Storia Ec. II Modulo
Storia Ec. II Modulo
Questo periodo è quello definito Belle Époque che crollò definitivamente con l'avvento
della Grande Guerra e a tal proposito viene usata la metafora del Titanic che affonda
Capitolo nono, Le conseguenze sociali ed economiche della Prima guerra mondiale e gli anni 20 in
Europa e Stati Uniti
Molte sono le ragioni che hanno scatenato la Prima guerra mondiale. Il conflitto franco-tedesco sul
possesso di Alsazia e Lorena aveva un importante risvolto economico: importanti miniere di ferro,
di zinco e di carbone ivi localizzate; il successo e l'espansionismo delle imprese tedesche; i contrasti
economici nei Balcani; il dissenso tra Germania e Russia, che all'epoca confinavano non esistendo
la Polonia, sul protezionismo.
Va poi sottolineato il fatto che in Europa arrivò la convinzione, dal periodo preindustriale, che la
guerra fosse uno strumento valido per far prevalere un'egemonia e per acquisire nuovi territori
arricchendo il vincitore. Ma la guerra diventava motivo di rallentamento dell'accumulazione,
attraverso la distruzione del capitale fisso e umano e lo scompiglio di mercati con notevoli perdite
economiche per tutti combattenti, un esempio di gioco a somma negativa.
La Prima guerra mondiale fu lunga e distruttiva, sia in capitale umano che fisico. Morirono 9
milioni di soldati e 40 milioni di persone furono falciate tra il 1918 e il 1919 dall'epidemia di
spagnola, un'influenza letale che si diffuse a causa della guerra, poi vanno aggiunti i morti della
guerra civile in Russia. Alle perdite umane e di capitale vanno aggiunti la dissoluzione dell'impero
austroungarico, il dramma delle riparazioni tedesche e il rallentamento delle economie europee. A
livello finanziario le spese militari furono molto pesanti e i governi fecero ampio ricorso alla stampa
di carta moneta con un conseguente processo di inflazione.
L'Inflazione, il riaggiustamento dei conti pubblici, il ritorno al gold standard, il reinserimento dei
militari non deceduti in attività talora assunte dalle donne durante la guerra, la conversione delle
industrie dalle produzioni di guerra a quelle di pace, le riparazioni dei danni materiali furono tutti
problemi non facili che vinti e vincitori dovettero risolvere in assenza di un qualunque aiuto
internazionale.
- Effetti Negativi:
- Costi Umani: Perdita di vite umane.
- Costi Economici: Distruzione delle economie.
- Costi Sociali: Cambiamenti e traumi sociali.
- Durata della guerra: Inaspettata e prolungata, causando ingenti perdite.
- Interruzione dei flussi commerciali: Deterioramento degli scambi intra-europei e globali.
- Effetti Positivi:
- Stimolo all’Innovazione Tecnologica: La guerra porta a sviluppi tecnologici, ad esempio, nel
settore dell'aviazione, che si consolideranno dopo il conflitto.
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1. Lo smembramento dell'impero asburgico e la riorganizzazione territoriale dell'Europa
Alla Germania fu tolto il 13% del suo territorio, restituendo l'Alsazia e la Lorena alla Francia e
accorpando le regioni polacche arresto della Polonia ristabilita come nazione. Poi vennero formate
10 nuove nazioni più 2 città libere (Fiume incorporata nello stato italiano nel 1924 e Danzica).
Le frontiere doganali furono aumentate, le monete in circolazione si moltiplicarono e con esse le
banche centrali ma, motivo di ancor più instabilità, furono le nuove nazioni che dovettero iniziare la
loro vita economica prive di qualunque aiuto internazionale. Ci fu un solo piccolo fondo privato
americano di aiuto, l'Ara, che durò da gennaio a luglio del 1919.
Oltre alle incertezze istituzionali e all'indebitamento estero, gli altri principali problemi che
dovettero affrontare i nuovi Stati furono:
- La riforma agraria ® i latifondi andavano ridimensionati e questo richiedeva riforme che
erano politicamente difficili ed economicamente travagliate;
- Il ridimensionamento del commercio ® i legami commerciali di aree che facevano parte
precedentemente di compagini nazionali diverse dovevano essere riorganizzati in funzione
del mercato interno e diversificati in funzione del mercato estero, tutto questo processo
richiedeva molto tempo;
- Il ricompattamento e il ridimensionamento delle infrastrutture ® le infrastrutture
interne erano appartenute a nazioni diverse e quindi avevano standard diversi oppure erano
costruite in funzioni di direzioni e di dimensioni diverse;
- La promozione dell'industria ® solo Cecoslovacchia e Austria avevano un’importante
base industriale e quindi tutte le altre si trovarono a dover promuovere l'industrializzazione.
Solo la Cecoslovacchia ebbe buon tasso di crescita, a seguire anche la Jugoslavia, mentre
Polonia e Bulgaria mostrano dei risultati veramente deludenti, la prima per effetti
particolarmente negativi della guerra e la seconda per una totale disorganizzazione del
paese.
In conclusione, si può affermare che la riorganizzazione territoriale dell'est europeo avrebbe avuto
bisogno di un lungo periodo di prosperità internazionale e di pace per consolidarsi e devolvere ma
questo non avvenne: si scatenò la grande crisi e scoppiò la Seconda guerra mondiale. la povertà è la
difficoltà dell'Europa orientale fu una facile preda delle convulsioni che attanagliarono l'Europa
occidentale.
La nuova Repubblica di Weimar vide non solo perdite umane ma anche la perdita del 13% del suo
territorio. Tutte le colonie erano state confiscate, pure la marina militare e tutto il materiale bellico.
La Germania fu costretta a invii in natura agli alleati di svariati prodotti in conto di riparazioni fino
al 1923.
Nei 14 punti del presidente americano Wilson che costituirono la base della pace di Versailles ce
n'era uno che prevedeva che la Germania pagasse una somma riparatrice per i danni subiti
dagli alleati ma in questo punto non vi erano fissati dei parametri quantitativi e perciò venne
nominata una commissione per le riparazioni con sede a Berlino.
• Difficoltà Economiche:
- Incremento delle spese pubbliche per sostenere la popolazione.
- Necessità di risorse per la ripartenza della struttura economica.
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Anche in passato, alla parte che perdeva, era richiesto di pagare un'indennità, ma in generale si
trattava di una somma una tantum; alla fine della guerra franco tedesca del 1871, alla Francia fu
richiesta di pagare una somma in oro alla Germania causando un episodio inflazionistico che non
giovò alle esportazioni tedesche. Emerge da questo episodio che il pagamento di un'indennità era
destabilizzante dell'equilibrio economico esistente.
Keynes aveva raccomandato prudenza con le richieste di riparazioni e poiché le richieste tedesche
erano anche collegate al pagamento dei debiti di guerra da parte degli alleati, e dunque suggeriva
che questi venissero cancellati perché riteneva che né le riparazioni né i debiti di guerra sarebbero
comunque stati pagati per più di qualche anno. Inoltre, le raccomandazioni di Keynes terminavano
con un'esortazione agli Stati Uniti per la ricostruzione europea. Ma nessuno di questi suggerimenti
fu accolto e la realtà superò tutte le sue più tragiche previsioni con il secondo grande conflitto
mondiale. Il fatto è che gli Stati Uniti furono inflessibili nel richiedere il pagamento dei crediti e
questo rese altrettanto rigidi paesi europei vincitori nel pretendere che la Germania pagasse.
La prima proposta fu avanzata nel 1920 e prevedeva un pagamento di 269 miliardi di marchi-oro (6
volte il Pil tedesco), i tedeschi non la accettarono e chiesero una revisione. Nel 1921 con la
conferenza di Parigi la somma venne abbassata a 226 miliardi con l'aggiunta di un prelievo del 12fl
sulle esportazioni tedesche per 42 anni ma di nuovo la Germania non la ritenne una proposta giusta.
Nello stesso anno venne proposto l'ultimatum di Londra con la richiesta di 132 miliardi di marchi-
oro da pagare con un tasso di interesse del 6%.
La Germania chiese una moratoria (sospensione) dei pagamenti in denaro mentre continuavano
quelli natura e su questi si aprì un contenzioso che fini col portare all'invasione della Ruhr da parte
delle truppe francesi e belghe nel 1923. La situazione monetaria della Germania incominciò
peggiorare drasticamente. L'inflazione si tramutò in iperinflazione e il sistema monetario tedesco
venne distrutto. Nel novembre 1923 venne introdotto un nuovo marco, il Renten Mark, e nel
dicembre dello stesso anno venne affidata ad una commissione presieduta da Charles Dawes il
compito di fissare un piano ragionevole di pagamento delle riparazioni. Il piano Dawes prevedeva
il pagamento di rate annuali che aumentavano con un indice di prosperità dell'economia tedesca
senza fissare un orizzonte temporale; inoltre, prevedeva un prestito di carattere commerciale da
piazzare sulla borsa di New York permettendo all'economia tedesca non solo di iniziare il
pagamento ma anche di coprire qualche altro buco della bilancia dei pagamenti. Nell'agosto del
1924, in corrispondenza con l'applicazione del piano Dawes, la circolazione monetaria venne
stabilizzata ma dato l'afflusso di capitali stranieri, l'economia tedesca si trovò altamente dipendente
da tali capitali. Il piano fu un pilastro che tuttavia poggiava su sabbie mobili in quanto la Germania
poi doveva mantenere elevati i tassi d'interesse ma, poiché questi capitali venivano presi a prestito
perlopiù dai comuni e dal settore agricolo, non ci si poteva aspettare da tali settori una profittabilità
sufficiente per la copertura di interessi così elevati. In questo modo l'attrattiva del mercato tedesco
per gli investitori stranieri diminuì, alla fine del 1927 si profilò un raffreddamento della congiuntura
tedesca e il ritiro di capitali americani divenne inevitabile provocando una crisi.
Il 1928 fu l'anno postbellico migliore per la Germania e l'anno seguente venne stilato un nuovo
piano, il piano Young. Con esso si abbassava la rata annuale e si fissava l'orizzonte temporale del
pagamento in 37 anni. In questo periodo però l'economia tedesca era già in crisi mentre quella
mondiale precipitò di lì a poco con la crisi americana (del '29), il pagamento di riparazioni venne
sospeso nel 1931 e non venne più ripreso in seguito.
Le conseguenze della vicenda delle riparazioni resero la Germania uno dei poli della grande crisi.
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Un altro aspetto è la questione della rivalutazione. L'iperinflazione aveva azzerato tutti capitali
liquidi, oltre alla moneta corrente. Dopo la stabilizzazione ci fu una discussione sui possibili modi
per compensare, almeno parzialmente, tali perdite ma alla fine non si fece nulla, aumentando la
disaffezione della classe media e spingendo tale classe verso partiti estremi.
In conclusione, le riparazioni effettivamente pagate furono modeste, accogliendo la stima delle
commissioni berlinesi che però escludevano gran parte di pagamenti in natura e del valore dei beni
tedeschi all'estero confiscati, che invece comparivano nella stima del governo tedesco.
La responsabilità di tale insipiente politica va equamente divisa tra gli Stati Uniti, che erano troppo
isolazionisti, e la politica, che ancora non aveva capito che occorreva abbandonare la logica
nazionalistica e della vendetta. Inoltre, la vicenda delle riparazioni tedesche, anche dal punto di
vista economico, era mal congegnata in quanto gli Stati Uniti avrebbero dovuto avere una bilancia
di pagamenti in deficit per assorbire capitali dall'estero.
Gli anni 20 videro un'Europa incapace di dar vita ad un nuovo ciclo di sviluppo: la Gran Bretagna
presentò l'andamento più insoddisfacente mentre Francia e Italia ebbero risultati economici meno
negativi.
- La depressione di inizio anni '20 segna il tentativo di tornare a politiche economiche pre-guerra,
come il pareggio di bilancio e il ritorno al gold standard.
- Queste politiche portano a conseguenze negative, con un approccio troppo drastico per controllare
l'economia.
È stato sorprendente vedere che la Gran Bretagna si avvitò, negli anni 20, in una spirale negativa
con una disoccupazione tra il 7 e l'11% e le esportazioni che ristagnavano. La grande guerra aveva
indebolito la Gran Bretagna sia finanziariamente, sia sul piano industriale e commerciale. Gli
impianti non erano stati rinnovati e le esportazioni tradizionali erano state soppiantate da altri paesi;
inoltre venne accumulato un debito di 4,7 miliardi di dollari nei confronti degli Stati Uniti.
L'inflazione era superiore a quella americana, rendendo inevitabile una svalutazione della sterlina
ma questo fu l'evento che si volle evitare a qualunque costo in quanto c'era la convinzione che i
problemi dell'economia inglese sarebbero stati risolti se si fossero ristabilite le condizioni
prebelliche. E infatti quando tentò di ritornare al gold standard, la Gran Bretagna nel 1925 volle
ritornarvi con lo stesso tasso di cambio rispetto al dollaro che vigeva prima della guerra. Questo
successe perché gli inglesi erano ancora fiduciosi di poter essere i leader e la decisione del Primo
Ministro Churchill fu appoggiata sia dalla City e sorprendentemente persino dalla confederazione
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degli industriali. Fu soltanto Keynes ad opporsi, senza essere ascoltato, a tali decisioni scagliandosi
contro l'uso di una teoria obsoleta e anticipando che tale decisione avrebbe mantenuto l'economia
inglese in una cronica posizione di equilibrio spurio.
Il governo dovette far uso di una politica monetaria restrittiva, con alti tassi di interesse che
disincentivarono gli investimenti, mentre le esportazioni cadevano anche a seguito di un
lunghissimo sciopero dei minatori nel 1926. La bilancia dei pagamenti divenne negativa e le riserve
si assottigliarono. Sono alla fine del decennio la situazione presa migliorare per invertirsi però
nuovamente a seguito della grande crisi.
Nell'economia francese degli anni 20 ci sono molti paradossi: il primo è che subì grosse perdite
dalla guerra e riteneva indispensabile ottenere mezzi per la ricostruzione attraverso le riparazioni
mentre in realtà finì con il ricostruirsi con i propri mezzi, data la lentezza dei pagamenti. Il recupero
dell'Alsazia e della Lorena, regioni ricche di materie prime e industrializzate, giocò un ruolo
positivo, come pure fu positivo l'allargamento della capacità produttiva dell'industria pesante che
era stata realizzata durante la guerra; il secondo paradosso fu la grande instabilità politica, infatti,
tra il marzo 1924 e il luglio 1926 si susseguirono 11 diversi governi. Ci fu poi Raymond Poincare,
capace di stabilizzare il franco riportando ordine nella finanza pubblica e nella politica monetaria
senza danni per la democrazia francese; il terzo paradosso è legato al tipo di stabilizzazione che
venne effettuata; infatti, il franco venne stabilizzato al tasso corrente senza tentare improbabili
recuperi dei tassi di cambio prebellici. Il successo francese fu rovescio della medaglia
dell'insuccesso inglese.
L'Economia francese fu la migliore fra le tre qui analizzati anche se superata dall'Italia quanto a
produzione industriale. Particolarmente brillanti sono state le esportazioni aumentate di circa il
50%.
Obiettivi principali: Volpi si concentrò sulla stabilizzazione della moneta e sul risanamento del debito pubblico, in
particolare il debito di guerra accumulato durante la Prima Guerra Mondiale.
Risultati:
* Con un viaggio negli Stati Uniti, Volpi ottenne una rateizzazione del debito di guerra su più di 60 anni,
riducendo il tasso di interesse e rinunciando gli Stati Uniti a circa l'80% del proprio credito nei confronti
dell'Italia.
* Volpi riuscì a stabilizzare la moneta e a riaprire i flussi finanziari dall'estero. In particolare, negoziò con gli Stati
Uniti e il Regno Unito per ridurre significativamente il debito complessivo dell'Italia. L'incidenza del debito
pubblico sul reddito nazionale scese dal 110% al 57%.
Obiettivi:
1. Pareggio di bilancio: Il primo obiettivo era ridurre il disavanzo del bilancio pubblico, gravato anche dal
debito di guerra.
2. Sviluppo economico: L'obiettivo era favorire la ripresa del sistema produttivo, puntando sullo sviluppo
industriale e sull'export.
3. Incentivare gli investimenti privati: De Stefani cercò di orientare il risparmio privato verso gli investimenti
industriali per aumentare l'efficienza e la produttività.
* Un forte taglio alla spesa pubblica, in particolare alla spesa improduttiva, come quella militare.
* Una ristrutturazione del sistema fiscale, eliminando le imposte straordinarie sugli extraprofitti di guerra e
riducendo le imposte sul patrimonio. Tuttavia, per compensare, aumentò le imposte ordinarie sui ceti
popolari, allargando la base fiscale.
Critiche e fallimenti: Nonostante il pareggio di bilancio, De Stefani non riuscì a risolvere i problemi monetari
e finanziari, come l'alta inflazione e l'elevato debito internazionale. Questo portò alla sua sostituzione con
Giuseppe Volpi.
* Effetti positivi: La produzione di grano aumentò, riducendo le importazioni. Inoltre, alcuni produttori
modernizzarono i loro metodi, stimolando l'innovazione nel settore agricolo.
* Effetti negativi: Tuttavia, questa politica penalizzò i consumatori, che pagarono prezzi più alti per il grano
italiano, e favorì la produzione di grano di bassa qualità, in quanto anche i produttori marginali (meno efficienti)
furono incentivati a restare sul mercato. Inoltre, ridusse l'orientamento verso prodotti a maggiore valore aggiunto
come ortaggi e frutta, che avrebbero avuto un impatto economico più significativo.
Gli anni 20 videro una rapida crescita economica negli Stati Uniti con profondi cambiamenti
socioculturali basati sulla nascita della società dei consumi di massa.
I governi repubblicani diminuirono la tassazione sulle classi di popolazioni ferite e, insieme a una
politica monetaria espansiva, crearono un clima favorevole agli investimenti; nel mentre i consumi
vennero promossi da politica di salari crescenti dovuta al welfare capitalism inaugurata da Henry
Ford.
Crescenti disuguaglianze si fecero strada negli Stati Uniti nonostante la diffusione di consumi di
base. Le produzioni di massa standardizzate si affermarono soprattutto con l'automobile, la radio, il
fonografo, il telefono, il cinema, l'elettricità, la chimica e il frigorifero. I nuovi prodotti richiesero
grandi investimenti infrastrutturali, largamente finanziati dallo Stato.
Sul piano sociale, l'estensione del voto alle donne nel 1920, l'eliminazione di alcune leggi
discriminatorie e la grande domanda di lavoro delle corporations cambiarono il ruolo delle donne
che divennero più libere.
Furono gli anni del proibizionismo introdotto nel 1919 con il Volstead Act, cioè del divieto di
produzione, importazione, vendita e, negli ultimi anni, anche di consumo dell'alcol che incentivò la
malavita.
Si affermò il jazz e si diffusero i giochi sportivi, tutto questo clima definì quell'American way of
life fatta di beni di consumo durevoli, di libertà di intrapresa e di rottura delle tradizioni.
Capitolo decimo, l'unione sovietica dalla creazione alla Seconda guerra mondiale.
1. La Rivoluzione d’ottobre
La Russia fu spinta a partecipare alla guerra dalla parte degli alleati sotto la pressione della Francia
e anche per affermare il suo ruolo di grande potenza, ma sia l'economia che la società russe non
erano in grado di affrontare l'enorme dispendio di risorse di una guerra e nemmeno erano
preparate logisticamente per far fronte alla riorganizzazione e alla regolamentazione dei mercati
imposti dal conflitto. In particolare, si rivelò difficile assicurare le forniture alimentari ai soldati e
alle città industriali che producevano per la guerra.
Si arrivò, nel gennaio 1917, alla deposizione dello zar con una rivoluzione borghese che formò un
nuovo governo, guidato da Kerenskij, il quale commise un grande errore: quello di voler
continuare la guerra. In tutto questo caos fu relativamente facile per Lenin e il suo
partito bolscevico fare breccia nel popolo, che era organizzato in consigli rivoluzionari
chiamati soviet, i quali, nell'ottobre del 1917, lanciarono un attacco al governo borghese con la
presa del Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo.
Seguirono quattro anni di guerra civile con un regime di comunismo di guerra, nonostante nel
marzo del 1918 la Russia fosse uscita dalla prima guerra mondiale negoziando una pace separata
con il trattato di Brest-Litovsk. La moneta era stata eliminata, il commercio privato abolito, i
lavoratori erano militarizzati e remunerati in natura a livello di sussistenza, la produzione agricola
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• La scuola dell'instabilità, che sostiene che il sistema capitalistico è intrinsecamente
instabile. Marx, riprendendo Malthus, parlava di contraddizioni interne del
sistema dovute all'anarchia del mercato e al sottoconsumo cronico che poteva portare anche
all'autodistruzione del capitalismo. Keynes formulò una teoria di intervento stabilizzatore da
parte dello Stato per contrastare i caduti della domanda effettiva;
• La scuola della stabilità, secondo cui il mercato è in grado di sopportare shock di varia
natura, riportando il sistema all'equilibrio. Tale teoria è sostenuta soprattutto dagli
economisti di matrice neoclassica;
• La scuola dei cicli, i maggiori esponenti sono Schumpeter e Kuznets, quest'ultimo con la
teoria sul ciclo delle infrastrutture. In relazione ai cicli lunghi di sviluppo emerge il tema
della saturazione dei mercati, che può essere effetto di una completa diffusione del regime
tecnologico esistente, tale da portare a una domanda legata solo alla sostituzione di beni
usurati. Ma ci può essere anche una saturazione spuria, dovuta alla crescita
di disuguaglianze, perché se i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri non aumentano i
loro redditi, ci saranno grandi disponibilità di risorse per gli investimenti, anche se la
domanda effettiva non aumenterà (è ciò che è accaduto negli anni '20 negli Stati Uniti);
• La teoria finanziaria del ciclo, che spiega come si creano le bolle finanziarie che
producono prima euforia e poi panico. Tale teoria si deve a Hyman Minsky.
2. Fatti e interpretazioni
La grande crisi è stata fatta incominciare dalla caduta della Borsa di New York il 29 ottobre
1929, ma andamenti negativi erano iniziati già precedentemente negli USA, e anche
in Germania già dalla fine del 1928.
Infatti, i paesi più colpiti furono proprio Stati Uniti e Germania (ma anche Austria) e si parla
quindi di un bipolarismo della crisi. Il Giappone fu in gran parte risparmiato dalla crisi, mentre
i paesi europei che inizialmente sembrarono cavarsela, ebbero poi conseguenze negative.
Gli effetti sociali furono dirompenti, con lunghe code di disoccupati che cercavano aiuto.
• I mutamenti strutturali degli anni '20 avevano reso il mercato dei prodotti e dei
fattori meno flessibile;
• La caduta della Borsa di NY è stata eccessivamente enfatizzata sia come motivo che
come causa della crisi;
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• La trasmissione della crisi è avvenuta tramite i meccanismi del gold standard,
la mancanza di coordinamento, la caduta dei prezzi, il crescente protezionismo.
C'è stata una sincronia generale che ha privato l'economia interna e internazionale di fattori di
compensazione. A completare il quadro vi era la deflazione che continuava ad abbassare i prezzi e
la mancanza (assoluta o relativa) di sostegno dei redditi dei disoccupati, che faceva crollare
la domanda effettiva.
3. La bolla speculativa
A partire dal 1928, la speculazione si intensificò, alimentata dalla mancanza di regolamenti nel mercato
borsistico. L'assenza di meccanismi di controllo contribuì a creare una bolla, poiché molti investitori si
lasciarono guidare dall'ottimismo e dalle promesse di alti rendimenti.
1. Difficoltà di Accesso al Credito: Le imprese, che cercavano finanziamenti per investire, non
riuscivano ad ottenerli a causa della riduzione dell’offerta monetaria, scatenata da una serie di fallimenti
bancari, che iniziò nel 1930.
2. Riduzione dei Prezzi: La diminuzione della circolazione di moneta portava a un calo della domanda e
a una flessione dei prezzi, estremamente dannosa per le imprese già in difficoltà a causa del loro
indebitamento precedente.
3. Le ripercussioni bancarie
Quando la crisi fu degenerata, le banche non furono in grado di sostenere il peso dei troppi crediti
non restituiti. La situazione delle banche iniziò a peggiorare nella primavera 1931, con la prima
crisi in Austria, dove fallì la Creditanstalt, la quale negli anni '20 aveva acquisito il 60% delle
azioni delle SPA austriache, il 50% delle sue azioni era in mani straniere e il 40% delle sue
attività erano all'estero. Poiché le richieste di aiuto non vennero accolte, il governo
austriaco intervenne, ma troppo tardi, con la banca centrale.
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Le ripercussioni della crisi viennese colpirono le banche ungheresi e quelle tedesche,
la Reichsbank perse metà delle sue riserve auree e il 20 giugno Hoover accordò
una moratoria nei pagamenti delle riparazioni e dei debiti di guerra.
A luglio, la crisi bancaria esplose e il governo chiuse banche e borsa per una settimana, con
un aumento del tasso al 10% e un'iniezione di liquidità nelle banche miste. La Danat, una delle
più importanti banche miste, fallì.
Le banche non subirono variazioni di funzionamento e tornarono private nel decennio 1930.
La crisi bancaria tedesca si diffuse in tutta Europa, causando molta pressione nella banca
d'Inghilterra. Infatti, il nuovo governo aumentò le imposte e diminuì le spese, ma poi ci fu
uno sciopero della Marina di stanza a Invergorden, che provocò nuove perdite nella banca
d'Inghilterra.
Il 21 settembre la Gran Bretagna uscì dal gold standard.
Conseguenze:
- Settori in crisi: Il commercio estero e il mercato dei capitali sono i primi settori ad andare in
crisi a causa della riduzione delle esportazioni e dei fallimenti bancari.
- Sostegno alla ripresa: La svalutazione della sterlina permette una politica monetaria
espansiva, stimolando gli investimenti e la crescita economica.
- Politiche protezionistiche: Nel 1932 viene introdotta la "preferenza imperiale", una politica
che favorisce le importazioni dalle colonie britanniche, abbassando i costi per la Gran
Bretagna e migliorando le ragioni di scambio.
La crisi giunse anche in Italia e Mussolini incaricò Beneduce (il dittatore economico degli anni
'30) che organizzò un salvataggio delle banche in due tempi: fondando l'IMI (Istituto Mobiliare
Italiano) con il ruolo di finanziatore al posto delle banche miste e sollevando poi queste dalle loro
immobilizzazioni in azioni tramite l'IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) che doveva gestire
le partecipazioni come una grande holding. Nel 1936 venne poi emanata una nuova legge
bancaria che aboliva le banche miste. Gli effetti della crisi in Italia furono strutturali e duraturi.
La crisi bancaria del '31 si ripercosse negli USA, dove Hoover, vedendo le difficoltà della Federal
Reserve, spinse i banchieri a creare la National Credit Corporation per fermare i fallimenti
bancari, ma ebbe scarso successo. Poi ristrutturò l'ente nella Reconstruction Finance
Corporation, ma non fu comunque in grado di risolvere la crisi bancaria. Si insediò poi Roosevelt,
che dovette chiudere le banche per una settimana ed emanare un Emergency Act, con cui
le banche di deposito non potevano fare più investimenti a lungo termine e le banche di
investimento non potevano avere depositi e potevano rischiare solo i propri capitali. Venne anche
introdotta l'assicurazione sui depositi e venne vietato il pagamento di interessi sui depositi a
vista. Furono allargati i poteri della Federal Reserve. Venne infine creata un'agenzia di controllo
della borsa. Tale regolamentazione restò in vigore fino agli anni '80.
Assenza di cooperazione internazionale e tardivo emergere di un pensiero alternativo
A livello internazionale, gli aiuti furono del tutto inadeguati, ma vanno comunque citati i più
importanti.
Il 20 gennaio 1930 venne fondata a Zurigo la Banca dei Regolamenti Internazionali per
supervisionare il pagamento delle riparazioni, funzione che divenne inutile dopo la moratoria di
Hoover, diventando il luogo di incontro dei banchieri e anticipando alcune delle caratteristiche
della BCE (Banca Centrale Europea).
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Nel giugno 1933 ci fu il Congresso di Londra per studiare i modi per uscire dalla crisi, ma non si
riuscì a discutere né per abbassare il protezionismo, né per stabilizzare le monete o lanciare un
programma comune di spesa pubblica.
Infine, va citato l'accordo tripartito tra Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna del 1936, in cui tali
paesi si rendevano disponibili a sostenere reciprocamente il corso delle loro monete per 24 ore.
Gli accordi internazionali dopo la seconda guerra mondiale, a differenza dei sopracitati, furono
molto più sostanziosi.
L'assenza di una cooperazione internazionale rese il gold standard una camicia di forza,
impedendo di mettere in funzione un prestatore di ultima istanza e, inoltre, le politiche
interne volte al pareggio di bilancio peggiorarono la situazione. L'economia mondiale diventò
quindi disarticolata e discriminatoria ed emersero blocchi economici. Il risultato fu la Seconda
guerra mondiale.
Keynes trasse spunto dalla crisi per proporre una sistemazione teorica originale dei comportamenti
di politica interna alternativi, partendo dal fatto che l'economia si può bloccare su uno spurio
equilibrio di basso livello, e quindi raccomandando un intervento anticiclo della politica
economica con politiche monetarie e fiscali espansive. Tale pensiero ebbe profonda ripercussione
sulle economie industrializzate postbelliche.
La Gran Bretagna uscì dal gold standard nel 1931. Nel corso del 1932, la sterlina si svalutò
del 30% rispetto al dollaro e al franco francese, ma la svalutazione media, considerando anche le
altre monete, fu del 13%, che scese al 9%l'anno successivo. L'uscita dal gold standard permise
una politica monetaria interna espansiva con bassi tassi d'interesse, che incentivarono
gli investimenti. Inoltre, la produzione industriale e l'edilizia ebbero un notevole recupero.
La disoccupazione scese, ma si mantenne agli alti livelli degli anni '20, e per alcuni ciò era dovuto
alla mancanza di una politica fiscale keynesiana, mentre altri proponevano cause strutturali:
gli investimenti riguardarono la razionalizzazione e il compattamento delle imprese, lasciando
scoperte le aree della tradizionale industria inglese.
A partire dal 1938, venne intrapresa una politica di riarmo, basandosi però sul fatto che la Gran
Bretagna poteva contare sul sostegno americano. La vittoria, infatti, ci fu, ma si verificò grazie
agli Stati Uniti e la Gran Bretagna divenne definitivamente una potenza di secondo rango.
Ci furono importanti conseguenze dopo la guerra. Alla fine del 1931, la Gran Bretagna tornò
al protezionismo, concedendo particolari condizioni a favore dei paesi del Commonwealth con
il trattato di Ottawa.
La metà delle sue esportazioni erano inviate alle colonie, da cui ricevevano il 40% delle
importazioni. Questo segnò le condizioni favorevoli alla decolonizzazione.
L'atteggiamento inglese era quindi di scarso interesse nell'integrazione europea.
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Nel 1934, Mussolini iniziò a progettare un intervento militare in Africa, e nel 1936 conquistò
l'Etiopia e proclamò l'impero. Con questa conquista, l'Italia andò contro un accordo
internazionale e fu infatti sanzionata economicamente dalla Lega delle Nazioni.
Iniziò dunque il riarmo, e nel 1938 ci fu il Patto d'Acciaio con Hitler, che preannunciò l'entrata
nella Seconda guerra mondiale nel giugno 1940.
Mussolini, con risultati ancor meno soddisfacenti, cercò di imitare l'autarchia hitleriana e, inoltre,
ci fu un rilevante spostamento del commercio verso la Germania. La produzione di materiali
alternativi, tuttavia, attivò ricerche e impianti che si rivelarono significativi e utili nella ripresa
postbellica.
A differenza della Germania, in cui la ripresa venne innescata sulla base di investimenti civili, la
ripresa italiana fu basata sul riarmo, anche se con risultati inadeguati rispetto alle caratteristiche e
alle modalità della Seconda guerra mondiale.
Con la svalutazione della sterlina iniziò la caduta della Francia, che però svalutò il franco solo
nel 1936, dopo una politica monetaria restrittiva e una spirale deflazionistica.
Dopo lo scoppio della crisi economica, il primo tentativo di cambiamento avvenne con il governo
di sinistra di Blum, insediatosi nel giugno 1936 con il consenso di socialisti e comunisti. Tale
governo aumentò i salari e diminuì le ore di lavoro (con gli accordi di Matignon). Tuttavia, gli
imprenditori, impauriti dalle nuove politiche, iniziarono ad esportare capitali, facendo svalutare
ulteriormente il franco, gravando così sugli investimenti e sulla ripresa economica.
Dal giugno 1937 all'aprile 1938 ci fu una paralisi politica, con governi di breve durata.
Successivamente, a maggio 1938, salì al potere Daladier, che diede il compito di governare
l’economia a Reynaud, il quale varò incentivi agli investimenti, promosse la ricerca e la raccolta
di statistiche, e iniziò un massiccio programma di riarmo. Nonostante questi tentativi, la Francia
non fu pronta di fronte all'attacco tedesco del 1940, e fu sconfitta.
La disfatta (dèbâcle) francese ha generato numerosi dibattiti. Il governo di Blum fu visto come
un esperimento fallimentare, con consiglieri inadeguati e poco informati a livello economico.
Inoltre, si rivelò incapace di concepire politiche di respiro e di coinvolgere la società nella
soluzione della crisi.
Tra le voci ignorate all'epoca vi fu quella di Tardieu, ex primo ministro negli anni 20, che aveva
preparato un piano per modernizzare gli impianti industriali. Un altro esempio fu il "Club X",
un gruppo di laureati del Politecnico di Parigi, che si riunì per studiare i modi per uscire dalla crisi
economica.
Infine, va ricordato il governo di Pétain, ampiamente condannato per la sua collaborazione con i
tedeschi, ma che ebbe aspetti positivi a livello economico. Pétain e il suo governo si adoperarono
per migliorare la produzione industriale francese. Bichelonne, che era a capo del Ministero per
la Produzione, strutturò l’amministrazione economica in comitati settoriali, un modello che fu poi
ripreso dopo la guerra
⁃ Fase 1 (1932-1935): Il governo radicale tenta di mantenere l'equilibrio fiscale riducendo la spesa
pubblica e aumentando le entrate fiscali. Tuttavia, queste manovre non hanno successo e la
depressione continua. Si aumenta anche il protezionismo per proteggere l'industria nazionale.
⁃ Fase 2 (1936-1937): Un governo di fronte popolare (socialisti, comunisti e radicali) adotta politiche
keynesiane di stimolo alla domanda, aumentando i salari e i consumi interni per ridurre la
disoccupazione. Viene anche deprezzato il franco, favorendo l'industria nazionale.
21
5. II New Deal americano
• AAA divenne permanente, sotto la coordinazione del Soil Conservation and Domestic
Allotment Act del 1936, che promosse la conservazione del suolo e l’agricoltura
sostenibile.
• NRA fu sostituita da tre importanti interventi:
o NLRB (National Labour Relations Board), creato nel 1935, che garantì
il riconoscimento ufficiale dei sindacati (Labour Unions). Questo avvenne grazie
al Wagner Act, che rafforzò i diritti dei lavoratori e garantì loro maggiore
protezione.
o Il Fair Labour Standards Act del 1938 stabilì il salario minimo, un orario
massimo di lavoro e il compenso per gli straordinari, migliorando le condizioni di
lavoro in tutta l'America.
o Nel 1935, venne varato il Social Security Act, che riorganizzò il
sistema pensionistico e istituì assicurazioni contro la disoccupazione, per dare un
supporto economico a chi perdeva il lavoro.
Inoltre, nell’ambito dei lavori pubblici, venne creato il Public Works Administration (PWA), che
gestì numerosi progetti infrastrutturali. Una delle agenzie più celebri fu la Tennessee Valley
Authority (TVA), che si occupò della bonifica e della elettrificazione di una vasta area,
migliorando le condizioni di vita e stimolando l'economia.
Nonostante i benefici generali di questa nuova legislazione, gli effetti non furono immediati, dato
l'impatto devastante della Grande Depressione e il fatto che l'Europa stava entrando in un nuovo
conflitto, con il che gli Stati Uniti cominciarono a indirizzare investimenti nell'industria bellica,
rallentando la ripresa economica civile.
22
Il panico si intensificò il 29 ottobre 1929, noto come il "martedì nero", quando milioni di titoli furono messi in
vendita senza compratori. Questo segnò l'inizio del crollo finanziario, che continuò a influenzare negativamente
il mercato fino al 1932.
La crisi finanziaria non fu solo un evento borsistico ma si trasformò in una crisi di liquidità. La riduzione del
capitale disponibile in circolazione portò a un crollo degli investimenti e dei consumi. Le banche, che si
trovavano a fronteggiare un aumento dei prelievi, furono costrette a ridurre i prestiti e a incrementare le proprie
riserve, peggiorando ulteriormente la situazione economica.
Il crollo dei mercati portò a una diminuzione dell'offerta di moneta, che a sua volta causò una contrazione degli
investimenti e dei consumi. Questo meccanismo portò a una spirale depressiva che coinvolse l'intera economia
reale, dando avvio a una lunga e profonda depressione economica.
⁃ Lavoro pubblico: Il governo nazista implementa il "Servizio Nazionale del Lavoro", mirato a ridurre la
disoccupazione con la creazione di lavori pubblici. L’obiettivo è arrivare a una disoccupazione pari a
zero.
⁃ Pressione ideologica: Le politiche naziste non sono solo economiche, ma anche ideologiche, poiché
l’occupazione dei lavoratori è pensata per rinforzare il controllo ideologico sulla popolazione.
- Gran Bretagna (1931): La svalutazione della sterlina permette l'adozione di politiche monetarie
espansive. Il paese esce dal gold standard e stimola l'economia con politiche protezionistiche, inclusa la
preferenza imperiale.
- Francia (1932-1937): Inizialmente cerca di mantenere la parità della moneta e il bilancio in equilibrio,
ma senza successo. Solo nel 1936, con il governo del fronte popolare, si adotta una politica espansiva
con aumento dei salari e svalutazione del franco, migliorando la situazione economica.
- Germania (1933-1939): Hitler risponde alla crisi con un piano quadriennale basato su opere pubbliche
e sovvenzioni alle imprese. La disoccupazione viene ridotta attraverso il lavoro pubblico e una forte
pressione ideologica.
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6. La Seconda guerra mondiale
In Europa, la ripresa degli anni '30 variò di paese in paese fino al riarmo generale che si impose
fino alla fine del decennio. In Giappone, in quel periodo, ci fu una grande crescita del settore
pesante, dovuto al prevalere di un'élite militaristica che portò alla guerra contro la Cina con
l'invasione della Manciukuè e sfociò poi con l'attacco agli Stati Uniti a Pearl Harbor nel 1941.
Germania e Giappone ebbero i risultati migliori, la Gran Bretagna li segue con un livello
intermedio, mentre l'Italia ebbe una debole ripresa, ed è forse questo il motivo del tentativo
di imperialismo guidato da Mussolini. Le peggiori performance sono della Francia (ripresa
debolissima) e degli Stati Uniti (crisi gravissima).
Le politiche più brillanti godettero di politiche monetarie espansionistiche, mentre quella tedesca si
avvantaggiò di politiche economiche efficaci sotto tutti i punti di vista. L'economia americana
venne rovinata da politiche inadeguate.
La Seconda guerra mondiale consumò un'incredibile quantità di risorse. L'Italia, tuttavia, ebbe
una mobilitazione modesta, forse perché il regime non credeva più di tanto nella guerra e, inoltre,
c'era una mancanza di materie prime per consentire una maggiore produzione. Ci fu invece
un'escalation molto evidente della Germania nel '42 (finanziata dai paesi occupati) e dell'Unione
Sovietica nel '43 (finanziata dagli Stati Uniti).
Germania e Gran Bretagna elaborarono le loro proposte di riorganizzazione post-bellica.
In Germania, prevalse l'idea-base di un Nuovo Ordine che prevedeva:
• Stato corporativo di stampo fascista;
• Programmazione di un'economia mista con una forte presenza statale;
• Autarchia;
• Lo "spazio vitale", ossia una sorta di egemonia tedesca dell'economia europea. Questo
venne interpretato attraverso l'annessione e l'occupazione di molti paesi a cui venivano poi
richiesti contributi per l'economia tedesca.
Contribuirono in particolare: il governo francese di Pétain, la Norvegia per le materie prime
strategiche, l'Italia nel periodo dell'occupazione, Belgio e Olanda per la loro capacità produttiva.
Al contrario di quanto sperato dalla Germania, dato il loro sottosviluppo, contribuirono poco i paesi
dell'Est europeo. La Germania cercò di realizzare piani di produzione integrati, ma dovette
affrontare il problema dell'organizzazione di una forza lavoro spesso ostinata. Fra i gerarchi
nazisti, Sauckel preferiva la soluzione dell'internamento forzato in Germania, con problemi logistici
elevati, mentre Speer favoriva invece la soluzione di farli lavorare in patria, con problemi legati al
sabotaggio.
In Gran Bretagna, il principale problema era quello di trovare risorse per far fronte a una guerra
sempre più lunga. Il Commonwealth si rivelò inadeguato e ci si dovette rivolgere agli Stati Uniti, i
quali, nell'estate del 1940, suggerirono di liquidare gli investimenti inglesi all'estero. L'anno dopo, il
congresso americano approvò il Neutrality Act, secondo il quale gli aiuti sarebbero stati forniti
senza contropartita, allo scopo di eliminare una ripetizione degli effetti dei debiti di guerra come
dopo la Prima Guerra Mondiale. Nel 1941, la Gran Bretagna inviò una delegazione capeggiata
da , con il compito di negoziare un piano di aiuti, ma insorsero delle divergenze tra americani (i
quali volevano dei precisi impegni dopo la fine della guerra e la reintroduzione del gold standard)
e inglesi. Venne raggiunto un compromesso nell'agosto 1941, e venne varata la Carta Atlantica,
che affermava il principio del multilateralismo, invocando un assetto mondiale cooperativo per
espandere produzioni, occupazioni e scambi, eliminando pratiche discriminatorie e riducendo le
barriere al libero commercio. Vennero poi varati altri accordi che fecero affluire alla Gran
Bretagna 30 miliardi di dollari di materiale bellico, di cui 10 vennero distribuiti alla Russia.
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In tutto questo negoziato emerge l'illusione da parte di Keynes che la Gran Bretagna potesse
ancora negoziare alla pari con gli Stati Uniti. Il punto di svolta della guerra fu la partecipazione
diretta degli Stati Uniti a partire dal 1942 e la successiva vittoria degli alleati. La guerra si chiuse
con un bilancio di 55 milioni di morti, vaste distruzioni e un secondo collasso della Germania.
Politiche Anticicliche
- Definizione: Politiche volte a contrastare i cicli economici negativi (ad esempio, recessione) tramite
l’intervento statale.
- Come funzionano: Quando la domanda privata cala (minori consumi), lo Stato aumenta la spesa
pubblica per stimolare l'economia e controbilanciare la flessione.
- Motivazione: In una crisi economica, lo Stato interviene per mantenere la stabilità e l'occupazione,
compensando la caduta della domanda privata
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Capitolo tredicesimo, le conseguenze sociali ed economiche della Seconda guerra mondiale e la
ricostruzione
Per gli americani era chiaro che, dopo la guerra, non avrebbero potuto fare ritorno al vecchio
isolazionismo. Nel 1943vararono un piano di aiuti per la popolazione civile (UNRRA). Poi venne il
problema dell'amministrazione delle zone tedesche occupate, dove l'economia non funzionava e il
sistema monetario era nuovamente andato distrutto. Ma il problema principale era la ricostruzione
dell'Europa, con un piano che desse garanzie di continuità.
La Francia, al cui seguito vi erano altri paesi europei, iniziò di nuovo a digitare il problema delle
riparazioni. Un altro problema incombente era l'espansionismo sovietico, che faceva leva sui partiti
comunisti cercando di inglobare sotto la propria sfera di influenza il maggior numero possibile di
paesi.
Gli Stati Uniti si ritrovarono di fronte al dilemma: o lasciare che l'Europa si avvitasse nella sua
spirale perversa, ma in questo caso si sarebbero trovati senza un partner commerciale, o intervenire
con un piano di aiuti, ma in questo caso si sarebbe dovuto includere anche la Germania tra i paesi
beneficiari.
Il 5 giugno 1947, Marshall annunciò un piano pluriennale di sostegno alla ricostruzione di tutti i
paesi europei (ERP, ma meglio conosciuto come Piano Marshall). L'obiettivo era di coprire,
mediante aiuti americani, i disavanzi delle bilance dei pagamenti dei paesi europei, riattivando così
il processo produttivo senza tensioni inflazionistiche o colpi di mano politici. Il modello era basato
sull'aumento della produttività e sull'organizzazione scientifica del lavoro. Inoltre,
gli americani progettarono un meccanismo di distribuzione dei fondi basato su due elementi
portanti:
1- Si trasferivano direttamente i fondi richiesti;
2- Qualunque decisione doveva essere concordata con gli americani.
La composizione dei beni vedeva la predominanza di beni necessari per rimettere in moto il
processo produttivo:
• 33% di materie prime;
• 29% di prodotti alimentari e fertilizzanti;
• 16% di prodotti energetici;
• 11% di macchinari e mezzi di trasporto;
• 5% di altri prodotti.
Il valore dei beni era di 12,5 miliardi di dollari, mentre il totale del contributo di risorse ammontò
a circa 100 miliardi di dollari. Il piano durò dal 1948 al 1952, anno in cui la guerra in Corea lo
trasformò in un piano di carattere militare, molto più limitato.
Gran Bretagna e Francia furono i paesi maggiormente beneficiari, seguiti alla pari
da Germania e Italia e poi dagli altri. L'utilizzazione dei beni giocò ruoli diversi in ciascuno dei
paesi beneficiari.
m
Il Piano Marshall fu strategico anche perché fece da leva per far nascere una nuova convivenza in
Europa. Gran Bretagna e Francia vollero egemonizzare l'amministrazione del piano, alleandosi e
mettendosi a capo del gruppo delle nazioni aderenti. Nel 1948 venne ufficializzata l'organizzazione
per la Cooperazione Economica Europea (OECE), per permettere a ciascun paese di formulare il
proprio piano e per rendere gli obiettivi di ciascun paese compatibili. Tuttavia, quest'organizzazione
non ebbe potere decisionale, perché i paesi europei avevano ancora una forte individualità
nazionale.
26
Nel 1950 viene creata l'Unione Europea dei Pagamenti (UEP) per finanziare temporanei deficit
delle bilance dei pagamenti, allo scopo di non intralciare i flussi di importazioni ed esportazioni. Fu
il primo esperimento di cooperazione monetaria.
In conclusione, il Piano Marshall reintrodusse il multilateralismo, diede un impulso strategico al
processo di integrazione europea, avviò un'era di grande espansione economica mondiale, estese le
aree di negoziati internazionali e diffuse il modello americano di organizzazione economica in
Europa.
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individui. Questi organismi internazionali contribuirono a multilateralizzare i negoziati e a cercare
di evitare le tremende conseguenze di nuove crisi mondiali.
Gold-Dollar Standard
⁃ Principio: Il dollaro è l'unica valuta convertibile in oro, tutte le altre valute sono legate al dollaro.
⁃ Vantaggi:
⁃ Critica: La sostenibilità a lungo termine è stata messa in discussione quando le riserve auree degli
Stati Uniti non erano sufficienti per sostenere l'espansione del dollaro.
◦ Cause:
o La crescente inflazione negli Stati Uniti.
o La crescente quantità di dollari in circolazione senza copertura aurea sufficiente.
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Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRDS)
⁃ Nascita e funzione iniziale: Creata nel 1944 per finanziare la ricostruzione post-bellica dei paesi
europei, con particolare attenzione agli investimenti a medio e lungo termine.
⁃ Transizione: Dopo l'avvio del Piano Marshall (1947), la BIRDS cambia focus, diventando la Banca
Mondiale nel 1950.
⁃ Fallimento dell'ITO:
o Non ratificata dal Senato degli Stati Uniti, per timore che limitasse la loro sovranità
commerciale.
o Creazione nel 1947 come alternativa all'ITO, con l'obiettivo di promuovere il commercio
internazionale attraverso un accordo non coercitivo.
o Caratteristiche:
§ Clausola della nazione più favorita: Per evitare discriminazioni commerciali tra paesi.
§ Riduzione dei dazi: Graduale abbassamento delle tariffe doganali.
La capacità produttiva di vari paesi era stata molto meno distrutta delle infrastrutture. Ad esempio,
in Italia era stata persa non più del 10% della capacità produttiva industriale. Non era quindi la
capacità produttiva che mancava, ciò che mancava era un contesto internazionale favorevole alla
ripresa produttiva. I migliori risultati vennero ottenuti dalla Germania, quindi
da Austria, Italia e Francia, mentre tutti gli altri paesi si attestano su livelli di aumento tra
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il 10% e il 15%. I paesi con i migliori risultati produttivi sono quelli che hanno utilizzato una
maggior quantità di fondi di contropartita per scopi produttivi.
• La lentezza dell'economia inglese è collegata alla scarsa attenzione nell'aggiornare
le tecnologie e anche probabilmente alla mancata partecipazione alla CECA. Altri fattori
notevoli furono: il National Insurance Act, che introduceva il servizio sanitario
nazionale, il pagamento degli assegni familiari e delle pensioni di vecchiaia. Le
stesse nazionalizzazioni dei settori del carbone, acciaio, elettricità, ecc. La presenza di un
esteso settore nazionalizzato inglese non si combinò con una forte politica industriale e ciò
impedì l'utilizzazione espansiva delle imprese pubbliche.
• In Germania sono da ricordare: la riforma monetaria del 1948, che fece ritornare in
funzione l'economia di mercato e rimise in piena attività l'industria tedesca; l'adozione di
un'economia sociale di mercato, ossia di un'economia mista attenta a correggere gli effetti
distributivi più inaccettabili; una cooperazione tra capitale e lavoro permessa
dalla cogestione, ossia dalla presenza dei rappresentanti sindacali nel consiglio di
supervisione delle imprese. L'insieme di queste politiche permise alla Germania una ripresa
rapidissima e poi un miracolo economico.
• In Francia il sistema produttivo fu rimesso in moto da De Gaulle nel 1946 con la decisione
di affidarsi a un sistema di programmazione, a cui seguì un consenso nazionale attorno ad
obiettivi produttivi di base. Venne formulato il primo piano quinquennale. I risultati furono
considerati così positivi che la programmazionedivenne uno strumento permanente in
Francia fino alla fine degli anni '70.
• In Italia si dovette lavorare sulla restaurazione della democrazia, con la presenza di un
forte partito comunistache, con l'alleanza con i socialisti, minacciava di vincere le elezioni.
Nel 1948 vinse le elezioni il partito di Democrazia Cristiana, che amministrò il Piano
Marshall con una scelta produttivistica ed europeista, entrando poi nella NATO.
L'imprenditoria italiana fu in grado di recepire quel tanto che serviva ad attrezzare le sue più
grandi imprese, mentre mostrò capacità di riorganizzazione creativa del vasto mondo
dell'artigianato e della piccola impresa, lanciando il paese in un miracolo
economico analogo a quello tedesco.
L'Europa non aveva mai sperimentato una crescita simile a quella avvenuta la seconda metà del 20°
secolo ma questo processo venne interrotto da eventi che ne abbassarono di molto la velocità fino
ad innescare effetti perversi che arrivarono a produrre una nuova grande crisi.
Fino alla caduta dell'Unione Sovietica, parlando di Europa si intendeva principalmente l'Europa
occidentale, in quanto la parte orientale ebbe vicende separate e fu chiusa in una cortina di
ferro per isolarla dalla contaminazione con il capitalismo occidentale. All'Europa orientale era stato
imposto il modello sovietico, basato sull'eliminazione della proprietà privata e
sulla pianificazione centralizzata. I suoi rapporti economici erano prevalentemente con l'Unione
Sovietica all'interno di un'organizzazione di scambi nota come Comecon.
Per quanto riguarda invece l'Europa occidentale, ci fu una grande espansione fino al 1973.
Basandosi sulla leadership degli Stati Uniti, si osserva un grande processo di catching
up (recupero) da parte dell'Europa occidentale, e ancor di più del Giappone. I paesi che
maggiormente sono cresciuti sono quelli che partivano da livelli di reddito iniziali più bassi. Va
sottolineato il caso della Gran Bretagna come paradigmatico, dato che è rimasta a livello
di 1952 rispetto agli Stati Uniti.
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L'Italia ha avuto un tasso di crescita fra i più alti in assoluto, paragonabile a quello
della Germania. Mentre i tre paesi mediterranei - Grecia, Portogallo e Spagna, che partivano da
livelli simili a quelli del Giappone - sono stati in grado di crescere, ma ben al di sotto della
performance giapponese.
Su questi dati si basa l'espressione "età dell'oro" usata per indicare la robusta espansione
postbellica dell'Europa occidentale. I principali elementi interpretativi sono:
• Creazione di nuove istituzioni che si rivelarono particolarmente adatte a promuovere il
coordinamento delle politiche economiche. A queste va aggiunto il processo di integrazione
europea.
• Vasta riserva di forza lavoro disoccupata e pronta a riversarsi nell'industria senza pretese
di aumenti salariali, che fece allargare il settore industriale realizzando un processo
di capital widening.
• "Vantaggi dell'arretratezza" che permisero all'Europa di imitare gli Stati
Uniti, americanizzandosi.
• Liberalizzazione progressiva del commercio internazionale, grazie al GATT, con una
migliore specializzazione del lavoro e un aumento della competizione.
• Alto aumento dei prezzi delle materie prime.
• Alti livelli di speculazione finanziaria dovuti ai tassi di cambio fissi (sistema di Bretton
Woods).
• Politiche economiche interne espansive, con un sostegno alla domanda e politiche
industriali di qualificazione e sostegno dell'offerta.
Inoltre, l'introduzione e la diffusione del welfare state permisero di contenere le disuguaglianze, al
punto da generare l'idea che la crescita, per sua natura, fosse in grado di diffondere benessere su
tutta la popolazione.
2. Welfare State
Il principio di solidarietà è insito nella civiltà europea e ha origine nelle sue radici cristiane. Con
l'avvio della rivoluzione industriale, la spinta solidaristica subì una forte crescita, con una graduale
consacrazione istituzionale, sia nel fisco progressivo (tassazione più elevata per i ricchi), sia nella
copertura sempre più generalizzata dei sussidi pubblici. Dopo la Seconda guerra mondiale, si andò
alla ricerca di una società più equa e giusta. I principali campi di intervento furono: pubblica
istruzione, servizio sanitario nazionale, sussidi di disoccupazione, accertamento dello stato di
bisogno, pensioni, assistenza per particolari forme di svantaggio, e altri aspetti correlati come
la cultura e la tutela dell'ambiente naturale.
I modelli europei di welfare sono due: quello tedesco e quello nordico.
Il modello tedesco è noto come economia sociale di mercato per il suo finanziamento a carico
principalmente dei datori di lavoro. Venne introdotto da Bismarck nel decennio 1880 e
generalizzato dopo la Seconda guerra mondiale, con l'introduzione anche
della cogestione (Mitbestimmung, 1952), che assicurava ai lavoratori una presenza nei consigli di
sorveglianza delle grandi imprese.
Il modello svedese vede anch'esso l'impegno pubblico a tutela del cittadino come ampio e solido,
ma ne differisce rispetto a quello tedesco nel fondamento. Infatti, esso viene erogato come diritto
di cittadinanza e non come benefit legato al lavoro. Si è fatto leva sui diritti sociali di ogni
cittadino per innescare la crescita economica. Nel 1946, il governo socialdemocratico attuò una
serie di riforme a sostegno della costruzione dello stato sociale; le ricadute sul sistema produttivo
furono estremamente positive e l'elevata tassazione ricavata dall'aumento del reddito andò a
compensare e ridurre il debito pubblico inizialmente sostenuto.
Gli Stati Uniti hanno a lungo criticato questi modelli di welfare e, dopo la crisi del '29, venne
attuato il Social Security Act con l'obiettivo di ridurre al minimo l'impegno dello Stato, lasciando i
rischi sociali a carico dei cittadini, con l'eccezione di quelli caduti in povertà. È solo con la
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presidenza di Barack Obama che c'è stato un tentativo di aiutare anche quella fascia intermedia di
cittadini.
L'impatto del welfare state ha avuto un'incidenza crescente dal 1980 al 2013, ad eccezione degli
Stati Uniti, che hanno la spesa pubblica più bassa rispetto a tutti gli altri paesi. Irlanda e Gran
Bretagna mostrano un'incidenza più bassa rispetto agli altri paesi europei, mentre i paesi con
l'incidenza maggiore sono Svezia, Belgio, Finlandia, Danimarca e Svezia.
A partire dal 20° secolo, il welfare state è entrato in crisi a causa dell'invecchiamento della
popolazione, dell'aumento dei costi delle prestazioni e del sorgere di nuove povertà, così che si
sta passando a un maggiore coinvolgimento della società civile, ossia verso un welfare society.
o Svantaggio: Più costoso rispetto al modello tedesco, poiché lo Stato deve coprire i costi.
o Finanziamento: Tassazione più alta per finanziare i servizi a tutti.
o Benefici sul capitale umano: Educazione e formazione migliorano la produttività e il reddito,
ripagando i costi.
⁃ Modello Tedesco:
o Beneficiario: Lavoratore.
La dinamica salariale divenne vivace con le proteste sindacali tra la fine degli anni 60 e l'inizio
degli anni 70, con tanti movimenti (ad esempio, l'autunno caldo italiano) che segnarono una
discontinuità nel campo della crescita.
Il regime dei cambi fissi del gold exchange (il regime di Bretton Woods) venne abbandonato
nel 1971, aprendo la strada ai cambi flessibili. Inoltre, i prezzi di alcune materie prime
aumentarono (soprattutto il petrolio) e, infine, si fece largo la terza rivoluzione industriale. Tutto
questo causò un arresto della crescita europea e il ritorno a un'economia mondiale instabile.
L'Europa cercò di far fronte a ciò attraverso la continuazione del processo di integrazione
europea, e tra il 1973 e il 1975, i tassi di crescita europei restarono comunque superiori a quelli
americani, facendo proseguire il processo di convergenza. Tuttavia, tale panorama cambiò
significativamente tra il 1975 e il 2000. Il processo di convergenza sembra essersi arrestato prima
di aver raggiunto la sua meta finale, ossia l'eguagliamento dei livelli di reddito europei e giapponesi
con quello americano.
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Va però ricordato che il PIL è il risultato di varie variabili e che ci sono notevoli differenze in
queste variabili tra paese e paese e, soprattutto, tra Europa e Stati Uniti, che portano a concludere
che la convergenza si è realizzata prima della fine del 20° secolo. Tuttavia, ciò non emerge
chiaramente dai dati del PIL perché in Europa si lavora generalmente meno che negli Stati Uniti e
i tassi di occupazione sono spesso inferiori.
Il processo di imitazione della tecnologia americana è sostanzialmente giunto alla conclusione, e
dunque l'Europa si deve attrezzare a diventare un'area innovativa.
La terza rivoluzione industriale ha portato a un notevole cambiamento nel sistema produttivo, con
un progressivo abbandono di catene di montaggio rigide e l'introduzione della
cosiddetta produzione flessibile. Questo cambiamento si è verificato sia all'interno della fabbrica,
con l'introduzione di robot e di impianti automatici, sia nella localizzazione delle fabbriche, che
ora si frammentano in tanti luoghi diversi. Il commercio mondiale è costituito da prodotti in cui i
componenti provengono da diversi paesi e vengono poi assemblati (questo è il concetto di "Made in
the World"). Le imprese sono spinte a delocalizzare e sono organizzate a rete, con legami che
vanno oltre il mercato e che assumono varia natura contrattuale.
Questo ha generato nei paesi sviluppati la corsa a spostarsi su settori a lavorazioni ad alto valore
aggiunto. Un'altra conseguenza della terza rivoluzione industriale è che il lavoro d'ufficio è stato
reso più efficiente grazie all'elaborazione di software dedicati, e il mercato del lavoro ha subito un
cambiamento notevole, assumendo una forma a clessidra: il lavoro generico è ancora necessario,
mentre quello direzionale si è molto allargato. Tuttavia, è il segmento intermedioche si è
notevolmente ristretto, assottigliando le cosiddette classi medie.
Inoltre, il processo di imitazione avviene in maniera più rapida, dando origine a processi di
crescita miracolosi nei paesi emergenti (TIGERs) e a una vera e propria corsa alle invenzioni nei
paesi avanzati. Diventa quindi necessario dotarsi di laboratori di ricerca e far parte di reti di
ricerca a livello internazionale, nonché internazionalizzarsi.
Tutto questo ha portato l'attività produttiva ad essere molto più complessa e competitiva.
Convenzionalmente, il 1963 è l'anno di nascita del mercato dell'eurodollaro, ossia quando per la
prima volta l'Unione Sovietica depositò dollari presso banche occidentali senza l'intenzione di
cambiarli in propria moneta. Da quel momento in poi, le banche dell'Europa occidentale si
ritrovarono con consistenti depositi in dollari che pensarono di utilizzare per impieghi nella
medesima moneta. Durante gli anni '70 questo mercato ebbe un'impennata e fece apprezzare a
molte banche la mancanza di regolamentazione, che permetteva guadagni maggiori anche se con
rischi più elevati. Così, durante i primi anni '80, iniziò una lunga catena di crisi finanziarie dovute
a eccessi di credito a paesi con scarsa possibilità di restituzione.
Dunque, furono necessarie alcune innovazioni finanziarie. In primo luogo, si fece
una cartolarizzazione(securitization) per poter vendere a sconto i crediti, recuperare liquidità ed
effettuare con quella altre operazioni. Da lì in poi crebbe la presenza di una serie di titoli che
avevano lo scopo di permettere rendimenti maggiori, cercando di bilanciare i rischi. Le banche si
tramutarono da aziende di servizio alla produzione e al consumo attraverso il credito, a produttori
di profitti da ingegneria finanziaria.
Tale impennata delle attività finanziarie a livello mondiale è stata generata da un forte cambiamento
avvenuto negli Stati Uniti. Infatti, negli USA venne avviato un processo di liberalizzazione del
settore, noto come deregulation, iniziato con Reagan nel 1980 e che procedette senza sosta,
eliminando le restrizioni dimensionali, favorendo fusioni e creazioni di filiali. Nel 1999 si arrivò
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all'abolizione del Glass-Steagall Act, permettendo così alle banche di investimento di utilizzare i
depositi dei clienti anche per le proprie attività.
Le banche americane, però, restarono comunque molto differenti da quelle del modello di banca
universale tedesca, in quanto quest'ultima era abilitata all'uso dei depositi a scopi di investimento
industriale, mentre la banca americana non aveva una tradizione nell'investimento nell'industria. Le
banche americane si concentrarono sugli investimenti in titoli, al puro scopo di effettuare acquisti
e vendite (trading), che generassero profitti di breve periodo. Gli investimenti americani non erano
un sostegno all'attività produttiva o al risparmio privato.
Dopo la CECA, l'Europa provò a costruire una Comunità Europea di Difesa (CED), ma fu un
clamoroso insuccesso.
Nel giugno del 1955, si riunirono a Messina i ministri degli esteri dei sei paesi aderenti alla CECA
ed emerse la proposta di creazione di un'unione doganale. La Gran Bretagna rifiutò l'invito. Il 25
marzo 1957 vennero firmati a Roma due trattati: quello istitutivo della Comunità Economica
Europea (CEE) o Mercato Comune Europeo (MEC) e quello che creava la Comunità Europea
dell'Energia Atomica (EURATOM). Il trattato CEE/MEC fu di importanza cruciale perché fece
della Comunità Europea un soggetto unitario di negoziati internazionali sul piano commerciale,
con l'abolizione delle barriere doganali tra i paesi membri e la creazione di un mercato comune.
Come risposta, i paesi dell'Europa occidentale che ne erano rimasti fuori formarono l'Area Europea
di Libero Scambio (EFTA), che aboliva i dazi interni, ma lasciava libertà ai vari paesi aderenti di
negoziare i dazi verso l'esterno.
L'Unione Europea (UE), anche grazie alla successiva adesione di altri paesi europei, divenne il più
importante soggetto di commercio internazionale e contribuì alla progressiva liberalizzazione del
commercio mondiale, pur mantenendo un'agricoltura molto protetta e una serie di
particolari sussidi per settori in crisi (come l'acciaio), settori maturi (come i tessili) o considerati
strategici (come l'industria aeronautica). Molti di questi interventi protezionistici sono stati criticati,
soprattutto dagli Stati Uniti, che accusavano l'Unione Europea di essersi chiusa in una fortezza, ma
questa accusa non corrisponde al vero, sia perché l'Unione Europea non era l'unica area avanzata a
praticare protezionismo (ad esempio il Giappone), sia perché l'apertura dell'economia dell'Unione
Europea al commercio internazionale è superiore a quella degli Stati Uniti e del Giappone.
Un'altra caratteristica importante del commercio esterno europeo è che le importazioni ed
esportazioni sono abbastanza bilanciate.
Nei confronti dei movimenti di capitali, i controlli rimasero estesi, fino alla liberalizzazione del
1990. Con il Trattato di Roma, venne istituita la Banca Europea degli Investimenti (BEI) come
agenzia di finanziamento dello sviluppo. Mentre su pressione italiana, per quanto riguarda il
lavoro, fu introdotta la libertà di movimento dei lavoratori all’interno dell'Unione, con parità di
trattamento e diritto all'accumulazione dei benefici sociali maturati in paesi diversi.
2. Le successive adesioni
La Gran Bretagna, l'Irlanda e la Danimarca fecero domanda di adesione nell'agosto del 1961, ma
la presenza al potere di De Gaulle e l'atteggiamento sempre poco collaborativo degli inglesi
indussero i francesi a porre il veto nei confronti di tale domanda, che venne quindi accantonata. La
domanda venne poi rinegoziata e si aggiunse anche la Norvegia, la quale però non ratificò
l'adesione che si concretizzò nel 1972.
34
L'inclusione della Gran Bretagna non fu facile perché coincise con gli anni travagliati
dell'abolizione del sistema di cambi fissi noto come sistema di Bretton Woods e con lo scoppio
delle crisi petrolifere e l'instabilità internazionale. Mentre per Danimarca e Irlanda il processo
di integrazione economica avvenne in maniera più rapida e facile, soprattutto per l'Irlanda, che
segnò l'inizio di un processo di sviluppo fenomenale.
Venne poi il turno della Grecia, che nel 1975 presentò domanda di adesione dopo il ritorno
della democrazia. Il trattato di adesione venne firmato nel 1979, ma il paese non riuscì a sviluppare
consistenti flussi di esportazioni nell'Unione, pur riuscendo comunque a restare agganciato al resto
d'Europa, seppur come fanalino di coda.
Nel 1980 anche la Spagna e il Portogallo, liberatisi delle rispettive dittature, presentarono
domanda di adesione, che venne firmata nel 1985. A questo punto, l'EFTA era ormai ridotta al
lumicino: gli ultimi paesi che ne facevano parte si risolsero a fare domanda. Venne quindi firmato il
trattato per la creazione dello Spazio Economico Europeo nel 1992. Nel 1994 vennero annessi tutti
i paesi ex-EFTA nell'Unione stessa, ma solo tre paesi aderirono: Austria, Finlandia e Svezia,
mentre Norvegia e Svizzera non ratificarono, restando nello Spazio Economico Europeo.
Nel frattempo, nell'Europa dell'Est crollava l'egemonia sovietica, dando luogo
nel 1990 all'unificazione della Germania. Nello stesso anno, l'Unione Europea creò la Banca
Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD), con un impegno considerevole che, oltre
agli aiuti materiali, prevedeva un processo di institution building per sostenere la transizione delle
istituzioni di quei paesi dell'Est Europa verso un'economia di mercato.
Nel 2005, vennero accolti nell'Unione 10 paesi: Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica
Ceca, Slovenia, Malta, Slovacchia, Lettonia, Lituania, mentre gli altri due paesi
(Romania e Bulgaria) entrarono nel 2007. Nel 2015 entrò la Croazia e tuttora è in corso la
candidatura in stand-by della Turchia, poiché uno dei requisiti per diventare membri dell'Unione
prevede una solida democrazia.
Per quanto riguarda il posizionamento dei vari paesi all'interno dell'Unione Europea, si può dire che
si nota un marcato processo di convergenza del PIL pro capite a parità di potere d'acquisto verso
la media dell'Unione.
Nel Trattato di Roma era prevista un'omogenizzazione all'interno del Mercato Comune Europeo
(MEC) degli interventi protezionistici in vigore nei paesi membri. L'agricoltura contava molto sia
in termini di addebiti che di valore aggiunto, e l'obiettivo del protezionismo agricolo era evitare
all'Europa il destino dell'Inghilterra quando, nel 1846, essa aveva abrogato le Corn Laws, con la
successiva rapida scomparsa del settore agricolo. Occorreva dunque sostenere i redditi degli
agricoltori.
Dall'inizio degli anni 1960 si delineò una Politica Agricola Comune (PAC), accordandosi su un
protezionismo basato sul sostegno dei prezzi di prodotti strategici (cereali, carne, prodotti caseari)
e su dazi doganali fissati ad valorem, ma in modo compensativo, per neutralizzare la variabilità dei
prezzi mondiali. Ogni primavera, quindi, venivano accordati i prezzi di intervento da mantenere
fissi durante l'anno successivo. Inoltre, venivano ritirati i prodotti in eccesso ai prezzi di intervento e
stoccati in magazzini comunitari. Tale sistema entrò in funzione nel 1962, amministrato dal Fondo
Europeo di Orientamento e Garanzia Agricola (FEOGA), ma fu uno schema abbastanza costoso
rispetto al modesto bilancio dell'Unione.
Nei successivi anni, tale sistema venne esteso ad altri prodotti. Il costo di questa politica ricadde sui
consumatori, ma il suo effetto trasformò l'Europa da area tradizionalmente importatrice di
prodotti alimentari a area esportatrice. Per evitare che il sistema venisse ingolfato,
il FEOGA decise di sussidiare le esportazioni, coprendo la differenza tra i prezzi interni alla
Comunità e i prezzi mondiali, in modo da liberarsi degli stock che altrimenti sarebbero andati a
male.
35
media europea. Successivamente, con l'entrata dei nuovi membri nell'Unione, vennero avviati
progetti transfrontalieri per unificare l'UE dal punto di vista infrastrutturale e per modernizzarla,
con particolare attenzione alla promozione di nuove fonti di energia.
Da un'analisi dei dati, è emerso che è avvenuto un processo di convergenza regionale continuo e
sostenuto, sebbene più marcato tra i paesi rispetto alle regioni. Un aspetto che è stato evidenziato è
che le regioni centrali di ciascun paese sono più dinamiche rispetto alle regioni periferiche, e un
esempio lampante di questo fenomeno è rappresentato dal Mezzogiorno italiano, che ha mostrato
una crescita più lenta rispetto al resto del paese. XXX
Nel marzo 1972 venne introdotto il "serpente monetario", un sistema che prevedeva una
fluttuazione limitata delle monete comunitarie tra loro, con una variazione massima del 2,25% e un
aggancio al dollaro con una fluttuazione del 4,25%. Tuttavia, questo sistema durò solo sette
settimane.
L'asse franco-tedesco andò poi in crisi, e dopo una serie di consultazioni, nel 1978 venne varata
una versione più matura del serpente, il Sistema Monetario Europeo (SME). Il SME si basava
sulla fissazione della parità di ciascuna moneta rispetto a una moneta-paniere di riferimento,
l'ECU (European Currency Unit), il cui valore veniva determinato come media ponderata delle
monete della Comunità. Quando una moneta si discostava dalla parità di 2,25%, scattava l'obbligo
di intervenire sui mercati, con la possibilità di ricevere aiuti temporanei. Se tali misure non fossero
state sufficienti, si sarebbe proceduto a un riallineamento coordinato per evitare svalutazioni
competitive.
Il SME ebbe un notevole successo nel sostenere il rientro dall'inflazione di molti paesi europei e
nell'aumentare la stabilità monetaria nell'Unione. Tuttavia, tra l'estate del 1992 e la primavera del
1993, si verificò una grande tempesta speculativa che portò l'Italia e la Gran Bretagna (con
la lira e la sterlina) a uscire dallo SME. Questo evento suggerì la necessità di ampliare la banda
di fluttuazione a 15%, ma ormai l'esperienza del SME era giunta al termine.
Il rallentamento della crescita economica a partire dalla metà degli anni 1970 portò a una serie di
interventi nel campo industriale. In primo luogo, si misero in atto interventi "difensivi":
• Settore dell'acciaio: A partire dagli anni 1970, molte acciaierie furono ristrutturate o chiuse,
con l’introduzione di sussidi per la riconversione o il prepensionamento dei lavoratori.
• Settore delle fibre artificiali: A partire dal 1978, si attuarono misure di sostegno.
• Cantieri navali: La capacità produttiva fu dimezzata, concentrandosi maggiormente sulla
qualità.
• Imprese metalmeccaniche: Si incentivò la creazione di accordi tra le aziende per
razionalizzare la produzione.
In un secondo momento, nacque l'idea di lanciare progetti di ricerca sostenuti dall'Unione
Europea. Un esempio di questa iniziativa fu il progetto Esprit, lanciato nel 1980, che mirava a
rafforzare il settore dell’elettronica, che risultava particolarmente debole in Europa. Questo progetto
ebbe un notevole successo e, successivamente, vennero avviati molti altri progetti di ricerca
(come Eureka, Race, ecc.). Dal 1980, l'UE stabilì, con i programmi-quadro, gli obiettivi
principali da raggiungere nei successivi cinque anni. Un altro progetto rilevante fu il programma
Erasmus, che incentivò la mobilità degli studenti in Europa, e nel 2006 fu creato il Consiglio
Europeo per la Ricerca, un organismo incaricato di selezionare i progetti di ricerca e di assegnare
borse di studio.
Per quanto riguarda il progetto del "mercato unico", nel 1985 venne approvato l'Atto Unico, che
tracciava le linee guida per la sua realizzazione. Questo atto includeva l’aumento della possibilità di
37
prendere decisioni a maggioranza (circa tre quarti delle decisioni, anziché all'unanimità) e
l’estensione delle competenze dell'Unione Europea a nuovi ambiti (politiche regionali, sociali,
industriali, tecnologiche, ambientali e monetarie).
Per la realizzazione del mercato unico, si adottarono due criteri principali:
1. Armonizzazione della legislazione europea in tutti i settori fondamentali, con
l’elaborazione di circa 300 risoluzioni.
2. Principio di "mutuo riconoscimento": Per i settori che non necessitavano di una
legislazione armonizzata, i prodotti e i servizi potevano essere confezionati secondo le
normative di un singolo paese membro, ma potevano essere venduti su tutti i mercati della
Comunità senza alcuna discriminazione.
In seguito, vennero aboliti i controlli di frontiera, rendendo finalmente possibile parlare di un
mercato "interno" all'Europa. Tuttavia, sorsero dibattiti sulla necessità di una legislazione efficace in
ambito antitrust. Si decise quindi di dotarsi di uno strumento per tutelare il mercato comunitario
contro le concentrazioni e le acquisizioni aziendali attraverso il Merger Control Act
(Regolamento n. 4064 del 1990). Questo atto stabiliva una dimensione comunitaria per le
imprese che rientravano sotto la giurisdizione della legislazione europea.
Con grande sorpresa, entro il 1992, si riuscì a liberalizzare i mercati dei capitali, a accelerare
l'armonizzazione in campo sociale (adottando la Carta dei diritti sociali fondamentali dei
lavoratori) e a avviare l'unificazione monetaria. Inoltre, fu siglato un nuovo trattato che sanciva
la nascita dell'Unione Europea.
38
3. Terzo stadio: fissazione della parità irrevocabile delle monete dell'UEM e creazione
della moneta europea, l'euro, da mettere in circolazione dal 2002, iniziando con una parità
col dollaro.
L'adesione a tale programma ha visto l'impegno di 11 dei 15 paesi dell'Unione, con l'esclusione
di Grecia, Svezia, Danimarca e Gran Bretagna. L'Italia, con Prodi, ha preparato una spettacolare
rincorsa per raggiungere i criteri di convergenza, evitando una rottura del legame con l'Europa.
A partire dal 2002, l'euro si rivelò subito debole rispetto al dollaro, per poi riprendersi e
successivamente crollare con la crisi internazionale del 2008. In tale crisi, la speculazione colpì
l'euro in vari modi: crisi in Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e, infine, il crollo del debito
pubblico italiano. I problemi strutturali dell'area euro erano legati a politiche fiscali e di
competitività troppo diverse tra i paesi che facevano parte di tale area. L'euro rischiò di collassare,
ma il pericolo venne scongiurato con importanti riforme attuate nel 2012:
• Sistema di sorveglianza della finanza a livello dell'Unione rinforzato;
• Creazione di un fondo di intervento antispeculazione consistente in 1000 miliardi di
euro;
• Fiscal Compact, ossia un meccanismo di convergenza fiscale obbligatorio;
• L'Unione bancaria.
È ormai opinione comune che l'unione monetaria necessiti di un federalismo fiscale, che richiede
una centralizzazione delle entrate fiscali nazionali e delle relative decisioni di spesa, anche se al
momento è tutto molto improbabile. L'unificazione fiscale impedirebbe il perseguimento di
politiche fiscali incaute e, quindi, la destabilizzazione della valuta comune.
Sin dalla metà degli anni '90, i progetti comunitari sull'unificazione politica hanno riscontrato la
stessa difficoltà nel coniugare le aspirazioni teoriche con la realtà del nazionalismo. Sarà
necessario, in futuro, ritrovare il senso di appartenenza all'Europa. L'integrazione europea ha
bisogno di nuovi obiettivi, e l'Europa federale è il principale obiettivo odierno.
In conclusione, il processo di integrazione europea ha realizzato risultati sorprendenti. L'essenziale
è fare in modo che ogni passo migliori lo stato dell'Europa e che non ci siano passi indietro,
perché solo un'Europa unita può essere in grado di affrontare i colossi continentali.
Il periodo successivo alla metà degli anni Settanta ha visto la fine dell'Unione Sovietica e
l'apertura del blocco orientale. Questi due eventi sono da considerare positivi, poiché hanno
disinnescato ogni possibilità di guerra generale in Europa. A livello mondiale,
la decolonizzazione e la globalizzazione hanno fatto crescere le tigri asiatiche (Taiwan,
Singapore, Hong Kong, Corea del Sud), i paesi dell'America Latina e le economie
di Cina, India e Vietnam.
La modernizzazione di queste aree ha seguito un processo di imitazione del modello occidentale,
ma con rilevanti modifiche o "fattori sostitutivi". Il modello asiatico, inaugurato dal Giappone, è
stato quello di maggior successo. Questo modello ha privilegiato i piani di sviluppo industriale a
lungo termine, mirati a rendere le imprese interne competitive a livello internazionale, mentre le
imprese estere sono state tenute a distanza.
Il modello sovietico, invece, è stato di stampo massimale, con l'abolizione del mercato. Questo
modello ha fallito sia nell'Unione Sovietica che in Cina, non riuscendo a generare una crescita
economica sostenibile.
Il modello latino-americano di import substitution ha avuto un limitato successo, con risultati
inferiori rispetto agli altri modelli, in parte per le difficoltà nel creare un sistema industriale
autosufficiente e competitivo.
39
La ripresa economica giapponese fu aiutata dagli Stati Uniti, che avevano bisogno di un partner
contro la Russia anche in Asia, attraverso un piano simile al Piano Marshall. I zaibatsu (grandi
conglomerati familiari) vennero sostituiti dai keiretsu, gruppi industriali nei quali non c'era una
predominanza familiare. Al centro del gruppo stavano una banca e un'assicurazione, mentre verso
l'esterno operava una trading company comune che provvedeva alla commercializzazione
integrata della produzione dell'intero gruppo.
Il sistema economico giapponese vedeva un grosso dualismo tra grandi imprese esportatrici
efficienti e il resto dell'economia, che era organizzato localmente su piccola dimensione. Vigeva,
inoltre, un'organizzazione dell'impresa che tendeva a favorire il lavoro rispetto al capitale.
Lo stato si è ritagliato un ruolo di sostegno delle politiche industriali realizzate
dai keiretsu attraverso protezionismo, interventi infrastrutturali e sostegno diplomatico.
Tutto questo sistema ha generato la capacità di sostenere piani di investimento a lungo
termine e innovazioni organizzative importanti, che hanno portato a un continuo miglioramento
della qualità del prodotto (il kaizen) e al just in time, ossia alla progressiva eliminazione di sprechi
di magazzino.
A fine anni '80, tuttavia, ci furono gravi difficoltà, ma il Giappone riuscì a mantenere la sua
competitività a livello internazionale. Lo yen venne lasciato svalutare con manovre volte ad
allargare il mercato interno. Tutto ciò fece aumentare la speculazione finanziaria, con una bolla
immobiliare. All'inizio del 1990, avvenne un inevitabile tracollo, con il fallimento di numerose
banche, che vennero salvate e compattate con un grave esborso di denaro pubblico e il
raggiungimento di un rapporto debito/PIL di 250. Da allora, il miracolo giapponese non è stato
più in grado di riproporsi.
2. Le tigri asiatiche
Le 4 aree asiatiche che decollarono subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale sono state
fortemente influenzate dalla Gran Bretagna (Hong Kong e Singapore) e dal Giappone (Taiwan e
Corea del Sud).
Hong Kong ha registrato un forte sviluppo nel secondo dopoguerra, con un'economia
prevalentemente terziaria e un'importanza spiccata sulla finanza. Tuttavia, la sua autonomia
economica e politica sta subendo forti limitazioni dal 1997, quando è rientrata sotto il controllo
della Cina.
Singapore divenne autonoma a metà degli anni '60, sviluppando una potente economia
manifatturiera e navale, oltre a una notevole capacità di attrazione turistica. In queste due città-stato
prevale un sistema politico fortemente accentrato, accompagnato da un grande liberismo in campo
economico.
Taiwan venne ceduta ai giapponesi nel 1895 e, dopo la loro espulsione alla fine della Seconda
Guerra Mondiale, partecipò alla guerra civile cinese. I nazionalisti del Kuomintang, sconfitti in
Cina, si rifugiarono nell'isola nel 1949, proclamando la Repubblica di Cina. Sebbene le potenze
internazionali abbiano riconosciuto Taiwan come la legittima rappresentante della Cina all'ONU,
l'isola è rimasta priva di un riconoscimento formale ma ha comunque sviluppato un'economia
vivace. Taiwan si caratterizza per un modello di industria "orizzontale", con piccole-medie
imprese che operano in settori diversificati come l'elettronica, la petrolchimica, i macchinari e
i tessili. Lo stato gioca un ruolo di supporto nei confronti dei gruppi industriali privati.
La Corea del Sud ha prodotto un vero e proprio miracolo economico dai risvolti internazionali.
Dopo essere diventata colonia giapponese nel 1910, la Corea venne divisa in due parti alla fine
della Seconda Guerra Mondiale: il sud, più popoloso e agricolo, sotto la protezione degli Stati
Uniti, e il nord, industrializzato, sotto il controllo dei sovietici. Nel 1950,
l'esercito nordcoreano invase il sud, e l'ONU affidò agli Stati Uniti il compito di liberare la zona.
40
Nel 1953, si raggiunse l'armistizio, ma gli americani non lasciarono la Corea del Sud e
contribuirono alla ricostruzione con imponenti aiuti economici.
L'economia sudcoreana decollo solo negli anni '60, sotto un governo militare guidato da Park
Chung-hee, che adottò un piano quinquennale di sviluppo. Questo piano ebbe successo, e a
seguire vennero effettuati investimenti in vari settori industriali che contribuirono all'affermazione
di industrie avanzate in meccanica ed elettronica. L'organizzazione delle imprese in Corea del Sud
è molto verticale e a forte base familiare. I 5 grandi chaebol coreani (gruppi industriali
conglomerati) sono Hyundai, Samsung, Daewoo, LG e SK. La Corea del Sud ha anche imboccato
una lenta democratizzazione. Tuttavia, la più forte mancanza rimane la presenza di un robusto
strato di medie e piccole imprese e un solido welfare state.
La vittoria dei russi nella Seconda Guerra Mondiale ebbe un notevole impatto sugli equilibri
internazionali, ma anche effetti interni insospettabili:
• Il potere dei militari rimase intatto fino alla fine degli anni '80.
• L'egemonia imperialistica conquistata sostenne un sistema economico
sovietico inefficiente.
• L'acquisizione di tecnologia occidentale venne mantenuta.
Solo al termine del predominio dei poteri militari, alla fine degli anni '80, crebbe il divario
tecnologico e si incrinò l'egemonia imperialistica con la caduta dei regimi comunisti dell'Europa
orientale. In quel contesto, l'economia sovietica rivelò la sua insostenibilità, finendo col
venire spazzata via.
Fino agli anni '80, ci fu una crescita economica vivace, ma con l'inizio delle prime difficoltà
iniziarono i tentativi di riforma. Dopo la morte di Brežnev nel 1982, l'ultimo generale vincitore
della guerra, Gorbaciov divenne segretario del PCUS. Gorbaciov tentò di uscire lentamente dal
sistema di pianificazione centralizzata, ritornando a un modello di economia mista, simile a
quello della NEP di Lenin. La sua politica, fondata su principi
di "trasparenza" e "cambiamento", portò alla fine della Guerra Fredda.
Nel 1987 venne firmato un trattato per l'eliminazione delle armi nucleari, e l'anno successivo
venne annunciata la fine della dottrina Brežnev, che permise alle nazioni del blocco sovietico
di tornare alla democrazia. Nel settembre 1990, Gorbaciov assunse il ruolo di capo dello stato,
ma ormai non era più in grado di controllare la situazione interna, con un'economia che stava
progressivamente disintegrandosi.
Salì quindi al potere Eltsin, il quale provocò una pesantissima recessione del sistema sovietico.
Solo nel 1999, l'economia russa riuscì a riprendersi e a tornare a crescere.
Nel 2010, il posizionamento della Russia per reddito pro capite rispetto agli Stati Uniti non era
migliorato rispetto a quello alla morte di Stalin. La speranza di vita in Russia risultava
notevolmente inferiore a quella di molti altri paesi e il suo tasso di crescita demografica era uno
dei più bassi al mondo.
Data la presenza della sua avanzata civiltà agricola, la Cina non ha avuto incentivi a uscire dalla
sua configurazione politica legata a un governo imperiale di tipo autocratico. Inoltre, la filosofia e
l'etica confuciane, in cui lealtà, sottomissione e rispetto della gerarchia sociale erano le basi per
una vita armoniosa, hanno avuto un impatto determinante. Istruzione e meritorietà (i mandarini)
erano largamente diffusi, mentre l'attività economica dei mercantiveniva relegata a una posizione
periferica.
Il governo della dinastia Manciù (1644-1911) fu poco lungimirante, e con la morte dell'ultimo
imperatore nel 1911, ci fu una rivolta delle province meridionali, che nel 1912 proclamò
41
la Repubblica Cinese dai caratteri nazionalistici. Nel 1921 nacque il Partito Comunista
Cinese (PCC), capeggiato da Mao Zedong, che avviò una guerra civile contro le
forze nazionaliste. La guerra fu vinta dal Partito Comunista, mentre il Kuomintang (partito
nazionalista) si rifugiò a Taiwan.
La Repubblica di Mao inizialmente seguì il modello di pianificazione sovietico, con un forte
abbassamento della produzione agricola, che portò a una grave carestia. Nel 1950, Mao si sganciò
dall'Unione Sovietica, e iniziò una rivoluzione culturale (1966-1970), in cui cercò di eliminare le
classi "borghesi". Le università vennero chiuse e tutti furono costretti a rientrare nella classe
operaia.
Dopo la morte di Mao nel 1976, ci fu un riavvicinamento all'Occidente e un ridimensionamento
dell'economia cinese. La grande riforma del 1978 prevedeva la politica del figlio unico. Fu avviata
anche la liberalizzazione dell'agricoltura, basata su cooperative agricole di territorio, sul
modello giapponese. La Cina necessitava però di tecnologie importate. Furono istituite le Zone
Economiche Speciali (ZES) in cui era possibile effettuare investimenti esteri e commercio
internazionale, e fu permessa la creazione di imprese private.
Da quel momento in poi, la Cina avviò un processo di liberalizzazioni e privatizzazioni, pur
mantenendo gran parte dell'economia sotto il controllo statale. Nel 1982, la Cina divenne
un'economia socialista di mercato, in cui la pianificazione fu sostituita da un mercato in cui le
imprese si misurano con la concorrenza, ma sotto il pesante ruolo dello stato. Ci fu poi un processo
di crescita economica dominato dall'alto, secondo la millenaria tradizione cinese.
Una profonda riforma della finanza avvenne con l'istituzionalizzazione della Banca Centrale
Cinese nel 1994, e la politica monetaria fu impostata su una grande stabilità. Queste riforme
hanno portato a una forte industrializzazione con alti tassi di crescita del Pil pro capite e una
grande quantità di prodotti esportati sul mercato internazionale, soprattutto a basso costo.
Uno dei fattori chiave del successo cinese è stata la facilità con cui la Cina ha investito nel capitale
umano, migliorando la qualità dell'istruzione e creando laboratori di ricerca e università di
eccellenza. Gli investimenti esteri sono stati utilizzati per il trasferimento tecnologico, e
numerosi parchi tecnologici sono stati creati.
L'India, al contrario, ha avuto una storia differente da quella della Cina. La sua area geografica è
stata molto meno coesa e unificata, e la sua storia è segnata da vicende complesse. A partire
dal trattato di Kautilya del III secolo a.C., l'India sviluppò una prospera attività mercantile, con
scambi con l'Occidente. Tuttavia, l'incapacità di costruire governi centralizzati capaci di fermare
le invasioni straniere portò alla conquista di diverse zone da parte di popoli esterni.
Nel XIV e XV secolo, l'India si divise in sultanati e, nel 1556, questi sultanati si unirono
nell’Impero Moghul, che durò fino al 1739, promuovendo la mercantilizzazione delle coste e
lasciando l'interno in arretratezza. Con la morte dell'ultimo imperatore, l'India tornò sotto il
controllo dei sultanati, ma venne successivamente conquistata dalla East India Company, che
penetrò nel paese imponendo le proprie esazioni fiscali.
Il commercio indiano divenne sempre più dipendente dagli inglesi, che nel 1858 unirono le Indie
alla corona inglese. Le campagne interne furono colpite da carestie e la dominazione britannica
fece accumulare ricchezze agli imprenditori locali. Tuttavia, il governo inglese non tentò mai di
abolire le caste, che furono abolite formalmente solo dopo l'indipendenza nel 1947, grazie
alla campagna di protesta non violenta di Gandhi. L'indipendenza portò anche alla separazione
del Pakistan (1947) e del Bangladesh (1971).
A livello economico, l'India instaurò un sistema di pianificazione dall'alto, con un forte intervento
dello stato, ma senza una vera pianificazione centralizzata. La vera svolta economica
avvenne dopo il 1989, quando furono introdotte varie liberalizzazioni. L'India aprì maggiormente
il proprio mercato con l'estero, accelerando il tasso di crescita. Tuttavia, il tasso di crescita non ha
mai raggiunto i livelli della Cina per due motivi principali: il tasso demografico non fu messo
42
sotto controllo e l'industrializzazione non raggiunse livelli simili a quelli cinesi. Inoltre, il settore
terziario e l'agricoltura continuano ad assorbire una vasta forza lavoro.
Nel settore industriale, esistono alcune grandi imprese, ma la maggior parte della forza lavoro è
impiegata in piccole-medie imprese. Un settore importante è anche il cinematografico,
con Bollywood. Tuttavia, è il settore terziario quello più avanzato, con l'India che offre servizi
informatici e altri servizi a basso costo per il mondo intero.
L'India affronta tuttavia gravi problemi, come il basso livello di diffusione dell'istruzione,
una speranza di vita di soli 64 anni, la persistenza della mentalità castale, la discriminazione
della donna e un'enorme percentuale di poveri assoluti.
3.1
La Prima Guerra Mondiale segnò un punto di svolta per l'economia italiana e mondiale, con
impatti più devastanti del previsto. In Italia, la guerra accelerò lo sviluppo dell'industria pesante,
grazie agli appalti militari, e aumentò il ruolo dello Stato, che assunse il controllo su
approvvigionamenti, trasporti, e produzione industriale. La fine del conflitto cambiò gli equilibri
politici ed economici, con l’Italia che si avvicinò agli Stati Uniti, ma lasciò irrisolta la questione
della "vittoria mutilata", ossia le terre non ottenute nonostante il successo militare.
La crisi postbellica, segnata da gravi tensioni sociali e politiche, portò alla caduta dei governi
liberali e alla ascesa del fascismo, supportato dagli agrari ma inizialmente diffidente
dall'industria. La crisi economica degli anni immediatamente successivi si intrecciò con crisi
istituzionali e politiche, con il fascismo che consolidò il suo potere, eliminando le rappresentanze
politiche e sindacali alternative. Negli anni '30, la grave depressione globale colpì duramente
l’Italia, ma lo Stato intervenne per salvare le grandi banche e avviare la nazionalizzazione
dell’industria, con la creazione dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), consolidando
ulteriormente il controllo pubblico sull’economia.
3.2
Al momento dell'entrata in guerra, l’Italia era caratterizzata da un sentimento prevalente di
neutralità, sebbene vi fosse una crescente pressione industriale a favore dell'interventismo. La
guerra, con la sua interruzione delle rotte commerciali, causò una grave carenza di materie
prime, spingendo gli industriali a sostenere l'ingresso in conflitto, nonostante le debolezze
strutturali dell'industria italiana. Abbandonata la neutralità nel 1915, lo Stato assunse il controllo
delle risorse, mobilitando l'industria bellica e destinando una parte significativa delle risorse
pubbliche a questi scopi.
Per finanziare il conflitto, l’Italia ricorse all’emissione di debito pubblico e alla stampa di
cartamoneta, incrementando il debito e provocando inflazione. La guerra, inoltre, gravò
pesantemente sulla popolazione, aumentando il costo della vita e le difficoltà quotidiane, con un
forte ricorso al lavoro femminile. Le difficoltà economiche e sociali si accentuarono nel
dopoguerra, con disoccupazione, tensioni sindacali e la difficoltà di riconversione delle fabbriche
che avevano prodotto per il conflitto.
Il periodo postbellico fu segnato da forti divisioni sociali e da una serie di scioperi, che portarono
a un aumento dei salari reali nell'industria e in agricoltura, mentre i settori pubblici e i proprietari
terrieri subirono danni. L'inflazione e la crescente disparità di reddito generarono discontento,
43
mentre il governo liberale, incapace di gestire le difficoltà, venne progressivamente sostituito dai
Fasci di combattimento. Questi, nati nel 1919, si presentarono come reazione al "biennio rosso" e
come difensori della proprietà privata, guadagnando il supporto degli agrari, della piccola
borghesia e di parte del mondo [Link] fascismo salì al potere nel 1922 con una marcia su
Roma, sostenuto da diverse forze sociali e
politiche, e pur non avendo una chiara visione economica, riuscì a ottenere il controllo in un
periodo di risveglio economico e sociale, continuando la politica liberale con l'appoggio di liberali
e cattolici.
3.3
Nel 1922, l'Italia stava attraversando una fase di recupero economico, con l'inflazione controllata,
il deficit di bilancio ridotto e la Lira leggermente rivalutata. Nonostante il debito pubblico elevato,
il governo fascista di Mussolini, con il ministro delle Finanze Alberto De Stefani, avviò una serie di
riforme per risanare i conti pubblici, tra cui la riduzione della spesa militare e la revisione della
politica fiscale, che portò all'imposizione su categorie precedentemente esenti.
Tuttavia, la ripresa fu ostacolata da speculazioni borsistiche e dalla svalutazione della Lira, che
inizialmente favorì le esportazioni ma penalizzò l'importazione di materie prime. Per contrastare
questi fenomeni, furono adottate misure restrittive del credito, con effetti negativi sul mercato
azionario e su numerose imprese. Il sostegno alle banche e alle industrie in difficoltà si tradusse
in una nuova emissione di cartamoneta, che alimentò ulteriori tensioni inflazionistiche.
Nel 1924-1925, l'economia italiana fu influenzata dalle politiche fasciste che consolidarono un
regime autoritario. Il debito estero fu ridotto grazie a un condono ottenuto da Stati Uniti e Gran
Bretagna, ma l'inflazione e la svalutazione della Lira persistevano. Nel 1926, furono adottate
politiche per stabilizzare la valuta, inclusa la creazione di un monopolio dell'emissione monetaria
da parte della Banca d'Italia e la rivalutazione della Lira.
Nel 1927, la politica della "quota 90" di rivalutazione della Lira ebbe impatti contrastanti
sull'economia: sebbene favorisse i settori importatori di materie prime, danneggiava le
esportazioni e contribuiva alla stagnazione della domanda interna. Per stimolare l'economia, il
regime avviò massicci investimenti pubblici in infrastrutture, ma l'impatto sul miglioramento della
disoccupazione fu limitato.
La crisi economica mondiale del 1929 acutizzò la situazione, riducendo drasticamente il
commercio internazionale e aumentando la disoccupazione. L'Italia, pur beneficiando di alcuni
investimenti esteri, subì un calo significativo dell'interscambio commerciale. La svalutazione
della Lira e l'uscita dal Gold Standard nel 1936 segnarono ulteriori difficoltà economiche.
In risposta alla crisi bancaria, nel 1931 fu creato l'Istituto Mobiliare Italiano (IMI) per salvare le
banche in difficoltà, e nel 1933 fu istituito l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) per
gestire la crisi delle banche miste. L'IRI divenne uno strumento centrale dello Stato nella gestione
dell'economia, assumendo il controllo di numerose imprese e garantendo il finanziamento disettori
strategici.
Nel 1936, una seconda legge bancaria rafforzò il controllo della Banca d'Italia, e il regime fascista
intensificò le politiche di riarmo, aggravando ulteriormente il debito pubblico. La politica coloniale
in Etiopia e le alleanze con la Germania non portarono benefici significativi all'economia, ma
rafforzarono la posizione del regime. Nonostante l'industria pesante ne beneficiò, la spesa
militare e le avventure imperialistiche continuarono a gravare sulle finanze pubbliche, mentre le
politiche protezionistiche ridussero le importazioni e alteravano la geografia commerciale del
paese.
3.4
Nel 1911, circa il 60% della popolazione attiva era impiegata in agricoltura, ma questo dato
diminuì progressivamente nel decennio successivo. La ripresa agricola post-bellica fu lenta,
influenzata da difficoltà sociali, scarsità di manodopera e di mezzi agricoli, e l'uso limitato di
44
fertilizzanti chimici. Il regime fascista mirò a ridurre le importazioni di cereali e migliorare la
produttività agricola, ma le politiche si scontrarono con l'incompatibilità tra il miglioramento della
produttività e il tentativo di fermare l'inurbamento.
Le riforme agrarie del regime inclusero due politiche principali: la bonifica integrale di quasi 4
milioni di ettari, che prevedeva la trasformazione delle terre malariche in terreni coltivabili e la
ripartizione delle terre bonificate in fondi agricoli, e l'incentivazione dell'autosufficienza
alimentare attraverso misure come l'aumento della produzione di grano, l'uso di sementi
selezionate e l'introduzione di pratiche agricole moderne. Il fascismo cercò di mobilitare i
contadini tramite la "battaglia del grano", utilizzando la radio e altre forme di propaganda.
I progressi furono modesti: l'uso di fertilizzanti e sementi migliorò, ma l'irrigazione e la
motorizzazione rimasero limitate. Nonostante un incremento nella produzione di frumento,
l'espansione delle coltivazioni di grano penalizzò altre colture e peggiorò le condizioni di vita nel
Sud, dove la cerealicoltura occupava meno manodopera rispetto alle colture arboree. La
zootecnia migliorò leggermente, ma l'agricoltura soffriva ancora per l'eccesso di manodopera,
aggravato da politiche che impedivano l'inurbamento senza un contratto di lavoro.
3.5
Durante la Prima Guerra Mondiale, l'Italia dovette affrontare un'importante mobilitazione
industriale per soddisfare le necessità belliche, con la produzione di armi, munizioni, mezzi di
trasporto, e altre forniture. Questo contesto favorì la crescita di settori come siderurgia,
metalmeccanica ed energia elettrica, ma portò anche a distorsioni economiche e speculative,
come il gonfiamento dei prezzi e l’ottenimento di vantaggi fiscali. Tali agevolazioni permisero
investimenti significativi, ampliamenti della capacità produttiva e concentrazioni industriali, che
però spesso superarono le reali necessità belliche.
Nel dopoguerra, emerse un'eccessiva capacità produttiva in alcuni settori, con difficoltà di
riconversione e conseguenti licenziamenti. La siderurgia e la meccanica pesante, guidate da
grandi gruppi come Ansaldo e Ilva, si rafforzarono, mentre il settore chimico fu trasformato dalla
domanda di esplosivi. La FIAT vide una crescita esponenziale, decuplicando i suoi dipendenti.
Parallelamente, il sistema bancario consolidò il suo ruolo centrale, con le grandi banche miste
coinvolte in operazioni industriali rischiose, talvolta sostenute da interventi pubblici.
Il periodo vide una crescente integrazione industriale e finanziaria, ma anche una crisi bancaria
dovuta a operazioni azzardate e intrecci tra gruppi industriali e istituti di credito. Il governo
intervenne attraverso consorzi come il CSVI per sostenere imprese in difficoltà. Tuttavia,
l’economia rimase caratterizzata da instabilità, con frequenti fusioni societarie e la tendenza a
scaricare i rischi privati sulla collettività. Tra il 1921 e il 1929, l'industria italiana registrò una
crescita significativa, con un tasso medio annuo del 6,5%, sostenuta dalla congiuntura
internazionale favorevole e dall'influenza del modello economico statunitense, che promuoveva il
consumo di massa. Tuttavia, l'adozione della produzione in serie in Italia incontrò ostacoli
culturali e strutturali, con un mercato interno limitato e una preferenza per la produzione
artigianale. Il settore automobilistico, ad esempio, nonostante gli investimenti della FIAT, soffriva
di una domanda insufficiente.
La crisi del 1929 colpì duramente l'economia italiana, con una contrazione della produzione
industriale del 23% e una flessione del PIL pro capite del 9%. L'industria italiana si riprese
lentamente, raggiungendo i livelli pre-crisi solo a metà degli anni Trenta, ma con performance
inferiori rispetto ad altre economie occidentali. La meccanica e la chimica guidarono la ripresa,
mentre settori come la metallurgia e il tessile rimasero indietro.
L'energia idroelettrica svolse un ruolo centrale nello sviluppo industriale, garantendo un
vantaggio competitivo nel settore dell'elettrificazione ferroviaria, ma anche ritardando l'adozione
di tecnologie innovative nel comparto termoelettrico. Nel settore chimico, la Montecatini divenne
un attore dominante, diversificando le sue attività e integrando nuovi comparti come quello
farmaceutico e delle fibre artificiali. L'AGIP, fondata nel 1926, contribuì allo sviluppo di tecnologie
45
avanzate nel settore degli idrocarburi.
L'autarchia, introdotta dopo le sanzioni internazionali del 1937, puntò a ridurre la dipendenza
dalle importazioni, ma portò a un aumento dei costi e a una riduzione della qualità dei prodotti.
Nonostante alcuni progressi tecnologici, l'economia nazionale soffrì di inefficienze e alti costi di
produzione. Nel corso del Ventennio fascista, il PIL pro-capite rimase stagnante, mentre la
produttività per addetto crebbe, soprattutto nelle grandi imprese che introdussero miglioramenti
tecnologici e organizzativi. Il settore bancario subì una profonda trasformazione con la creazione di
istituti di credito speciale e l'introduzione di leggi bancarie che rafforzarono il controllo statale.
L'IRI, istituito negli anni Trenta, rappresentò una risposta straordinaria per salvare il sistema
economico nazionale affrontare la crisi delle banche miste, divenute eccessivamente dipendenti
dalle grandi imprese industriali. Questi interventi consolidarono il ruolo pubblico nell'economia,
definendo una nuova relazione tra Stato, industria e sistema bancario.
3.6
L’ideologia fascista si rifletté in politiche sociali e culturali caratterizzate da contraddizioni e
ambivalenze. La politica demografica, fondata sul principio che "il numero è potenza",
incentivava l’alta natalità con premi alle famiglie numerose, tassa sul celibato e istituzioni come
l’ONMI. Tuttavia, tali misure si scontravano con la disoccupazione cronica e la compressione
salariale, ostacolando lo sviluppo economico e sociale. Parallelamente, la propaganda ruralista
esaltava i valori tradizionali delle campagne per contrastare l’inurbamento, mentre una corrente
urbana promuoveva aspetti di modernità.
Il regime favorì i ceti medi, garantendosi il loro consenso, e tutelò principalmente gli interessi dei
grandi gruppi industriali e bancari. L’alleanza con la Chiesa, sancita dai Patti Lateranensi del
1929, fu strumentale per rafforzare il consenso, nonostante attriti legati alle attività ricreative
parrocchiali. L’ideologia maschilista mirava a frenare l’emancipazione femminile e a escludere le
donne dal mercato del lavoro.
In ambito culturale, il fascismo operò un controllo stretto sull’istruzione e sulla stampa. La
riforma Gentile (1923) rese il sistema scolastico selettivo e centralizzato, mentre la propaganda
fascista influenzava i contenuti didattici. La stampa fu sottoposta a censura, con obblighi di
iscrizione all’albo fascista per i giornalisti e autorizzazioni per le pubblicazioni. Anche il cinema e
la radio furono sfruttati per la propaganda: vennero fondati l’Istituto Luce e Cinecittà, e le
trasmissioni radiofoniche furono rigidamente controllate.
Nel campo economico e sociale, si registrarono progressi limitati e disomogenei. La
modernizzazione avanzava lentamente, come dimostrato dall’aumento della scolarizzazione e
dalla riduzione dell’analfabetismo. Tuttavia, la crisi economica e la rigidità del sistema
ostacolavano una crescita uniforme dei consumi e delle condizioni di vita. Il terziario crebbe
grazie all’espansione della pubblica amministrazione, creando una borghesia di Stato legata agli
enti pubblici come l’IRI e l’IMI.
3.7 conclusioni
Tra il 1915 e il 1940, l'Italia proseguì il processo di industrializzazione, senza però colmare il
divario rispetto alle economie più avanzate e aggravando le disuguaglianze tra Nord e Sud, con
lamaggior parte della spesa pubblica concentrata nelle regioni settentrionali. Il sistema economico,
inizialmente dominato dal binomio siderurgia-banche miste, vide una graduale ascesa di settori
come l’elettrico, la chimica (Montecatini) e l’automobilistico (FIAT). Tuttavia, il capitalismo rimase
scollegato dalla democrazia, ostacolato dalla natura autoritaria del regime fascista.
L’intervento dello Stato nell’economia, già consolidato durante la Prima guerra mondiale, si
intensificò ulteriormente con il fascismo. Alla crisi del 1929, l’Italia disponeva di strumenti di
intervento pubblico avanzati rispetto ad altri Paesi, come l’IMI e l’IRI, che rafforzarono il dirigismo
economico e la gestione statale dell’economia.
Nella seconda metà degli anni Trenta, l'economia italiana conobbe una modesta ripresa fino allo
46
scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in un contesto profondamente trasformato rispetto alla
Prima Guerra Mondiale. Lo Stato aveva assunto un ruolo centrale nel funzionamento e nel
finanziamento dell'economia, controllando direttamente o indirettamente imprese e istituti di
credito, con un notevole aumento del numero di dipendenti pubblici, che raggiunse quasi un
milione nel 1939.
Il settore bancario subì significative trasformazioni con le leggi del 1926 e 1936, che portarono
alla creazione di istituti di credito speciale e all'incorporazione delle banche miste nell'IRI. La
politica economica del regime favorì la crescita industriale attraverso cartelli e protezione dei
grandi gruppi, ma rallentò l'innovazione tecnologica. Tuttavia, la lunga depressione economica, la
politica autarchica e la volontà di raggiungere obiettivi come la "quota 90" crearono ostacoli sia
alla crescita industriale che agricola, con effetti negativi sulla produttività dei settori coinvolti.
Capitolo quarto
Nel 1939, l'Italia firmò con la Germania il Patto d'Acciaio, esteso poi al Giappone, nonostante
fosse impreparata economicamente e militarmente a una nuova guerra mondiale. Mussolini,
consapevole delle debolezze delle forze armate, nascose l'impreparazione dietro una retorica
propagandistica, confidando erroneamente in una guerra rapida. L'alleanza con la Germania
portò l'Italia in un conflitto disastroso, aggravato dall'incapacità di comprendere il ruolo
crescente dell'economia sovietica, che determinò una svolta cruciale nella guerra e la rovina del
Patto d'Acciaio.
Dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943, l’Italia si trovò divisa e in condizioni di disfacimento
economico, sociale e politico. Al Nord, la resistenza partigiana lottò contro il nazifascismo e
diede avvio a una guerra civile, mentre al Sud prevalse un atteggiamento passivo verso gli Alleati.
La popolazione, priva di una coscienza civile consolidata, si concentrò sulla sopravvivenza,
spesso ricorrendo a comportamenti illegali.
Dopo la guerra, il Paese affrontò gravi problemi economici e sociali, con inflazione,
disoccupazione e una società disgregata. Dal 1945 al 1947 si succedettero governi di unità
nazionale che cercarono di ricostruire il Paese, ma l’amnistia del 1946 mantenne una continuità
con le classi dirigenti del periodo fascista. Tuttavia, emerse una nuova classe politica, spesso
priva di esperienza economica, ma formata da esponenti dell’antifascismo. La guerra fredda,
iniziata subito dopo il conflitto, condizionò la sovranità italiana, dividendo il Paese politicamente
e socialmente.
Nel 1948, il voto sancì la rottura dell'unità nazionale e confermò la spaccatura tra le forze
politiche, riflessa anche nel sindacato, mentre la scelta repubblicana, la nuova Costituzione e il
suffragio universale rappresentarono passi fondamentali verso la democratizzazione del Paese.4.2
Durante gli anni Trenta, l'economia italiana registrò una crescita modesta rispetto ad altre
economie avanzate. Nonostante l'aumento della produzione industriale, la guerra ebbe un
impatto devastante sull'economia, inizialmente stimolando alcune esportazioni, grazie alla
vendita di armamenti, ma successivamente rallentando la produzione. La capacità produttiva non
riuscì a soddisfare la domanda bellica e civile, con una flessione della produzione industriale dal
1940 in poi, accentuata dalla scarsità di materie prime e dalla difficoltà di operare a pieno
regime.
La guerra causò gravi danni materiali e morali: la popolazione civile fu direttamente coinvolta,
subendo bombardamenti, requisizioni e violenze. La disoccupazione industriale e la
sottoccupazione agricola non furono completamente risolte, mentre la vita quotidiana fu segnata
da razionamenti, accaparramenti e speculazioni. L'inflazione esplose, con un forte divario tra i
redditi fissi e variabili, aumentando le disuguaglianze sociali.
Nel 1943, le finanze pubbliche furono fortemente compromesse, con il governo che dovette
ricorrere a imposte e prestiti forzosi per finanziare la guerra, ma l'inflazione e la stampa di
moneta causarono un aumento vertiginoso dei prezzi. La guerra portò alla disgregazione
47
dell'industria e alla perdita di controllo del territorio da parte del regime fascista, con la
Repubblica Sociale incapace di mantenere il controllo della produzione e dei trasporti.
Alla fine del conflitto, l'economia era in rovina, con il reddito medio dimezzato e l'inflazione che
avvantaggiava solo alcuni gruppi, come gli speculatori e i proprietari agricoli. Le condizioni di vita
erano precarie, con una grave carenza di abitazioni a causa dei bombardamenti, e il paese
faticava a riprendersi dalla devastazione economica e sociale.
4.3
Nel 1947, l'Italia firmò un trattato di pace in un contesto ostile, con gli alleati che non la
consideravano come tale. Le colonie italiane furono perse, e la Somalia venne affidata all'ONU
per prepararla all'indipendenza. L'Italia, che aveva visto il suo impero dissolversi durante la
Seconda Guerra Mondiale, si trovò ad affrontare una nuova realtà internazionale. Con la guerra
fredda, l'Italia si schierò con l'Occidente, aderendo alla NATO e alla Comunità Economica
Europea. La politica economica del periodo si concentrò sulla ricostruzione e sulla lotta contro
l'inflazione, con una serie di misure tra cui la creazione di una tregua salariale e l'adozione di una
politica liberista guidata da Luigi Einaudi. Le difficoltà economiche includevano disoccupazione,
inflazione e un grave debito pubblico, ma l'introduzione di misure come il controllo della moneta
e l'incremento delle risorse fiscali cercarono di risollevare la situazione.
Nel contesto della guerra fredda, gli Stati Uniti fornirono aiuti attraverso il Piano Marshall,
destinato a stimolare la produzione e a sostenere l'economia. Questi aiuti vennero impiegati
permodernizzare l'industria e rimettere in moto l'apparato produttivo. Allo stesso tempo, l'Italia si
avviava verso una politica economica liberista, con la riduzione delle barriere doganali e
l'ingresso nel GATT nel 1947, anche se la classe imprenditoriale mostrava resistenze. Il sistema
monetario internazionale fu riorganizzato a Bretton Woods, con l'introduzione del dollaro come
valuta di riferimento, mentre l'Italia aderiva al Fondo Monetario Internazionale.
Nel Sud, i problemi economico-sociali erano aggravati dalla guerra, ma la creazione della Cassa
per il Mezzogiorno nel 1950 e la fondazione di un istituto di studi per lo sviluppo del Meridione
cercarono di affrontare i ritardi e le disuguaglianze, anche se i risultati furono limitati.
Nel 1951, l'Italia non era ancora un paese completamente industrializzato, con il settore primario
che impiegava il 44% della forza lavoro, mentre l'industria occupava circa il 30%. Nonostante le
innovazioni nei processi produttivi, non vi fu un significativo aumento dell'occupazione. La
disoccupazione e la miseria alimentarono un flusso migratorio che, dal 1947, superò le 250.000
partenze annuali, con oltre 1,3 milioni di espatri nel quinquennio 1947-1951 e un saldo negativo di
750.000, dato che i rimpatri furono solo 467.000. Gli emigranti cercavano lavoro in Svizzera,
Francia, Benelux, Argentina (274.000), Stati Uniti (66.000), Australia, Brasile, Canada e
Venezuela. Il fenomeno migratorio coinvolgeva principalmente il Sud, ma anche il Nord-Est
contribuiva. Le rimesse inviate dagli emigranti contribuirono a rafforzare le riserve valutarie
dellacontribuiva. Le rimesse inviate dagli emigranti contribuirono a rafforzare le riserve valutarie
della Banca d'Italia e a stabilizzare la Lira.
4.4
Tra il 1939 e il 1945, l'Italia subì un forte calo della produzione agricola e zootecnica. La
produzione di frumento scese da 61,3 milioni a 32,6 milioni di quintali, e quella di granoturco da
oltre 34 milioni a 14,4 milioni di quintali. Anche la produzione di vino e olio diminuì
significativamente, così come il patrimonio zootecnico, con una riduzione dei capi bovini da 8,5
milioni a 6 milioni. Il consumo di concimi chimici crollò durante la guerra, ma tornò ai livelli
prebellici solo nel 1948-1949. L'agricoltura rimase un settore arretrato, caratterizzato da bassa
produttività e dalla presenza di un numero elevato di braccia agricole, difficilmente gestibile a
causa degli interessi dei proprietari terrieri. Nonostante compromessi, come il miglioramento
della mezzadria con il "lodo De Gasperi", vennero adottate politiche riformatrici che posero le
basi per una crescita futura.
48
Nel 1950, il Parlamento approvò una riforma agraria che espropriò 760.000 ettari di terra,
redistribuendoli a 113.000 famiglie, ma con effetti limitati sulla produttività. Nel Sud, si
intensificarono le occupazioni delle terre, portando a conflitti e scontri. Nel contesto della
ricostruzione post-bellica, la priorità era affrontare la fame, la disoccupazione e i danni materiali,
stimati tre volte il PIL anteguerra. Le difficoltà di rifornimento e i danni alle infrastrutture
rallentarono la ricostruzione, ma nel 1946 la produzione industriale era già al 70% dei livelli
prebellici, con un completo recupero nel 1949 grazie agli investimenti, agli aiuti esterni e
all'esportazione.
Il ruolo dello Stato nella ricostruzione fu oggetto di dibattito, con il Partito comunista favorevole a
un intervento pubblico deciso, mentre i liberali volevano limitare il ruolo dello Stato a un supporto
in momenti di crisi. La ricostruzione industriale si basò su investimenti pubblici, importazione di
tecnologia e disponibilità di manodopera a basso costo, che rendeva competitivi i prodotti
italiani, sebbene a basso contenuto tecnologico inizialmente. Un'importante riforma fu la
creazione dell'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) nel 1953, che consolidò il controllo statale sul
settore energetico, grazie anche al contributo di Enrico Mattei. L'industria siderurgica e
meccanica furono settori chiave per la crescita, con l'intervento pubblico che promosse la
formazione di tecnici e dirigenti e il rilancio della produzione industriale. Nel 1952, la produzione
di acciaio raggiunse i 3,5 miliardi di tonnellate, alimentata dalla domanda internazionale,
soprattutto dopo la guerra di Corea. La siderurgia divenne cruciale per la politica militare,
portando alla creazione della Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio (CECA) nel 1951, un
passo verso la pace e l'integrazione economica, con sei Paesi europei firmatari, tra cui Italia e
Germania.
Nel periodo della ricostruzione post-bellica, gli aiuti esteri, l'autofinanziamento e nuove
istituzioni finanziarie come Mediobanca e Centrobanca supportarono la crescita economica.
Mediobanca, sotto la guida di Enrico Cuccia, divenne un nodo centrale tra grandi gruppi
Mediobanca, sotto la guida di Enrico Cuccia, divenne un nodo centrale tra grandi gruppi
industriali e famiglie imprenditoriali, mentre Centrobanca si concentrava sul finanziamento delle
piccole e medie imprese. Inoltre, istituti speciali come ISVEIMER e IRFIS operavano nel Sud per
favorire lo sviluppo locale.
Durante il dopoguerra, il dibattito sui consigli di gestione, proposto per favorire il controllo
democratico delle imprese, si scontrò con la resistenza di figure come Alcide De Gasperi e
Confindustria, che preferivano un comando aziendale centralizzato. Le divisioni tra socialisti e
comunisti, e tra la CGIL e altre organizzazioni sindacali, portarono a un indebolimento della forza
sindacale e a una situazione di stallo nei primi anni '50.
La politica economica italiana si trovò tra il liberalismo e lo statalismo, con le tensioni tra i modelli
produttivi statunitensi, come il fordismo, e le difficoltà del capitalismo italiano, che faceva fatica
a innovare e diversificare. L'industria privata era dominata da poche famiglie e imprese, con una
scarsa propensione a diversificare o a competere liberamente, spesso supportate dallo Stato.
Nonostante il cambiamento delle forme economiche, il sostegno pubblico continuò a essere
fondamentale per l'iniziativa privata.
4.5 conclusione
Nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, l'Italia visse una serie di cambiamenti
significativi. Nel 1943, con il crollo della produzione industriale e della coesione sociale, e
successivamente nel settembre dello stesso anno, il paese vide anche il crollo delle sue
istituzioni. Il trattato di pace del 1947 sancì la perdita di 9.000 km² , ma la popolazione crebbe
significativamente, raggiungendo i 47,5 milioni nel 1951, grazie a un forte aumento della natalità
che diede origine al baby boom, che continuò fino ai primi anni Sessanta.
Nel contesto politico ed economico del dopoguerra, le posizioni stataliste e liberiste si
scontrarono. Da un lato, si proponeva un intervento dello Stato per razionalizzare il sistema
produttivo, mentre dall'altro si chiedeva di eliminare il controllo sui cambi, i prezzi politici e i
49
razionamenti introdotti durante la guerra. L'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), che
aveva consolidato il capitalismo di Stato italiano, continuò a svolgere un ruolo fondamentale nel
sostenere la ripresa economica, sebbene la sua efficacia fosse dibattuta.
Il dopoguerra evidenziò anche il conflitto tra diverse visioni economiche e politiche: il ritorno
delle idee di socializzazione delle imprese, già promosse dal fascismo, e il contrasto sulle
epurazioni dei quadri dirigenti compromessi con il regime fascista. Alcide De Gasperi, presidente
del Consiglio, cercò di mediare tra le diverse forze politiche, in particolare con gli alleati socialisti
e comunisti, per evitare tensioni e garantire la stabilità del governo.
Durante gli anni Trenta, l'Italia aveva intrapreso un cammino di centralizzazione economica, con
lo Stato che aveva preso un ruolo centrale nell'economia, riducendo il ruolo del mercato e
aumentando la burocrazia. Il numero dei dipendenti pubblici era salito da 350.000 nel 1923
aumentando la burocrazia. Il numero dei dipendenti pubblici era salito da 350.000 nel 1923 a
quasi un milione nel 1939, segnando una netta inversione rispetto alla retorica fascista sulla
scarsa produttività della burocrazia. Inoltre, il settore bancario era stato riformato, con la
creazione di istituti di credito speciale e il salvataggio delle banche miste, che furono poi
incorporate nell'IRI.
Il regime fascista, pur sostenendo l'industria, aveva ostacolato la crescita economica con
politiche autarchiche e protezionistiche, come le sanzioni internazionali, e con la creazione di
cartelli per proteggere i grandi gruppi industriali. Questo approccio aveva rallentato l'innovazione
tecnologica e limitato la produttività, sia nel settore industriale che in quello agricolo, sebbene gli
effetti fossero variabili a seconda del comparto.
Capitolo quinto
5.1
Dal 1948 al 1973, il PIL pro-capite quadruplicò grazie a un amento medio annuo del 5,5%; solo
leggermente inferiore risultò l'incremento della produttività. Nell'intero venticinquennio la crescita
italiana superò quella degli altri Paesi europei, si accorciò qualche disuguaglianza sociale e per la
prima volta si ridusse il divario fra Nord e Sud. La speranza di vita passò da 65 a 72 anni.
il Paese sembrò spiccare il volo, tanto da far parlare di «miracolo economi-co»: una crescita
dell'economia e uno sviluppo sociale che si inserirono all'interno di un contesto internazionale
altrettanto positivo: la cosiddetta «età dell'oro», caratterizzata dal generale progresso dell'Occidente-
te, dal tumultuoso processo di decolonizzazione e, sul versante economico, da cambi fissi, dalla
liberalizzazione degli scambi commerciali e dal basso costo dell'energia.
La fiducia nel futuro del paese rappresentò uno stimolo significativo e tuttavia la crescita economica
fu accompagnata da uno sviluppo sociale non altrettanto dinamico e non privo di contraddizioni. In
vent’anni il tasso di analfabetismo declinò ma non scomparve. Qualche progresso si registrò nel
segmento alto dell’istruzione, quella universitaria, giacché gli iscritti più che triplicarono. Anche la
polarizzazione verso l’alto e il basso dei livelli di istruzione era il segno di evidenti disequilibri
sociali.
L’Italia del 1951 non era un paese agricolo, almeno al Nord, ma neppure industriale e poi cambiò
pelle nello spazio di un mattino. Sei milioni e mezzo di contadini abbandonarono le campagne. Si
compi quel la che egli chiamò una «mutazione antropologica degli italiani», In Germania già nel
1910 la forza lavoro industriale aveva superato quella agricola.
l'industrialismo permeò di sé la società ma, a distanza di neanche una generazione, fu la volta del
terziario a superare l'industria.
L'Italia rimase, quindi, un Paese industriale per un breve arco di tempo senza riuscire a elaborare
compiutamente una cultura industriale né a dotarsi in ogni campo di una moderna legislazione che
accompagnasse e rafforzasse lo sviluppo economico e sociale.
50
La precedente struttura sociale cedette il passo a una società più articolata, all'interno della quale
nuove forme di mobilità territoriale, sociale e professionale fecero dei ceti medi il perno della
società stessa, di cui costituivano la maggioranza. Nell'arco di una generazione alle due culture,
urbano industriale da un lato e contadina dall'altro, si sostituì un unico stile di vita e i medesimi
modelli di consumo.
5.2
A dettare la politica degli anni Cinquanta furono coalizioni centriste formate da democristiani,
repubblicani, socialdemocratici e liberali che conformarono la linea liberista. Dal 1954 al 1962 gli
investimenti pubblici più che triplicarono ma il welfare fu oggetto di scarse attenzioni. Oltre a
sostenere l'industria, la spesa pubblica privilegiò le infrastrutture senza che le uscite gravassero sul
debito pubblico.
Sul versante delle entrate, il bilancio dello stato poté contare sull’introduzione della dichiarazione
dei redditi. Il gettito, ingrossato dagli elevati incrementi annuali del reddito, più che raddoppiò.
Inflazione e tassi di interesse tenuti sotto controllo agevolarono il credito alle imprese, fino al 1968,
l'emigrazione si mantenne oltre la soglia delle 200.000 partenze all'anno.
Anche a causa delle emigrazioni, fino ai primi anni Sessanta i sindacati e le opposizioni non
riuscirono a spostare la distribuzione della ricchezza a favore del lavoro, così che i salari reali
crebbero in media solo del 2,5% all'anno, meno del PIL, permettendo alle imprese di contenere il
costo del lavoro e quindi di aumentare in maniera significativa sia i profitti sia gli investimenti, Il
basso potere d'acquisto delle masse operaie e soprattutto dei lavoratori agricoli costituì un freno alla
crescita della domanda interna, ragione per cui le esportazioni continuarono a trainare la ore-scita
economica. La storiografia economica si è interrogata in merito alla linea di politica economica
perseguita negli anni del «miracolo», sol levando il dubbio circa la praticabilità e l'opportunità di un
possibile modello alternativo basato su una maggiore giustizia sociale e quindi su una spesa
pubblica più orientata verso il welfare, su salati meno sacrificati in grado di stimolare i consumi e,
dunque, con maggiore attenzione al mercato interno rispetto alle esportazioni. Queste ultime,
insieme alle rimesse degli emigrati, contribuirono a conferire stabilità alla Lira.
Il mercato petrolifero mondiale, dal quale dipendeva il costo dell'energia, era controllato da un
pugno di grandi società occidentali, detienici del know how nel campo dell'estrazione e della
raffinazione.
Nel novero delle Brandi compagnie si era inserito l'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI).
Nel 1957 i sei Paesi aderenti alla CECA sottoscrissero il trattato di Roma che diede vita alla
Comunità Economica Europea (CEE), volta a liberalizzare ulteriormente i commerci delle
economie coinvolte attraverso la creazione di un mercato Comune Europeo (MEC): un’area di
libero scambio realizzata in pochi anni attraverso il progressivo abbattimento delle barriere doganali
interne e l'adozione di tariffe comuni nei confronti dei Paesi terzi. In un secondo tempo, alla libera
circolazione delle merci si aggiunse quella delle persone. L’inserimento dell'Italia nella nuova area
di libero scambio si tradusse, nell'arco di un decennio, nel raddoppio delle esportazioni verso gli
altri cinque partner europei. Nel medesimo anno, oltre alla CECA e al MEC, un terzo trattato
completò la costruzione comunitaria. Si trattava dell'EURATOM, che riguardava l'impiego pacifico
del nucleare nella produzione di energia elettrica.
l'arretratezza dell'agricoltura delle campagne e le condizioni di vita della popolazione rurale erano
problemi comuni e il vuoto produttivo ai sei firmatari del trattato di Roma. L'unico modo per
accrescere la produttività del settore consisteva nella sua modernizzazione.
l'adozione di una Politica Agricola Comunitaria (PAC)
rappresentò il primo fondamentale campo di intervento della CBE. A una commissione guidata
dall'olandese Sicco Mansholt venne affidato il compito di predisporre un piano volto a
razionalizzare e industrializzare la produzione agricola. Il piano mirava ad aumentare i redditi delle
51
famiglie coltivatrici che restavano sulla terra furono adottati prezzi minimi garantiti ai produttori
che i sei ministri dell'agricoltura avrebbero fissato di concerto all'inizio di ciascuna annata agraria.
Simili misure si tradussero inevitabilmente in un aumento generalizzato dei prezzi che si
ripercuoteva sulla popolazione.
Tuttavia, accadde inevitabilmente che, mentre alcune aziende colsero l'opportunità e si attrezzarono
per accrescere produttività ed efficienza, altre si adagiarono all'ombra della protezione, paghe dei
margini di profitto assicurati dalla PAC. Fu pure necessario predisporre misure volte a contenere la
concorrenza internazionale.
Per quanto riguarda l’Italia, gli interventi legislativi approvati negli anni della ricostruzione per
riformare il settore primario non erano stati sufficienti. Nel 1952 il Parlamento votò un piano
dodicennale di provvedimenti per lo sviluppo dell’economia e l’incremento dell’occupazione, nel
quale erano inclusi interventi a sostegno dell’agricoltura.
Nel 1961 segui il primo “piano verde” integrato da un secondo nel 1966. Ormai i problemi
dell'agricoltura erano incanalati nell'alveo della politica agricola comunitaria e, inoltre, dal 1977
molte competenze passarono nelle mani delle Regioni. Allo Stato restavano comunque alcune
competenze. Altre questioni tardavano a essere affrontate o lo si era fatto in maniera inadeguata.
Nel medio lungo periodo quel ritardo fini per frenare la crescita stessa. Due fenomeni stavano
mutando profondamente la società. Le migrazioni interne, che si aggiunsero a quelle verso l’estero,
e i consumi. Fra il 1955 e il 1971 9,4 milioni di italiani migrarono da una regione ad un’altra,
soprattutto da sud verso nord.
Iniziò la prima stagione del consumismo italiano, rivolto al soddisfacimento non di bisogni
individuali, appagati più tardi, ma familiari: la prima e unica utilitaria di famiglia, il mobilio
moderno, gli elettrodomestici. La televisione arrivò prima della scolarizzazione di massa, portando
nelle case di ogni angolo del Paese messaggi di modernità che accelerarono l'omologazione
socioculturale degli italiani.
Resta impresso il ricordo della povertà. Il bisogno di un riscatto sociale e l'urgenza di dimostrare a
sé e agli altri di essere riusciti a strapparsi di dosso i panni del bracciante, del salariato agricolo, del
piccolo affittuario senza terra, spinsero a ripudiare le mute testimonianze di quel passa. to di
privazioni. Si diffuse una sorta di febbre che induceva a liberarsi di ciò che sapeva di vecchio.
La ricostruzione urbanistica pagò un pedaggio pesante a una simile frenesia; si abbatterono edifici
anche di pregio, sì danneggiati dalla guerra ma che potevano essere ristrutturati, per ampliare le vie
e fare spazio alle automobili,
Una quota cospicua della spesa pubblica fu investita nella rete autostradale, Le autostrade erano
infrastrutture viarie indispensabili, eppure rimane il dubbio che, allora, un peso eccessivo sia stato
assegnato altra-sporto su gomma rispetto a quello ferroviario e marittimo; un disequilibrio che
ancora oggi pesa sui costi di distribuzione delle merci. Cambiamenti e disequilibri tanto profondi
non poterono non ripercuotersi sulla politica, All'interno delle coalizioni di governo centriste, che si
ispiravano al solidarismo cattolico, avvertirono con disagio lo scarto fra la crescita economica e lo
sviluppo sociale del Paese: Nei primi anni Sessanta esse riuscirono a spostare l'asse politico dal
centro verso il centro-sinistra, inaugurando governi sempre quadripartiti nei quali, però, il Partito
socialista prese il posto dei liberali: i più a destra nel precedente schieramento.
La partecipazione dei socialisti era stata vincolata alla realizzazione di alcune riforme ritenute
indilazionabili per migliorare il welfare e ampliare il mercato interno. Si iniziò con la legge che
innalzò l'obbligo scolastico a otto anni.
la stessa legge provvide ad abolire l'avviamento professionale, unificando la scuola media, in
sostituzione del precedente ordinamento, incardinato sui due indirizzi. L’altra grande riforma
riguardo la nazionalizzazione dell'energia elettrica, che permise di portare la corrente elettrica in
52
ogni cascina e baita, anche le più sperdute. Nello stesso 1962 fu introdotta la tassazione dei
dividendi distribuiti agli azionisti nella misura del 15%; misura fortemente osteggiata dalla
Confindustria ma voluta dal Partito socialista che si fece paladino di un ruolo ancora più forte sia
dello Stato nell'economia sia di una programmazione economica con la quale governare lo sviluppo,
usando coerenza e unità di intenti all’intervento pubblico, evitando sprechi e misura estemporanee.
Lo spostamento verso il centro-sinistra del baricentro politico coincise con il ritorno sulla scena del
movimento sindacale e dei lavoratori he rivendicavano una redistribuzione della ricchezza a partire
dai profitti. Le lotte operaie del 1962-1963 si conclusero positivamente per i lavoratori, che
ottennero incrementi nominali dei salari pari a circa un terzo del precedente livello.
Nonostante l’aumentato costo del lavoro, il potere d'acquisto dei lavoratori restava modesto ma il
modificarsi della variabile lavoro bastò a inceppare il meccanismo sul quale si era basata la crescita
nel quindicennio precedente. L’inflazione ferma al 3% nel 1961, si impennò e i prezzi lievitarono
del 13,5%; la percentuale degli investimenti rispetto al prodotto interno lordo si contrasse di un
terzo. Parve incrinarsi la fiducia che aveva sorretto il mondo della produzione sino ad allora.
Tesoro e Banca d'Italia risposero con una stretta creditizia e monetaria per abbassare l'inflazione,
evitare una svalutazione della Lira e recuperare competitività.
53
“cattedrali nel deserto”: impianti di grandi dimensioni capital intensive, sorti in località talvolta
prive di un tessuto locale di capacità imprenditoriali, di cultura industriale e di infrastrutture, che
quindi non conseguirono l'obiettivo prefissato. Anche alcune Iniziative private, ma realizzate con il
sostegno pubblico, commisero il medesimo errore. Alla fine degli anni Sessanta rientro in quella
Il primo ostacolo alla riforma urbanistica proposta dal ministro derivò dal complesso processo che tentava di
logica
contrastare le la costruzionesulle
speculazioni da parte
terredell'Alfa
agricole,Romeo a Romigliano
che aumentavano d'[Link]
di valore Per la prima
venivano volta dall'Unita
inserite nei piani
del Paese, il Sud recuperò parte del ritardo. Anche la spesa e gli investimenti
regolatori come edificabili. Questo fenomeno alimentava pressioni sulle amministrazioni locali, che pubblici, le leggi e gli spinte a
venivano
favorireaiuti all'agricoltura,
un area piuttosto che unitamente
un altra perallel urbanizzazione.
rimesse degli emigrati
Fino a che
quelcontribuivano
momento, i governia sostenere il potere
non avevano
regolamentato
d'acquisto adeguatamente
delle rispettive l attività
famiglie edilizia,
rimaste che
al spesso era viziata da
Sud, contribuirono fenomeni speculativi
all'aumento del PIL proecapite
corruttivi.
nelle La
proposta del ministro
regioni [Link] l esproprio delle terre da parte dei Comuni per poi urbanizzarle, realizzando
infrastrutture come strade, scuole, reti elettriche, idriche e fognarie. Successivamente, queste terre sarebbero state
Nel complesso il bilancio della prima stagione di centro-sinistra non appare lusinghiero e la
cedute ai privati in diritto di superficie, separando la proprietà del suolo da quella dell edificio, come in altri Paesi
[Link] continuò a non tenere il passo della crescita economica. Assistenza sanitaria e
previdenza furono estese a fasce più ampie di categorie; la spesa sanitaria crebbe dal 3 al 5,3%del
PIL,
Tuttavia, nel però
1953,inuno assenza di interventi
dei tecnici organicipiù
meridionalisti rivolti all'intera
esperti criticòpopola-zione,
la politica chedal momento
vedeva chesolo come
lo Stato
clientelismi
promotore e condizionamenti
di infrastrutture per incentivareelettorali, frutto quasi
gli investimenti di unaproponendo
privati, competizione chefra Democrazia
fosse cristiana
lo Stato stesso a farsi
carico della verasocialista,
e Partito industrializzazione
presero il del Sud. Nel 1955
sopravvento nacque
sui criteri quindi il ministero
di uguaglianza per il Mezzogiorno,
e di giustizia sociale. con il compito
di approvare
Fra il i1965
programmi
e il 1973di sviluppo
il debito elaborati dalla Cassa per il Mezzogiorno, ma questo spostò un po troppo il
pubblico aumento.
potere decisionale e di controllo dalla sfera tecnico-economica alla politica, con effetti negativi che si manifestarono
L'intervento pubblico nell'economia si ampliava e tuttavia non venne sostenuto da un parallelo
nel tempo. L industrializzazione del Sud diventò un obiettivo prioritario, ma i “poli di sviluppo” previsti come motori
adeguamento
per attrarre investimenti dell'apparato amministrativo-burocratico,
privati si trasformarono spesso in impianti così enormi
che diventava
ma poco inevitabilmente
funzionali, situatipiù in aree prive di
grave il peso della sua scarsa efficienza.
infrastrutture e di una cultura imprenditoriale adeguata, fallendo nel raggiungere gli obiettivi. Alcuni progetti privati
La contestazione
supportati dallo Stato, come studentesca,
quello dell che nelRomeo
Alfa 1968 infiammo
a Pomigliano tuttidi Arco,
Paesi segnarono
economicamentequalche avanzati
successo,e alcuni
ma il ritardo
economico
in viadeldiSud non fuaveva
sviluppo, superatoavutoin modo
in Italiasignificativo.
alcuni antecedenti, le cui cause vanno cercate nelle peculiari
caratteristiche del suo sviluppo accidentato. Comuni furono alcune tensioni ideali: la lotta
Nel complesso, il bilancio del governo di centro-sinistra nella prima fase non fu positivo. Sebbene venissero estesi
all'autoritarismo e la conseguente ricerca in ogni ambito di forme di contropotere,
servizi come la sanità e la previdenza, il loro sviluppo fu ostacolato da clientelismi e da pressioni elettorali, che
l'anticonformismo
indebolirono l efficacia delle e lapolitiche
giocosità simboleggiati
sociali. Sebbenedallo slogan
la spesa «l'immaginazione
sanitaria salisse dal 3% al potere»;
al 5,3% del PIL, non ci
l'emancipazione
furono interventi femminile
strutturali il rifiuto dell'alienazione
che rispondessero ai bisogni dellindotta dalla organizzazione
intera popolazione, scientifica
e le politiche del
sociali continuarono a
lavoro, la
essere guidate piùgiustizia sociale e politiche
da competizioni l'uguaglianza,
che da compresa
principi di quella fra Occidente
giustizia sociale. Trae Terzo
il 1965 Mondo appena
e il 1973, il debito
pubblicodecolonizzatosi.
aumentò sensibilmente, e l intervento statale nell economia non fu supportato da un miglioramento
dell efficienza burocratica, aggravando i problemi legati alla gestione pubblica.
la politica faticò a dare risposte adeguate a una contestazione di cui è doveroso giudicare le forme
La contestazione studentesca del 1968, che infiammò molti Paesi, trovò anche in Italia delle radici specifiche. Le
pur restando indubbia la validità di certe istanze che, infatti, spinsero il Parlamento a varare alcune
tensioni ideali erano comuni in tutto il mondo: lotta contro l autoritarismo, ricerca di forme di contropotere,
riforme importanti:
anticonformismo e il rifiuto gli
dellospedali diventarono
alienazione imposta enti pubblici, fu istituita
dall organizzazione la scuola
scientifica del materna
lavoro. Instatale,
Italia, queste
tensioniintrodotto il divorzio,
si miscelavano con lamigliorarono il sistema
richiesta di giustizia pensionistico
sociale, parità dinonché le normative
diritti tra a favore dicon il Terzo Mondo
i sessi, e solidarietà
appenamaternità,
[Link] e disoccupazione.
Sebbene le forme dellaNel 1969 una parziale
contestazione fossero e forse discutibile
controverse, riforma
alcune delleuniversitaria
sue richieste
trovaronoliberalizzò i piani di studio e aprì l'accesso a tutte le facoltà indipendentemente dal tipo di degli
risposta nelle riforme legislative che vennero approvate. Tra queste: la trasformazione ospedali in
diploma
enti pubblici,
di scuola media superiore conseguito; l'anno successivo venne approvato lo statuto dei lavoratori esistema
l introduzione della scuola materna statale, l approvazione del divorzio, e miglioramenti nel
pensionistico e nelle politiche per la maternità, l infanzia e la disoccupazione. Nel 1969, una riforma universitaria
si attuò il dettato costituzionale, sino ad allora disatteso, che prevedeva l'istituzione delle Regioni a
liberalizzò i piani di studio, permettendo l accesso a tutte le facoltà, e nel 1970 venne approvato lo Statuto dei
statuto
lavoratori. ordinario.
Il 1970 segnò anche l introduzione delle Regioni a statuto ordinario, una riforma costituzionale che
finalmente veniva attuata.
Nella prima metà degli anni Settanta, le spinte salariali innescate dall'«autunno caldo» si tradussero
Nel frattempo, gli anniaumenti
in consistenti Settanta furono
delle segnati da
retribuzioni, unsuperiori
ben forte aumento delle retribuzioni
all'incremento dovuto alle
della produttività. Lespinte
ore disalariali
dell «autunno
lavoro perse e l'impennata del costo del lavoro si rovesciarono sui prezzi innescando un violentocrescente. La
caldo», che però superarono l incremento della produttività, dando avvio a un inflazione
situazione portò a un aumento del costo del lavoro e delle ore di lavoro perse, con effetti negativi sui prezzi. Il
processo inflazionistico che si protrasse fino alla metà del decennio successivo. Si ripeté, ampliato,
governo, insieme alla Banca d Italia, rispose nel 1970 con una stretta creditizia. Alla fine del 1971, la lira iniziò a
quantoriflettendo
deprezzarsi, già accaduto nel economica
la crisi corso della in
congiuntura
corso. negativa del 1962-1963. Governo e Banca di italia
risposero, nel 1970, con una stretta creditizia e, verso la fine del 1971, il cambio della Lira cominciò
a scivolare.
5.3
Nel 1951 gli addetti all’agricoltura erano pari al 44% del totale degli occupati nei tre settori, nel
1971 si ridussero. In vent’anni 6 milioni e mezzo di persone smisero di lavorare la terra se ne
andarono delle campagne. L’esodo coinvolse soprattutto donne e giovani con almeno di ventinove
anni. Diminuì di oltre il 20% il numero delle aziende e si perse un milione e mezzo di ettari di
54
’
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superficie agrario-forestale, trasformati in aree edificabili o destinati a infrastrutture. Si stava
sgretolando un mondo.
Il cedimento dei latifondi aveva segnato il tramonto del ruolo svolto in ogni ambito dalla grande
proprietà terriera, alla quale venivano meno il prestigio e lo status sociale di cui aveva goduto per
secoli. La legge non aveva fatto altro che prendere atto di quel tramonto iniziato da tempo. I partiti
di governo che avevano approvato l'esproprio si appoggiavano ormai al potere industriale; quello
della proprietà fondiaria non serviva più. Dopo le norme che riguardavano l'agricoltura inserite nel
piano do
Decennale, i due “piani verdi” furono ancora più generosi.
fra il 1948 e il 1968, i proprietari di fondi prima concessi in affitto a coltivatori diretti avevano
alienato circa 2 milioni di ettari che non garantivano più rendite accettabili a seguito della riduzione
dei canoni di affitto. Si assistette così al lento, silenzioso passaggio della terra, suddivisa in lotti di
minore ampiezza, dalle mani della vecchia proprietà borghese e nobiliare in quelle di nuovi
agricoltori, piccoli proprietari. Infine, nel 1970, la legge De Marzi-Cipolla sugli affitti dei fondi
rustici sancì di fatto l’inamovibilità dell'affittuario.
Cambiò il volto delle aziende agrarie, prima poco specializzate, ciascuna dotata di una piccola
stalla con qualche animale da lavoro e da reddito. La specializzazione riguardò sia le colture sia
l’allevamento, questo sempre più spesso separato dalle prime.
Rallentando la trasformazione le aziende condotte da anziani e quelle rimaste nelle mani di
conduttori la cui occupazione principale non era più la coltivazione della terra, nel 1970, il decimo
eminente delle aziende, le parti più efficienti dal punto di vista produttività e della professionalità
imprenditoriale, contribuiva per quasi la metà alla produzione lorda vendibile. Una volta ancora si
manifestavano i perduranti divari fra il sud e il centro-nord.
Nel 1956 arrivò la pensione; una concessione ideata anche per accelerare l'uscita degli anziani dal
settore primario. Per ottenerla bastava avere versato un anno di contributi.
La svolta in direzione della piccola e media impresa coltivatrice si intrecciò, da un lato, con l'eclissi
della figura contadina e l'affermarsi del nuovo status di agricoltore e, dall'altro, con il rapido
mutamento dei consumi, determinato dall'incipiente benessere, dal maggior numero di pasti
consumati fuori casa, nelle mense, dall'inurbamento di milioni di famiglie rurali che modificarono i
modelli alimentari.
Il mercato domandava meno cereali e più carne, ortaggi, frutta, latticini, zucchero, che abbisognano
di meno terra ma di più capitali per unità di superficie e maggiore intensità di lavoro.
Negli anni Settanta fecero la loro comparsa i prodotti a denominazione di origine controllata, indice
dell’incipiente affermarsi di consumi attenti a un’alimentazione di qualità e di benessere al quale si
accompagnò un’evoluzione nel valore assegnato ai cibi, inteso non più solo come mero nutrimento
ma anche come piacere e riscoperta della terra.
La meccanizzazione delle operazioni agricole raggiunse un livello tale per cui bastavano ormai
poche decine di ore all'anno per coltivare a cereali un ettaro di terra. La diffusione rapida del part-
time relegò definitivamente nell'albo dei ricordi romantici i quadri di vita contadina. La civiltà
contadina scomparve all'improvviso.
la condizione del mondo rurale continuò a sfidare l'impegno civile, a suscitare la pietas di tanta
parte del mondo intellettuale.
5.4
Nel venticinquennio 1948-1973 il PIL per abitante aumentò in media del 5,5% all’anno, ma
l’industria, l’edilizia e le costruzioni crebbero a un tasso quasi doppio. Per gran parte, l’apparato
industriale era ancora costituito da piccole e medie imprese attive su mercati locali, da imprese
medio-grandi fra le quali le più dinamiche operavano nei comparti alimentare, tessile, meccanico, e
da un limitato numero di grandi gruppi privati e holding pubbliche che controllavano soprattutto
l'industria pesante.
55
Tra il 1948 e il 1973, l Italia vide un forte aumento del PIL per abitante, con una crescita media del 5,5%
all anno. L industria, l edilizia e le costruzioni crescerono ancora più velocemente, quasi al doppio del
tasso generale. In quegli anni, il panorama industriale era dominato da piccole e medie imprese che
operavano su mercati locali, e da imprese medio-grandi, soprattutto nei settori alimentare, tessile e
meccanico, con alcune grandi aziende pubbliche e private che controllavano l industria pesante.
L'accentramento della grande industria entro il Triangolo industriale si allentò e lasciò il passo a una
L industria si spostò progressivamente da un area concentrata nel Triangolo Industriale del Nord-Ovest
localizzazione
(Torino, territoriale
Milano, Genova) a unapiù articolata che
distribuzione includeva
territoriale piùqualche località
variegata, del Mezzogiorno
comprendente anche ilma
Mezzogiorno
soprattuttoLailgrande
e il Nord-Est. Nord-Est. La grande
industria, ormaiindustria aveva
dominante, affermato
portò definitivamente
a un declino del modello la propria
fordista egemonia.
e taylorista,
basatoLa sulla
parabola della fabbrica
produzione fordista,
di massa fortemente
e la rigida verticalizzata
organizzazione e dallaVerso
del lavoro. rigidalaorganizzazione
fine degli anni taylorista
60, le
grandi imprese capital-intensive (pubbliche e private) consolidarono la loro posizione
del lavoro alla catena di montaggio, cui erano addette centinaia giunse al culmine negli anni e si espansero su
alcuni mercati
Settanta. esteri, come quelli della metalmeccanica e della chimica.
Accanto a queste grandi imprese, si sviluppò un tessuto di medie e piccole aziende, che si integravano in
Un produttivi
sistemi confronto locali,
fra il sistema industriale
precorrendo all’inizio
la nascita e alla fine
dei distretti del “miracolo
industriali. economico”
Tuttavia, le misure dimette in luce
supporto
il consolidamento
all artigianato, come la della
leggegrande impresa
del 1956 capital le
che finanzia intensive, pubblica non
piccole imprese, e privata.
favorirono l aggregazione tra di
esse,La grande
per via diindustria, non refrattaria
fattori culturali alle posizioni
e una distribuzione monopolistiche,
indiscriminata si eraNel
dei fondi. ritagliata
governo,un lproprio spazio
ingresso dei
su alcuni
socialisti mercati
rafforzò esteriverso
la spinta nel campo della metalmeccanica
una maggiore presenza statale e della
nell chimica.
economia, Diconfianco alle grandi
la creazione di si
enti
come l EGAM nel
consolidò un 1958,
tessutoche però ebbe
di medie vita piccole
e anche breve, eimprese
l EFIM nel 1962, che
localizzate in cercava
zone primadi aiutare
meno le imprese in
toccate
difficoltà.
dall'industrializzazione.
Imprese che tendevano a fare sistema attraverso reti di rapporti e integrazioni, sia orizzontali sia
Nel 1962, la nazionalizzazione delle imprese elettriche portò alla creazione dell ENEL. Ci furono
verticali,
discussioni chegestione
sulla prefigurarono i futuri nazionalizzate:
delle società distretti industriali. Le misure
la proposta varate a sostegno
di scioglierle dell'artigianato
e risarcire gli azionisti,
ottennero
sostenuta senz’altroLombardi,
da Riccardo lo scopo fu prefissato,
[Link] nel medesimo
decisione tempo
finale fu di disincentivarono l'aggregazione
mantenere le società, ma molte non
delle piccole
investirono imprese. e si dedicarono a pratiche speculative. La produzione di acciaio, segno di una
correttamente
nazione industrialmente
Entravano avanzata,
in gioco anche fattorisoffrì della concorrenza
culturali che frapponevanodi nuovi produttori
ostacoli internazionali.
alla cooperazione Le
e alle
partecipazioni
aggregazioni. Oltretutto la legge del 1956, che prevedeva finanziamenti per l'artigianato, nonimprese
statali aiutarono l economia italiana fino agli anni Sessanta, ma il gigantismo delle si
private, come quelle chimiche e petrolchimiche, creò distorsioni, aumentando la dipendenza dal sostegno
pose l'obiettivo di subordinare il sostegno al raggiungimento di finalità precise ma distribuì a
pubblico.
pioggia' tali finanziamenti.
L’ingresso
Le fusioni dei socialisti neldelle
e la diversificazione governo
grandi consolidò
imprese le posizionialla
portarono deinecessità
fautori didiuna una più forte presenza
riorganizzazione
pubblica
interna, seguendonell’economia.
il modello multidivisionale, che anche la FIAT adottò. La FIAT, che nel 1969 acquisì la
Lancia,
Nele1958
l intero
erasettore automobilistico
stato costituito l'EGAM, furono motori le
che riuniva di imprese
crescita minerarie
per l economia,
ma chegrazie
iniziòalla scelta politica
a operare di
di privilegiare la mobilità su gomma, a discapito del trasporto ferroviario.
fatto solo nel 1971 ed ebbe vita breve, poiché venne soppresso sei anni dopo. Nel 1962 nel settore Furono potenziate le autostrade,
in particolare l asse Milano-Roma-Napoli. Nonostante ciò, le investimenti all estero rimanevano limitati.
meccanico vide la luce l’EFIM che qualche anno dopo, insieme a ENI, IMI e IRI, costituì una
NegliSocietà
anni 50 pere la60,Gestione delle Partecipazioni
una collaborazione Industrialiche
pubblico-privato, (GEPI) allo scopo
coinvolgeva di venire
Edison, FIAT,incontro alle ed
Montecatini
imprese che attraversavano momenti di difficoltà.
ENI, realizzò tre centrali nucleari in Italia. Questi impianti posizionarono l Italia tra i leader mondiali nella
Nel 1962
produzione di con l’esproprio
energia nucleare, e la
al nazionalizzazione delle imprese
quarto posto per capacità elettriche,
produttiva completati
e al secondo perdall'istituzione
dimensione
mediadell'Ente Nazionale
delle centrali. per l'Energia
Il nucleare divenne Elettrica (ENEL).
un simbolo Nel dareper
di prestigio vita a quella
tutte operazione
le forze politichesiitaliane, che
consideravano
confrontarono la ricerca nucleare
due ipotesi: come un
sciogliere lesegno
societàdiprivate,
avanzamento tecnologico.
indennizzando i singoli azionisti, o lasciare
che esse continuassero a esistere ma fossero indirizzate verso altri rami produttivi.
A sostenere la prima tesi fu il ministro socialista Riccardo Lombardi che usci sconfitto; fautore della
Il “miracolo economico” italiano, pur con i suoi successi, presentava anche diverse problematiche, spesso
seconda ilNonostante
sottovalutate. governatorel della ingente Banca d'Italiapubblico
sostegno al verticealldell'istituto
industria, lodal 1960
Stato al si
non 1975. Le vicende
preoccupò abbastanza
successive fanno propendere per l'ipotesi che non si sia trattato di una scelta
della ricerca scientifica, dell innovazione tecnologica e della riforma dell istruzione tecnico-professionale, felice, perché tanta
parte
fattori degliper
chiave ingenti capitalidel
il progresso ricevuti
sistema nonproduttivo.
furono investiti in attività
Gli istituti produttive.
di credito Le società
non agirono espropriate
diversamente.
non seppero sottrarsi a tentazioni speculative e lo stesso Carli riconobbe che quanto entrò nelle
Nellecasse
grandi imprese,
delle societàsiespropriate
assistette afucambiamenti nei processi
investito in maniera non produttivi
appropriatae enelleche figure
quellaprofessionali,
vicenda ma
molte aziende continuavano ad adottare politiche di welfare aziendale, che rientravano più in una logica
rappresentò uno dei fallimenti «più gravi nella storia della classe imprenditoriale italiana».
paternalistica che in un modello di moderne relazioni industriali. Questi interventi riducevano la
La produzione
conflittualità operaia dimaacciaio era ritenutaununrinnovo
non favorivano indicatore
dellefondamentale della solidità
condizioni lavorative. dei sistemi
In Italia, la cultura
economici nazionali ma i dirigenti pubblici della Finsider
industriale non riuscì a affermarsi pienamente, e l impresa e l imprenditore continuavanosottovalutarono il fatto chead
l’offerta
esseredivisti in
acciaio stesse superando
modo negativo dalla società. la domanda e sul mercato si erano affacciati nuovi Paesi produttori. Nel
complesso le partecipazioni statali rappresentano una risorsa per la crescita dell’economia italiana
Sul fronte
fini ai sindacale,
primi annilaSessanta.
CGIL e laForme CISL si diposero in modo
gigantismo diverso verso
interessarono anchele imprese
imprese pubbliche. Mentre la
private, soprattutto
CGILchimiche
privilegiava politiche
e petrolchimiche. redistributive e si opponeva alle imprese, la CISL cercava una collaborazione tra
capitale e lavoro per aumentare la produttività. La CISL propose che le imprese statali fossero autonome
Un gigantismo foriero di distorsioni e dipendenza dal sostegno pubblico, sempre invocato quando le
da quelle private per sperimentare nuove forme di relazione industriale, ma incontrò l opposizione dei
difficoltà
liberali, facevanounscricchiolare
che vedevano imprese di dimensioni
rischio di filogovernativismo. tali da costringere
La discussione i governi
sull impresa a intervenire
pubblica per
rimase aperta
scongiurarne il fallimento e i licenziamenti.
fino al 1965, quando Giuseppe Glisenti introdusse un sistema di contrattazione articolata su più livelli
Le fusioni
(aziendale, e la diversificazione
di categoria e di settore). produttiva rendevano indispensabile la riorganizzazione interna sul
modello multidivisionale che altri Paesi avevano introdotto negli anni Trenta.
Nel contesto della programmazione
Nella medesima direzione si mosse economica,
la [Link] puntava a una distribuzione equa della ricchezza tra
salari e profitti, si scatenarono dibattiti politici. La Sinistra temeva una collaborazione che avrebbe ridotto
l autonomia sindacale, mentre la Confindustria rifiutava qualsiasi forma di concertazione. A livello
aziendale, l intreccio tra politica ed economia divenne sempre più forte, con incarichi dati non sempre 56 in
base al merito, ma spesso in base all appartenenza politica, creando una distorsione nei processi
decisionali.
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Il conservatorismo all interno di Confindustria, che sembrava soddisfatta dei risultati ottenuti durante
il miracolo economico, iniziò a essere sfidato da un gruppo di giovani imprenditori. Nel 1969, questi
presentarono il “Rapporto
ossia al merito, Pirelli”, che
ma assegnando proponeva
incarichi unall'appartenenza
in base nuovo modello in cui il profitto
politica. doveva
Ne derivò essere
un progressivo
coniugato con la responsabilità sociale, ed estendeva la possibilità di contrattazione articolata anche
e pericoloso intreccio fra politica ed economia.
alle imprese private.
Persino Mediobanca, che aveva improntato la sua azione alla selezione del sostegno, appoggiando
Nellefrattempo,
imprese che innovavano,cambiamenti
si verificarono assunse talvolta
anche posizioni di arroccamento
nel settore a difesa di quantoarrivò
terziario. La modernizzazione già
acquisito,
anche lesinando
negli uffici, ma lal'aiuto
grande agli investimentisi innovativi
distribuzione e alla ricerca.
diffuse lentamente. Tuttavia, le imprese, sia
Il mondo
pubbliche cheimprenditoriale sembrava
private, continuarono pago dei risultati,
a trascurare indubbiamente
le problematiche lusinghieri,
ambientali, conseguiti
la salute con il
dei lavoratori
e le«miracolo
condizionieconomico»,
ecologiche, ecome nel caso dello smaltimento dei rifiuti nell edilizia, che
una sorta di conservatorismo prese il sopravvento in seno alla dirigenza avveniva
senza
dellanorme adeguate cui
Confindustria, e con grave
tentò danno per
di reagire l ambiente.
un gruppo di giovani imprenditori.
era iniziata la stagione delle tensioni che costrinse ad accelerare i tempi e, sfidando il
Nel settore bancario, la Borsa di Milano acquisì maggiore importanza nel finanziamento all industria,
maconservatorismo
le piccole e medie deiimprese
vertici confindustriali
continuavano anel fare1969, il grupposulpresentò
affidamento credito ilbancario
risultatolocale,
delle proprie
che
elaborazioni condensate in un documento dal titolo Una politica
rischiava di confondere il credito a breve termine con quello a lungo termine. per l'industria.
i giovani industriali ponevano l'accento sulla sua funzione anche sociale. Presieduta da Leopoldo
Gli Pirelli
anni Sessanta furono
si costituì anche segnatiallo
una commissione da scopo
problemi sociali, come
di riformare quelli legati alla casa, che
la Confindustria.
culminarono nel 1969 con uno sciopero nazionale per la
Il Rapporto Pirelli introdusse un nuovo paradigma secondo il quale casa, uno dei fattori
profittoscatenanti delleandavano
ed efficienza tensioni
sociali. I sindacati iniziarono a occuparsi di temi che andavano oltre le rivendicazioni di fabbrica,
coniugati con la responsabilità sociale e ipotizzava, inoltre, che la contrattazione articolata,
come la riforma fiscale, sanitaria e il costo della vita. Questo segnò l inizio di una stagione di relazioni
programmata,
industriali tese. proposta da Glisenti per le imprese pubbliche, potesse trovare cittadinanza anche fra
quelle private.
NelSi aprirono
1968, venne spiragli
firmato inun
direzione
accordodella programmazione
che regolava economica
gli scioperi, governativa,
ma la protesta almeno
operaia, anchein merito
spontanea, continuava.
alla localizzazione Le direzioni
delle sindacali
nuove imprese cercarono
e agli di incanalare
investimenti la protesta
nei settori in modo costruttivo,
innovativi.
mentre
Alcunela classe
frangeoperaia divenne ripensarono
confindustriali un punto di ilriferimento
modello diper altri strati
crescita sociali esulle
imperniato per esportazioni
gli studenti, che
e non
ne riconoscevano i valori di lotta e riscatto sociale.
opposero resistenza di fronte ai maggiori investimenti pubblici di carattere socia-le, L'industria
doveva restare l'indiscusso motore trainante dello sviluppo ma senza compromissioni con le rendite
parassitarie o di posizione, combattendo le inefficienze della pubblica amministrazione.
Il “miracolo economico” coinvolse il settore terziario. La modernizzazione entrò negli uffici. Si
diffuse con una certa lentezza la grande distribuzione, le imprese sia pubbliche sia private
prestarono scarsa attenzione alle questioni ecologiche, agli ambienti di lavoro, alla salute delle
popolazioni insediate nei pressi di grandi complessi industriali.
Nessuna norma regolamentava lo smaltimento dei rifiuti inerti dell'industria edile che, pur
sperimentando una lunga congiuntura favorevole e ampi margini di profitto, continuo a scaricarli
giù lungo qualche declivio o ad abbandonarli presso corsi d'acqua, senza curarsi dell'ambiente e con
pregiudizio degli assetti idrogeologici.
Verso la fine degli anni Cinquanta la Borsa di Milano conquistò un ruolo meno angusto nel
finanziamento all’industria ma per la grande maggiorana delle imprese, soprattutto piccole e medie,
il ricorso al credito restò sempre il canale privilegiato.
Si trattava in prevalenza di banche poco capitalizzate, di medie dimensioni e prive di una
specializzazione particolare, con un forte radicamento lo-
cale, alle quali si rivolgevano le imprese piccole e medie della zona per il proprio finanziamento.
Gli stretti legami che le univano alle attività produttive dei rispettivi territori rischiavano di
offuscare la frontiera fra credito a breve e a medio-lungo termine. Banche in grado di raccogliere
una massa importante di depositi, frutto della crescente capacità di risparmio della popolazione e
reso possibile dal maggiore benessere. Nella seconda metà degli anni Sessanta lo Stato riuscì a
dirottare parte di quel risparmio verso la sottoscrizione dei suoi titoli.
Nell'estate del 1969 i sindacati indissero uno sciopero nazionale per la casa, uno dei problemi più
acuti generato dai flussi migratori interni, che preannunciò l’autunno caldo».
le confederazioni non intendevano più restare confinate entro la sfera delle rivendicazioni di
fabbrica. Esse cominciarono ad aprire ver. tenze su questioni apparentemente esterne al lavoro vero
e proprio ma che, incidendo con i loro costi sui salari, erano ritenute pertinenti alla-
zione del sindacato: le riforme tributaria e sanitaria, il costo degli affitti e dei trasporti, il problema
della casa.
Iniziò una stagione di relazioni industriali molto tese. Qualche conquista era già stata ottenuta, come
la parità salariale fra uomo e donna, per la verità più formale che sostanziale, ma non bastava.
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a infilarsi di soppiatto entro i confini nazionali i primi immigrati. Crollò il tasso di fecondità. Alla
fine del 1973, la prima «crisi petrolifera» annunciò la fine di quell'«età dell'oro» che l'Occidente
industrializzato aveva vissuto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il prezzo del greggio
quadruplicò nei confronti dei Paesi che, direttamente o indirettamente, appoggiavano Israele nella
guerra del Kippur. l'aumento si rovesciò immediatamente sui bilanci delle imprese e delle famiglie.
L'economia, non solo italiana, entrò in una inusuale fase di «stagflazione», ossia di stagnazione e di
inflazione nel medesimo tempo.
Ne risentirono negativamente sia la crescita economica dei Paesi importatori.
Un secondo shock petrolifero investì l'economia mondiale nel 1979, questa volta originato dalla
rivoluzione che detronizzò lo scià di Persia.
Per rimettere ordine nei bilanci aziendali occorreva occuparsi per la prima volta di risparmio
energetico e le imprese avviarono la riconversione delle produzioni più energivore, resa possibile
dai progressi in atto nei campi dell’informatica e dell’elettronica.
In tutto l’Occidente furono introdotti sistemi avanzati di automazione dei processi produttivi.
Si delineò un nuovo modo di produrre alternativo: il toyotismo.
Fu l'occasione per riconsiderare i criteri di localizzazione già messi in discussione dalle forme
precedentemente assunte dalla disordinata crescita delle aree urbane in seguito ai processi di
immigrazione e alla eccessiva concentrazione di attività produttive intorno alle metropoli o
all'interno delle conurbazioni urbane. Il decentramento verso aree esterne ancora rurali, meno
costose e caotiche, coinvolse una quota significativa delle unità produttive e delle nuove abitazioni.
La caduta del Muro di Berlino, nel 1989, la riunificazione della Repubblica federale tedesca e della
Repubblica democratica tedesca l’anno seguente, la dissoluzione dell’ Urss nel 1991 accelerarono il
cammino verso un mondo globale.
Una compiuta globalizzazione si realizzò, dunque, solo dopo che, caduta la cortina di ferro, l'Est si
convertì al modello economico di mercato occidentale. Fu allora che nel mondo cominciò a imporsi
un unico sistema economico, presupposto di una società globale. Nel biennio 1989-1992 si compì il
più straordinario rivolgimento del secondo Novecento che condizionò le vicende dell’Europa.
A Maastricht, nel 1992, venne firmato il trattato con il quale la Comunità Economica Europea
lasciò il posto a una Unione Europea.
si trattava del risultato di processi storici e, nel medesimo tempo, dell'anticipazione di una volontà.
La caduta dell'aggettivo «economica» stava a indicare che si allargavano gli ambiti operativi,
mentre il sostantivo
«Unione», che prese il posto della precedente idea di «Comunità», prefigurava la direzione
confederale verso la quale tendere. Quel trattato gettò le basi dell’euro, la futura moneta unica
adottata da un rilevante numero di Stati aderenti all'Unione, della quale il Sistema Monetario
Europeo aveva posto le premesse.
6.2
Nell'agosto del 1971 il Sistema Monetario Internazionale, varato a Bretton Woods nel 1944, subì
una scossa profonda in seguito alla decisione presa unilateralmente dal presidente Richard Nixon di
sospendere la convertibilità del Dollaro,
Una decisione dietro la quale si celava la debolezza di quel Paese. A dicembre dello stesso anno, un
accordo raggiunto a Washington fissò il riallineamento della parità.
La lira ne uscì rafforzata nell’immediato ma il tentativo di scongiurare il passaggio dai cambi fissi a
quelli fluttuanti ebbe durata breve.
Ci si trovava di fronte a una crisi strutturale del sistema. L’anno successivo la sterlina fu costretta ad
abbandonare la parità monetaria. A partire del 1973 la fluttuazione coinvolse tutte le valuta.
L’inflazione indotta dalla prima crisi petrolifera colpì tutti i Paesi importatori di greggio, l’Italia la
subì in maniera più pesante.
Il divario fra i tassi di inflazione interni ed esteri, infatti, dipese innanzitutto dalla dinamica salariale
innescata dall'«autunno caldo», superiore a quella dei prezzi e della produttività.
60
Nel 1971, il Sistema Monetario Internazionale (SMI), stabilito a Bretton Woods nel 1944, subì una grave crisi dopo
la decisione unilaterale del presidente Nixon di sospendere la convertibilità del dollaro. Questa scelta rivelava la
debolezza economica degli Stati Uniti. In dicembre, un accordo a Washington portò a un riallineamento delle parità
valutarie, che inizialmente rafforzò la lira italiana. Tuttavia, il tentativo di evitare il passaggio ai cambi fluttuanti fu
di breve durata, segnando l inizio di una crisi strutturale del sistema monetario globale.
fattori. Il neoliberismo favorì la finanziarizzazione del capitale industriale poiché la concorrenza
Nel 1972, globale, tende
la sterlina a rendereabbandonò
britannica più conveniente la paritàl'investimento
monetaria, eindal attività
1973 finanziarie.
tutte le valute cominciarono a fluttuare.
La crisi Lo stesso moltiplicarsi
petrolifera del 1973 peggiorò dei grandi gruppi multinazionali
la situazione economica globale, accresceva la propensione
con inflazione elevataa sfruttare
che colpìlesoprattutto
i Paesi importatori
opportunitàdifinanziarie
petrolio. Lderivanti
Italia subìdallaun impatto particolarmente
contemporaneità della loro forte, dovutoin
presenza anche
mercatia dinamiche
diversi. salariali
impostel'accordo
dall «autunno caldo», che aumentavano i salari più velocemente
del 1985, siglato a Schengen da Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Repubblica rispetto ai prezzi e alla produttività.
Questo portò a un inflazione annua media del 18% per la seconda metà del decennio. Sebbene la svalutazione
federale tedesca sulla libera circolazione delle persone fra i cinque Paesi firmatari, cui l'Italia si
iniziale aiutasse a superare le difficoltà, l aumento del costo delle importazioni, causato dall impennata del prezzo
aggiunse
del petrolio, più tardi.
aggravò Si era diffusa
ulteriormente la tendenza
la situazione ad aggirare il libero scambio con barriere non
economica.
tariffarie.
Non potendo
Oltre a inflazione agire sui dazi
e svalutazione, si fece
l Italia ricorsouna
affrontò a barriere
crescente surrettizie.
disoccupazione, un forte squilibrio nei conti
pubbliciLa e un aumentoper
scappatoia dellimitare
debito pubblico.
l'importazioneQuestidiproblemi si protrassero
certi prodotti per anni. nell'applicare
poteva consistere La disoccupazione, normative che era
una difficoltà
tecniche comune
si tentò alledieconomie avanzate,
dare una risposta divenne ilparticolarmente
istituendo Parlamento europeo grave einnel Italia
1979,a causa
per ladella
prima crisi politica,
volta,
caratterizzata da terrorismo e rapimenti, culminando nell uccisione di Aldo
i cittadini dei nove Stati membri ottennero il diritto di votare per i loro rappresentanti nella nuova Moro nel 1978 e nella strage alla
stazione di Bologna nel 1980. La situazione interna alimentava la sfiducia, in particolare all estero, nei confronti
assemblea elettiva.
dell Italia.
Il documento fu alla base dell'atto unico firmato nel 1986, con il quale venne fissata la scadenza del
Il governo1992 per l'avvio
italiano, di unodal
supportato «spazio
Partito senza frontiere»
Comunista fra1976
tra il gli Stati membri,
e il 1979, non al cui interno
riuscì a contenere merci, persone e che
l inflazione,
divennecapitali potesserodicircolare
un meccanismo liberamente,
redistribuzione presupponeva
dei redditi, favorendo anche il superamento
i redditi del travagliato
variabili a discapito di quelli Sistema
fissi. Le
risposteMonetario
politiche spesso
Europeo. furono influenzate da considerazioni elettoralistiche e non miravano a risolvere i
problemi Astrutturali.
un compiuto La mercato
divisionecomunitario
delle competenze fra Stato e proprio
diede attuazione, Regioni nel aumentò
1992, iilcostitrattatoinvece di ridurli, mentre la
di Maastricht.
mancanza di autonomia fiscale nelle Regioni locali fece lievitare la spesa pubblica.
Oltre alle idealità politiche, contribuirono a sollecitare le liberalizzazioni e l'adozione di un'unica
moneta
Nel contesto comunitaria
politico alcuni indicatori
ed economico turbolento, economici
alcuni eventiche rivelavano
significativiil segnarono
rischio di un'inadeguata
il periodo: nelcapacità
1974 venne
istituita la Commissione Nazionale per le Società di Borsa, nel 1975 venne introdotto ilL'entrata
competitiva dell'Europa di fronte alla concorrenza delle economie emergenti. in vigore
nuovo diritto del che
di famiglia
trattato, nel 1993, coincise con una congiuntura economica critica e con
sancì la parità di diritti fra marito e moglie, e nel 1978 fu creato il Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre, furono il deflagrare di una vicenda
approvate leggi importanti,
giudiziaria, come quella
«Tangentopoli», che sull
portò interruzione
alla luce gravi volontaria della gravidanza
compromissioni fra classe e sull equo canone.
dirigente politica e
industriale, collusioni fra amministratori di imprese pubbliche e private, banche e partiti.
Sul piano economico, le imprese pubbliche gravavano sui conti statali con gli «oneri impropri», che derivavano
L'inchiesta, denominata «Mani pulite», trascinò con sé il dissolvimento dei partiti storici che
dalla necessità di considerazioni sociali, oltre a quelle economiche. Intanto, tra il 1972 e il 1973, il ministro delle
Finanzeavevano governato
Bruno Visentini l'Italia una
presentò dal dopoguerra
riforma fiscale perche
quasi mezzo secolo,
introdusse l IVA alma non dell
posto ne fuImposta
la causaGenerale
principale. sulle
Entrate la classe
(IGE), dirigente,
e nuove non sorretta
imposte come l IRPEF,da un'adeguata
l IRPEG e coscienza
l ILOR. civica e delle responsabilità che derivano
dal ruolo ricoperto.
Negli anniNell'arco di quattro
successivi, anni siesusseguirono
l inflazione la svalutazione trecontinuarono
votazioni politiche (nel 1992,
a danneggiare 1994, 1996)
l economia, per via
mentre di
la spesa
pubblicadue nonlegislature
diminuiva(1992-1994
nonostante ela1994-1996)
discesa dell inflazione. Questo portò a un crescente debito pubblico, che,
nel 1993, aveva
alle qualiconsumato
l'instabilitàunpolitica
quintodel delle entrate
Paese non statali.
permiseContestualmente,
di giungere alla maturale l Italia viveva un fenomeno di
scadenza
deurbanizzazione, con la necessità urgente di sviluppare infrastrutture di trasporto più efficienti, soprattutto per il
quinquennale: Nel 1992, con gli attentati che, a due mesi di distanza, colpirono i magistrati simbolo
trasporto intermodale delle merci.
della lotta alla mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Nel pieno Il rientro della Liradelle
dell espansione nellapartecipazioni
banda stretta di oscillazione
statali negli anni dello
‘70,SME trovava
due eventi un limite nel
emblematici debito
evidenziarono i rischi
pubblico
dell intreccio che continuava
fra politica e grandiaimprese
[Link]: la costruzione del porto di Gioia Tauro, che rimase
inutilizzato per anni,
nel 1991, unaerecessione
il piano energetico
mondialenazionale
dovuta alla delguerra
1975, delcheGolfo:
evidenziava
l'attacco un da eccessiva
parte di spesa legata a progetti
una coalizione
industriali che spesso non rispondevano a reali necessità economiche. L
internazionale guidata dagli Stati Uniti contro l'Iraq. Nel 1992 i mercati finanziari presero di miraeccessivo potere nelle mani dei dirigenti
la
pubblici, che controllavano queste grandi imprese, portò a scelte discutibili e inefficaci.
Lira, costringendola a uscire dal Sistema monetario europeo.
Nel 1976, Nella 1993
Cassail pergoverno Ciampi firmò
il Mezzogiorno, una tregua
organismo salariale
statale per locon le organizzazioni
sviluppo del Sud Italia, sindacali
iniziò aal fine di
includere
frenare delle
rappresentanti l'inflazione
Regionie nei poter così
suoi rientrare
piani, ma il nei
porto parametri
di Gioia fissati
Tauro a Maastricht.
rimase simbolo Nel di 1995 Lamberto
inefficienza. La Dani
spesa
pubblica, riformò
insieme pera la prima
quella volta il sistema
regionale, contribuì pensionistico, introducendo
a ridurre il divario economico il criterio
tra le due dell'adeguamento
aree del Paese, degli
ma
nonostanteassegni ai contributi
questo, la Cassaversati nel corso della
per il Mezzogiorno fu vita lavorativa
sciolta nel 1984, di senza
ciascuno. aver raggiunto gli obiettivi di sviluppo
attesi. L'anno successivo, conseguita la stabilizzazione della Lira, governo e autorità monetaria ne
concordarono il rientro nel Sistema Monetario Europeo. Dal 1992 al 2000 il PIL italiano crebbe.
Nella prospettiva ormai prossima di un'unica moneta e quindi di un istituto centrale di emissione
europeo,
La situazione dellaerano stati predisposti
questione meridionale parametri rigidi eanzi,
non si risolse, vincoli che i Paesi
peggiorò, firmatariper
soprattutto avrebbero dovuto sicurezza
quanto riguarda
e rispettorispettare, per l'ingresso
delle regole. Nel 1979,nell'area
per fermare Eurolaera che il debito
svalutazione pubblico
della Lira, l e il deficit
Italia aderì di al bilancio
Sistema non fosseroEuropeo
Monetario
(SME), ma superiori
gli annialseguenti
60% del furonoPIL il primo,
segnatiedallaal 3%nil secondo;economica
stagnazione inoltre, i tassie dadiun inflazione
inflazionee che di interesse
raggiunse nonpicchi
record tra il 1981 e il 1982. In questo contesto, si cercò di rilanciare
avrebbero dovuto essere oltre, rispettivamente, 11,5% e il 2% di quelli registrati nei tre la produttività e i margini di profitto delle
imprese, puntando sull innovazione. Un passo decisivo in questo senso avvenne nel 1981, con il cosiddetto
“divorzio” tra il Tesoro e la Banca d Italia. Da quel momento, la Banca d Italia non fu più obbligata ad acquistare i
titoli di Stato non sottoscritti dal mercato, accrescendo l autonomia della banca centrale.
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Dal 1972 al 1987, il parlamento italiano vide susseguirsi quattro legislature, nessuna delle quali giunse alla
naturale scadenza. Nel 1983, un governo di centro-sinistra sotto la guida di Bettino Craxi cercò di affrontare
l’inflazione, ma la questione della scala mobile rimase un nodo irrisolto. Il governo e le parti sociali negoziarono e
nel 1984, gli aumenti salariali furono decisi sulla base di un inflazione stimata dal governo e non su quella reale.
Nonostante la resistenza della sinistra e del PCI, che organizzarono un referendum contro le nuove regole, nel
1985 la Stati
proposta fu respinta
più virtuosi. Neldalla
corsomaggioranza dei votanti.
del 1997-1998, Nonostante
il governo la Romano
guidato da riduzioneProdi
dell’inflazione,
si impegnòle pressioni
sulla moneta continuarono, costringendo la Lira ad uscire dal Sistema Monetario Europeo.
affinché il Paese rientrasse nei parametri di Maastricht e potesse far parte del nucleo di quelli che
Negli anniperOttanta,
primi avrebbero
l’influenza abbandonato
di Ronald Reaganle proprie
neglivalute
Stati all'inizio del nuovo
Uniti e Margaret millennio.
Thatcher nel Regno Unito segnò
Ad appesantire la tassazione necessaria per mettere ordine nei
l’inizio della fase neoliberista a livello internazionale. Questo periodo si caratterizzò conti dello Stato
percontribuì il maggior
l’affermazione del privato
concorso
sulla politica richiesto
pubblica e perailacittadini per la spesa
liberalizzazione dei sanitaria,
movimentiprima di fatto
di capitali. Nei non rapportata
primi al reddito.
anni Ottanta, Le si
il Dollaro
rafforzò,rigorose
aiutando la ripresa
manovre di dell’economia
bilancio che siinternazionale. A livello
resero indispensabili globale,
allo scopo lapermisero
World Trade Organization
il rispetto (WTO)
dei vincoli,
venne fondata per supervisionare i trattati
fatta eccezione per il debito pubblico. commerciali e promuovere la liberalizzazione degli scambi. In risposta
a questa apertura, la Comunità Economica Europea (CEE) applicò barriere non tariffarie per proteggere i propri
L’euro annullò definitivamente la facoltà di emettere moneta nazionale e la possibilità di svalutarla
mercati, ma con l’accordo di Schengen del 1985, la libera circolazione delle persone divenne una realtà, con
all'occorrenza
l’Italia che si aggiunse per in unricreare
secondo margini di competitività a vantaggio delle imprese esportatrici.
momento.
Bisognava riformare la giurisprudenza, basandola su una legislazione certa da rispettare
Nel 1992, scrupolosamente, così come
il Trattato di Maastricht bisognava
sancì il passoriformare il sistema
decisivo verso scolastico
un mercato e la pubblica
comune europeoamministrazione
e la creazione di una
moneta ed incentivare
unica, fissandolaparametri
ricerca pubblica
rigorosieper privata.
i Paesi membri. A livello italiano, il periodo fu segnato dalla crisi
economica e dalla
Indubbi sonodisgregazione dei partiti
i vantaggi arrecati tradizionali
da un'unica sotto
valuta la spinta
europea; la della Mani
stabilità Pulite,
della un’inchiesta
moneta, i tassi digiudiziaria
che rivelò corruzione e collusioni tra la politica e l’industria. Nonostante
interesse tenuti sotto controllo, il minor costo delle importazioni a domanda rigida. il passaggio alla moneta unica, che
richiese la stabilizzazione della Lira e la riforma del sistema pensionistico, l’Italia dovette affrontare numerose
Conseguenze negative, prima fra tutte l'aumento dei prezzi verificatosi nei mesi immediatamente
sfide. Il debito pubblico continuava a crescere, e nel 1993, il governo di Ciampi siglò una tregua salariale con i
sindacati successivi
per entrare all'adozione,
nei parametri chedipenalizzò
[Link] potere d'acquisto dei redditi da lavoro dipendente.
In realtà la pur innegabile fiammata in flottava non è da ascrivere all'Euro ma alle modalità di
passaggio
La creazione dallarappresentò
dell’Euro Lira alla moneta [Link],
una svolta Venne a mancare, infatti, il controllo
ma comportò politicoeconomiche.
anche difficoltà sui prezzi. SiLa
perdita di sovranità
trattò monetariaanomala
di un'inflazione impedì all’Italia di usare la alla
che, sommandosi Lira stagnazione
per deprezzarla e aumentare
economica, la competitività.
determinò una
Inoltre, le
stagflazione mai più sperimentata dopo gli anni Settanta del secolo scorso. Le ragioni dellee nella
riforme strutturali necessarie, in particolare nella giurisprudenza, nel sistema scolastico
pubblica amministrazione, richiesero enormi investimenti. Nonostante alcuni vantaggi, come la stabilità della
difficoltà incontrate vanno individuate piuttosto nelle inefficienze e nelle opacità strutturali del
moneta, l’adozione dell’Euro portò ad un aumento dei prezzi nei mesi successivi, penalizzando il potere
d’acquistosistema produttivo
dei lavoratori nazionale.
dipendenti.
6.3
Nel 1981 in agricoltura era addetto il 13.2% delle forze lavorative, sceso all'8,4% dieci anni dopo.
L’agricoltura cessò di essere sinonimo di arretratezza, di inferiorità anche culturale; scomparsi i
contadini, i moderni agricoltori erano ormai molto diversi dal punto di vista del loro status sociale. I
giovani stavano riprendendo interesse per la campagna e ormai avevano in tasca un diploma di
perito agrario o una laurea, quelli con meno di ventinove anni erano proprietari e conduttori delle
aziende di maggiori dimensioni e delle più efficienti. Un tratto diventato distintivo di gran parte del
settore primario era diventato la specializzazione. Fecero la loro comparsa le prime coltivazioni a
carattere industriale, effettuate nelle serre, che richiedono elevati investimenti fissi iniziali resi
possibili dal credito agrario. In agricoltura, come negli altri settori, iniziava ad affermarsi
un'imprenditorialità femminile. I divari fra il mondo rurale e quello urbano erano stati colmati. La
diffusione dell'ambientalismo contribuì a riscoprire e valorizzare le campagne, il lavoro agricolo. E
fra gli anni Settanta e Ottanta comparvero le prime aziende agrituristiche, le fattorie didattiche, gli
allevamenti equini associati all'ippoterapia. Grazie alla diffusione del benessere e di una cultura più
attenta alla salute, il cibo sperimentò una sorta di evoluzione. Gli obiettivi originari apparivano
ormai raggiunti. Si trattava di andare oltre la fase iniziale della politica Agricola Comunitaria.
La svolta consistette nel passaggio dagli incentivi generalizzati, concessi indistintamente a tutti i
coltivatori o a quelli di un particolare segmento di cui si intendeva incrementare la produzione, alla
concessione di contributi mirati e subordinati alla presentazione di progetti finalizzati alla
riconversione e modernizzazione dell'azienda richiedente.
Dalla seconda metà degli anni Ottanta si cominciò a riflettere maggiormente sul rapporto fra
agricoltura ed ecologia, sancendo il principio che le pratiche colturali dovessero essere compatibili
con la protezione dell'ambiente e del paesaggio. Per porre rimedio ad alcune situazioni fu introdotta
la pratica del set aside, che consisteva nel remunerare certi agricoltori affinché non coltivassero le
proprie terre. Ne discendeva, però, una oggettiva sperequazione fra i produttori effettivi e i
beneficiari del set aside, ragione per cui la pratica fu presto abbandonata proprio con l'abbassamento
del sostegno ai prezzi.
64
Negli anni Settanta, la gestione delle relazioni industriali divenne un tema centrale per le imprese, influenzandone
profondamente le strategie. Il rafforzamento dei sindacati portò a conquiste salariali significative, migliorando le
condizioni di vita degli operai e ottenendo diritti e dignità grazie anche allo statuto dei lavoratori del 1970. Tuttavia, il
movimento sindacale si divise in almeno due correnti: quella riformista e quella radicale. Quest ultima, che alla fine
ebbe il sopravvento, contestava la struttura gerarchica della mass production, criticando la dequalificazione delle
mansioni6.4
e la massificazione degli operai, nonché le disparità salariali tra lavoratori che svolgevano mansioni simili,
Nel corso nei
ma con differenze degli anni Settanta, la gestione delle relazioni industriali impegnò le imprese molto più
compensi.
che in passato e ne condizionò le strategie. Il rafforzamento dei sindacati si concretizzò in
L inflazione aggravò ulteriormente
significative la tensione
conquiste salariali. nelle relazioni
Le migliori industriali,
condizioni creando
di vita degli un difficile
operai equilibrio tra
furono consolidate dal adozione di
misure anti-inflazione e l accettazione di prezzi elevati. Giovanni Agnelli, presidente di Confindustria, e il gruppo degli
progressi nel campo dei diritti e della dignità, grazie soprattutto allo statuto dei lavoratori approvato
industriali temevano che l inflazione potesse inasprire ulteriormente i conflitti con i lavoratori. L associazione degli
del parlamento nel 1970.
imprenditori chiedeva ai sindacati di favorire relazioni industriali meno conflittuali e di contribuire al recupero della
Almeno due anime albergavano in seno al movimento sindacale: un riformista e un radicale.
produttività.
Quest’ultima, che prese il sopravvento, contestava l'organizzazione gerarchica della mass
Nel 1975,production:
quando gli la dequalificazione
scioperi raggiunserodelle mansioni,
il loro apice, fulafirmato
massificazione
un accordodegli operai, iltra
importante controllo
Giovanni deiAgnelli
tempi,e
la durata
Luciano Lama, chedelle pause, lleadeguamento
prevedeva qualifiche talvolta moltiplicate
trimestrale dei salari artificialmente
al costo dellaconvitalaattraverso
conseguenza di creare della
il meccanismo
scala mobile. Questo
disparità sistema
fra gli addettigarantiva
a mansioni aumenti salariali
di fatto pressochéugualiidentiche,
per tutti, cui
ma corrispondevano
nel lungo periodoperò provocò una
differenze
redistribuzione della ricchezza a favore dei lavoratori con qualifiche più basse,
salariali che generavano divisioni e antagonismi. L’inflazione complicò le già tormentate relazioni penalizzando quelli con ruoli più
elevati. Il sindacato, con questo accordo, si assunse anche la responsabilità della riconversione aziendale.
industriali. Si poneva l'alternativa fra l'adozione di misure volte a contrastare l'inflazione in sé o di
Tuttavia, interventi che permettessero
la conflittualità di convivere con
si spostò progressivamente dal i prezzi
[Link] (i blue collars) al mondo impiegatizio (i white
Giovanni Agnelli, presidente della
collars), con i lavoratori della pubblica amministrazione che Confindustria daliniziarono
1974, e ila gruppo degliun
scioperare, industriali
fenomeno innovatori
mai visto prima. Il
paventavano
sistema della scala mobileil pericolo
divenne cheunl'inflazione
meccanismo potesse riaccendere la
autoalimentante: conflittualità
ogni aumento dei operaia.
salari, L’ associazione
legato all inflazione,
finiva perdegli
spingere ulteriormente
imprenditori chiesei alprezzi al consumo,
sindacato creandoper
di impegnarsi unilcircolo
ritornovizioso.
a relazioni industriali meno
spigolose e per un deciso recupero della produttività.
Nel contesto internazionale, la crisi del petrolio e le difficoltà politiche degli Stati Uniti in Vietnam rafforzarono il
Nel 1975, quando fu toccato il picco negli scioperi si giunse alla firma di un accordo che prese il
potere contrattuale dei Paesi produttori di materie prime. In risposta alla crisi, molte industriali italiane optarono per
nome dai
l automazione, due contraenti
cercando di ridurreprincipali, Giovanni Agnelli
i costi e alleggerire i bilanci eaziendali
Luciano liberandosi
Lama. L'accordo previde Tuttavia, il tasso
di manodopera.
l'adeguamento trimestrale delle retribuzioni all’aumento
di innovazione delle imprese italiane restò inferiore rispetto ai Paesi più avanzati. del costo della vita attraverso il
meccanismo della scala mobile, basato sul cosiddetto punto unico di contingenza. Ciò significava
garantire
Alcuni settori, come scatti di aumento
il tessile, reagironouguali per tutti. la produzione e Un
diversificando sistemasulla
puntando che moda
nel volgere di pochidi qualità
o su prodotti
per competere con i Paesi
anni avrebbe emergenti.
determinato unaUn altra risposta della
redistribuzione fu la delocalizzazione della produzione
ricchezza fra i lavoratori dipendenti, in aree extraurbane o
addirittura in Paesi esteri,
penalizzando con le grandi
le qualifiche impreseCon
più elevate. che tale
riducevano
accordoililpersonale
sindacatoesidecentralizzavano
faceva carico dei problemi i processidi produttivi
delegando parte delle attività a piccole e medie imprese. Questa scelta veniva giustificata dalla necessità di
riconversione aziendale.
contenere i costi e di ridurre i dipendenti per gestire meglio le relazioni industriali. Tuttavia, i sindacati si opposero, in
quanto laSi stava assistendo,metteva
delocalizzazione tuttavia,inadifficoltà
uno spostamento
i lavoratori della
delleconflittualità - che fino
piccole imprese, ad allora
che non avevadella stessa
godevano
coinvolto maggiormente i blue collars - in direzione
protezione normativa prevista dallo statuto dei lavoratori nelle grandi aziende. del mondo impiegatizio; cominciarono infatti
ad astenersi dal lavoro, come non era mai successo prima, i white collars della pubblica
La trasformazione delle dinamiche industriali italiane rispecchiava la crescente difficoltà di adattamento alle nuove
amministrazione.
sfide globali, caratterizzate
La scala mobile trimestrale da una concorrenza
con il suo punto internazionale sempre più forte
unico di contingen-7a ugualee dalla necessità
per tutti, intesadicome innovazione
tecnologica. Le scelte adottate, come l automazione e la delocalizzazione, non erano solo risposte alla crisi, ma anche
strumento per il recupero ex post dell'inflazione, si tramutò in un meccanismo che contribuiva a
segnali di un cambiamento profondo nell organizzazione della produzione e nelle relazioni tra imprenditori e
[Link]. Infatti a ogni scatto, che si scaricava puntualmente sul costo del lavoro, seguiva un
corrispondente nuovo adeguamento dei prezzi.
Negli anni Già prima con
Ottanta, che il prezzo del
l avanzare petrolio
della subisse il primo,
globalizzazione, l Italiaimprovviso e violento
si trovò di fronte a un rialzo,
panorama il mercato
economico delle in rapido
cambiamento.
materie prime aveva mostrato segni di per surriscaldamento a seguito delle difficoltà militari edi acquisizioni
I mercati e le imprese nazionali entrarono in diretta competizione, portando a una serie
e aggregazioni
politiche anche nel settore
incontrate daglibancario.
Stati Uniti A metà
a causa decennio,
del loro lcoinvolgimento
Italia si collocava al sesto
nella guerraposto mondiale
in Vietnam, cheper la
ricchezza prodotta, ma il sciopero petrolifero aveva rivelato i ritardi delle imprese italiane, che non avevano
ne appannava immagine e ruolo. Specularmente si era rafforzato il potere contrattuale dei Paesi
adeguatamente considerato l evoluzione del mercato. I beni durevoli, che inizialmente avevano avuto un ciclo di
acquisto detentori
primario, di risorse energetiche
passarono ora alla fase e di
di materie prime.
sostituzione.
Diverse furono le vie imboccate dall'industria in risposta alla crisi interna e internazionale, di volta
L approccioin volta alternativeche
dell industria, o complementari,
in passato rispondeva innanzitutto con l'avvio
alle esigenze del di processisi di
mercato, automazione
trovò costretta a che,
cambiare
mentalità:liberando
la domanda manodopera,
si fece piùavrebbero
dinamica potutoe orientataalleggerire i bilanci.
alla diversificazione, mentre i processi produttivi, ancora legati
alla rigidità
Neldel passato, non
complesso, però,riuscivano più a soddisfarla.
la percentuale delle impreseQuesto creò uno scontro
che introdussero tra la crescente
innovazioni, di prodottoflessibilità
e di della
domanda e l ancora rigida organizzazione produttiva.
processo, fu inferiore rispetto ai Paesi più avanzati. L’industria cercò di riqualificare la sua offerta
comeSettanta
Tra i decenni nel casoedel tessile ilche,
Novanta, schiacciato
mondo dalla concorrenza
della produzione subì unadei Paesi emergenti,
rivoluzione tecnologica:optòse perinizialmente
la si
investirono in innovazioni elettroniche e informatiche, il sistema produttivo
riconversione e la diversificazione di talune produzioni legandosi alla moda o specializzandosi in rimase ancorato a modelli come il
taylorismo, che non favorivano né la flessibilità né la qualità. Tuttavia, il secondo shock petrolifero accelerò
prodotti di qualità.
l evoluzione, portando alla sostituzione della catena di montaggio lineare con piccole squadre autonome di operai, più
coinvolti nella gestione e nel controllo della qualità. Questo segnò un passo verso una struttura orizzontale del lavoro,
La terza acquisivano
in cui i lavoratori soluzione riguardò la delocalizzazione
maggiore di unità
autonomia e la loro produttiveveniva
professionalità in areevalorizzata.
extraurbane, grandi
imprese scelsero il ridimensionamento o il decentramento produttivo esternizzando segmenti dei
Il modelloprocessi
toyotista,
da che enfatizzava
delegare la produzione
a imprese fornitrici dijust in time
medie e la qualità
o piccole totale, alle
dimensioni, divenne
qualiunvenivano
riferimento, con una
delegati
drastica riduzione dei pezzamenti difettosi e un miglioramento nella diversificazione delle produzioni. L attenzione al
lavoro alienante, alla salubrità dei luoghi di lavoro e all ergonomia rifletteva una nuova coscienza ambientale 65che
pervadeva anche i sindacati.
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La fine degli incentivi fiscali nel 1993 segnò il declino delle agevolazioni per le imprese del Sud, ma nel frattempo
nuove aree geografiche come il Veneto e le Marche cominciarono a emergere come centri di piccole e medie imprese
dinamiche. Questo fenomeno, che ha preso piede nell ultimo quarto del secolo, fu fondamentale per l economia
italiana, portando alla nascita di una nuova forma di capitalismo: il terzo capitalismo. I distretti industriali, formati da
piccole e medie imprese integrate sia verticalmente che orizzontalmente, diventarono la spina dorsale di questa
economia. La flessibilità e la capacità di innovare rapidamente permisero loro di recuperare lo svantaggio
internazionali,
tecnologico del
rispetto alle qualeimprese.
grandi fu espressione il WTO, operativo dal 1° gennaio 1995, espose alla
concorrenza dei Paesi emergenti le piccole imprese.
I distretti,
Unche puntavano
ulteriore su una
elemento haspecializzazione elevata eilsu
contribuito a modificare un lavoro
quadro: più creativotecnologica
la rivoluzione e meno standardizzato,
che, si
diffuserosull’onda
velocemente, portando l Italia a contare una sessantina di questi poli produttivi entro la fine
dell'automazione avviata negli anni Settanta, è approdata ai lidi dell'industria 4.0. I robot degli anni
Ottanta. Una delle caratteristiche più significative di questi distretti era il recupero di tradizioni locali, la
sono entrati nelle fabbriche trasformando profondamente i processi produttivi e la natura stessa del
valorizzazione di modelli artigianali e l adozione di relazioni interpersonali più strette, che rafforzavano la
[Link]
cooperazione le mercato
imprese globale le imprese
e riducevano italiane potevano
l individualismo. vinceremolte
Ad esempio, la concorrenza solo posizionandosi
piccole imprese affidavano i loro
campionarinella fasciaagenzia
a unica tecnologicamente medio-alta
per partecipare a fierealla quale si accede
internazionali, unicamente
creando affidandosi
una forma di integrazione economica che
all'innovazione
valorizzava e facendo ricorso a un capitale umano dotato di elevata professionalità. È all’interno
l efficienza collettiva.
di questo segmento che sono riuscite a inserirsi circa 400-500 imprese di medie dimensioni,
Nel 1988, l introduzione
operanti in settoridella figura del commissario
tecnologicamente avanzati straordinario
e in quello delmirava
Madeainrisolvere le criticità
Italy le quali hannolegate,
saputotra l altro, alle
partecipazioni statali. Il risanamento dei conti pubblici e l introduzione dell euro non sarebbero stati possibili senza la
raccogliere la sfida lanciata dalla globalizzazione, dall'ingresso nella moneta unica e dalla
dismissione degli enti pubblici. Nel 1993, un referendum popolare abrogò il ministero delle Partecipazioni statali,
aprendorivoluzione tecnologica:
la strada a una profondaletrasformazione
cosiddette multinazionali tascabili
delle aziende che,insisocietà
pubbliche sono cimentate
per [Link]
regole per la
dell'Unione Europea e con il mercato internazionale. Hanno saputo muoversi nel nuovo contesto
loro privatizzazione prevedeva l uso della golden share, un pacchetto di titoli che consentiva al Tesoro di mantenere
condelle
il controllo successo.
società privatizzate.
Trasformazioni tanto significative del sistema produttivo avvenute nell'ultimo scorcio del
Le imprese pubbliche
Novecento che operavano
si spiegano anche inconmonopolio
il clima disi smobilitazione
trovarono a dover affrontare
di cui fu predail un
cambiamento per favorire
segmento della classe la
competitività, allineandosi alle politiche europee. L Europa che prendeva forma con
imprenditoriale. Si palesò la tentazione di ritrarsi dagli investimenti produttivi oppure dii Trattati di Maastricht si trovava
nel bel mezzo di una profonda trasformazione economica, fatta di privatizzazioni, globalizzazione e una rivoluzione
rilocalizzare all'estero una parte o l'intera attività industriale.
tecnologica che stava modificando radicalmente il sistema industriale e creditizio italiano. All inizio del nuovo
I fallimenti,
millennio, l Italia avevaperaltro
perso solo inposizioni
molte minima parte rientrati,
in settori e ledella
chiave delocalizzazioni all'estero
grande industria, comespiegano
la grandeladistribuzione,
nuova
stagione
mentre altri di relazioni
settori, industriali innovative,
come le tecnologie apertasi allora, punteggiata
restavano da episodi di conflittualità sindacale.
scoperti.
La complessiva deindustrializzazione del Paese è testimoniata dalla contrazione dell'occupazione
Il vuoto lasciato dalla
nel settore crisi energetica
secondario, e dalla scomparsa
con il parallelo di poli
spostamento industriali
verso i servizipubblici, specialmente
e la pubblica nel Mezzogiorno,
amministrazione.
contribuìLoa un
stesso terziario rivelava sofferenze imputabili all’eccessivo peso di imprese e mestieri a ridotta la crisi del
significativo calo di aziende con più di 500 dipendenti. Tuttavia, nel periodo che precedette
2007-2008, in settori meno esposti alla concorrenza, si registrarono profitti elevati. In risposta a questa situazione,
produttività.
molte aziende puntarono sulle aggregazioni, ma spesso l indebitamento non veniva indirizzato verso investimenti
produttivi, bensì per scalate in Borsa.
La divaricazione fra qualifiche e retribuzioni di medio-alto livello e quelle inferiori rientra fra le
conseguenze
Nel frattempo, indotte
le piccole dall'ultima
imprese rivoluzione
continuarono industrialema
a espandersi, insieme
con una alla modificazione
produttività media diben
un numero
inferiore a quella
crescente
delle grandi [Link] figure
Questo professionali.
creò un sbilanciamento occupazionale, con una concentrazione La velocità
del valore delaggiunto
nelle grandi aziende e tecnologico,
cambiamento una difficoltàimposta
nel far crescere quelle piccole.
dalla microelettronica Molterobotica,
e dalla piccole aziende,
espone gli infatti, preferivano
individui alla evitare
la quotazione in Borsa per non perdere il controllo, anche a costo di non accedere
necessità di un apprendimento-aggiornamento continuo, contagiando la vita stessa del lavoratore a capitali freschi. Questo
fenomeno si consolidò grazie all outsourcing, ovvero il decentramento di attività produttive da parte delle grandi
insieme alla sua identità.
aziende verso piccole imprese, che acquisivano maggiore flessibilità.
Fu la Comunità Europea a supplire al vuoto sulla normativa ambientale con il varo di norme
stringenti
Il consolidarsi in materia
dei distretti di imprese
industriali, con a rischio attraverso una
la specializzazione direttiva
delle piccole che da Seveso
e medie presesiilscontrò
imprese, nome e con che la
paradossalmente l'Italia, involontaria ispiratrice, recepì nel proprio ordinamento
crescente competizione internazionale, soprattutto dai Paesi emergenti. Un altro fattore che contribuì a questa sfida per ultima fra gli
Stati membri
fu la rivoluzione di allora.
tecnologica Finalmente
che, nel 1981 furono
con l automazione avviata aggiornate le norme giunse
negli anni Settanta, risalentiallalindustria
primo 4.0, con
l introduzione dei robot
Novecento sullanelle fabbriche, fuori
localizzazione trasformando
dei nucleiradicalmente
urbani delle iattività
processi produttivi
produttive e la natura
pericolose del lavoro.
o nocive.
Nel 1976, fu approvata la legge Merli sull'inquinamento delle acque.
Le imprese italiane, per competere a livello globale, dovevano posizionarsi nella fascia tecnologicamente medio-alta,
il 1982 perché le Regioni fossero indotte a redigere piani con i quali individuare i siti idonei allo
puntando sull innovazione e su un capitale umano altamente qualificato. In questo segmento, circa 400-500 piccole
e medie smaltimento
imprese operantidei rifiuti industriali,
nei settori obbligo eche
più innovativi nelalcune
Made continuarono
in Italy riuscironoa disattendere
a cogliere ancora a [Link] dalla
le opportunità
Nel 1988 si aggiunse un altro tassello fondamentale per comporre l'indispensabile
globalizzazione, dall ingresso nell Euro e dalla rivoluzione tecnologica, diventando delle multinazionali tascabili. cornice
normativa a corredo dei processi di industrializzazione: le disposizioni relative alla valutazione
Queste trasformazioni
dell'impatto chefurono anche
le grandi il risultato
opere esercitanodi un clima di smobilitazione
sull'ambiente. A cavallo tra chegli
pervase parte della
anni Ottanta classesi
e Novanta
imprenditoriale:
presero ilaprimi
tentazione di ritrarsiin
provvedimenti dagli investimenti
materia produttivi odei
di differenziazione di rilocalizzare all estero
rifiuti. I disastri la produzione
ambientali, in Italia divenne
sempre più forte. I fallimenti, seppur in minima parte recuperati, e le delocalizzazioni contribuirono alla
come all'estero, contribuirono alla maturazione di una sensibilità ecologica.
deindustrializzazione del Paese, accompagnata da un spostamento della forza lavoro verso il settore terziario e la
pubblicaNegli anni Settanta, ambiente e salute avevano cominciato a ritagliarsi un posto centrale nelle
amministrazione.
relazioni industriali e parecchie situazioni critiche finirono sulle pagine dei giornali che iniziarono a
svelare
All interno le manchevolezze
del terziario, legate alle tante
tuttavia, persistevano «fabbriche
sofferenze, dei veleni».
dovute in parte all eccessivo peso di attività a bassa
produttività. La crescente divaricazione tra le qualifiche e le retribuzioni più alte e quelle inferiori, in seguito alla
rivoluzione
6.5 industriale, portò a una crescente necessità di aggiornamento professionale, soprattutto nei settori più
innovativi come
Negli la microelettronica
anni e la viva
Novanta era ancora robotica.
nella La velocitàcollettiva
memoria del cambiamento
il ricordo obbligava i lavoratori
del fallimento a un
del Banco
apprendimento continuo, trasformando anche la loro identità professionale.
Ambrosiano, avvenuto nel 1982.
Nel frattempo, la Comunità Europea ha cercato di colmare le lacune normative ambientali con l introduzione di leggi
rigorose per le imprese a rischio, come la direttiva Seveso (che l Italia recepì tardi), e nuove normative 68
sull inquinamento delle acque (legge Merli, 1976) e sui rifiuti industriali. Questi cambiamenti sono anche il riflesso
della crescente sensibilità ecologica, alimentata dai numerosi disastri ambientali che hanno colpito l Italia e il mondo,
spingendo verso l introduzione di leggi più stringenti per la protezione dell ambiente.
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L'opinione pubblica aveva percepito comunque l’opacità di una parte del sistema bancario, e non
solo di quello. Seguirono il dissesto del Banco di Napoli, e casi giudiziari che portarono alla luce
episodi poco limpidi.
Già nel 1988 l'incipiente finanziarizzazione dell'economia aveva indotto l'Unione Europea a
regolamentare il settore bancario con l'adozione di una normativa, con la quale fu imposto agli
istituti di credito di detenere un capitale proprio non inferiore all'8% dei rischi contratti.
il testo unico bancario emanato nel 1993 aveva superato la vecchia disciplina in mate-ria, risalente
al 1936; eliminò la specializzazione del credito e, per quanto riguarda la forma giuridica degli
istituti di credito, ne previde tre tipologie: le società per azioni, le popolari e quelle di credito
cooperativo.
La privatizzazione delle banche pubbliche e la nuova legge bancaria aprirono il varco al riassetto di
un settore che rivelava scarsa competitività rispetto alla concorrenza internazionale, soprattutto una
volta liberalizzati i mercati finanziari. Il riassetto diede vita ad aggregazioni.
Le opacità che hanno continuato a offuscare i rapporti fra le banche e le imprese hanno trovato linfa
nel fatto che le piccole imprese, non disponendo di un adeguato capitale proprio, dipendono in larga
misura dal prestito bancario.
Il disagio del ceto mediò, latente da tempo e alla cui origine ha concorso più di una causa, si
manifestò in modo evidente all'inizio del nuovo secolo, sebbene le sicurezze circa il proprio futuro
avessero cominciato a barcollare con la riforma pensionistica varata dal governo Dini e con la
mutata dinamica retributiva. Certezze consolidate vacillarono al venire meno dei precedenti sicuri
investimenti nei depositi bancari e soprattutto nei titoli di Stato italiani, la cui appetibilità scemò
rapidamente con il drastico taglio dei tassi di interesse imposto dall'urgenza di rientrare nei
parametri di Maastricht. Il risparmio privato cercò altre opportunità nei fondi di investimento. nel
2000 le due forme di investimento non rappresentavano che un quinto del totale. L'investimento in
fondi quasi triplicò.
L’esposizione debitoria delle imprese nei confronti delle banche aumentò più che in altri Paesi, ma,
nonostante ciò, la redditività non crebbe, segno che l'indebitamento non venne finalizzato, se non in
maniera marginale, all'introduzione di innovazioni volte ad accrescere la produttività.
Il peggioramento dei principali indicatori dell'economia nazionale rispetto a quelli dei maggiori
partner europei si manifestò sin dagli anni Novanta del secolo scorso. La causa si annidava in
ritardi, inadeguatezze e distorsioni di lungo periodo che il nuovo contesto globale rendeva più acuti:
amministrazioni pubbliche poco efficienti al centro come in periferia, capitale sociale e umano non
adeguato alle necessità imposte dalla concorrenza mondiale, arretratezza di alcune regioni.
La legge antitrust varata nel 1990 aveva introdotto qualche parziale rimedio, ma il sistema
industriale e bancario italiano restava caratterizzato da chiusure e forme di protezione, poco
permeabile alla concorrenza internazionale. Lo conferma il fatto che, nei primi anni Novanta, meno
di un decimo del capitale azionario era in mani straniere.
Già a cavallo del millennio erano evidenti l'esodo crescente di giovani con elevati livelli di
istruzione in cerca all'estero di opportunità di lavoro loro precluse in Italia.
Sul piano internazionale, il quindicennio che precedette la crisi fu caratterizzato da un'accentuata
globalizzazione delle economie, scenario nel quale si inserirono quelle di diversi parecchi Paesi
emergenti, a Partire dalle «Tigri asiatiche». I rapidi progressi compiuti dalla tecnologia nel campo
dell'informatica e delle comunicazioni determinarono incrementi di produttività, che accrebbero i
profitti delle imprese e le quotazioni delle Borse, senza pressioni sui prezzi e sui tassi di interesse.
Quote crescenti dei profitti industriali realizzati furono sottratte all'investimento produttivo per
essere dirottate verso impieghi nel settore finanziario tanto da far parlare di una finanziarizzazione
delle economie.
Si stava entrando nell'età del capitalismo finanziario.
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