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Economia - Sistema Mercantilista

Il documento analizza l'evoluzione del sistema economico dall'epoca mercantilista, evidenziando le innovazioni agricole e i cambiamenti socio-economici che hanno portato alla transizione verso il capitalismo mercantile. Viene discusso il ruolo degli Stati nazionali, l'impatto della Riforma protestante e la concezione mercantilista, che enfatizzava il potere economico e militare dello Stato attraverso una regolamentazione rigorosa. Tuttavia, alla metà del XVIII secolo, il sistema mercantilista iniziò a mostrare segni di crisi, con crescenti tensioni tra gli interessi statali e quelli del ceto mercantile.

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Economia - Sistema Mercantilista

Il documento analizza l'evoluzione del sistema economico dall'epoca mercantilista, evidenziando le innovazioni agricole e i cambiamenti socio-economici che hanno portato alla transizione verso il capitalismo mercantile. Viene discusso il ruolo degli Stati nazionali, l'impatto della Riforma protestante e la concezione mercantilista, che enfatizzava il potere economico e militare dello Stato attraverso una regolamentazione rigorosa. Tuttavia, alla metà del XVIII secolo, il sistema mercantilista iniziò a mostrare segni di crisi, con crescenti tensioni tra gli interessi statali e quelli del ceto mercantile.

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1.

Il sistema economico in epoca mercantilista

Le prime analisi in materia economica


L'economia politica ha origini remote: già in epoca pre-ellenica, infatti, se ne possono rintracciare sporadici
riferimenti. Le prime analisi in senso dichiaratamente e intenzionalmente economico, sia per contenuto sia per
ampiezza di trattazione, iniziarono a prodursi, però, soltanto con 1’avvento dell'era moderna, in stretta
connessione con la transizione dalla struttura tardo-feudale alla struttura mercantile. Di questo lungo periodo,
che possiamo approssimativamente datare fra la prima metà del XV secolo e la prima metà del XVIII secolo, è
necessario evidenziare alcuni caratteri che ci consentano di cogliere il senso e la portata del contributo in materia
economica offerto dagli studiosi dell'epoca.

La condizione dell'economia nel tardo Medioevo


Dopo il Mille, l'economia europea manifestò un ritmo di crescita assai più sostenuto che in passato. Gran parte
dei miglioramenti intervenuti furono il risultato delle mutate condizioni presenti in agricoltura in seguito
all'introduzione di alcune nuove importanti tecniche. I primi progressi si realizzarono nel perfezionamento e
nella diffusione degli impianti idraulici, e in particolare del mulino ad acqua, cui fece seguito il mulino a vento.
Tale meccanismo, che inizialmente serviva per macinare i cereali, fu in seguito applicato alla lavorazione delle
olive per ricavare l’olio e alla produzione della birra.
Una seconda innovazione di rilievo consistette nelle modifiche apportate all’aratro e in una migliore fattura di
tale strumento di lavoro, che consentì di dissodare la terra più in profondità e in minor tempo.
Un'altra "scoperta" che produsse risultati notevoli fu la rotazione triennale delle colture. In precedenza, la
coltivazione del terreno avveniva con rotazione biennale, secondo la tradizione risalente all'epoca romana: il
primo anno metà della terra veniva seminata con cereali d'autunno, mentre l'altra metà era lasciata a riposo
(pratica "a maggese"); l'anno seguente le funzioni tra le due porzioni si invertivano. Con la rotazione triennale,
invece, la superficie arabile era divisa in tre parti: una prima parte era seminata in autunno a cereali, una seconda
era seminata nella primavera successiva con altri cereali o legumi, e una terza porzione era lasciata a maggese;
nei due anni successivi si completava la rotazione di tali colture.
Tutto ciò produsse un sensibile aumento del rendimento della terra (si è parlato di oltre il 100% di incremento
rispetto alla situazione preesistente) e un conseguente, netto miglioramento nelle condizioni di vita delle
popolazioni. Sembra, in proposito, che una delle cause che portarono, in questa fase storica, a un certo aumento
demografico sia stata il progressivo miglioramento della dieta alimentare delle masse contadine, a sua volta
prodottosi in conseguenza dell'aumento e della diversificazione delle derrate alimentari (e, successivamente,
dell'apporto di altri alimenti provenienti dalle Americhe).
Questi progressi, intervenuti nei primi secoli del millennio, favorirono una sostanziale modificazione del
sistema economico, che da una condizione in gran parte a livello reintegrativo passò a un assetto assai più
dinamico, favorevole allo sviluppo.

3. La transizione dall'economia curtense al capitalismo mercantile

Tra i fattori determinanti nel passaggio dalla vecchia alla nuova configurazione socio-economica, possiamo
indicare l'espansione del mercato, la formazione degli Stati nazionali e, infine, il prodursi della Riforma
protestante.

L'ampiezza del mercato


Il Medioevo - almeno nei primi secoli - fu caratterizzato da un assetto economico (e giuridico) basato sulla corte
feudale (il cosiddetto sistema curtense). Nell'ambito della "corte" si svolgeva un'autonoma, anche se sommaria,
attività economica, sotto il comando del signore feudale. Il commercio era tendenzialmente locale e quasi esclu-
sivamente relativo a beni di lusso, in quanto prevaleva l'attività di autoconsumo (cioè di produzione finalizzata
al consumo personale o a quello del feudatario, anziché allo scambio).
Dopo l'anno Mille, come già evidenziato, iniziò a manifestarsi un maggior dinamismo negli scambi
commerciali, specie in alcune aree dell'Europa (Inghilterra, Paesi Bassi, Italia) e crebbe al tempo stesso la
considerazione e l'importanza della figura del mercante, anche se questi era visto ancora con timore e sospetto
da quanti consideravano l'attività di scambio di prodotti come una forma indebita di arricchimento, in base agli
insegnamenti della tradizione cattolica.

1
Con la scoperta delle Americhe ingenti quantità di metalli preziosi, spezie e legname pregiato affluirono nei
paesi conquistatori. I prodotti si andarono progressivamente diversificando e distribuendo su un mercato più
esteso (si pensi all'importazione e commercializzazione di derrate alimentari come la patata e il pomodoro, o di
materie prime quali il cotone, divenute, nel volgere di qualche decennio, generi di larghissimo consumo).

L'accentramento del potere politico-militare


In seguito allo sfaldamento dell'organizzazione feudale, vennero gradualmente a costituirsi gli Stati nazionali,
entità territoriali il cui potere d'imperio si coagulò nella persona del monarca. Sebbene questa modificazione di
assetto politico non sia stata generale e repentina, essa iniziò a manifestarsi a partire dal XV secolo, conso-
lidandosi nei tre secoli successivi.
Il processo di formazione degli Stati nazionali europei si accompagnò alla affermazione di una politica di
potenza militare ed economica. Dal XV secolo in poi, il predominio militare, oltre che economico, dell'Europa
nei confronti dell'Asia orientale fu totale. Correlativamente, l'accresciuta potenza dei grandi Stati europei
condusse anche a una politica di reciproca aggressione, e ciò comportava la necessità di dotarsi di mezzi
finanziari considerevoli per poter mantenere il dominio politico-militare su altri paesi

La Riforma protestante
Nel XVI secolo, in Europa, l'incidenza della Riforma, in particolare del calvinismo, sulla filosofia e sulla morale
dell'epoca (e, in ultima istanza, sull'economia) fu senz'altro rilevante. L'uomo del Medioevo era dominato da
una morale ferrea, che gli impediva l'accaparramento delle ricchezze, il prestito a usura, la fissazione del prezzo
al di sopra di un certo livello ritenuto "equo". I padri della Chiesa, infatti, concordavano tutti nel sostenere la
dottrina del giusto prezzo, in base alla quale nessun mercante avrebbe dovuto richiedere per i prodotti che
vendeva un prezzo superiore a quello che gli avrebbe assicurato di vivere decorosamente, ma senza arricchirsi.
Solo la rettitudine - anche economica - era in sintonia con i dettami della legge divina. Con Calvino, però, la
morale si fa progressivamente più "disponibile", più malleabile nei confronti dell'interesse individuale.
Partendo dalla tolleranza verso l'attività mercantile e le sue espressioni, la morale calvinista, sotto la pressione
della realtà storica, diviene più spregiudicata, fino a giungere all'esaltazione del commercio e a considerare il
successo economico un chiaro segno dell'elevazione divina.
Alla base della nuova etica protestante sta l'idea che il destino è nelle mani di Dio: nel trovare la propria
collocazione sociale, ogni individuo si armonizza dunque con le leggi di Dio. L'eventuale successo raggiunto
prova che si è trovata la propria "vocazione" e che Dio ha "approvato".
Conseguenze di questi fattori furono, da un lato, un assetto politico di nuova formazione (lo Stato nazionale),
con precise esigenze di consolidamento e, dall'altro, un nuovo assetto economico caratterizzato dallo sviluppo
dei commerci, che necessitava, anch'esso, di una regolamentazione. *

Le esigenze del nascente Stato nazionale


Il nascente Stato nazionale, in particolare, aveva esigenze ben precise.
- Ingenti ricchezze. Le esigenze di accentramento politico e di potenziamento militare assorbivano molte risorse,
e il denaro necessario al funzionamento e al consolidamento dello Stato doveva provenire sia dalle colonie, sia
da una rigida politica fiscale.
- Popolazione numerosa. Essa serviva soprattutto a rinsanguare gli eserciti. Lo Stato unitario aveva infatti due
nemici temuti: le vecchie signorie feudali, sconfitte ma non domate, e gli altri Stati europei, in corsa per
l'egemonia politica ed economica sul continente. Era quindi necessario un esercito numeroso per mantenere
l'ordine interno e per difendere (ed estendere) i confini nazionali. Occorreva inoltre che una parte sempre più
consistente della popolazione fosse adibita alla produzione agricola e all'allevamento del bestiame, affinché vi
fossero sempre abbondanti risorse alimentari per le esigenze belliche.
- Regole definite, che garantissero i mercanti e i loro interessi. La difesa, da parte dello Stato, era altresì
necessaria affinché l'economia, rafforzandosi, rendesse grande e temuto lo Stato stesso.
Il convergere degli interessi dello Stato assoluto, accentratore e potente, con quelli del ceto mercantile in
espansione diede vita a un fecondo rapporto, che potremmo definire "simbiotico", dal quale scaturì un reciproco
vantaggio.

La concezione mercantilista
Il mercantilismo è l'espressione teorica delle esigenze economiche dell'epoca. Più propriamente, con questo
termine si usa indicare un complesso di teorie che, però, non assurse mai alla dignità di vero e proprio corpo
dottrinario, essendo molto eterogeneo. Formulati in numerosi paesi a opera di commercianti e di statisti, di

2
giuristi, religiosi o filosofi, questi contributi fornivano indicazioni, sollecitazioni, suggerimenti, direzioni da
seguire per la migliore conduzione della politica statale, al fine di rendere ricco e potente lo Stato e florida la
sua economia.
I mercantilisti assumevano così la veste di tecnici il cui fondamentale compito era quello di "consigliare" il
monarca sul modo più idoneo per organizzare e gestire lo Stato sotto il profilo economico-finanziario.
Essi, quindi, osservavano e analizzavano la realtà economica al fine immediato di dettare apposite regole di
condotta (ciò che ai nostri giorni definiremmo "studio economico applicato").
In questo senso è opportuno sottolineare come l'esperienza mercantilista sia consistita fondamentalmente in un
tentativo (per molti versi peraltro riuscito) di fare della politica economica, nello specifico senso di una politica
gestionale dello Stato in funzione delle esigenze dell 'economia.
Il complesso dei fenomeni osservati e analizzati dai mercantilisti è assai vasto, ma il loro "pacchetto normativo"
si può ricondurre alle linee fondamentali qui di seguito elencate.

La politica interna secondo i mercantilisti


Si raccomandava una politica di incremento demografico. I mercantilisti non temevano che la crescita, della
popolazione potesse sfociare nel sovraffollamento: più popolazione comportava a un tempo più soldati e più
braccia produttive, ciò di cui aveva appunto bisogno lo Stato.
Si raccomandava, inoltre, un penetrante sistema di imposizione fiscale, tale da poter fornire allo Stato quanto
gli necessitava per mantenere ed estendere la sua imponente struttura politico-militare.
Il prelievo fiscale non doveva però gravare sul ceto mercantile, perché era proprio quest'ultimo a far arricchire
la nazione. Si reputava infine opportuna una forte regolamentazione di tutta l'economia, mediante ampi
interventi dello Stato in tutti i settori e un sistema minuzioso di controlli e di privilegi, come per esempio
concessioni speciali, monopoli, esenzioni fiscali per alcune categorie ecc.

La politica estera secondo i mercantilisti


I mercantilisti erano favorevoli all' allargamento dei traffici e a tutto quanto fosse in grado di determinarlo.
I suggerimenti da loro proposti riguardavano un ampio ventaglio di obiettivi.
- L'estensione delle colonie. Queste rappresentavano a un tempo profittevoli mercati di sbocco dei prodotti finiti,
serbatoi di rifornimento costante di materie prime e valvole di sfogo per l'eccesso di popolazione che si fosse
eventualmente verificato nella terra madre.
- L'acquisizione di tesori dalle terre conquistate. La scoperta di ingenti giacimenti di metalli preziosi nei territori
di recente dominio favorì ed estese la corsa all'accaparramento delle ricchezze: ciò a spese delle popolazioni
indigene, che furono quasi totalmente annientate.
- Il protezionismo dei commerci. Si sostenne il principio secondo cui, per rendere più fiorente lo Stato, occorreva
proteggere la produzione interna rispetto a quella importata, e nel contempo favorire la produzione nazionale
diretta verso l'estero. Veniva pertanto sollecitata l'introduzione di nuovi dazi o il potenziamento di quelli già
esistenti, allo scopo di evitare, per quanto possibile, che la ricchezza di uno Stato (individuata nelle riserve di
metalli preziosi) venisse indirizzata verso l'estero per pagare le importazioni.

Il declino della concezione mercantilista


Verso la metà del XVIII secolo, il rapporto di vicendevole vantaggio tra lo Stato e i mercanti cominciò a entrare
in crisi, mentre le posizioni teoriche di molti autori volgevano al pessimismo circa la possibilità di ottenere
buoni risultati da un'economia totalmente regolamentata.
Il sistema aveva sperimentato un rialzo generalizzato, notevole e prolungato dei prezzi, e ciò denotava che la
gestione pubblica dell'economia e le stesse prescrizioni dei mercantilisti contenevano elementi contraddittori,
se non addirittura negativi per lo sviluppo.
Gli interessi dello Stato e quelli del ceto mercantile manifestavano una tendenza sempre più spiccata a
divaricarsi. Da un lato, i sovrani richiedevano crescenti entrate sotto forma di imposizione fiscale, per esigenze
non sempre ispirate a criteri di funzionalità di gestione. La burocrazia assorbiva denaro mentre la sua attività
era particolarmente inefficiente e la corruzione dei funzionari pubblici assumeva proporzioni allarmanti.
Dall'altro lato, l'economia andava facendosi complessa, diversificata^ i l'industria emergeva a spese del
commercio, ma, come l'agricoltura, risultava ampiamente penalizzata dalla disciplina mercantilista.

L'opposizione delle colonie


Anche sul fronte delle colonie le difficoltà crescevano. I territori conquistati, spremuti oltre ogni limite,
considerati alla stregua di "sacche raccoglitutto" in funzione della politica egemone degli Stati assoluti,

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manifestavano forti insofferenze nei confronti della politica di stampo mercantilista (fino a culminare nel più
clamoroso movimento di opposizione al mercantilismo della storia, che darà vita, nel 1776, alla rivoluzione
americana).
La situazione era divenuta così oppressiva e penalizzante per lo sviluppo economico dell'epoca, che, pare, un
ispettore governativo francese, tale Goumay, avrebbe infine esclamato: "laissez faire, laissez passer" (lasciate
fare, lasciate passare), la storica frase che, ritradotta in termini puramente economici, significa libertà di
produzione e di commercio.

La critica di David Hume


In questa corrente di pensiero ormai critica nei confronti delle iniziali tesi protezioniste, si pongono diversi
autori, fra i quali spicca il nome di David Hume (1711-1776), eminente filosofo scozzese. Questo studioso va
ricordato per il suo aperto attacco alle posizioni dottrinarie mercantiliste e per le sue analisi - in parte ancora a
livello di semplice intuizione - sulla, beneficità dell'ordine economico "naturale", analisi che preludono al
grande movimento dottrinario che si affermerà a partire dall'ultimo quarto del XVIII secolo.
Di rilievo appare, fra l'altro, la concezione di Hume della manifattura (cioè dell'industria), il cui sviluppo,
favorito dall'espansione dei commerci, coincide, a suo giudizio, con il progresso stesso dell'umanità. In tal modo
Hume vede la manifattura come la naturale evoluzione di commerci liberi e fiorenti fra un paese e il resto del
mondo.

*
La parabola del "monaco pellegrino"
Nel seguente passo, uno storico del pensiero economico, Daniel Fusfeld, cita un noto aneddoto, quasi
una parabola - quella del monaco pellegrino - che ben tratteggia il confronto fra la tradizionale morale
cattolica e la nuova morale ispirata dal calvinismo.
«Un monaco durante un pellegrinaggio a Roma acquistò un calice d'argento per la sua cattedrale.
Tornando in Germania con una carovana di mercanti, mostrò loro il calice e disse quanto l'aveva pagato.
I mercanti si congratularono con lui per l'acquisto, dicendogli che l'aveva pagato molto meno di quel che
valeva, e scherzarono sul fatto che un monaco lontano dal mondo fosse riuscito a farsi concedere uno
sconto maggiore di quel che essi stessi potessero sperare. Inorridito, il monaco riprese immediatamente
la strada per Roma, andò dal venditore del calice e gli versò la differenza fra quanto aveva pagato e il
prezzo equo. Era la sola cosa morale da fare. Un simile atteggiamento poteva essere in armonia con
un'economia chiusa fondata su rapporti prestabiliti, ma era in stridente contrasto con l'economia di
mercato caratterizzata dalla ricerca del successo e del profitto».
Daniel R. Fusfeld, Storia del pensiero economico moderno, Mondadori, Milano 1970, pp. 19-20

Il calvinismo e la sua influenza sull'economia del tempo


La dottrina religiosa di Giovanni Calvino (1509- occupare sulla terra. Dio ha fissato per ciascuno il
1564) ebbe senza dubbio un'influenza notevole dovere da compiere, afferma Calvino: una maniera
sulla concezione economica del suo tempo. di vivere che egli chiama vocazione, alla quale
Secondo questo pensatore, la storia è interamente l'uomo deve adeguarsi come a una regola perenne.
opera della provvidenza divina. Al centro La vocazione viene così a essere un elemento
dell'azione provvidenziale di Dio è l'uomo, dinamico, che giustifica anche attività condannate
predestinato alla salvezza o alla perdizione. La dalla Chiesa medievale (e persino da Martin
predestinazione divina, per Calvino, assume il Lutero, un altro grande riformatore) come
significato di una scelta insindacabile di Dio per l'esercizio del prestito a interesse e l'attività
ciò che riguarda ogni essere umano. Dio, infatti, bancaria. Se tali attività vengono esercitate con
non crea tutti gli uomini nella stessa condizione: successo dagli uomini, è segno che esse piacciono
alcuni li destina alla vita eterna, mentre altri a Dio, che sono iscritte nel grande piano della
all'eterna dannazione. Gli eletti da Dio, pur provvidenza.
essendo peccatori, acquisiscono consapevolezza L'etica calvinista basata sul concetto di vocazio-
dei loro peccati, che espiano in vita attraverso la ne contribuì dunque a giustificare religiosamente e
penitenza e le opere. Tra queste ultime fonda- a stimolare l'intraprendenza economica, che si
mentale è il lavoro, il più chiaro segno dell'eleva- andava affermando nel corso del XVI secolo. Il
zione divina: Il governo della provvidenza indica, nascente capitalismo commerciale ebbe così modo
quindi, il posto che ciascun essere umano deve di dispiegarsi senza ostacoli, avendo Calvino

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operato una chiara riconciliazione fra religione e acquisizione della ricchezza.

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