dinanzi a cui mi trovo, ecco, risponde alla stessa ratio. Perché si
vieta l'accesso ai cani? Si vieta l'accesso ai cani probabilmente perché c'è chi
può avere paura, ma se qualcuno ha paura del cane che non è un animale
aggressivo di natura, ha maggior ragione, potremmo dire, dovrebbe aver paura
dell’orso che ha come un livello di pericolosità sociale decisamente più alto
rispetto al cane.
Se la ratio è questa allora, si può utilizzare un'interpretazione analogica. Cioè,
la norma non c'è, ma io posso far rientrare il caso all'interno di una fattispecie
generale e astratta che regola casi simili. Perché? Perché la ratio che c'è a base
di questa norma è la stessa. Ci siamo? Anzi, qui è rafforzata la ragione per cui
io non devo far accedere l’orso. Se la ragione che sta alla base della norma è
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vietato fare entrare i cani e la sicurezza degli altri passeggeri, probabilmente il
legislatore non si poteva neanche immaginare che qualcuno si presentasse con
al guinzaglio un orso ma ha già ragione. Io faccio, applico la medesima norma
al caso concreto perché quel caso non fa che esasperare le ragioni di sicurezza
che sono la base della norma che vieta l'ingresso ai cani. In questo caso,
vedete, la fattispecie non c'è, cioè il legislatore non ha informato esattamente
quel caso ma ricostruendo la ratio alla base di quella norma posso estendere
l'applicazione della nonna interpretandola, si dice, sulla base del fine per cui
quella norma è stata posta, ci siamo? Ragionamento per analogia, ok? ci
possono essere anche casi, però simili, per differenza. Che significa?
Ragioniamo, vogliamo il caso invece vogliamo un caso, diverso, ma simile che
si presenti in sala d'altezza una signora non vedente con al guinzaglio un cane
guida. Che si fa in questo caso? Si applica letteralmente la norma che prevede,
che i cani non possono accedere o invece ancora una volta si guarda, si
sottolinea…
Ripeto, che accade se si presenta in sala d'attesa una signora, ipovedente con
un cane addestrato alla sua guida? La facciamo accedere o non la facciamo
accedere? Come interpretiamo la norma. La norma viene in questo caso, ma
anche qui l'interpretazione, teleologica, ci dice guardiamo la ratio, se la ragione
per cui il legislatore ha posto quella norma è di tutelare, gli altri i passeggeri,
dalla ipotetica pericolosità del cane è evidente che noi non siamo dinanzi a un
cane pericoloso ma a un cane che anzi svolge una funzione di soccorso e una
funzione di carattere sociale, quindi, come dire l'interpretazione non è per
analogia ma si dice per differenza. Cioè, è vero che il caso è lo stesso ma il
caso concreto, ma il caso concreto presenta significative differenze rispetto a
quello generale astratto, considerato dalla norma e dunque io posso
interpretare diversamente la norma. L'idea è sempre quella di, come dire
evitare di scavalcare l'interpretazione letterale e affidarmi a, diciamo, all'analisi
della ragione che è alla base della norma interpretazione teleologica. C'è un
altro, un terzo modo di interpretare le norme, mettiamo il caso che io ponga in
essere un contratto, il caso di, il caso di Porzia, fra due persone, con, diciamo,
due persone si curano un fatto, ma anche come quello, in questo caso, tra
(10:26) Antonio e Shai, pongono in essere comunque un contratto, tra di loro,
che ha un oggetto scandaloso, proprio in senso evangelico, per non dire proprio
macabro. Come diremo dinanzi a quel contratto? È ammissibile o non è
ammissibile? La terza possibilità si chiama un'interpretazione dogmatica o
sistematica, cioè io guardo non tanto i casi rispetto alle norme, ma le norme
rispetto ad altre norme, che possono essere i principi generali
dell'ordinamento, le norme costituzionali, o per esempio il contratto è un tipo di
negozio giuridico. Mi vado a vedere la disciplina del negozio giuridico, se la
disciplina del contratto non mi dice espressamente come devo regolarmi
innanzi a quel caso concreto, faccio e svolgo una ricognizione all'interno del
sistema, delle norme di sistema e di come sono incastrate all'interno del
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sistema con le deleghe di competenze e mi rendo conto se posso
evidentemente ricavare dei principi più utili per capire come regolarmi nel caso
concreto e che tipo di disciplina applicare al caso. Quindi terza possibilità:
interpretazione dogmatica si chiama o sistematica, sono, principi interpretativi
questi che studieremo nel diritto professionale, nel diritto privato se qui un
giorno si aprirà, si aprirà un corso di, interpretazione di argomentazione vi
assicuro che ci divertiremo un po' a esplorare tutti i tipi di ragionamento della
logica giuridica, non a livello di linguaggio del legislatore ma a livello del
linguaggio del giudice e di come il giudice in realtà deve muoversi attraverso i
segni e le gabbie, poste dal legislatore. Ecco e c'è tutta un'altra parte del
discorso e del ragionamento quindi tutta una serie di, schemi e di, stereotipi
che riguardano il ragionamento logico che sono diversi da quelli di cui stiamo
ragionando noi, ma che sono davvero molto, molto molto interessanti. Vi ho
detto tutto questo perché alla fine, come vedremo fra poco, le norme giuridiche
che noi finora abbiamo sempre definito, ora vi sto anticipando una definizione
che vi darò la settimana prossima, abbiamo sempre definito come degli schemi
di qualificazione trascendentale a proposizione di prescrittivo-sanzionatorie che
esprimono uno schema di qualificazione trascendentale, in realtà poi sono uno
schema di qualificazione, ma è sempre poi il prodotto dell'interpretazione da
parte di chi applica la norma al caso concreto. Cioè, quello schema è sempre,
nel momento in cui si passa l'applicazione della norma, interpretato,
reinterpretato da parte di chi deve poi decidere sull'applicazione della norma. Il
nostro esempio da cui siamo partiti “è vietato fumare”, qui pure è interessante.
Perché è vietato fumare sì, la norma in generale, l'abbiamo detto prima, come
ce ne togliamo nel caso in cui per esempio qualcuno utilizzi una sigaretta
elettronica che non è in nessun modo nociva per l'altro? O qualcuno che per
esempio debba utilizzare anche se qui come in Italia la situazione potrebbe
essere controverso, pensiamo in caso di essere in Svizzera o di essere in
Olanda, per esempio, delle sostanze stupefacenti a basso grado per motivi
terapeutici anche qui quella norma “è vietato fumare” può essere forzata e
interpretata rispetto a casi concreti in maniera diversa, per esempio, perfino
una norma che così netta. Pensate se torniamo al tema “è vietato l'ingresso ai
cani”, magari un conto è il cane come dire, pastore maremmano, che tutti
hanno paura e immaginate quei cani piccolissimi che alcuni si mettono nelle
loro borse, nei loro zaino che si portano in braccio. Quel cane rientra o non
rientra nel “vietato”, perché quello è un cane, per esempio, che non circolerete
all'interno della sala quindi anche nella letterarietà, rispetto alla letterarietà
dell'esercitazione della norma si apre, si aprono come dire, scelte di come
applicare la fatti specie generale astratta al caso concreto che sono volta per
volta sindacabili da parte di chi è chiamato al dicendo, da parte del giudice.
Quindi non è poi così, ecco, chiaro quando si dice il giudice deve così piano, il
giudice deve limitarsi ad applicare la legge, perché in quel passaggio di
limitarsi ad applicare si nascondono mondi interpretativi. Porzia, nel “canto di
Venezia” di Shakespeare, direi il primo esempio teatrale e letterario di come la
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giustizia nella modernità e quindi la giustizia in ambito positivista, positivistico
sia una giustizia formale, procedurale che è sempre il prodotto di un atto di
interpretazione.
Seconda critica a Kelsen – il linguaggio di una norma.
Chiusa la parentesi che riguarda la giustizia. Abbiamo in questo caso esaurito,
che cosa? Abbiamo esaurito una parte una prima parte delle critiche che noi
avevamo mosso a Kelsen. La prima critica, quella che risultava essere più
evidente nei nostri occhi è sempre stata quella, ma è ammissibile un diritto
senza giustizia? Cioè, possiamo costruire una teoria generale del diritto che
non contempli minimamente, che non si (33:56) rispesta minimamente al tema
della giustizia? La risposta è, in questo caso, no. Un minimo di giustizia deve
essere presente perché altrimenti probabilmente si perde l'essenza del discorso
giuridico.
C'è il rischio molto spesso di pensare, di credere, di continuare a parlare di
diritto, ma di parlare di un altro sistema normativo, non un sistema normativo
che può essere addirittura contro giuridico e dunque un sistema, per esempio,
criminale, pensiamo all'ordinamento giuridico nazista. Qual era la seconda
critica che aveva mosso Kelsen? È il linguaggio, bravissima, ovvero il tema
delle norme primarie e norme secondarie, no?
C'eravamo posti, che cosa? La questione riguardante “ L'Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro”, che linguaggio parla questa norma? Domanda
da cui dobbiamo ripartire oggi. Qual è il linguaggio che parla questa norma,
ragazzi? Primo (35:13) domanda, il dovere essere, c'è in questa norma? Lo
trovate? No, non c'è.
Parla il linguaggio dell'essere questa norma? Apparentemente sì. Cioè, se io
dovessi rispondervi, perché c'è scritto che “l'Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro”, va bene? Vi faccio però un contro esempio.
Che differenza c'è tra queste due proposizioni? Kelsen se la spiccia in maniera,
come dire, in maniera furba, più che intelligente. Perché lui dice, vabbè, quelle
non sono vere e proprie norme. Sono norme secondarie, tutto sommato,
l'essenza del discorso giuridico e la sua forza obbligatoria effettivamente dice
Kelsen “se io lascio quella proposizione, senza tutte le proposizioni che
derivano gerarchicamente da quelle che sono(36:15) un'interizzazione
prescrittivo, nessuno si preoccupa che “l'Italia è una repubblica democratica
fondata sul lavoro”, l'essenza del diritto riposa tutta nella sua forza prescrittivo
sanzionatoria, le norme primarie sono quelle munite di sanzioni.” Le altre sono
frammenti di norme, andateglielo però a spiegare a un costituzionalista, che le
norme della Costituzione sono norme secondarie o frammenti di norme. Tolto il
lessico kelseniano che si diverte a fare questa impressione, no? se avete dei
libri di diritto costituzionale o di teoria generale del diritto, le norme primarie
sono le norme della Costituzione, le norme secondarie sono le norme munite di
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sanzione. Kelsen che ribalta il concetto tra norma primaria e norma secondaria
perché per Kelsen, la funzione del diritto, dicevamo, è quella di essere una
mera tecnica di regolazione sociale. Cioè il diritto è semplicemente un riguardo,
un prescrittivo sanzionatorio che ci serve per costruire il nostro ordine sociale,
come costruisce il nostro ordine sociale il diritto?
Attraverso il timore dell'applicazione della sanzione se trasgrediamo le regole
codificate come norme. La domanda che ci troviamo dunque è, misconoscere
tutto sommato la natura di norma alle norme secondarie non è soltanto
controintuitivo, ha anche delle implicazioni che riguardano la funzione del
diritto a livello teorico, cioè davvero che pensiamo che il diritto sia così poca
cosa, sia solo un linguaggio che ci può far paura? Siamo rimasti a Hobbes,
siamo rimasti al concetto del Leviatano di Hobbes. In realtà, come vedremo a
partire da oggi adesso proprio, la funzione del diritto non è soltanto quella
prescrittiva o sanzionatoria, non ci sono dubbi che il diritto è il linguaggio più…
il tipo di linguaggio più congente, più coattivo all'interno di tutte le forme di
linguaggio.
Ma è anche vero che il diritto è molto di più che un linguaggio prescrittivo
sanzionatorio. Il diritto è il linguaggio attraverso cui noi, costruiamo la nostra
realtà sociale. Lo vedremo con un filosofo, contemporaneo che insegna adesso
proprio a Berkley che si chiama John Searle, che scrive un libro bellissimo
l'anno scorso, fino a poco tempo fa lo facevo portare come libro di testo “la
costruzione della realtà sociale”.
Funzione performativa ed enunciazione del diritto – John
Austin
Quindi in realtà il diritto svolge una funzione molto, molto, molto più ampia
rispetto a quella con cui lo identifica Hans Kelsen. Però lo dobbiamo dimostrare,
ci dobbiamo arrivare. Partiamo sempre dall'esempio pratico “L'Italia è una
repubblica democratica fondata sul lavoro”. Questa proposizione, tutto sembra
che è una norma alla Kelsen, tutto sommato non è una norma alla Kelsen. Lo
dice pure lui. Non c'è uno schema di qualificazione, non c'è un fatto qualificato
come illecito, non c'è una sanzione, non c'è nessun nesso di imputazione.
Chiaro? Che differenza passa tra la proposizione “l'Italia è una repubblica
fondata sul lavoro” e la proposizione “oggi è una bella giornata”? Domanda da
un milione di dollari. Ragioniamo insieme. Entrambe le proposizioni parlano il
linguaggio dell'essere. Che differenza c'è tra queste due proposizioni? Dal
punto di vista del linguaggio è proprio questo il problema. Cioè, una
proposizione è sempre vera “l'Italia è una repubblica fondata, democratica
fondata sul lavoro” è giusto? e ora vedremo perché è sempre vera. L'altra
invece sappiamo essere vera o falsa, perché però la prima è sempre vera?
“oggi è una bella giornata”, sappiamo che è una proposizione che può essere
vera o falsa perché noi possiamo comparare la mia proposizione con il mondo
intorno a noi e quindi se la proposizione è adeguata descrive adeguatamente lo
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stato di fatto. Sarà una proposizione adeguata, se la descrizione non è
adeguata sarà una proposizione falsa, e nel caso che “l’Italia è una repubblica
fondata sul lavoro” è sempre vera, perché? Non ci sono dubbi che è sempre
vera, perché non possiamo definire la falsa questa proposizione?
Perché ci dice, ci istituisce in quel momento nel nostro ordinamento giuridico
come? cioè, noi sappiamo che il nostro ordinamento giuridico è una repubblica
fondata sul lavoro, nel momento in cui andiamo a leggere l'articolo della
Costituzione che ci dice tutto questo, va bene? Dunque, allora, quello non è che
quell'articolo descrive qualche cosa. Come se fosse un postulato, un punto di
partenza.
Allora, per capire però la differenza fondamentale fra questa proposizione che
riguarda il nostro ordinamento pubblico, che è sempre vera, e la proposizione
“oggi è una bella giornata”, dobbiamo fare un salto all’interno della filosofia del
linguaggio.
Quindi fate una meravigliosa, come dire, un meraviglioso detour stamattina in
filosofia del linguaggio. Per andare a recuperare una teoria degli atti linguistici
di un filosofo inglese che ha insegnato a Oxford, un filosofo oxfordense, nella
seconda metà dell’Ottocento, siamo intorno agli anni Sessanta, che si chiama
John Austin. Allora, questo nome, John Austin, non lo dovete confondere, ma c'è
un autore omonimo, proprio che si chiama John Austin, che io cito anche nel
mio libro, perciò non facciamo pasticci, che è il padre del positivismo giuridico
americano, è un teorico del diritto. Uno è vissuto all'inizio del Novecento, l'altro
nella seconda metà. Uno è americano e uno è inglese. Uno è un giurista, l'altro
è un filosofo del linguaggio che non sa niente di diritto, il diritto non esiste negli
studi di John Austin, John Austin il primo, quello su cui stiamo lavorando oggi.
Quindi non fate confusione perché spesso agli esami poi succede che chi non è
stato attento, chi non ha frequentato fa parecchi pasticci tra i due autori perché
poi ci sono, possibilità di pasticciarli in realtà. John Austin, filosofo del
linguaggio. Austin scrive un libro che ha un titolo, secondo me, bellissimo
meraviglioso si chiama “Come far cose con parole”. Cioè, dice Austin, ci sono
tutta una serie di cose che noi facciamo, sono fatte di parole, sono fatte
attraverso il linguaggio. Ci sono tante azioni che noi possiamo fare, possiamo
compiere solo attraverso il linguaggio facciamo degli esempi, uno già lo
conoscete, l'abbiamo fatto la settimana scorsa e l'abbiamo ripetuto lunedì: “io
vi prometto che la lezione di oggi la seconda parte della lezione di oggi sarà
divertente”, come faccio a promettere qualche cosa a qualcuno se non glielo
dico? “Io vi ringrazio di essere venuti oggi a lezione” come fate a ringraziare
qualcuno se non glielo dite? “io vi giuro, che non sarò clemente agli esami”, il
giurare qualche cosa a qualcuno, come fate a giurare se non lo dite? “io
affermo che oggi è una bella giornata” come fate ad affermare qualche cosa se
non lo dite? “io dispongo che da domani le lezioni si svolgano con le finestre
Sbobina di filosofia 23/10/2024 – 1° parte
aperte” il disporre è un altro verbo, un'azione che potete compiere solo
attraverso il linguaggio.
Ci sono tutta una serie di azioni che voi potete compiere solo se le dite, solo
attraverso le parole, solo attraverso il linguaggio: il chiedere, il promettere, il
giurare, il disporre, l'affermare, il ringraziare, il pregare guardate, come fate a
pregare qualcuno se non glielo dite? per esempio, no? il condannare, il
giudicare, sono tutte azioni che noi possiamo compiere solo attraverso il
linguaggio. Cioè se non le dite queste cose, l'azione non la potete porre in
essere, e così si rende conto, perché Austin inaugura questa branca della
filosofia del linguaggio, ora capirete perché, che si chiama filosofia del
linguaggio ordinario, che finora la logica è la filosofia, avevano considerato due
funzioni del linguaggio che tutto sommato dice Austin, nel modo in cui noi ci
relazioniamo tra noi, quotidianamente hanno e rivestono una funzione
marginale. C’è la funzione descrittiva e la funzione prescrittiva, ma tutto
sommato fra le mille cose che noi ci diciamo tra noi quotidianamente
raramente descriviamo qualche cosa o prescriviamo, cioè, tutto il nostro
riguardo non è legato “questa è una cattedra”, “oggi è una bella giornata”, “tu
devi chiudere la finestra”, sono tutte le proposizioni o descrittive o prescrittive.
Tra queste due alternative dice Austin, si apre un mondo di atti linguistici, che
sono quelli che esprimono poi la nostra relazionalità sociale, cioè, tutti quegli
atti con cui noi ci relazioniamo con gli altri sono atti, che esprimono azioni che
noi possiamo compiere solo attraverso il linguaggio, solo se le diciamo, è
chiaro?
Allora Austin individua e si accorge di una terza funzione del linguaggio, non
solo funzione descrittiva o funzione prescrittiva ma anche un'altra funzione la
funzione performativa da “to perform”, ovvero l'idea per cui per effettuare
alcune azioni/performance, è necessario produrre determinate parole, cioè
queste azioni io le posso compiere solo se le dico. Non solo, poiché si tratta di
azioni, che io vengo a compiere Austin dice che in questo caso piuttosto che di
proposizioni performative e poiché io mi approprio della proposizione è data
dunque in un atto linguistico, nel condimento di un'azione. Austin introduce il
termine “enunciazione”. L'enunciazione è l'appropriazione da parte di un
soggetto di una proposizione usandola. Dunque, Austin parla di enunciazioni
performative, che cosa sono le enunciazioni performative? Sono quelle
enunciazioni, che compiono l'azione, che dicono di compiere. Sono le
enunciazioni, che compiono l'azione che dicono di compiere. Ti ringrazio, solo
se dico di ringraziarti, solo se utilizzo la parola posso compiere l'azione. In
questo caso vedete il linguaggio, la parola non esprime né un comando né una
descrizione, ma costruisce qualche cosa che prima non c'era: il ringraziamento,
la preghiera la promessa, il giuramento, il giudizio, la condanna tutta una serie
di oggetti che si possono evidentemente costruire, solo attraverso le relative
parole, solo con le parole. Perciò Austin intitola questo libro bellissimo in cui
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scopre la deduzione performativa del linguaggio, come fare cose con parole,
perché effettivamente lui si accorge che la maggioranza dei nostri scambi
sociali, dei nostri atti sociali, avviene attraverso azioni che noi possiamo
compiere solo se le diciamo, solo attraverso il linguaggio.
E dunque le enunciazioni performative hanno una funzione costitutiva rispetto
agli atti che producono. Torniamo all'esempio che conosciamo, ragazzi, che
abbiamo visto e stravisto in tutte le (52:56) salse, “io vi prometto che domani
ci sarà la lezione”, nel momento in cui io proferisco la parola “io vi prometto,
che domani ci sarà la lezione” sapete voi che cosa? che la promessa si è…? Se
produco l'atto linguistico si costituisce anche l'atto, l'azione, vi ricordate il
concetto di validità pragmatica a priori rispetto alla struttura e alla funzione?
Poco male se io poi non mantengo la promessa, quello riguarderà gli effetti. Ma
nel momento stesso in cui io dico “io vi prometto” in quel momento ho assunto
l'obbligo si è costituito nei vostri confronti un obbligo nei miei confronti. Questo
significa che attraverso il linguaggio ho costituito, costruito un oggetto che
prima non c'era e che esiste solo e soltanto attraverso la pronuncia delle
relative parole che lo pongono in essere.
Ok? “Io vi prometto”. È una proposizione che potete definire falsa, vera o falsa?
Torniamo a quello che ci siamo detti prima a proposito “dell'Italia è una
costituzione”. “Io vi prometto”. Perché non è né vera né falsa? Nel momento
stesso in cui io ho detto, io vi prometto, io vi sto promettendo, lasciamo
perdere, perché qui mantengo meno la promessa, ma la promessa si è
costituita e quindi quella proposizione è sempre vera rispetto alla promessa. Se
l'enunciazione performativa si costituisce validamente, l'oggetto che
costituisce è sempre vero, la proposizione contenuta è sempre vera. “Io vi
prometto” vuol dire che la promessa io l'ho fatta, lasciamo perdere se poi la
mantengo o meno ma basta il proferimento, il proferire la parola per costituire
e costruire il relativo atto o oggetto. Questo già lo sappiamo dalle
considerazioni che abbiamo fatto sulla validità pragmatica a proposito dell'atto
linguistico della promessa, ok? Bene. Tanto è vero questo che c'è uno studio,
per esempio, fra tanti, antropologico - su cui torneremo poi nelle prossime
lezioni - di due antropologi inglesi che, un bel po' di anni fa, si recarono
sull'isola di Tonga a studiare i costumi, i comportamenti, le regole di vita di
alcuni gruppi di indigeni locali. Costoro non sapevano niente e iniziarono a
osservare - questa è una cosa che tornerà perché tutta la seconda parte del
corso sarà sul tema dell'osservazione - senza dilungarci sul tema
dell'osservazione, arrivarono ad una conclusione interessantissima per quel che
riguarda la teoria della performatività. Cioe loro riuscirono a capire che
all'interno dei gruppi di indigeni dell'isola di Tonga, nessuno prometteva
qualche cosa a qualcun altro perché mancando la parola promessa, il verbo
promettere, mancava l'idea stessa dell'obbligarsi con qualcun altro a porre in
essere un'azione futura. cioè, il compimento dell'azione era così legato all'idea
del linguaggio che mancando la parola - era intraducibile la parola - questo
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significava che in quei gruppi sociali non conoscevano l'idea che obbligassi tra
loro per il futuro, proprio perché tu puoi promettere a qualcuno se conosci la
parola che ha quel significato e pronunci quella parola dove manca la parola,
manca anche il concetto proprio perché la cosa è fatta di parole.
Questo esempio l’ho preso da Wittgenstein sul tema dell'osservazione, per
esempio un allievo diretto di Wittgenstein, nelle note sul lavoro di (58:10)
Frazer, per esempio, Wittgenstein parla proprio di tutto questo tema, cioè
proprio il tema degli usi e come si può in realtà comprendere il linguaggio che
non si conosce di coloro i quali hanno attitudini sociali altamente diverse da noi
e quindi hanno anche concetti che sono radicalmente lontani da quelli invece
che regolano la nostra vita sociale.
Avevo in mente quest'anno di fornirvi ogni (59:47) tot di, una specie di
bibliografia ideale, delle fonti che ho utilizzato e che vi ho citato, tra letteratura,
filosofia, cinema.
Non so se lo farò, questo vediamo un attimo, se ogni volta che chiudiamo un
tema. Vediamo se dedichiamo più spazio a queste cose. Per ora mi sto
preoccupando se dobbiamo andare avanti , ci dico la verità, perché vorrei fare
più cose possibili alla fine, cioè chiudere i corsi costituzionali presto. Questa è
la mia idea quest'anno. E poi approfondire delle teorie del diritto a livello
seminariale, che non si fanno quasi mai in un corso di filosofia diritto, che sono
per esempio della contemporaneità, quindi farvi vedere come ragionano i
critical legal studies statunitensi contemporanei, partendo dalla visione di
([Link]) Lloyd Howard, per esempio, che è davvero interessante. Oggi si
studiano, dovete sapere che grandi studi legali, quindi non stiamo parlando di
teoria, stiamo parlando in realtà di pratica nel dritto. hanno il consulente visivo
o il consulente cinematografico, cioè, studiano i modi in cui vengono
rappresentati giudizi simili attraverso il cinema o le serie televisive, per capire
quali sono gli schemi di ragionamento che sono metabolizzati da parte delle
giurie che hanno un'idea del diritto, voi come lo conoscete il diritto? Attraverso
la rappresentazione del diritto, noi lo vedremo, spero ragazzi di farvi arrivare a
questo punto attraverso il carcere, la rappresentazione del carcere e la
rappresentazione quindi più semplice, più banale del processo penale a livello
televisivo e cinematografico, ma gli americani che hanno il tema, il problema
delle giurie popolari che qui invece è molto meno sentito, perché il processo si
costruisce in maniera radicalmente diversa, si preoccupano tantissimo di capire
quali sono gli schemi di ragionamento a cui sono abituati i giurati e come ti
abitui a ragionare in un certo modo, guardando la televisione
fondamentalmente o andando al cinema. E quindi loro studiano per avere i
mezzi migliori. Pensate, ci sono dei corsi in cui fanno - gli avvocati si esercitano
ad avere le stesse movenze fisiche come gli attori sul palco, sul set, sul
palcoscenico, no? Allora si muovono nello stesso modo degli attori nelle serie
più celebri per, come dire, captare meglio l'attenzione, per incontrare meglio
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l'attenzione dei giurati all'interno delle giurie popolari. Per dirvi oggi, come dire,
la teoria del diritto, diciamo, dove arriva e dove si sta spostando. Quindi la mia
idea adesso, anche se avrei voluto fermarmi per darvi le indicazioni
bibliografiche magari lo facciamo a un certo punto però vorrei correre verso la
seconda parte, l'ultima parte del corso che secondo me è quella che ci
permette anche di esplorare ambiti inediti per il corso di filosofia del diritto al
primo anno o almeno provarci tutti quanti insieme, come ho fatto l'altro l’altro
pomeriggio con Antigone, magari tante cose non le comprende una volta che
viene chiaro tutti i passaggi della teoria generale del diritto quindi, quelle che si
chiamano le istituzioni ci possiamo tranquillamente dilungare per sentieri
diversi, poi poco importa se non tutto è chiaro ma secondo me bastano le
suggestioni, poi almeno si crea i propri sentieri se può camminare per la sua
strada.
Detto tutto questo invece torniamo ai nostri problemi riguardanti - non tanto
l'isola di Tonga – è la promessa, ma l'idea per cui siamo in grado di far cose con
parole. Che significa che siamo in grado di far cose con parole? significa che ci
sono atti sociali che noi possiamo declinare solo e soltanto come atti linguistici,
per dirla con Austin, in maniera più filosoficamente propria o appropriata, ok?
Azioni che hanno rilievo sociale che noi possiamo compiere solo e soltanto
attraverso il linguaggio, solo se le diciamo. Chiaro ci siamo? Bene. Dunque,
dicevamo che il contenuto di una enunciazione performativa è sempre vero,
solo e soltanto nel momento in cui si produce l'enunciazione. “Io vi giuro”, in
quel momento vi ho giurato, si è prodotto il giuramento. “Io vi ringrazio”, in
quel momento vi sto ringraziando, “io affermo”, ho fatto la mia affermazione,
“io dispongo”, in quel momento ho prodotto una disposizione, chiaro?
Dunque, in tutti questi casi, come diceva lei prima, qui è chiaro che non c'è
vero o falso, perché non c'è corrispondenza, no? Ricordate la teoria della verità
e della falsità di Tommaso Raguino, no? È proprio il primo a capire che il
linguaggio è vero o falso quando c'è corrispondenza fra il linguaggio e lo stato
di fatto. Qui non c'è tutto questo, perché lo stato di fatto è il prodotto del
linguaggio.
Mentre qui avete la possibilità di comparare il bel tempo, che non dipende da
noi, a quello che io sto dicendo che dipende da me, “io vi prometto”, la
promessa si produce, l'atto del promettere, si produce nel momento stesso in
cui io affermo che sto promettendo quindi l'oggetto dell'enunciazione non è
esterno all'enunciazione, è sempre vero, perché è il prodotto dell'enunciazione.
ci siamo? è chiaro per tutti? l'oggetto della proposizione si costituisce nel
momento stesso in cui io produco l'enunciazione, perché? perché è fatto di
parole, produco l'atto linguistico, produco l'azione sociale; perciò, è sempre
vera quello che io faccio, perché è nel momento in cui lo faccio, lo sto facendo;
d'altronde la definizione di performativo vi dice che l'enunciazione performativa
- quando è l'enunciazione performativa? quando compie l'azione, che dice di
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compiere. E dunque se compire l’azione che dice di compiere, quando lo dice,
si verifica l'azione. E dunque l'azione è sempre vera, perché si è prodotta nel
momento stesso in cui io l'ho detta. Ci siamo? È chiaro per tutti? Perché ora
vogliamo andare a complicare il nostro ragionamento. Finora è evidente la
differenza che c'è tra linguaggio descrittivo e linguaggio performativo. Ok?
Bene.
Poi ci fermiamo, però vi lascio, ci fermiamo come al solito, con il dubbio.
Facciamo un esempio diverso: “Io vi prometto che domani ci sarà lezione”, la
promessa vera, fatta, giusto? Domani però non c'è lezione. Io vi sto dicendo, vi
sto promettendo una cosa che domani non manterrò. Quindi, l'oggetto della
promessa si è costituito, lo scopo, la finalità della promessa invece è
magnificato dal fatto che noi sappiamo che domani la promessa non ci sarà.
Dunque, iniziamo a pensare che un conto è l'oggetto della promessa, un conto
è il fine che io voglio raggiungere con la promessa, un conto è l'atto che si
produce, un conto è lo scopo che io voglio raggiungere con quell'atto. Mi spiego
diversamente. Se dovessi convocare davanti a me due di voi, uomo o donna,
uomo o uomo, donna o donna, e dovessi in questo preciso istante pronunziare
le seguenti parole. “Io in qualità di pubblico ufficiale vi dichiaro marito e moglie,
moglie e moglie, marito o marito”, voi sareste legati da vincolo coniugale? Lda
mia dichiarazione si produce, è vera, io sto facendo una dichiarazione, è vero,
sì, io me la sto dichiarando, ma gli effetti della mia enunciazione informativa
ella mia enunciazione performativa qui si producono o non si producono?
Non si producono direttamente, e perché non si producono?
Stop, ci fermiamo qui, ci vediamo tra poco.