Criminologia e Psicopatologia Forense
Criminologia e Psicopatologia Forense
Ogni interpretazione del criminologo può essere complicata da numerose teorie. La caratteristica costante
in criminologia è quella di tentare di comprendere perché molti o pochi individui, in modi differenti, ma
riconducibili a cause comuni o ad una pluralità di cause connesse, lasciano la strada principale e deviano
per altra via illegittima e non conforme, illegale.
Il termine <criminalità= racchiude un vasto repertorio di condotte, dalla corruzione all’omicidio e le violenze
sessuali, dalla criminalità predatoria alla violenza politica e la criminalità organizzata. Si tratta di
manifestazioni criminali che accadono in diverse regioni del mondo e nello studio delle condotte criminose
dovremmo tener conto del quoziente di criminalità, degli incrementi che i diversi reati registrano e della
quota dei delitti denunciati per i quali gli autori sono ignoti.
In senso stretto <criminologia= significa lo studio del crimine e più specificatamente lo studio dei reati che
nel nostro codice penale sono distinti in delitti e contravvenzioni. In modo più ampio la criminologia
comprende anche lo studio della pena, vale a dire dei metodi per trattare l’autore del reato, e lo studio dei
problemi per la prevenzione del reato mediante misure non punitive.
Criminologia oggi: scienza di base ed applicata che studia il comportamento umano, deviante e anti-
giuridico, dopo aver subito una positiva influenza dell’evolversi delle scienze umane e sociali, deve essere
utilizzata nella preparazione delle diverse figure professionali. Perciò si impone una nuova repressione
soprattutto per la politica di repressione della criminalità che si manifesta in forme sempre nuove e diverse
e per dare contributi agli esperti della sicurezza.
La criminologia appare come il risultato della fusione in un’unica disciplina degli apporti dell’antropologia
criminale e della sociologia criminale, integrate dalla psicologia criminale nella sia accezione più ampia,
comprendendo anche gli aspetti della psicopatologia e della psichiatria forense.
Seppur intesa come una disciplina autonoma, non esclude un collegamento con altre discipline nel campo
delle scienze biologiche, sociali ed umane.
- IDEALISMO vede l’essere umano come un attore dotato di assoluta libertà, volontà e razionalità
Una delle vicende criminali più antiche al mondo è raccontata nella Bibbia ed è quella che ha come
protagonisti Caino e Abele, che sono i primi due figli nati da Adamo ed Eva dopo la ciacciata dal giardino
dell’Eden.
Caino pratica l’agricoltura e Abele la pastorizia: entrambi offrono a Dio in sacrificio i loro prodotti ma solo le
offerte di Abele vengono accettate. Questa preferenza suscita gelosia e l’ira di Caino porta a uccidere
Abele. Dio scopre il delitto di Caino e lo punisce scacciandolo dalla terra che ha macchiato del sangue di suo
fratello, ma ponendo su di lui un segno che lo protegga dalla vendetta.
Questo esempio pone interrogativi in ambito criminologico. Caino, secondo la genesi, è identificato come il
primo omicida che si conosce. Il tal senso ci si può chiedere se Caino fosse portatore di tare ereditarie o
psicopatologiche e quindi se fosse responsabile o irresponsabile.
Secondo LEWIN ogni atto che una persona compie sia in rapporto a particolari condizioni (tali condizioni
sarebbero da ricercare in parte nello stato della persona al momento considerato e in parte nelle
caratteristiche dell’ambiente psicologico in cui esso si trova). Il comportamento può essere considerato, sia
pure in via ipotetica, come funzione dell’ambiente e della persona secondo l’espressiva formula lewiniana:
C= f(A,P).
L’omicidio di Caino consente di ricordare che la violenza è sempre esistita, nota, diffusa e ampiamente
descritta anche se delle vittime è lasciata una traccia labile e indiretta.
La criminologia come ogni altra disciplina presenta un’evoluzione storica che può essere divisa in periodi, la
cui conoscenza, anche se sommaria, è di particolare interesse pratico.
Beccaria da una risposta ai problemi della legislazione penale nel famoso libro <DEI delitti e delle pene= in
cui pone numerose domande circa i delitti e le pene allora in uso. L’opera manifesta una forte critica ai
sistemi prevalenti dell’amministrazione della giustizia, generando ostilità e opposizione in coloro che
tendevano a mantenere le barbariche ed arcaiche costituzioni di pena vigenti in quel tempo.
È un libro importante non solo dal punto di vista del diritto penale ma anche per la difesa dei diritti civili: la
sua battaglia contro la pena di morte.
- Le restrizioni della libertà individuale: queste devono essere il minor numero possibile. Proibire
un’azione senza necessità in genere fa crescere il numero dei reati invece di ridurlo. Tale questione
è anche oggi attuale e si riscontra dell’articolo 13 della costituzione (la libertà persona è
inviolabile). Per Beccaria le leggi sono le condizioni attraverso le quali uomini indipendenti e isolati
si uniscono in società per poter godere della libertà con sicurezza e tranquillità.
- Nove capitoli sono dedicati all’amministrazione della giustizia dando enfasi ai diritti dell’individuo
che avevano maggiormente sofferto nel periodo precedente della sua opera. Attualmente ci si
riferisce ai diritti sanciti dalla convinzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali.
- Forma del diritto penale. Da questo punto di vista gli aspetti essenziali sono la chiarezza e la
certezza. Sia i delitti che le pene devono essere definiti in precedenza. Non vi è posto per una
legislazione retroattiva né per l’applicazione della discrezionalità. Il conoscere chiaramente in
precedenza le pene stabilite dalla legge costituisce una salvaguardia dei diritti dell’individuo e serve
a trattenere i delinquenti potenziali in modo più efficace. Serve la chiarezza formale nella legge.
- Radzinowicz sostiene che dovrebbe esistere un codice penale scritto e completo.
- La giustificazione della pena. Ciascuno deve subire una pena che colpisca i suoi propri diritti tanto
quanto il delitto da lui commesso ha colpito i diritti altrui. Lo scopo della pena è il trattamento degli
autori di reato per ottenere un loro adattamento all’ambiente ed infine una possibile
reintegrazione nella società. Per Beccaria la giustificazione della pena deve essere breve in
coerenza con l’idea che debba essere finito nel più breve tempo possibile senza trascurare la
possibilità per l’imputato di provare la propria innocenza.
- La severità della pena. Il fine della pena non è tormentare ed affliggere un essere sensibile né di
disfare un delitto già commesso. Questa deve essere strettamente limitata. Pur essendo
proporzionata al reato commesso non deve tuttavia oltrepassare il limite necessario per impedire il
delinquente di danneggiare nuovamente gli altri cittadini e per riuscire a trattenere altri dal
commettere reati simili.
- La natura delle sanzioni. Ogni pena ha un proprio significato sociale in quanto la potenza di una
sanzione dipende dal mondo con cui viene percepita e perché le concezioni morali in rapporto alle
pene cambiano e con loro si modifica, allargandosi o restringendosi la gamma delle possibili
punizioni. L’universalità della pena e la sua continuità nel tempo non possono quindi sussistere,
essendo strettamente connessa alle condizioni economiche, politiche e sociali di una determinata
società in un particolare momento.
- Certezza della pena. La pena quando sarà pronta e prossima temporalmente al delitto tanto più
sarà giusta, utile ed efficace. La certezza, la rapidità e la sicurezza delle sanzioni contribuiscono a
configurare quella situazione psico-sociale che può essere definita come percezione del rischio
della sanzione. La lentezza dei processi e le procedure tortuose contrastano con una giustizia giusta
ed effettiva per quanto riguarda le aspettative del cittadino vittima e per quanto attiene a quella
certezza del castigo assai rilevante ai fini della prevenzione e della riduzione della recidiva.
- Vi deve essere una proporzione tra i delitti e le pene.
- L’opera di Beccaria si caratterizza per il fatto di considerare l’individuo responsabile (visione
neoclassica). In contrapposizione a Beccaria, i revisionisti neoclassici sostennero una concezione
dell’universo sociale che può essere riassunta: al centro stanno gli adulti e sani considerati
responsabili dei loro atti- i bambini e i vecchi hanno una minore capacità di prendere decisioni
responsabili- i pazzi e i deboli sono incapaci di agire liberamente come gli adulti.
- Prevenzione del crimine. I presupposti per la prevenzione al crimine sono la minaccia di una
punizione, la prospettiva di un premio e la chiarezza delle leggi. Il mezzo più efficace è l’educazione.
- Beccaria era il pioniere dell’abolizione della pena di morte, partendo dal presupposto secondo cui
non si giustifica questo tipo di sanzione in termini di <contratto sociale= perché nessun uomo
consentirebbe volontariamente nel concedere alla società il diritto di disporre della propria vita. la
pena di morte non serve per ridurre i delitti, ha solo un valore simbolico per soddisfare impulsi di
massa.
Nella storia della criminologia esistono anche momenti bui e alcuni di questi hanno influenzato la
formulazione di alcune teorie. La parentesi del razzismo biologico, che raggiunse il massimo fulgore in età
vittoriana, è la dimostrazione di quanto il pregiudizio possa essere a volte più forte della ragione. Perciò è
necessaria un’attenta analisi del passato.
In effetti, nella prospettiva dei precursori di Lombroso non si può trascurare la fisiognomica che trova la sua
origine nel tentativo di porre un nesso tra corpo e anima, tra esteriorità e interiorità, aspetto che
costituisce un complesso problema che ha permeato per lungo tempo la cultura occidentale.
In una tale ottica il riferimento deve essere fatto al trattato che Giovan Battista Della Porta editò nel 1586 e
che ampliò nei primi anni del 600: della fisionomia dell’uomo.
La fisiognomica diventa attuale e significativa in quella fase dell’antropologia criminale che comprende
tutte le teorie emesse fin dagli antichi filosofi sulla natura della criminalità, e circa il concetto, che poi, per
merito di Lombroso, doveva divenire fondamentale nello studio del delitto, secondo il quale vi è sempre
una più o meno degenerazione fisica.
Molte sono poi le ricerche dei filosofi dell’antichità sul rapporto e sulla corrispondenza tra il fisico e il
morale, ispirate dal convincimento che i tratti fisionomici dovevano servire a riconoscere i caratteri psichici
salienti, il modo cioè di pensare e sentire di ciascun individuo. Da qui la fisionomistica, si iniziò con
Aristotele, Socrate, Seneca ecc. e che poi si sviluppò per merito di Della Porta, che pubblicò nel 1586 il suo
noto trattato di Fisiognomica.
Viene definita da Kant come l’arte di spiare l’interno dell’uomo, egli mostrò ben presto i suoi limiti.
La critica proprio perché l’io può darsi anche nella dissimulazione e constata che gli sforzi compiuti da
Lavater di dedurre l’interiorità a partire dal volto si situano ormai del tutto fuori dal campo scientifico.
È evidente che il viso come specchio dell’anima ha influito su molte concezioni filosofiche ed etiche, fino a
quando tale modo di concepire l’uomo è stato superato soprattutto dagli studi di psicologia della forma,
allorché le qualità espressive del viso assunsero ben altre valente e significato.
Tuttavia, nell’800 i risultati emersi dagli studi sulla fisiognomica hanno avuto una forte influenza su
Lombroso.
Della Porta con la sua opera può essere collocato tra i precursori del positivismo e di Lombroso in
particolare, perché viene enfatizzata l’importanza del rapporto tra le varie parti del viso e le manifestazioni
del comportamento.
In questa ottica, non vanno dimenticati i contributi dei frenologi del XVIII-XIX secolo, che possono aver
influenzato i contributi di Lombroso e quindi possono essere considerati suoi precursori.
A tale riguardo deve essere segnalata l’opera del medico Gall che ideò la dottrina frenologica, secondo cui
le singole funzioni psichiche dipenderebbero da particolare regioni del cervello, così che dagli aspetti
morfologici del cranio di una persona, quali depressioni, bozze e altri aspetti esteriori, si potrebbero
definire le qualità psichiche dell’individuo e le sue caratteristiche di personalità.
Contemporaneamente a Gall, Spurzheim usò e diffuse il termine frenologia, secondo cui i tratti del
carattere potevano essere attribuiti a determinate regioni del cervello, tanto che anch’egli sostenne che
tastando protuberanze ed avvallamenti del cranio, si sarebbe potuto conoscere il carattere delle persone.
Alla fine del XIX secolo la frenologia perse ogni credibilità, tuttavia è innegabile che queste idee abbiano
avuto una notevole influenza in alcuni settori della medicina e della neuropsichiatria. È pur vero che ogni
funzione psichica è legata ad una particolare area cerebrale: il principio di base è corretto, ma Gall e
Spurzheim l’hanno interpretato in modo estremo e non scientifico.
Nello stesso periodo Lavater con il suo volume <della Fisiognomica= dava enfasi alle caratteristiche facciali
nel contribuire alla conoscenza dell’individuo, tentando di trovare una corrispondenza tra aspetto fisico e
caratteristiche morali.
Altri precursori possono essere individuati negli psicopatologi del XVIII secolo. Pinel sostenne che la base
dell’alienazione mentale potesse essere una lesione del sistema nervoso centrale, poiché conservava le
concezioni tradizionali sulla causa fisica della malattia mentale. Credeva che la malattia mentale fosse un
fenomeno naturale da studiare secondo i principi che prevalevano nelle scienze naturali: prima
l’osservazione, poi una esposizione sistematica dei dati. Pinel era convinto che la malattia mentale non
fosse qualcosa di sovrapposto al malato, ma un risultato dell’eredità e delle esperienze della vita.
Chirugi sostenne che le psicosi fossero causate da lesioni fisiche del cervello ed elaborò una classificazione
pratica delle malattie mentali molto simile a quella di Pinel.
Esquirol, discepolo di Pinel, ne seguì scrupolosamente gli studi e tentò di classificare le forme di malattia
mentale secondo una monomania affettiva o una perturbazione in un particolare aspetto del
comportamento, per esempio, la monomania omicida o la monomania incendiaria. E fece notare che un
atto criminale può essere il risultato di una monomania, e che i criminali di questo tipo non dovrebbero
essere puniti ma curati. Suggerì poi che la malattia mentale fosse chiamata alienazione mentale.
Con l’Esquirol si rende più chiaro il tentativo di creare un rapporto sempre più stretto tra criminologia e
psicopatologia.
Successivamente si ritenne che la follia esprimesse il segno più rilevante del processo degenerativo
biologico, così che Morel sostenne l’ipotesi di un processo di degenerazione che comporta la malattia
mentale. Infatti, pensava che agenti esterni, come alcool e narcotici, predisponessero l’individuo alla
degenerazione e che altrettanto potesse fare un cattivo temperamento. Così, se una generazione
presentava semplicemente dei sintomi nervosi, la generazione successiva presenterebbe dei sintomi più
marcati, la terza generazione sarebbe completamente psicotica, la quarta presenterebbe uno stato
completamente degenerato, le successive sarebbero tanto dementi che la famiglia si estinguerebbe.
Per Morel i fattori che agiscono in via degenerativa sono emersi per la caduta nel peccato originale.
Nella quarta generazione un soggetto degenerato affetto da demenza precoce, quindi sterile, e così il ciclo
degenerativo-ereditario si spegne: male fisico e morale sono strettamente interdipendenti tra di loro.
Gli studi citati si collocano in quel periodo ricco di ricerche riguardanti il sistema nervoso con valorizzazione
all’indirizzo cerebrocentrico della psichiatria e con influssi diretti su molti esponenti del positivismo anche
italiano. Infatti, gli autori citati sono da considerare quei precursori che hanno senza dubbio influito su
Lombroso, medico, alienista, antropologo. Egli è stato questo e tanto altro ed ha effettuato un tentativo
che ha raccolto il meglio della scienza positiva italiana, portandola ai livelli raggiunti dalla scienza europea
del periodo.
Per comprendere il suo contributo alla criminologia è necessario fare qualche riferimento alla sua biografia:
dopo la laurea in Medicina e Chirurgia a Pavia, si arruola volontario e prende posto come medico
dell’esercito piemontese, prendendo parte alle guerre d’indipendenza. Durante il suo servizio militare si
dedica alla raccolta di dati antropologici sui soldati e poi da inizio alla sua attività di docente di antropologia
e poi in clinica delle malattie mentali, in seguito viene nominato professore straordinario in medicina
legale, tossicologia e igiene sempre nell’Università di Pavia, dove ricoprì anche la cattedra di psichiatria. Nel
1876 viene nominato professore ordinario di medicina legale all’Università di Torino. Viene poi nominato
titolare della cattedra ordinaria di Antropologia criminale.
Il suo curriculum accademico è pieno di riconoscimenti, che si collegano a quel periodo in cui si eleva ad
oggetto della scienza il reale, il positivo, nel senso di ciò che è contestabile e che cade sotto l’osservazione.
L’alienazione o pazzia diveniva oggetto di conoscenza obiettiva mediante l’osservazione. Nel 1871 effettua
un’autopsia sul corpo del brigante Villella, e sostenendo di poter stabilire la connessione tra delinquenza e
atavismo, scriveva che nel teschio trovò una lunga serie di anomalie ataviche analoghe a quelle che si
riscontrano negli invertebrati inferiori e quindi dedusse che il problema della natura e dell’origine del
criminale era risolto.
Tali affermazioni erano il tentativo di definire sempre meglio quello che chiamava il <delinquente nato=.
Queste osservazioni sono raccolte nel suo libro <l’uomo delinquente= del 1876, in cui effettua la descrizione
del criminale nato: un individuo con condotte criminose e struttura fisica del corpo che esprimono le
manifestazioni tipiche dell’atavismo, vale a dire del riemergere di tratti caratteristici di uno stadio più
primitivo dell’evoluzione della razza umana.
L’esame del delinquente ha stabilito che vi erano una quantità di caratteri abnormi, anatomici, biologici e
psicologici, molti dei quali hanno significato atavico, perché ripetono le forme proprie degli anyenati. E dato
che questi caratteri ativici si associano a tendenze e manifestazioni criminose, è legittimo concludere che
anche nei criminali, come negli animali, queste tendenze siano naturali, nel senso che dipendono
necessariamente dalla loro organizzazione per inferiorità di struttura e di funzioni fisiche e psichiche, a
quella dei popoli primitivi.
Non avendo in mira il reato ma i rei, non li distinguiamo, come fa la legge, a secondo dell’entità del reato
commesso, ma a seconda dell’intima natura e quindi del grado di temibilità che ne dipende a secondo del
modo con cui l’hanno compiuto e dagli stimoli da cui furono spinti.
In relazione a questa classificazione va ricordato che nel 1884 Lombroso durante un processo ad un soldato
pluriomicida conclude che alle caratteristiche ataviche del delinquente nato si sovrappongono i danni
dell’epilessia, il risultato è l’arresto di sviluppo.
La tipologia di Lombroso ci fa rendere conto come venga posto in primo piano il delinquente nato, quel
criminale che, per le sue anomali congenite, sarebbe destinato al delitto senza risentire delle influenze
ambientali.
In questa prospettiva si può sostenere come Lombroso sia stato influenzato dalle scienze naturali
dell’epoca e dai suoi precursori. Nella sua analisi vi è da sottolineare come egli credesse alla necessità di
un’osservazione diretta e alla misurazione dei singoli casi, rifuggendo dalla speculazione filosofico-logico-
giuridica e dall’astrazione: prima coi suoi studi sui soldati italiani e poi con l’esame dei detenuti nelle carceri
italiane, egli raccolse del materiale relativo all’esame del cranio di noti briganti italiani. Per quanto fosse
fedele ai fatti però il suo stile e il suo indirizzo fondamentale per la soluzione dei problemi erano spesso
intuitivi e fantasiosi.
Sebbene l’immaginazione e l’ispirazione siano elementi effettivamente indispensabili alla ricerca scientifica,
i lampi di intuizione da essi prodotti devono essere rigidamente controllati per evitare il pericolo che
inconsci pregiudizi portano a scoperte immaginarie e non giustificate dai fatti.
Lombroso è quindi criticabile perché non ha mai usato gruppi di controllo e quando lo fece si trattava di
gruppi iperselezionati e quindi non adeguati. Inoltre, appare che atavismo e degenerazione sono condizioni
in evidente contrasto soprattutto perché quest’ultima rappresenta un concetto strettamente legato alla
patologia. Infatti, il termine atavismo dovrebbe significare la comparsa in un individuo di tratti di altri tempi
rimasti latenti per generazioni e legati fortemente a fattori ereditari.
Nella terza edizione del suo libro riconobbe l’esistenza del delinquente pazzo e occasionale. Questo
delinquente fa riferimento alla pazzia morale che non è una sua idea originale: la recepisce infatti dalla
psichiatria francese e inglese per giustificare alcune condotte criminali che non possono essere spiegate
con l’atavismo. La pazzia morale gli consente di riallacciarsi alla tradizione medica europea.
Viene attribuita in genere a Pinel la prima descrizione del quadro clinico della mania senza delirio o
ragionante, caratterizzata da un comportamento crudele, immorale, a volte criminoso, non associato a
disturbi intellettivi.
D’altro canto, nel campo delle monomanie delineate da Esquirol veniva inclusa la varietà di mania senza
delirio, comprensiva di quei comportamenti qualificati nella nosografia attuale attraverso l’uso del suffisso
mania.
Orientamenti più restrittivi trovarono in Morel il più autorevole sostenitore: inquadrava la pazzia morale
nel più vasto campo della degenerazione, collocandola nella seconda classe delle pazzie ereditarie con la
definizione <delirio dei sentimenti e delle azioni con conservazione della facoltà intellettiva=.
Alla dottrina di Morel si ispirò Lombroso, il quale nella quarta edizione segnalò che la psicologia completava
quanto l’anatomia faceva intravedere e quindi propose la fusione dei delinquenti nati con i pazzi criminali,
sostenendo che l’identità completa tra il pazzo morale e il delinquente nato pone in pace per sempre un
dissidio che era continuo, fra moralisti, giuristi e psichiatri, dissidio in cui tutti avevano ragione perché da un
lato era giusta l’obiezione che i caratteri che si annettevano al pazzo morale erano quelli dei delinquenti
nati e viceversa.
Questa classificazione è stata contestata da Tolstoj in <Resurrezione=, in cui uno dei protagonisti, venendo
in contatto con detenuti, avvocati, cappellano e direttori delle prigioni, giunge alla conclusione che i
detenuti si dividevano in 5 categorie:
- Le persone innocenti, vittime di errori giudiziari, non erano molte ma richiedevano attenzioni
particolari
- Persone condannate per atti commessi in circostanze eccezionali come l’ira, la gelosia,
l’ubriachezza, atti che nelle medesime condizioni avrebbero commesso tutti quelli che li avevano
giudicati e puniti
- Persone punite per aver compiuto azioni secondo le loro mentalità comunissime, persino buone,
ma considerate reati secondo il modo di vedere degli uomini a loro estranei che avevano scritto le
leggi: commercianti abusivi, contrabbandieri
- Persone annoverate tra i criminali solo perché moralmente superiori al livello medio della società: i
settari, i polacchi, criminali politici, i socialisti e scioperanti
- Persone nei confronti dei quali la società era molto più colpevole di quanto loro stessi fossero nei
confronti della società: abbandonati, ladri e assassini, corrotti e anormali.
La società non era stata crudele direttamente con loro, ma anni prima con i loro genitori e antenati.
Il personaggio di Tolstoj si chiedeva il perché e con che diritto alcuni uomini torturano, deportano,
fustigano e uccidono altri, quando sono esattamente uguali a coloro che vengono uccidi, torturati,
deportati e fustigati.
Nel suo quarto libro Lombroso inserisce nuove analogie e differenze tra gli alienati e i delinquenti: la
ricchezza, l’increspatura dei capelli, la scarsezza della barca, il colore della pelle, l’obliquità degli occhi, la
piccolezza del cranio, lo sviluppo di zigomi e mandibola, la fronte sfuggente, il volume delle orecchie,
l’analogia fra i due sessi, la maggior apertura delle braccia sono le caratteristiche che avvicinano l’uomo
australe al criminale europeo; mentre lo strabismo, le asimmetrie craniche e le anomalie cerebrali e
cardiache ci additano nel reo un uomo anomalo prima di nascere, per arresto di sviluppo di vari organi.
Il Lombroso ricerca con insistenza quei caratteri che possono far collimare le risultanze delle indagini
necroscopiche con l’osservazione diretta degli esseri viventi essendo sempre polarizzato alla ricerca di quei
caratteri distintivi tipi del delinquente nato.
L’attività accademica, scientifica, organizzativa e politica del Lombroso è notevole ed è stata oggetto di
studi, ricerche e pubblicazioni.
Fece studi sulla pellagra che c’era nei manicomi, e dopo molte polemiche, riuscì ad ottenere il
riconoscimento che il mais avariato di cui si nutrivano era dannoso per la salute.
Partecipò e organizzò congressi, diffondendo le sue dottrine e i suoi orientamenti, aderì al partito socialista
e fu uno dei primi consiglieri del partito di Torino.
<La donna delinquente, la prostituta e la donna normale=: in questa sua pubblicazione afferma che la
prostituzione della donna è l’equivalente della criminalità dell’uomo. Consapevole della poca
partecipazione delle donne ai delitti affermava che se la prostituzione venisse compresa nelle statistiche del
delitto, la criminalità dei due sessi sarebbe uguale.
Egli, in questa affermazione, individua nella prostituzione un fenomeno atavico e una manifestazione
criminale, confronta categorie giuridiche e categorie immorali dando un’enfasi ingiustificata all’aspetto
biologico trascurando tutte le altre situazioni che influenzano il comportamento umano.
Lombroso è avaro di notizie sulla loro socializzazione primaria, sulla loro origine famigliare e sociale, sulle
prime esperienze extrafamiliare, sulle condizioni economiche e politiche oggettive dei loro ambienti
originari. Si limita a riportare dichiarazioni riprese da giornali, qualche frammento di lettera, una frase detta
al patibolo, qualche descrizione della condotta in carcere, generalmente nelle ultime ore prima
dell’esecuzione.
Lombroso salva gli anarchici senza averli mai compresi, mediante la concessione ad essi di una totale
infermità mentale. Per Lombroso il compito della teoria è quello di identificare i tipi di delinquenti e di
classificare le forze che li producono, nella sua opera <gli anarchici= manca il tentativo di dedurre il
comportamento di un dato individuo alla totalità dei fatti socio-psico-biologici che esistono nello spazio di
vita in un determinato momento.
Lombroso non arrivò mai ad ammettere l’esistenza di un delinquente normale e non giunse a fissare le basi
del ragionamento scientifico, passando dalla consapevolezza del problema, alla formulazione delle ipotesi
esplicative e quindi alle operazioni di verifica delle ipotesi stesse.
A lui va senz’altro il merito di aver dato impulso allo studio del delinquente, affrontava però i problemi
scientifici con disinvoltura definita leggendaria e veniva folgorato da improvvise intuizioni e forti
illuminazioni. Per cui si dava da fare per raccogliere quanti più dati poteva per sostenere le sue tesi.
Esiste una distinzione fondamentale tra SCUOLA POSITIVA e SCUOLA CLASSICA: quest’ultima, sviluppatasi
nell’ambiente socioculturale dell’illuminismo, rivolge la propria attenzione ai presupposti razionali della
punibilità e, muovendo dal principio del libero arbitrio, cioè dell’uomo libero nella scelta dei propri
comportamenti, considera il soggetto responsabile delle proprie azioni poiché il reato è una violazione
cosciente e volontaria della norma penale. Mentre, per la SCUOLA POSITIVA che si sviluppa nel 19 secolo in
opposizione al razionalismo illuministico, il delitto appare una scelta obbligata per via di determinare cause,
quindi non una scelta libera e responsabile da parte del soggetto.
Idea fondamentale di Ferri: l’uomo non può commettere un delitto se non vive in una società con altri
uomini, perciò il DELITTO è un FENOMENO DI VITA SOCIALE, anche se è da considerarsi una manifestazione
patologica anormale, contraria alle condizioni di esistenza e di sviluppo. Il delitto, quindi, non è un
fenomeno naturale impersonale, come il fulmine o il terremoto, ma è sempre l’azione di un uomo, ed è
l’espressione catastrofica di una personalità umana.
Ferri veniva criticato da Lombroso e Garofalo, seppur egli considerasse che il loro campo di indagine era
troppo limitato.
Inoltre, veniva criticato dalla scuola classica, che vedeva nella sua concezione dell’uomo che delinque un
pericolo per la fede e una diminuzione della personalità. Ferri disse che voleva applicare il metodo positivo
alle scienze criminologiche, separando la Scienza dalla Fede, dal libero arbitrio, dalla teologia, tenendo in
considerazione solo i fatti.
- FATTORI ANTROPOLOGICI: costituzione organica del delinquente (anomalie organiche del cranio e
del cervello, della sensibilità, dell’attività riflessa e di tutti i caratteri somatici in genere);
costituzione psichica (anormalità dell’intelligenza e dei sentimenti); caratteri personali del
delinquente (condizioni biologiche quali razza, età, sesso e le condizioni biologico-sociali quali lo
stato civile, la professione, il domicilio, la classe sociale, l’istruzione e l’educazione)
- FATTORI FISICI O COSMO-TELLURICI: quelli propri dell’ambiente fisico quali il clima, temperatura
annuale, stagioni, natura del suolo, produzione agricola, le condizioni meteoriche
- FATTORI SOCIALI: risultanti dall’ambiente sociale in cui vive il delinquente e comprendenti la
densità di popolazione, l’opinione pubblica, la religione, la famiglia, la cultura, l’alcoolismo,
costumi, l’educazione, leggi civili e quelle penali, l’assetto economico-politico.
Talvolta è il fattore biologico (degenerazione, atavismo, follia) che esercita un’influenza maggiore, talvolta
quello fisico (clima, temperatura) o quello sociale (ordinamento collettivo, usi, costumi, educazione, stato
di civiltà e progresso).
Accertate le cause del delitto, occorreva poi determinare la correlazione con la penalità. La pena non
sempre esercita la sua efficacia nel delitto, non è sempre valida nel far diminuire il livello di criminalità in
determinate epoche/ ambienti sociali, nei quali si verifica un fenomeno che egli definisce di saturazione
criminosa: in un dato ambiente sociale, con date condizioni individuali e fisiche, si commette un
determinato numero di reati. LEGGE DI DETERMINAZIONE NATURALE: ogni ambiente sociale, in un
particolare momento storico, è stato contraddistinto da una data forma e quantità di delitti; per eliminare i
quali non sarebbero state utili le pene scritte nei codici quanto piuttosto l’eliminazione o la diminuzione
delle cause che spingono a commettere delitti.
La TEORIA DEI SOSTITUTIVI PENALI acquisita quindi per Ferri la più completa estensione coi numerosi
rimedi di ordine fisico, giuridico, pedagogico e sociale: egli, attribuendo alla prevenzione un carattere molto
più utile della repressione.
La difesa sociale si realizza principalmente eliminando le cause che possono condurre al delitto il problema
della prevenzione della criminalità arriverà ad assumere il valore di ricerca storico-scientifica e di azione
sperimentale (obiettivo principale: prevenzione condotte antisociali grazie alla modificazione delle
condizioni sociali che le favoriscono).
Per questi motivi sentì la necessità di una sistemazione integrale del diritto penale così che al valore
diagnostico del reato (teoria sintomatologica) si aggiunse la teoria della responsabilità sociale (legale): nella
ricerca dei limiti della responsabilità è necessario studiare il delitto nelle sue cause individuali e ambientali
affinché anche lo Stato, nella sua opera di prevenzione, possa apprestare i rimedi efficaci per contrastare la
criminalità.
Ferri affronta i nodi problematici di ogni teoria della giustizia, interrogandosi sul ruolo svolto dalle risorse
oggettive ma anche dalle percezioni, rappresentazioni e valutazioni della situazione. Ferri si contraddistinse
come simbolo di giustizia e difensore dei più deboli nel Processo di Venezia del 1886, in cui assunse la
difesa dei contadini mantovani, accusati di eccitamento alla guerra civile: egli pose evidenza sul fatto che la
loro attività fosse prodotto necessario delle loro condizioni economiche e morali di esistenza e perciò non
doveva essere punita. La dimensione territoriale diviene un elemento discriminante per la realizzazione e la
tutela dei diritti: si pone come tramite fra l’individuo nella sua singolarità e l’individuo come elemento di
quell’insieme complesso che è la società.
Secondo Ferri un ottimo antidoto contro vendette, soprusi e abusi sarebbe stato quello di obbligare i
delinquenti a risarcire il danno recato alle vittime. Tale risarcimento avrebbe dovuto essere imposto dallo
Stato, al pari della pena. Questa proposta di risarcimento proposta dalla scuola positiva possiede il
carattere dell’individualismo perché non è a vantaggio della società, ma degli individui danneggiati.
L’individuo di Ferri è quindi un soggetto eminentemente sociale poiché è solo nella società che egli può
essere riconosciuto come tale.
Nel tentativo di dimostrare che la scuola positiva intendeva reagire all’eccessivo individualismo della scuola
classica e riaffermare i diritti della società nella prevenzione e repressione del crimine, sottolineò
l’opportunità del delinquente a risarcire il danno. Risarcimento garantito dallo Stato e al pari della pena. Il
risarcimento, tuttavia, possiede un carattere d’individualismo poiché non sono a vantaggio della società
bensì degli individui danneggiati dal delitto. Ferri afferma l’individualismo incompleto della scuola classico
circoscritto all’individuo delinquente e non all’individuo vittima.
Garofalo, seppur scoprì inadeguatezze nell’idea di Lombroso e Ferri, sviluppò l’altra concezione principale:
L’ANOMALIA MORALE E PSICHICA DEL DELINQUENTE.
La sua opera più importante è CRIMINOLOGIA, in cui afferma che il delinquente è stato di recente studiato
dai naturalisti che però non avevano definito il delitto.
Ponendo alcuni esempi (omicidio per sola brutalità è molto comune in Malesia e Africa centrale;
cannibalismo per ghiottoneria era sperso in tutta la Polinesia), Garofalo esclude la possibilità di redigere un
catalogo di fatti universalmente puniti, perciò esige un cambiamento di metodo: abbandonare l’analisi delle
azioni e sostituirla con l’ANALISI DEI SENTIMENTI. Infatti, nel delitto vi è sempre la lesione dei sentimenti
radicati nell’animo dell’uomo, i quali formano il senso morale di un’aggregazione.
- Le AGGRESSIONI ALLA VITA delle persone e tutti quegli ATTI che tendono a PRODURRE un MALE
FISICO come mutilazioni, ferite, malattie cagionate volontariamente, sevizie, eccesso di lavoro
posto ai fanciulli, il lavoro che può danneggiare la loro salute o arresto dello sviluppo del corpo
- Gli ATTI FISICI che producono MALE FISICO E MORALE (violazione della libertà individuale per uno
scopo egoistico): deflorazione (rottura dell’imene), ratto senza consenso (rubare), sequestro
arbitrario di persona
- Gli ATTI che con un mezzo diretto producono un DOLORE MORALE: calunnia, diffamazione,
seduzione con inganno.
- ASSASSINI: sono al vertice della scala della criminalità. Hanno gli elementi antropologici e
psicologici delineati da Lombroso: sguardo vitreo, freddo e naso aquiliano o voluminoso.
- LADRI: presentano anomalie craniche atipiche. Inoltre, sono coloro che hanno una deficienza di
proibità.
- VIOLENTI: sono autori di crimini contro le persone. Hanno un senso inferiore di pietà.
Garofalo, pur essendo tra i fondatori della scuola positiva, si differenziò dai colleghi, specie dal Lombroso,
per la maggior cautela mostrata nell’accettare una singola specie atavistica e per la maggiore omogeneità
nella classificazione dei delinquenti basandosi sul grado di predisposizione di ciascun delinquente al
crimine; questo gli valse il merito di aver centrato il programma positivista di riforma penale sulle misure di
pericolosità. Nella sua idea di criminale era tale ogni comportamento che l’intera opinione pubblica
avrebbe censurato.
Più netta la sua posizione sulle sanzioni penali, Garofalo si schierò, a differenza dei colleghi, a favore della
pena di morte per i delinquenti più efferati, i quali erano ritenuti affetti da una immoralità permanente e
per tanto immeritevoli di pietà alcuna. La presenza di anomalie minori, invece, permetteva l’irrogazione di
misure adeguate al grado di infermità; per cui Garofalo suggeriva l’internamento in colonie agricole isolate
per i criminali pericolosi, pur mostrandosi scettico verso un loro pieno recupero: a suo avviso, infatti,
questo era possibile solo per i bambini. In caso di anomalie temporanee, come potevano essere la pazzia e
l’alcolismo, l’isolamento avveniva in strutture mediche per il tempo necessario alla guarigione. Per i rei
meno pericolosi socialmente era sufficiente un’ammenda o un lavoro socialmente utile, nel loro caso
l’internamento nella prigione avrebbe potuto degradare la loro condizione.
Goring si opponeva a Lombroso in quanto egli sosteneva che non esisteva un tipo fisico chiaramente
criminale. Egli credeva, inoltre, che uno stato difettuale di mente, associato a scadenti condizioni fisiche,
determinasse la personalità del criminale. Trovò alcune misure di inferiorità nella natura e nel peso
corporeo della sua popolazione criminale che egli attribuì alla natura ereditaria della criminalità stessa.
La diatesi criminale è l’ipotesi della possibile esistenza di un carattere mentale, morale o fisico, abbastanza
potente da determinare persino l’inevitabile fatalità della carcerazione.
Hooton favorevole al Lombroso e criticava fortemente Goring. I suoi studi lo portarono a concludere che
tipi diversi di criminali hanno tendenza ad essere diversi anche sul piano antropometrico e che i criminali
come i gruppi sono degenerati moralmente, intellettualmente e geneticamente se paragonati ai civili. Egli
giunse, inoltre, alla conclusione, per lui logica, che l’unico modo di attaccare decisamente il reato fosse
l’EUGENETICA, ovvero il controllo sociale della riproduzione.
Nell’ambito del positivismo biologico si colloca il contributo di William Sheldon che ha elaborato i tre TIPI
FISICI. La tipologia dello Sheldon sui tipi fisici è basata sulla predominanza relativa dei visceri, delle ossa e
dei muscoli, del tessuto nervoso e cutaneo:
Sheldon giunse alla conclusione che anche se la mesomorfia non produceva necessariamente la
delinquenza, era, tuttavia, lo sfondo costituzionale più favorevole alla delinquenza stessa. I mesomorfi non
sono necessariamente delinquenti e criminali e se sono intelligenti e inseriti in situazioni positivi possono
orientare le loro tendenze predatorie verso mete positive.
6. LA SINDROME CROMOSOMICA
Nell’ambito delle teorie bio-antropologiche va collocata la teoria fondata sulla cosiddetta sindrome
cromosomica XYX, legata alla tendenza di studio di biologi positivisti, che considerano i detenuti come
generalmente rappresentativi del criminale potenziale o effettivo e non una espressione di una severa
selezione, non rappresentativa di coloro che commettono crimini e che potenzialmente possono essere
arrestati, detenuti o internati negli istituti penitenziari.
All’inizio degli anni 60 è stata pubblicizzata una teoria genetica della criminalità che tentava di stabilire la
connessione tra il possesso del corredo cromosomico XYX e la criminalità. La sindrome prende il nome da
Harry Klinefelter che la descrisse per primo nel 1942.
Seppure in un numero limitato di casi fu rilevata la presenza di un cromosoma Y in più in criminali di sesso
maschile. Anziché la normale coppia di cromosomi sessuali XY, questi individui erano forniti di un corredo
cromosomico XYX. Queste persone dotate di statura superiore al normale, d’intelligenza inferiore alla
media e di comportamento spesso violento. Da qui è derivata la convinzione che l’anomalia cromosomica
potesse essere considerata la base genetica della condotta violenta.
In realtà, dal punto di vista del metodo scientifico, questi studi erano viziati (è stato utilizzato un campione
non adeguato).
PRICE e WHATMORE fecero uno studio e descrissero i maschi XYX come instabili e immaturi, senza
sensibilità o rimorso, e mostravano una marcata tendenza a commettere nuovi delitti contro la proprietà,
apparentemente senza alcun motivo.
Sheldon e Eleanor Glueck cercano di verificare il rapporto esistente tra i tipi somatici e la delinquenza,
particolarmente quella giovanile.
I Glueck attribuiscono importanza e valore ad una molteplicità di fattori, alcuni di natura biologica ed altri di
origine sociale e culturale, i quali agiscono in combinazioni multiformi, tanto da far intravedere come vano
lo sforzo di individuare un processo tipico di causazione della criminalità e di costruire quindi una teoria
unitaria nella genesi delle condotte criminali.
Nella loro prima indagine, i Glueck, tendevano a determinare l’efficacia del trattamento riformativo sia
durante la carcerazione che dopo. L’indagine rivelò che una percentuale molto alta di giovani delinquenti
continuava a perpetuare delitti nel periodo di cinque anni dopo la scarcerazione.
- Dal punto di vista TEMPERAMENTALE, per il fatto di essere energici, inquieti, estroversi, aggressivi,
distruttivi
- Nell’ATTEGGIAMENTO, per essere ostili, sprezzanti, pieni di risentimento, sospettosi, testardi,
socialmente autoritari, non sottomessi all’autorità
- PSICOLOGICAMENTE, per tendenza all’espressione intellettuale diretta e concreta, piuttosto che
simbolica, e per essere meno metodici nel loro modo di affrontare i problemi
- SOCIO-CULTURALMENTE, per essere stati educati in grado molto più elevato del gruppo di
controllo, in nuclei familiari di poca comprensione e scarso affetto.
In generale l’elevata probabilità di delinquenza dipende dall’azione reciproca delle condizioni e dei fattori
da tutte queste aree.
8. LE FAMIGLIE CRIMINALI
La letteratura americana alla fine del XIX secolo si caratterizzò per lo studio dell’ereditarietà del delitto
attraverso le cosiddette famiglie criminali.
Negli USA, vennero pubblicati due studi analoghi di genealogie criminali, ma si trattava di studi
sull’ereditarietà della debolezza mentale piuttosto che nel delitto. Nel caos di queste ricerche non si sono
ottenute prove significative, soprattutto perché le famiglie scelte non erano rappresentative ed il materiale
raccolto appariva incompleto e non obiettivo.
FRANZ EXNER: la comprensione criminologica si muove su due poli DISPOSIZIONE e AMBIENTE. Insieme
formano un’unità indistruttibile. Poiché la DISPOSIZIONE giunge alla sua vera importanza quando si sviluppa
mediante gli AVVENIMENTI AMBIENTALI.
In questo modo divengono quattro i punti che esigono l’attenzione del criminologo, quattro elementi
attraverso i quali egli deve rendere comprensibile il delitto:
Tale prospettiva si raccorda a quello di Lewin: attenzione all’indagine dei fatti posti in relazione tra persona
e ambiente ad un dato momento.
Exner afferma che dal comportamento di una persona non si può mai con sicurezza dedurre la sua
ereditarietà; così devono essere cercate ulteriori fonti di nozioni.
Sono stati applicati tre metodi di ricerca della ereditarietà nella biologica criminale, che corrispondono
esattamente a quelli della biologia medica dell’ereditarietà:
- ESAME DEGLI ALBERI GENEALOGICI DEI DELINQUENTI: sono singoli casi scelti la cui unicità non
consentiva di generalizzare le conclusioni
- RICERCA STATISTICA DELLA PARENTELA, procede in due modi: 1. Da un gruppo di delinquenti, si
esamina se nella loro discendenza o altra parentela si siano verificate anormalità che possono
indicare una <tara ereditaria= 2. Da un gruppo di anormali, si esamina se nella loro discendenza o
parentela, si verifichino o meno crimini.
- RICERCA DEI GEMELLI, considerato il più significativo. Si basa sul procedimento che prende in
considerazione GEMELLI MONOVULARI (si originano dalla fecondazione di un solo uovo, sono
ereditariamente uguali poiché nati dalla divisione in due di un uovo dopo la fertilizzazione, portano
la stessa serie di geni) e BIOVULARI (provenendo da due uova separate, portano serie separate di
geni). Parve lecito supporre che i gemelli identici potessero fornire un materiale ideale per la
ricerca dell’eziologia del delitto.
Il primo importante studio sui gemelli identici fu effettuato da Lange che studiò 30 coppie di
gemelli, riscontrando che tra i monovulari 10 coppie concordanti, cioè caratterizzate dal fatto che
ambedue i fratelli gemelli avevano riportato condanne, mentre solo 3 coppie erano discordanti,
cioè fra costoro solo uno dei fratelli aveva subito condanne. Per quanto riguarda i gemelli biovulari,
2 furono concordanti e 15 discordanti.
Questi dati sono stati citati come esempio dell’importanza dei fattori ereditari per quanto riguarda
l’eziologia del delitto.
Exner afferma che fra le cause del delitto la qualità dell’ereditarietà ha un ruolo eminente, poiché
trovarono fra i gemelli identici una concordanza assai maggiore che non fra i gemelli fraterni.
Sutherland e Cressey concludono che si possono fare due considerazioni positive ed una negativa,
in merito ai rapporti tra ereditarietà e delitto:
1. i delinquenti, come tutti gli esseri umani, hanno alcuni tratti ereditari (positiva)
2. alcune caratteristiche ereditarie possono avere rapporti con il comportamento criminale
(positiva)
3. finora non è stato dimostrato che l’eredità abbia un qualsiasi rapporto con il comportamento
criminale. Infatti, come altri indirizzi biologici gli studi sui gemelli si basano su costrutti neo-
lombrosiani e la loro validità è fortemente dubbia (negativa)
In conclusione, la maggior parte dei ricercatori sui gemelli ha ammesso che è erroneo formulare il problema
in termini di eredità o ambiente, poiché semplifica troppo una realtà molto complessa. Difficoltà di non
trarre conclusioni ambigue sull’ereditarietà dei gemelli.
Ne <Crimine e personalità=, l’autore Eysenck precisa che il suo intento originale era quello di elaborare una
teoria della condotta antisociale, di metterla in relazione con la personalità e di indicare alcuni fattori
biologici sottesi sia alla personalità che alla criminalità.
1. Ci sono numerosi elementi di prova per sostenere che esistono importanti fattori genetici interagenti con
le forze dell’ambiente
2. Le prove di una correlazione tra criminalità e personalità sono connesse agli studi riguardanti ragazzi
controllati a distanza, e dimostrano che è possibile predire la futura delinquenza con notevole successo in
base ai giudizi espressi su ragazzi molto giovani
3. è stato dimostrato che i tratti della personalità implicati nella delinquenza sono anch’essi fortemente
determinati da fattori genetici
4. Sono state effettuate molte indagini sulle cause biologiche delle differenze di personalità e della
condotta psicopatica e criminale
5. Si è visto che indigenza, abitazioni malsane, ineguaglianza sociale contribuiscono in misura relativamente
modesta alle differenze individuali osservate nella condotta antisociale e nel comportamento criminale
6. Sia la neurosi che la criminalità possono essere comprese in termini di principi di condizionamento
L’ipotesi di Eysenck era legata alla credenza secondo la quale il comportamento criminale viene commesso
da persone che nascono criminali, per cui, comunque intervenga la società, queste persone finiranno con il
commettere atti criminosi perché portano appunto impresso il <marchio di Caino=. Gli studi effettuati
hanno quindi dimostrato che l’ereditarietà è un fattore di forte predisposizione per quanto riguarda il
crimine, ma hanno anche aggiunto che il modo in cui il crimine viene realmente commesso e l’eventuale
arresto e punizione del colpevole sono cose ovviamente soggette alle mutevoli vicissitudini della vita
quotidiana. È solo in relazione alla società che il concetto di criminalità e di predisposizione al crimine
acquista significato.
Eysenck affronta l’argomento <crimine e condizionamento= ed elabora la sua ipotesi teorica interessandosi
della dimensione estroversione-introversione e, sostenendo che la personalità, condizionamento e
criminalità sono in relazione tra loro. E rileva che i fattori della personalità ereditati, sono responsabili del
comportamento antisociale. La povertà e l’ineguaglianza sociale fanno cadere nel crimine, l’aumento della
povertà e dell’ineguaglianza sociale aumentano anch’essi i tassi del crimine.
Gli studi in proposito sentono limiti metodologici inerenti soprattutto al fatto di essere focalizzati
sull’azione dei singoli geni, mentre quello dell’aggressività risulta dipendente da un elevato numero di geni
il cui singolo contributo è espressione di quella continuità del rischio genetico che si estende dalla
normalità fino alla franca patologia. In particolare, è stato analizzato il ruolo del sistema serotonergico,
caratterizzato dalla prevalenza di cellule ovvero da neuroni che impiegano la serotonina. Ritenuto uno dei
principali regolatori dei comportamenti impulsivo-aggressivo soprattutto in relazione a quella particolare
forma di aggressività definita offensiva o proattiva (identificate due forme di aggressività: difensiva o
reattiva e offensiva o proattiva; la prima di proteggere se stessi e la propria prole, la seconda correlata
all’impulsività e all’attività predatoria). L’ipotesi è che una riduzione della trasmissione serotonergica
cerebrale possa determinare un incremento dei comportamenti impulsivo-aggressivo. Il ripetersi di
esperienza violente sembra produrre progressive modificazioni plastiche delle cellule serotoninergiche del
rafe, con alterazione della trasmissione nervosa particolarmente nella corteccia presofrontale.
Un importante ruolo della regolazione dei comportamenti aggressivi sembra anche quello svolto da enzimi.
Inoltre, alcuni studi hanno evidenziato come ridotti livelli di cortisolo salivare siano correlati a una diminuita
sensibilità emozionale e ad una maggiore esternazione comportamentale allo stress con condotte di tipo
antisociale come in giovani adolescenti. Aggressività e impulsività rappresentano modalità
comportamentali complesse, frutto di un’interazione gene-ambientale, per cui la variabile genetica non
potrebbe influire sul rischio di comportamenti aggressivi in soggetti non esposti al fattore ambientale.
Comportamenti violenti ed antisociali trovano spesso un terreno favorente nel periodo adolescenziale.
Modificare atteggiamenti delinquenziali in giovane età potrebbe avere un risvolto positivo sul benessere
della società. A tal proposito si è cercato di identificare i fattori criminogenetici all’origine della devianza
giovanile.
NEUROPSICOLOGIA FORENSE: disciplina secondo cui il comportamento criminale può essere compreso e
spiegato anche da fattori prettamente neuronali, ha iniziato a rivolgere particolare attenzione al fatto che
la morfologia e funzionalità neuronale, essendo graduate dall’età, possano essere in grado di spiegare la
facilità per cui l’adolescenza possa essere particolarmente a rischio di condotte aggressive criminali.
Già le osservazioni di Harlow, che riporta un caso in cui un operaio a causa di un incidente sul lavoro veniva
colpito da una sbarra di ferro che gli penetrava a livello della mascella e gli usciva dal capo, distruggendo il
lobo frontale di sinistra. Pur sopravvivendo al terribile trauma, l’uomo mostrava una progressiva
alterazione della personalità, per cui da persona conosciuta per la serietà e affidabilità si trasformava in un
soggetto inaffidabile dedito all’alcol. Hanno evidenziato come disfunzione a livello della corteccia
orbitofrontale mediale si associano ad una minore capacità di riflettere sulle proprie azioni e a gestire i
sentimenti aggressivi fino alla possibilità di mettere in atto comportamenti violenti. Studi empirici hanno
dimostrato che negli adulti la corteccia prefrontale agisce direttamente sul controllo e sull’interpretazione
delle emozioni che prevengono dal sistema limbico; negli adolescenti invece poiché la struttura frontale
non ha ancora raggiunto lo sviluppo completo tale da modulare le reazioni emotive si crea una situazione
neurofisiologica in cui il cervello risulta estremamente sensibile alle influenze comportamentali da parte del
sistema limbico e dell’amigdala, regioni associate agli impulsi e all’aggressività. In particolare, nel periodo
adolescenziale si assiste ad un’intensa accelerazione della perdita di densità della sostanza grigia, fino
all’età adulta seguono processi di mielinizzazione, che va a riempire gli spazi emersi dalla riduzione della
densità sinaptica. Una particolare tendenza a mettere in atto comportamenti impulsivi e violenti
troverebbe negli adolescenti in correlato biologico, per la presenza di una struttura cerebrale frontale non
ancora completamente sviluppata, maturata. Tenderebbero ad essere più instabili.
La teoria di Bowlbly, la natura del legame affettivo fra il bambino e i propri genitori è in grado di strutturare
specifici stili che vanno a costituire la matrice, la modalità di interazione del soggetto con il mondo esterno
e con gli eventi. In particolare, sono stati identificati quattro principali modelli operativi interni denominati:
SICURO, INSICURO EVITANTE, INSICURO RESISTENTE, DISORGANIZZATO DISORIENTATO.
Sono state recentemente confermate da uno studio che ha evidenziato una corrispondenza significativa fra
traumi precoci alterazioni neurobiologiche, evidenziano come le persone esposte a traumi da bambini non
soffrono solo sul piano psicologico ma subiscono una reale alterazione a livello cerebrale.
L’ipotesi di Cloninger è che vi siano tre dimensioni di personalità geneticamente indipendenti che
permettono di predire la risposta adattiva del soggetto agli stimoli ambientali definiti:
- NOVELTY SEEKING che identifica una tendenza ereditaria alla ricerca della novità
- HARM AVOIDANCE caratterizzata da una disposizione all’inibizione per evitare situazioni di pericolo
- REWARD DEPENDENCE che si connota per una propensione a rispondere intensamente a stimoli
gratificanti.
Successivamente hanno distinto dalla reward dipendence una quarta dimensione temperamentale:
PERSISTENCE INDICATE, la tendenza alla perseverazione.
6. TEORIE PSICODINAMICHE
Le tipologie di personalità si basano su schemi di riferimento orientati sulla risposta. Fra le più note
tipologie c’è quella di CARL JUNG che comprende due ampie categorie: estroverso e introverso. Un’altra
tipologia può essere quella di FREUD che concepì i tipi in rapporto alla sua teoria dello sviluppo
psicosessuale, distinti secondo mezzi principali di soddisfazione sessuale.
Tutte le diverse teorie sulla personalità possono essere raggruppate anche sotto schemi di riferimento nei
quali, per ogni evento psicologico, sono presenti tre componenti:
Negli schemi di riferimento si pone in rilievo l’aspetto risposta dell’analisi S-O-R ed è l’apprendimento per
associazione stimolo-risposta che polarizza l’attenzione sul come si acquisiscano le abitudini di risposta.
1. IL CONCETTO DI PERSONALITà
L’ethos è strettamente correlato all’enunciazione. Ne deriva che l’immagine prestabilita condiziona l’ethos
nel discorso.
A questo punto è fondamentale richiamare la nozione di stereotipo che svolge un ruolo essenziale nella
messa a punto dell’ethos. Lo stereotipo è quell’operazione che consiste nel pensare il reale attraverso una
rappresentazione culturale preesistente, uno schema collettivo fisso.
Uno dei rischi è l’emergere di uno scarto tra ciò che è la nozione di identità per noi stessi e la nozione di
identità per gli altri, quando insomma non si realizza una interpretazione condivisa dei dati.
Da qui il gioco dell’identità che si realizza attraverso l’ambiguità risultante dall’essere o dall’avere.
La scuola di Paolo Alto ha sottolineato che la definizione che il soggetto da di sé può essere oggetto di tre
atteggiamenti diversi da parte dell’altro:
FREUD scoprì che alcuni soggetti compivano atti proibiti solo perché erano tali e perché il loro compimento
era accompagnato da un sollievo mentale del soggetto. Questo soffriva di un opprimente senso di colpa di
cui egli non conosceva l’origine e dopo aver commesso il misfatto questa oppressione era lenita.
Il senso di colpa esisteva già prima del delitto e non successivamente. Perciò Freud definì questi CRIMINALI
PER SENSO DI COLPA.
Il lavoro analitico dimostrava che questo oscuro senso di colpa deriva dal COMPLESSO DI EDIPO ed era una
reazione ai due grandi desideri criminali di uccidere il padre e di avere rapporti sessuali con la madre.
Il senso di colpa nasce come risultato dal conflitto tra super-io e desideri aggressivi e sessuali infantili e la
sua origine si fa risalire al complesso edipico.
Questa tesi di Freud si collega ad un tabù universale nei riguardi dell’incesto, un tabù che in accordo con la
teoria del complesso di Edipo pone Freud in una posizione molto vicina al polo biologico.
TROMBI esamina le contraddizioni tra i due differenti aspetti della concezione Freudiana:
- Freud sostiene che il soggetto si senta in colpa a causa dei suoi desideri criminosi relativi ai conflitti
edipici, ma soggiunge anche che questi desideri restano inconsci, tanto è vero che il soggetto non
sa a che cosa attribuire il proprio tormento. Il senso di colpa però permane e questa presenza
costituisce per l’individuo un atto di accusa. Pertanto, l’autore di un crimine per tentare di superare
un opprimente sentimento di colpa commette un crimine reale sul quale appunto trasferirlo.
- Nella seconda parte del testo Freud, parlando dei bambini osserva come non di rado essi diventano
cattivi per provocare la punizione e che dopo essere stati castigati si tranquillizzano; osservando più
attentamente si riesce a scoprire che questi bambini soffrono di intensi sensi di colpa. Tali sensi di
colpa li inducono alla ricerca di punizioni. Freud spinge ad avanzare l’ipotesi che questa dinamica
possa spiegare non solo le cattiverie dei bambini, ma anche la maggior parte dei casi di delinquenza
degli adulti, sostenendo che il comportamento criminale tende proprio ad ottenere una punizione.
REIK nei suoi studi pone in rilievo la questione dell’impulso irresistibile a confessare. Lui sostiene che esiste
da parte del criminale il tentativo di allontanare dalla propria persona qualsiasi sospetto, di cancellare ogni
traccia del delitto, ma vi è anche l’impulso di far conoscere il proprio segreto a tutti o di confidarlo ad una
persona per liberarsi dall’orribile peso.
Reik condivide la tesi di Freud riguardante i criminali per senso di colpa e ribadisce che la criminologia si
servirà delle idee e dei metodi analitici molto più di quanto abbia fatto in passato, ricorrendo alle forme di
espressione della nascosta coazione a confessare.
Inoltre, Reik ribadisce che l’impulso a confessare può essere nascosto dietro a casi di dimenticanza e di
trascuratezza ed a tal proposito espone alcuni efficaci esempi (un criminale lascia sulla scena del crimine un
oggetto che lo condannerà: questo errore è un atto inconscio di autoaccusa). La coazione e l’inconscio
bisogno di punizione sono strettamente connessi fra loro e pongono in evidenza molte questioni collegabili
alla giustizia, che si possono riflettere sulle sentenze e sull’individuazione della pena.
In un altro testo Reik sottolinea come alcuni criminali si puniscano da sé, e che a volte un suicidio è
l’espressine di un delitto. La base psicologica del castigo nascerà dall’indagine della sensazione di colpa
preesistente, un’indagine per la quale dobbiamo essere grati a Freud. Egli pone il senso di colpa più
esplicitamente in rapporto a quello che egli chiama il bisogno inconscio di punizione che è stato la spinta
verso l’atto proibito. Sappiamo di poter trovare nel complesso di Edipo le radici di questa preesistente
sensazione di colpa. Quindi se ciò che concretamente arreca sollievo è la punizione, per ottenerla il
criminale tenderà a farsi scoprire, a porsi nella prospettiva di involontaria autoaccusa.
La fragilità del destino umano si collega ai progressi della civiltà tecnologica ponendo in evidenza il rischio
che l’uomo riesca a dominarli e a porvi ordine, per cui l’individuo può trovarsi in difficoltà e non essere in
grado di risolvere i propri conflitti e quindi si rifugia nell’irrazionalità, trovandosi in difficoltà di fronte ai
problemi complessi che l’ambiente di vita pone. L’individuo si trova continuamente a lottare contro il peso
del sentimento di colpa per superare sensi di inferiorità e per raggiungere autonomia e sicurezza.
La nostra coscienza ci condanna a lottare continuamente contro il peso del senso di colpa.
S. LODOVICI. Lo psicoanalista criminologo non può esaminare il delinquente, il suo delitto senza fare
riferimento all’influenza del gruppo in cui vengono metabolizzati i valori morali. La condotta delinquenziale
diviene un sistema di partecipazione alla vita di gruppo da cui il delinquente si sente accettato. Come
condotta la si deve definire pseudo sociale. Là dove il sentimento di colpa allo stato puro crea le condizioni
per il delitto autopunitivo.
In uno studio dedicato alla criminogenesi D. Lagache così descrive il processo criminogeno:
- Il primo momento del processo consiste nel ritirarsi da un settore specifico della realtà
rappresentato dai genitori dei valori parentali. Il bambino frustrato invece di amare i genitori li odia
e li rappresenta come figure aggressive.
- Il secondo momento il soggetto cerca di realizzarsi secondo la modalità delle identificazioni
deformate che hanno presieduto alla sua formazione.
FRANZ ALEXANDER e HUGO STAUB hanno ritenuto opportuno costruire una diagnostica criminale fondata
sull’accertamento del grado di partecipazione dell’io cosciente e dell’inconscio al fatto criminoso, non nega
l’esistenza di delinquente normale detto anche delinquente genuino. Il delinquente normale riguarda un
argomento con cui si fa riferimento a una diagnostica criminale psicoanalitica, in cui inseriscono anche le
azioni criminose del delinquente normale. In particolare, distinguono:
- Le azioni criminose di soggetti della personalità criminale (criminalità cronica); costoro inclinano al
delitto perfetto delle strutture stesse del loro apparato psichico
- Azioni criminose di soggetti non criminali (criminalità accidentale).
I soggetti che rientrano nella delinquenza individuale giovanile sono secondo JOHNSON quelli con lacune
nel super-io, partendo dal presupposto che il comportamento antisociale sia determinato da un
contemporaneo incoraggiamento e sanzionamento del comportamento da parte dei genitori.
Johnson, infatti, parla di PROCESSO DI SODDISFAZIONE DEI GENITORI, che attraverso l’agire del figlio
soddisfano i loro impulsi proibiti, spesso sono loro stessi quelli con lacune nel super-io, che colmano
attraverso i figli.
Sostiene che l’eccessivo interesse da parte del genitore mentre il figlio racconta l’atto deviante, possa
indurre il bambino a pensare di compiacere il genitore e quindi vorrà rifarlo anche se andrà incontro ad una
punizione.
Questa trasmissione delle lacune del super-io si realizza attraverso due atteggiamenti educativi:
- ECCESSIVA PERMISSIVITà, che si maschera nei panni dell’amore e della dolcezza, trascurando di
condannare il fanciullo per i suoi primi atti antisociali
- ATTEGGIAMENTO DI OSTILITà E DI CONTROLLO INESISTENTE DEI GENITORI VERSO IL GIOVANI
FIGLIO fa capire a questi che essi non nutrono alcuna fiducia e da lui si attendono solo
comportamenti negativi.
I genitori influenzano fin dalla tenera età un figlio, facendo sì che questo si identifichi con quell’immagine
negativa che i genitori si fanno di lui.
L’evoluzione da pecora nera a criminale di professione si ripete spesso attraverso schemi che seguono
medesime linee e che si sviluppano attorno all’immagine del sé ideale.
Si parte dall’ipotesi secondo cui i genitori di un giovane delinquente hanno fatto capire a questi che in
effetti ci si aspetta che egli sarà un buono a nulla. Scoraggiato dalle preoccupazioni dei suoi genitori, un
ragazzo si troverà a dover scegliere tra una vita onesta ed una vita ai margini della società. Nel corso delle
successive esperienze sociali in ambiti diversi, il ragazzo avvierà progressivamente verso la seconda
alternativa, trovando anche altrove quella situazione sfavorevole che ha già conosciuto nell’ambito
familiare.
L’identificazione negativa lo spinge a comportarsi come era stato previsto dai genitori. Le punizioni ripetute
forniranno successive conferme al giovane della immagine negativa che si è fatto di sé e lo indurranno ad
agire verso quegli ambiti di comportamento negativo per i quali si sente predestinato.
Questo penoso sentimento di insufficienza può provocare un vivo desiderio di difesa. Il giovane non
ammetterà mai di sentirsi inferiore, dunque egli cercherà di identificarsi con l’immagine del duro, che
supera ed affronta tutto. Il giovane sentirà allora il bisogno di trovare un suo posto nel mondo e la sola via
nella quale potrà affermarsi è quella della delinquenza. Per il gioco delle ripetizioni compulsive, si
completerà l’opera, una volta il giovane, diventato adulto, avrà trovato in una condanna una conferma
ufficiale e pubblica della sua identità di delinquente.
Nelle interpretazioni della devianza e della criminalità esposte non deve essere trascurato il sentimento di
colpa.
Le tensioni criminali subentrano in certe condizioni sociali, culturali e familiari, in dati momenti della vita e
in situazioni particolari.
In questa prospettiva, va collocata la questione della TOSSICODIPENDENZA su cui bisogna distinguere tra
CONSUMATORI RICREATIVI e TOSSICODIPENDENTI PROFONDI.
La vera dipendenza è di ordine psicologico: è il tossicomane e non il tossico (la sostanza) che determina il
tipo di dipendenza. È possibile concepire diversi tipi di dipendenza dallo stesso prodotto in rapporto alle
strutture di personalità di chi ne fa uso.
Anche nell’ambito della tossicodipendenza occorre riportare in evidenza alcuni aspetti dello sviluppo della
personalità: il bambino deve staccarsi dalla madre e raggiungere un’identità. Se questo distacco non
avviene il bambino corre un rischio psicotico proiettato nell’adolescenza. Il caso del tossicomane è diverso:
egli ha intravisto la propria identità che però gli è sfuggita nel momento in cui iniziava a riconoscerla, così
che gli rimarrà una sorta di incompletezza. A questo proposito occorre far riferimento al sistema familiare
ed innanzitutto alla madre.
Attraverso la droga si cerca di colmare il vuoto che caratterizza il destino del tossicodipendente, il quale per
soddisfare la sua dipendenza potrà commettere reati e iniziare un percorso deviante criminale.
La devianza giovanile assume ampie crescenti e preoccupanti porzioni. Le teorie causali sono state
numerose e diverse e per ognuna di esse si possono fornire esempi in cui i comportamenti devianti sono
considerati la conseguenza di una deformazione inconscia della percezione del figlio da parte dei genitori.
L’assenza dei genitori può essere definita in vari modi, ma è sempre stata riconosciuta come una delle
cause principali di devianza e di diversi disturbi psicosomatici. La madre viene considerata maggior
responsabile di questa mancanza.
BOWLBY avvalorò l’ipotesi secondo cui lunghi periodi trascorsi nella prima infanzia in istituti o presso
famiglie sostitutive sarebbero causa di profondi disturbi della personalità tali da generare difficoltà nei
rapporti sociali, nel controllo delle pulsioni e anche limitazioni delle funzioni cognitive e percettive.
L’accettazione della tesi di Bowlby raggiunse la più ampia diffusione nel 1952, ricevendo in seguito
numerose critiche.
PRUGH e HARLOW misero in evidenza che lo stesso Bowlby ammise l’esistenza di quella che definì <carenza
parziale= dovuta a non soddisfacenti rapporti del bambino con la madre, ma che non tenne conto per
attirare l’attenzione sui casi di carenza completa. Questi due ritennero di dover studiare un certo numero di
casi clinici sulle relazioni che non comportano una separazione fisica tra i genitori e il bambino, bensì una
separazione o carenza affettiva. Perciò hanno creato due diverse categorie nei rapporti genitori-figli:
- RELAZIONE DEFORMATA: secondo cui il bambino assume per il genitore un significato specifico ma
deformato, il bambino non è considerato un individuo autonomo ma unicamente un essere fatto
per soddisfare e rispondere ai desideri e ai sentimenti del genitore e del quale si ignorano quindi le
necessità affettive
- RELAZIONE INSUFFICIENTE: caratterizzata dall’incapacità di dare al bambino sufficiente affetto. Non
essere all’altezza del compito di genitore
Da ciò consegue che non solo il ruolo materno deve essere valorizzato ma anche il ruolo paterno non deve
essere trascurato.
ANDRY affrontò il problema del valore paterno e fattore materno nella delinquenza e sottolineò la
mancanza del padre, senza però concentrarsi solo su essa.
WARREN e PALMER hanno tentato di dimostrare che l’assenza del padre o di un suo sostituto era presente
in una percentuale molto alta di giovani devianti rispetto all’assenza della madre o di una sostituta.
BRUCE sostiene correttamente che in passato la ricerca criminologica ha avuto informazioni inadeguate e
poco attendibili, negli ultimi decenni, invece, le indagini forniscono informazioni più ampie e dettagliate.
L’argomento di Bruce riguarda il bambino che, separato o privato dai genitori, non diventa delinquente.
Emerse una interessante differenza riguardo alle conseguenze legate alla separazione dei genitori. La morte
di un genitore, ad esempio, era stata responsabile di una percentuale notevolmente elevate delle privazioni
parentali vissute dai giovani non delinquenti, mentre nel gruppo delinquente l’abbandono da padre del
genitore era molto rilevante. La morte di un genitore può essere un’esperienza meno traumatizzante per
un bambino rispetto all’abbandono.
Perciò si può ribadire che il pregio dell’ipotesi di Bowlby sulla mancanza materna sta nella sua semplicità,
però l’accertata influenza della mancanza del padre dimostra che è pericoloso focalizzare esclusivamente
su uno dei genitori ogni possibile causa patogena.
I meccanismi di difesa che sono elementi basilari ed essenziali di frequenti disturbi del comportamento
consistono in particolare processi dell’IO che si occupano delle difese nei confronti del ES.
Se l’IO, falsificando con metodi psicologici la realtà interiore e quella esterna, riesce a realizzare la propria
indipendenza dal SUPER-IO, può darsi che in altri casi la realtà per favorevoli circostanze assecondi fino a tal
segno le tendenze dell’ES che perfino l’uomo più normale accada di consumare un delitto.
Un altro meccanismo di diesa è la <razionalizzazione=: processo di schermatura volto a coprire idee e azioni
per gratificare un bisogno inconscio, un meccanismo capace di indurre l’IO ad atti antisociali perché avalla
come azioni lecite quelle che non lo sono.
Inoltre, considerato sulla base di atti criminosi il meccanismo di difesa denominato <formazione reattiva=: si
tratta di un meccanismo mediante il quale uno dei due termini di una coppia gli atteggiamenti ambivalenti.
Viene reso inconscio e mantenuto tale attraverso la supervalutazione dell’altro: amore odio.
Il postulato fondamentale del libro <Frustrazione e aggressività= di DOLLARD fu punto di riferimento per
chiunque si occupi di psicologia dinamica e sociale.
Si ritiene che la cosa più urgente nel campo delle ipotesi sulle cause della criminalità sia la determinazione
di alcuni denominatori comuni, i quali comprendano il maggior numero possibile di fattori importanti.
Proponiamo due denominatori comuni: frustrazione previsione di una punizione. Un comportamento
aggressivo presuppone sempre uno stato di frustrazione.
DOLLARD e COLL elencano una serie di caratteristiche per cui condannati differiscono dagli altri:
- Condizioni economiche
- Condizioni professionali
- Grado di istruzione
- Intelligenza, età, statura, aspetto esteriore, difetti fisici
- Condizioni di salute, iperattività
- Razza e nazionalità
- Illegittimità, situazione matrimoniale, condizioni familiari
- Città e campagna, il più elevato nella città che nelle campagne
- Alcolismo, tossicomania
- Vita militare e la morale
- Forma di governo
- Psicopatologia, la maggior parte del comportamento criminale e delinquenziale è favorito da
meccanismi psicologici in gran parte inconsci.
Ma la risposta aggressiva non è l’unica possibilità di reazione alla frustrazione, e le proposte interpretative
richiamano altre serie di ipotesi.
COHEN formula nei riguardi delle teorie psicodinamiche: le teorie sul controllo hanno un’opinione troppo
tetra della conformità, infatti la maggior parte della gente lavoro invece di rubare; tutte le teorie
scientifiche corrono il rischio di credere di aver scoperto qualche cosa di nuovo che spiega qualche altra
cosa quando invece si è soltanto dato un altro nome a quanto è da spiegare; per LEWIN la rappresentazione
psicologica del mondo consiste nel bisogno di una persona e delle potenziali azioni per le disponibilità come
si apprende: elementi portanti del sistema lewiniano sono questi: gli eventi psicologici sono considerati nei
termini del concetto teorico di spazio vitale comprendente definizioni soggettive dell’ambiente ed alcune
delle leggi psicodinamiche che si riferiscono ad esse. Tuttavia, i termini dell’analisi del comportamento e
dell’ambiente non sono tratti statici ed oggetti statici; sono invece il soggettivo modo di vivere, da parte
della persona, il suo ambiente ed i suoi rapporti con esso.
7. TEORIE SOCIOLOGICHE
Gli indirizzi sociologici nello studio della criminalità partono dal presupposto che il delinquente non sia un
individuo isolato, ma piuttosto un PRODOTTO DELL’AMBIENTE IN CUI VIVE, per cui le cause del delitto non
vanno ricercate nell’individuo stesso, come si è prospettato nelle teorie psicologiche, ma nelle influenze
sociali o nelle anormalità della sua esistenza sociale.
QUETELET è considerato il fondatore della criminologia. Egli notò alcune tendenze sistematiche della
criminalità e scoprì che alcune idee comunemente accettate per valide non erano confortate dai dati e che
doveva essere rivista la teoria secondo la quale la povertà come tale era causa di criminalità, per cui
dovevano essere valorizzate altre cause con gradi di frequenza e di forza molto diversi.
GUERRY iniziò nello stesso periodo i primi studi sulle statistiche criminali comparative. Guerry, definì ancora
meglio di Quetelet la regolarità e predicibilità del reato.
I due fondatori della sociologia criminale si trovarono davanti il determinismo sociale ed il libero arbitrio
dell’individuo e si sforzarono di evitare qualsiasi spostamento della posizione secondo cui la tendenza a
delinquere è determinata da fattori sociali a quella secondo cui il comportamento dei singoli delinquenti è
analogamente predeterminato.
Quetelet e Guerry studiarono particolarmente i fatti esterni di natura umana e dalle loro analisi inizò a
prender corpo, nell’ambito della criminalità, la posizione del determinismo sociale e l’approccio di
Durkheim.
DURKHEIM sostiene che il delitto è un fatto sociale normale e si riscontra in tutte le società, di tutti i tipi.
Affermare che il delitto è un fatto sociale normale, significa affermare che è un fattore della salute
pubblica, una parte integrante di tutta la società sana.
Il delitto per Durkheim è dunque necessario, essendo legato alle condizioni fondamentali di qualsiasi vita
sociale, è per tanto è utile. In contrasto alle altre idee correnti, il criminale non appare più come una specie
di elemento parassitario e inammissibile: è un agente regolare della vita sociale.
Durkheim introdue, inoltre, il concetto di ANOMIA: significa mancanza o carenza di norme sociali, di regole
atte a mantenere entro i limiti appropriati il comportamento dell’individuo, che si disfrenerebbe sotto
spinta di appetito senza fondo.
Durkheim afferma che per anomia intende una caratteristica oggettiva del sistema culturale, cioè i valori, le
norme, le regole nella cui struttura l’individuo si trova inserito, e non le reazioni di questi. Nota che lo stato
di anomia è rafforzato dall’indisciplina delle passioni conseguenti a un precedente crollo delle regole che
dovevano tenerle sotto controllo.
Durkheim ha applicato il concetto di anomia alla divisione del lavoro ed al suicidio: nella divisione del lavoro
sociale, con il significato di mancanza di regole che assicurano un efficace divisione del lavoro tra enti
impersonali; nel suicidio come mancanza di regole morali dirette ad orientare il comportamento
individuale.
- DEVIANTE BIOLOGICO, presente in una società organica, in cui vi è una divisione del lavoro
spontanea, è in rapporto alla deformità biopsicologica che, a causa delle eredità genetica e dei
fattori ambientali, costituirebbe l’esempio isolato di una coscienza individuale in disaccordo con la
coscienza collettiva
- RIBELLE FUNZIONALE, che porta alla luce la vera coscienza collettiva, ha il compito di ribellarsi alla
forzata divisione del lavoro ed alle disuguaglianze sociale ad essa collegate; questo tipo di deviante
non è un deviante in senso assoluto (biologico) ma è etichettato come tale
- DEVIANTE DISADATTATO è un individuo inadeguatamente socializzato in una società malata
3. LA SCUOLA DI CHICAGO
Le ipotesi più sistematiche, più influenti riguardanti le teorie sulla trasmissione culturale della devianza
sono state formulate da studiosi della SCUOLA DI CHICAGO; infatti, la questione della criminalità viene
affrontata in una serie di studi e di ricerche effettuate nella città di Chicago.
Il metodo usato era quello di localizzare gli atti criminali segnando su una carta di Chicago il luogo di
residenza del delinquente o, in qualche caso, il luogo dove era avvenuto il crimine. Ciò che ne risultava
veniva messo in relazione alla densità della popolazione.
Con questo metodo si poté accertare che l’incidenza di delinquenza era notevolmente più alta in certe aree
che vennero chiamate aree delinquenziali. Inoltre, si riuscì a dimostrare che il tasso di delinquenza è
inversamente proporzionale alla distanza dal centro della città, e che le aree ad alto tasso di delinquenza
presentano altri sintomi di disorganizzazione sociale: alto numero di trasferimenti e di suicidi.
SHAW e MCKAY osservarono che la maggior parte dei fatti delinquenziali si verificavano in piccoli gruppi,
che, nei quartieri ad alti tassi di criminalità, il delitto e la devianza erano diventati aspetti più o meno
tradizionali della vita sociale, e che queste tradizioni di delinquenza erano trasmesse attraverso contatti
personali di gruppo.
Su queste ricerche si fondano le teorie sulla trasmissione culturale, che si attualizza secondo il seguente
schema: il comportamento deviante è determinato da un sottosistema di conoscenze, credenze e
atteggiamenti che rendono possibili, permettono o prescrivono particolare forme di comportamento
deviante in situazioni particolari; tali conoscenze, credenze e atteggiamenti devono esistere prima di tutto
nell’ambiente culturale dell’attore e vengono assunte e incorporate nella personalità, allo stesso modo
degli altri elementi della cultura circostante.
GABRIEL TARDE, importante autore, scrisse <criminalitè comparèe=, nella quale prende posizione contro
Lombroso, dando vita a quel movimento di idee che verrà nominato <scuola francese=.
Sottolinea, inoltre, l’importanza dell’educazione e dell’esempio nella formazione della personalità. Nelle
sue opere con il concetto di imitation Tarde vuole spiegare come in momenti di trasmissione e di
permanenza le diverse formazioni sociali siano legate alle leggi: le leggi dell’imitazione come movimento di
massa.
Affrontando il problema del tipo criminale e ricordando le grandi associazioni di delinquenti, si pone la
domanda di come si diventa camorristi. Disse, come si diventa membri di un’associazione di una loggia
massonica dopo un regolare periodo di prova durante la quale le depto e l’umile servitore con un omicidio
in assemblea generale l’onore di essere consacrato camorrista. Come nota MILET appartiene alle specie
degli incentivi che sentono le cose e che posti di fronte ad uno ostacolo. Durkheim, al contrario, appartiene
alla specie Dei discorsivi quindi la verità risiede nella chiarezza e non si sollecita ma si conquista.
Le prospettive sociologiche sono entrate sempre più nell’analisi del comportamento deviato dai modelli di
condotta prescritta. MERTON si propone di fornire un’analisi sistematica delle fonti sociali e culturali del
comportamento deviato e precisa che il suo primo scopo è quello di scoprire come alcune strutture sociali
esercitino una versione definita sopra certe persone nella società tanto da indurre a comportarsi non
conformisticamente.
Tra gli elementi delle strutture culturali e sociali, due sono di importanza immediata: il primo consiste nelle
METE e il secondo nelle NORME REGOLAMENTARI. Le mete legittime sono presentate come legittimi
obiettivi per tutti i membri della società. le norme regolamentari regolano e controllano i modi illeciti per
raggiungere le mete e vengono indicati con i termini di prescrizione, preferenza, permesso e proibizione.
Mano a mano che questo processo di attenuazione continua, la società diventa instabile e si sviluppa ciò
che Durkheim ha chiamato anomia cioè mancanza di norme.
Altri esempi di Merton: la tensione generata dal desiderio di vincere una partita di poker che attenua
quando ho giocato, le riesce a barare. Il denaro è visto come un valore assoluto per il raggiungimento del
potere, pertanto come simbolo di prestigio.
Il sogno americano non è un punto finale di arrivo perché la misura del successo monetario cioè della
ricchezza è indefinita e relativa. La scuola nella famiglia e nel luogo di lavoro dove si forma la struttura di
personalità si trasmettono miti comuni e si elaborano quei prototipi individuali del successo che
testimoniano come il sogno americano possa essere attenuato solo se l’individuo abbia le capacità
richieste.
- Tutti dovrebbero tendere alle stesse nobili mete, dal momento che queste sono aperte a tutti
- L’apparente, il successo del momento non è che una tappa intermedia verso il successo finale
- Il vero insuccesso consiste nella diminuzione dell’ambientazione o della rinuncia.
Merton passa ad esaminare i tipi di adattamento individuale entro una società culturale e la sua prospettiva
si sposta al piano dei differenti tipi di adattamento. Ci sono cinque tipi di adattamento: l’esame del modo in
cui la struttura sociale esercita una pressione sugli individui verso l’uno o l’altro di questi tipi di
adattamento individuale, partendo dal presupposto che gli individui possono spostarsi da una alternativa
all’altra trattandosi di tipi di reazioni più o meno durevoli e non di organizzazione della personalità.
- CONFORMITà: accettazione delle regole, sia delle mete culturali sia dei mezzi istituzionalizzati a
prescindere dal fatto che l’individuo raggiunga o meno il successo desiderato
- INNOVAZIONE: accettare solo le mete culturali e non i mezzi istituzionalizzati. Esempi tipici di
questa modalità ricadono sui criminali e le loro azioni illegali
- RITUALISMO: accettare i mezzi istituzionalizzati e rifiutare le mete culturali, seguendo le norme con
atteggiamento compulsivo. <io non faccio il passo più lungo della gamba=, <mi accontento di quello
che ho=. Le ambizioni elevate provocano frustrazione e pericolo; un mezzo per mitigare questa
ansietà è quello di abbassare il proprio livello di aspirazione. Il ritualista è deviante perché rifiuta le
mete del successo proprie della maggior parte dei membri della società
- RINUNCIA: rifiutare entrambi i fattori, sia le mete culturali sia i mezzi istituzionalizzati. Tipici
soggetti ritualisti svolgono lavori noiosi e ripetitivi, privi di qualsiasi aspirazione e prospettive di
carriera. Ne fanno parte gli individui che vivono nella società, ma non sono della società. la rinuncia
deriva dall’aver accolto e caricato di valore affettivo le mete e le norme, nonostante le difficoltà di
realizzarle. Ne risulta un conflitto che produce senso di sconfitta, rassegnazione, quietismo e, alla
fine, evasione dalla società.
- RIBELLIONE: anche in questo caso, si parte dal rifiuto delle mete culturali e dei mezzi
istituzionalizzati ma questi vengono rimpiazzati con dei nuovi, con l’obiettivo di ricreare il sistema
sociale. Un esempio è rappresentato dai gruppi politici radicali.
Il termine anomia, derivato da Durkheim, assume in Merton un significato nuovo: la discontinuità tra scopi
culturali e mezzi legittimi per raggiungerli. Pensando agli Stati Uniti, egli vede il sogno americano come
un’enfasi del successo americano, come scopo culturale, a cui però non corrisponde un’adeguata enfasi sui
mezzi legittimi per raggiungerlo. Questa contraddizione porta a un aumento considerevole di devianza.
Questa teoria è comunemente usata negli studi di criminologia.
La teoria dei contatti differenziali (associazione differenziale) afferma che il comportamento criminale viene
appreso. Una persona diventa delinquente se vi sono prevalentemente atteggiamenti che favoriscono le
violazioni della legge, rispetto ad atteggiamenti che valutano negativamente le violazioni della legge.
Il termine <associazione= raffina questa idea, riconoscendo che il semplice contatto con persone criminali
non è sufficiente ma che le definizioni e gli atteggiamenti criminali devono essere trasmessi con successo
durante questi contatti. La tesi di base è che il comportamento criminale si apprende quando si
apprendono più atteggiamenti che favoriscono le violazioni della legge rispetto a quelli che valutano
negativamente le violazioni della legge.
Quindi, il contatto con i criminali isolando allo stesso tempo i non criminali porta al proprio comportamento
criminale, apprendendo il comportamento corrispondente come modello.
La teoria dei contatti differenziali di Sutherland si basa su nove tesi che riassumono la teoria
dell’associazione differenziale:
L’associazione differenziale ha poi influenzato particolarmente gli studi sulle subculture, tanto che le teorie
delle bande delinquenti sono comunemente considerate l’anello di congiunzione fra la teoria dell’anomia e
quella della dissociazione differenziale.
7. LE SUBCULTURE
Cohen nel <I ragazzi delinquenti= elabora una teoria della delinquenza giovanile subculturale che si riallaccia
sia alla tradizione della scuola di Chicago che alla teoria dell’anomia. Di solito, il ladro ruba spinto dal
bisogno dell’oggetto che ruba: l’atto di rubare è il mezzo per un fine. Rubare per il gusto di rubare è
un’attività a cui si attribuisce valore, vanto, bravura e profonda soddisfazione.
Una caratteristica della subcultura della banda delinquente è l’EDONISMO IMMEDIATO, in cui i membri
della banda però si danno appuntamento perlopiù senza nessuna attività in programma.
La subcultura delinquente si forma come ogni altra subcultura quando un certo numero di individui con
problemi di adattamento simili si trovano in effettiva interazione. Altra importante funzione della
subcultura delinquente è la legittimazione dell’aggressione, di ostilità verso individui della classe media
causata da frustrazioni. Quest’ultima derivata dal non essere o dal non sentirsi in grado di raggiungere le
mete culturali.
CLOWARD e OHLIN si attribuiscono il merito di aver fatto importanti passi avanti nella teoria mertoniana
dell’anomia e di aver messo insieme due correnti della prima sociologia criminologica: l’anomia e
l’associazione differenziale. Secondo la loro tesi l’accesso ai ruoli illegittimi non è disponibile per tutti
incondizionatamente, solo quei quartieri in cui la criminalità prospera come istituzione endemica e stabile
costituiscono fertili ambienti di apprendimento criminale per i giovani. L’accesso ai ruoli illegittimi è
limitato da fattori sia sociali sia psicologici. La forma di delinquenza adottata è condizionata dalla presenza
o assenza di mezzi legittimi appropriati.
Nell’ambito della vita degli slums i pezzi grossi cioè quelli che contano nel mondo criminale divengono ruoli
modello per i giovani e come tali sono assai più importanti dei personaggi affermati nel mondo
convenzionale. È evidente che le risposte delinquenziali variano da un quartiere all’altro e le culture
derivanti assumono per CLOWARD e OHLIN tre diverse forme:
- SUBCULTURA CRIMINALE richiede un ambiente specializzato per poter prosperare. In tale ambiente
il criminale affermato può essere quella figura famigliare che si propone come un modello di
successo criminale. Tende a sorgere in quei quartieri che sono caratterizzati da stretti vincoli fra i
trasgressori di differenti livelli di età.
- SUBCULTURA CONFLITTUALE si caratterizza per la violenza e per la lotta fra le bande e si realizza
nelle zone urbane disorganizzate in cui gli adolescenti orientati verso il conseguimento di una
posizione più elevata, si sentono tagliati fuori dai canali istituzionalizzati sia criminali che legittimi
- SUBCULTURA ASTENSIONISTA che si concreta prevalentemente nel consumo delle droghe.
L’astensionismo trae origine dal reiterato fallimento nell’avvicinarsi allo scopo con mezzi legittimi e
dall’incapacità di far ricorso ad una strada illegittima causa delle proibizioni. Questa ipotesi
consente di individuare due classi generali di astensionisti: coloro che sono soggetti a proibizioni
interiorizzate circa l’impiego dei mezzi legittimi e coloro che cercano gli scopi del successo
attraverso le strade proibite.
Cohen considera questa teoria in grado di spiegare il delitto ma non le associazioni differenziali perché si
trascura il modo rilevante dell’interazione sociale e il fatto che ognuno è impegnato continuamente in quel
processo che dura tutta la vita che è legato alla costituzione, al mantenimento e alla riformulazione del
proprio ruolo che in rapporto alla propria cultura e che contribuisce alla propria identità.
Parsons rivela che la devianza può essere definita la tendenza motivata di un soggetto-agente a
comportarsi contravvenendo ad uno o più modelli normativi istituzionalizzati, mentre i meccanismi di
controllo sono i processi motivati, mediante i quali vengono di volta in volta neutralizzate queste tendenze
alla deviazione.
Dal punto di vista del sistema di interazione: la devianza è il comportamento che turba l’equilibrio del
sistema delle interazioni tra un EGO e un ALTER spingendolo a modificarsi o a ritrovare un nuovo equilibrio.
Parsons ritiene che la genesi delle motivazioni della devianza stia nel sistema delle interazioni tra soggetti:
facendo appello alla psicologia, egli rileva che ogni individuo EGO possiede una struttura motivazionale che
può orientarlo o alla conformità o al distacco delle norme.
Quando EGO entra in conflitto con ALTER mette in azione un meccanismo difensivo che stimola una
reazione. Se prevale la tendenza alla conformità allora Ego orienterà il suo comportamento o a una
prestazione forzata (contro voglia), oppure ad una acquiescenza sempre forzata se Ego ha un orientamento
passivo.
Nel caso che il soggetto sia caratterizzato da una reattività orientata al distacco, il comportamento
conseguente al conflitto sarà di RIBELLE o RINUNCIA.
Parsons sviluppa la sua tipologia delle motivazioni al comportamento deviante. Egli avverte che la sua
tipologia di orientamento alla devianza vale sempre all’interno di uno specifico sistema sociale, in relazione
ad uno specifico complesso di aspettative di ruolo e ad uno specifico modello normativo.
Da un punto di vista psicologico, Parsons rileva che la tendenza ad un comportamento deviante è correlato
alla realizzazione di due bisogni fondamentali:
La tendenza all’aggressività, sottomissione, dominio ecc. possono essere intese come manifestazioni di
insicurezza. L’impositore forzato, l’evasore possono essere motivati da un senso di inadeguatezza.
LEWIS COSER condivide il pensiero di Durkheim, ciò che invece sfuggiva riguardava l’espulsione del
deviante se funzionale o meno al gruppo.
COHEN fornisce alcuni esempi significativi, rifacendosi a Coser, dando un contributo positivo al successo e
alla vitalità dei sistemi sociali.
Il deviante può rendere un servizio agli altri membri del gruppo, la deviazione è anche considerata come
fattore integrante del gruppo. La devianza si verifica quando, censurando la deviazione di un altro, ci
mettiamo in contrasto con lui e ci valutiamo diversamente.
La TEORIA DI COSER: secondo la quale il conflitto sostituisce l’integrazione nel mantenimento dell’equilibrio
del sistema.
Le funzioni del conflitto sono sviluppate da G. VOLD, che accordò un posto di rilievo al crimine, come
prodotto del conflitto sociale. Il contributo di Vold si collega al bisogno fondamentale dell’uomo di
appartenere ed essere fedele ad un gruppo.
SIMMEL: parla del tentativo di utilizzare la teoria del conflitto di gruppo, spiegando che quegli atti criminali
o devianti si creano in situazioni di ineguaglianze politiche e sociali.
Simmel espone l’ipotesi che il conflitto può riunire anche persone o gruppi che altrimenti non avrebbero
niente a che fare l’uno con l’altro. L’unificazione ai fini di lotta è un processo che si verifica di frequente.
Il carattere unificatore del conflitto è connesso al fatto che la lotta unisce gruppi e persone che altrimenti
non avrebbero alcun legame tra di loro.
L’utilizzazione della teoria di Simmel è inserita nella trattazione generale della criminalità e della devianza in
maniera residua.
TURK: nel suo libro <Criminalità e ordine legale= sostiene che questo conflitto è meno probabile quando né
le autorità né i sudditi agiscono realmente in accordo con quanto affermano. Altre possibilità di conflitto si
realizzano quando c’è risentimento e si accentua il bisogno di giustificare e difendere il proprio punto di
vista.
La sua tipologia prende in considerazione un altro fattore del conflitto: RAFFINATEZZA, con cui definisce la
conoscenza di certi modelli nel comportamento altrui, usata per approfittare degli altri. Coloro che si
oppongono alle norme in modo raffinato conoscono bene i punti di forza e la debolezza della loro posizione
e riescono ad evitare l’aperta ostilità contro il loro nemico. In rapporto a questo aspetto di raffinatezza si
enucleano le due variabili: ORGANIZZAZIONE e RAFFINATEZZA, che prese in considerazione entrambe
consentono di delineare i quattro tipi attuali o oppositori alle norme:
Il conflitto tra autorità e sottoposto all’autorità è più probabile se i soggetti sono molto organizzati e non
raffinati, meno probabile se essi sono non organizzati e non raffinati, ancora meno probabile se sono
organizzati e raffinati, e quasi tutto improbabile se sono non organizzati e raffinati.
Infine, si può osservare che le autorità devono mantenere un equilibrio tra consenso e coercizione ed in
questa prospettiva la raffinatezza è un prerequisito necessario.
QUINNEY: studia il modello di comportamento criminale. Parte dal presupposto che ogni comportamento
può essere compreso solo se noi conosciamo l’organizzazione sociale, economica e politica in cui si compie,
così che è l’organizzazione della società che dà al comportamento la sua origine e il suo significato.
I teorici del conflitto, secondo lui, hanno diviso la società in due tipi estremi:
- IL MODELLO DEL CONSENSO: anche definito come modello funzionale, descrive l’organizzazione
sociale come un sistema funzionalmente integrato tenuto continuamente in equilibrio
- IL MODELLO DEL CONFITTO: le società si presumono regolate da diversità, coercizione e
cambiamento.
Quinney sottolinea come in una società organizzata in classi i sistemi normativi siano punti di riferimento
per il comportamento criminale. Infatti, essendo gli individui collocati diversamente nella società a seconda
della classe sociale a cui appartengono, in rapporto a ciò che essi apprendono il comportamento in modo
selettivo. I modelli del comportamento criminale non sono appresi a caso, ma sono strutturati in modo
conforme all’orientamento selettivo dell’individuo in rapporto a situazioni in cui i modelli di
comportamento criminale e non criminale sono presenti.
Quinney precisa che tutti i comportamenti sono sociali; essi diventano criminali quando sono ufficialmente
definiti tali da agenti autorizzati. La probabilità che questi comportamenti vengano definiti criminali
dipende dalla loro collocazione in una classe della società.
Lui si concentra su tre tipi generali di strutture sociali che servono come base per modellare comportamenti
definiti criminali:
- STRUTTURA ETà-SESSO: segnala che per tutte le categorie di crimini esaminati globalmente, l’età
della massima concentrazione comprende la tarda adolescenza e la prima età adulta, con
implicazioni maggiori per i maschi rispetto alle femmine. Si pongono in evidenza i modelli
comportamentali dei giovani, le influenze ambientali con il riguardo al fatto che l’attività
delinquente si verifica quando una società non fornisce scopi dotati di senso agli adolescenti.
- STRUTTURA DELLA CLASSE SOCIALE: c’è una maggior rappresentazione di persone appartenenti alla
classe inferiore che commette reati. Hanno più rischio di essere definiti criminale e di ricadere in
tali condotte come: ubriachezza, aggressioni. Le classi criminali medio-alte anche se vengono
coinvolte in attività definibili criminali, non sono tradizionalmente sottoposte a sanzioni criminali
- STRUTTURA RAZIALE-ETNICA: mostrano che in America gli afroamericani hanno i più alti indici di
condanna e di detenzione rispetto ai bianchi. La condizione dell’essere afroamericano comporta un
maggior rischio di essere arrestati. La probabilità di essere definiti criminali varia in rapporto alla
collocazione nella struttura razziale.
Su questa linea si collocano i LABELLING THEORISTS, secondo cui i gruppi sociali producono la devianza ed è
deviante quel comportamento che viene etichettato come tale.
L’approccio all’etichettatura spiega la delinquenza in termini di interazioni tra il delinquente e coloro che
definiscono la delinquenza.
Non chiede, come le teorie precedenti, le ragioni per cui qualcuno diventa un criminale, ma piuttosto
guarda ai processi a livello macro che portano alla criminalizzazione di certe azioni. A livello micro,
l’approccio di etichettatura spiega come gli attributi <criminale= o <delinquente= vengono assegnati a
individui e gruppi. Si presume che la persona etichettata come <deviatore= adotterà questo attributo e
adatterà il suo comportamento ad esso. Secondo questo, la punizione ha l’effetto paradossale di rafforzare
il comportamento delinquenziale. Partendo dalle basi dell’etichettatura, le teorie successive esaminano le
diverse modalità di azione che la punizione può avere.
Se le persone vengono etichettate come criminali, a causa della stigmaticcazione, assumono il ruolo di
criminali loro assegnati nella loro immagine di sé. La stigmatizzazione e il nuovo concetto di identità
chiudono l’accesso a ruoli convenzionali e non criminalizzati.
L’etichettamento non condiziona solo il modo in cui si è visti dagli altri, ma anche la CONCEZIONE DI Sé .
LEMERT: la devianza è un fatto comune e solitamente senza conseguenze per gli individui.
- DEVIANZA PRIMARIA: è l’atto iniziale di trasgressione. Solitamente rimane marginale sul piano
dell’identità individuale
- DEVIANZA SECONDARIA: si ha quando l’individuo accetta l’etichetta che gli è stata imposta,
vedendo se stesso come deviante.
La Scuola di Chicago, ebbe come riferimenti fondamentali uomini come Becker e Lemert.
Essa era già conosciuta negli anni cinquanta, ma si diffuse soprattutto tra il 1962 e il 1964, in una forma
diversificata, chiamata Nuova Scuola di Chicago, da cui il nome dei suoi esponenti, i cosiddetti
Neochicagoans.
La filosofia che è alla radice della Scuola di Chicago, nuova generazione, è data dal concetto di
NATURALISMO, termine che si trova in Aristotele e Spinoza, ma che qui è inteso come <genere= della Scuola
di Chicago e come <classico= se parliamo del pragmatismo di Santayana.
Alcuni hanno ritenuto distinguere il naturalismo in due parti: la prima si riferisce alle componenti essenziali
che si riferiscono alla fedeltà del fenomeno, mentre la seconda a quelle accidentali che consistono nel
ricorso alle metodologie delle scienze della natura.
Nella visione di Matza <il naturalismo, obbliga nei confronti dei fenomeni e della loro natura, non vincola
alla scienza o a qualsiasi altro sistema di norme=.
Questa definizione varca quell’idea che considera il naturalismo come la filosofia che si basa sui risultati e
sui metodi delle scienze: tutto ciò che esiste o accade può essere spiegato con metodi che, anche se
esemplificati paradigmaticamente nelle scienze naturali, sono continui da un dominio all’altro della scienza.
In tal senso, tutto è riassumibile in termini scientifici, anche se invertendo le proposizioni tutto si trasforma
da naturalismo ad uno scientismo di tipo positivistico: metodo che, anche se continui da un dominio
all’altro, sono esemplificati dalle scienze naturali.
Questa tensione esistente nell’ambito delle scienze sociali, si risolverà quando il naturalismo sceglierà la via
dell’impostazione soggettiva, della fedeltà al mondo sociale umano: l’uomo partecipa ad un’attività
significante. Egli crea la propria realtà e quella del mondo attorno a lui, attivamente e strenuamente.
L’uomo naturalmente, non soprannaturalmente, trascende le sfere esistenziali in cui è facile applicare i
concetti di causa, di forza e di reattività. Quindi non si possono considerare naturalistici né una visione che
concepisce l’uomo come oggetto, né dei metodi che sondano il comportamento umano senza occuparsi del
significato di tale comportamento. Tali posizioni e metodi sono l’opposto del naturalismo, poiché
interferiscono a priori nel fenomeno da studiare. il naturalismo, applicato allo studio dell’uomo, non ha
altra scelta che concepire l’uomo come soggetto, precisamente perché il naturalismo rivendica fedeltà al
mondo empirico.
L’analisi di Matza si fonda sulla premessa che occorre studiare il significato del comportamento dall’interno
della realtà quotidiana dell’attore sociale.
Egli propone l’adozione di una prospettiva naturalistica, che fornisca una descrizione accurata dei
fenomeni. Ciò permette di distaccarsi dalla rappresentazione dei devianti come spinti alla devianza da forze
sociali al di fuori del loro controllo. Diviene così possibile identificare gli scopi, le motivazioni e le paure che
informano l’azione deviante.
La sua prima osservazione naturalistica è che i devianti non commettono reati così disinvoltamente come si
tende a credere, al contrario, essi spesso avvertono senso di colpa e vergogna per il loro comportamento.
Quindi, i devianti sono sensibili al codice normativo della società anche quando commettono reati.
- Le norme sociali sono ambigue, dal momento che promuovono alcuni comportamenti trasgressivi
e, allora stesso tempo, li vietano
- Il deviante dispone di diverse strategie psicologiche per neutralizzare la gravità del proprio
comportamento, screditare la vittima e rinfacciare le colpe a chi gli contesta il reato commesso.
Per diventare un deviante, non c’è più bisogno di allontanarsi dalla società dominante, perché ci si
collocherà fra la conformità e la devianza normativa, senza dedicarsi né all’una né all’altra.
In pratica, la commissione di un reato durerà solo un breve istante, cui seguirà immediatamente la
riconferma della propria dedizione all’ordine sociale tramite l’impiego delle <strategie di neutralizzazione=.
In particolare, questa concettualizzazione del mondo deviante è riassunta nel concetto di <deriva=, che
implica la convergenza fra la cultura del delinquente e quella dell’onesto.
Tuttavia, non sono solo i devianti a rivendicare la propria pericolosità sociale. L’ambiguità delle norme
sociali, permette anche ai pochi puritani residui di fabbricarsi un falso passato di trasgressioni o di gonfiare i
loro attuali reati minimi fino a fare loro assumere uno status di pericolosità sociale.
12. L’ETNOMETODOLOGIA
L’etnometodologia è un approccio di ricerca sociologica che si sviluppa intorno agli anni sessanta. Un
approccio statunitense il cui autore è GARFINKEL che ha coniato il termine <etnometodologia=. L’approccio
etnometodologico di Garfinkel risente molto dell’influenza dell’interazionismo simbolico e anche qui
l’influenza principale è lo studio dell’ordine sociale inteso come un ordine simbolico e quindi un ordine
fatto sulla base di un humus di conoscenze condivise, tacite, scambiate, reciproche tra gli individui.
Sia Garfinkel che gli interazionisti simbolici si scagliano contro la concezione durkheimiana dei fatti sociali
considerati come delle cose, fenomeni sociali come determinati da forze sociali che sovrastano gli individui
mentre, al contrario, l’individuo è attivo, riproduce il significato delle relazioni in base a conoscenze
condivise, si tratta quindi di un significato condiviso che è alla base dell’ordine sociali, quindi della società e
serve per riprodurre quest’ultima.
L’etnometodologia è definita come l’approccio allo studio del sociale che si sofferma sulle INTERAZIONI
DELLA VITA QUOTIDIANA: il focus dell’interesse alle interazioni faccia a faccia.
Nelle parole di Garfinkel, l’etnometodologia è descritta come la branca delle scienze del comportamento
che cerca di considerare le attività pratiche, le circostanze pratiche e il ragionamento sociologico pratico
come argomenti di indagine empirica e, attribuendo alle attività più ordinarie della vita quotidiana
l’attenzione generalmente accordata agli eventi straordinari, cerca di apprendere qualcosa su tali attività
come fenomeni degni di studio in quanto tali.
Garfinkel si pone il problema di che cosa tiene insieme l’ordine sociale, su cosa si basa. La risposta è diversa
da quella di Parsons perché non è fondata sull’interiorizzazione dei bisogni e dei valori sociali ma sulla
produzione di senso e di un significato che è condiviso. Produzione e condivisione dei significati e del senso
comune che tiene insieme gli individui.
L’etnometodologia studia quello che è il senso comune cioè conoscenze tacite, condivise, date per scontate
di senso comune che tengono insieme i gruppi sociali e che fondano l’ordine sociale.
L’etnometodologia richiama le pratiche, quindi i metodi che sono adottati dagli individui quindi da un
gruppo ethno nella loro vita quotidiana. Le pratiche che sono messe in atto dagli attori sociali analizzando
quali sono queste pratiche di attribuzione di senso e di significato e cercando di farle emergere.
A differenza di Parsons che era meno interessato alle capacità cognitive degli individui, Garfinkel ha un
approccio più cognitivo-riflessivo poiché è interessato alle capacità cognitive implicite che gli individui
impiegano per dare significato alla realtà. Egli dà molta importanza al modo in cui la gente ragiona. Il
problema dell’ordine sociale si risolve ponendo l’accento sull’interiorizzazione delle norme e dei valori, ma
valorizzando la condivisione di conoscenze di senso comune in seno delle quali gli individui interpretano la
realtà.
Per Garfinkel è possibile modificare le pratiche e questa modificazione viene poi accettata nel tempo come
condivisa da parte del gruppo sociale e questo dà vista a un cambiamento.
Nelle sue scelte l’uomo è condizionato dalla sua costituzione di individuo, dalle relazioni che lo legano ad
altri dall’ambiente più basso che lo circonda ed entro il quale si trova immerso.
Il libro di Beccaria <delitti e delle pene= fu universale proprio perché in esso erano raccolti i presupposti
illuministici. Il fine della pena era la difesa della società. L’evoluzione degli Studi criminologici può essere
collocata entro il modello in cui gli ambiti sono secondo Nicole Rafter: quello della modernità esplorativa
fiduciosa e agonistica dove il primo include il lasso temporale durante il quale gli studiosi cercarono di
studiare l’incidenza dei reati in relazione all’età, al sesso e alle professioni. Il periodo questo dei cosiddetti
<statistici morali=, Quetelet e Guerry utilizzarono per primi i dati statistici e demografici includendo anche
quelli relativi ai reati commessi e alle caratteristiche dei loro autori. Il secondo ambito confidava nella
possibilità che le scienze sarebbero state anche capaci di esprimere leggi circa il dispiegarsi del mondo
sociale umano. Il metodo sperimentale avrebbe dovuto essere esteso anche allo studio dei fenomeni
criminosi.
Nel XIX secolo Cesare Lombroso impiegò i metodi della ricerca biologica per lo studio dell’uomo che
delinque e diede avvio ad un indirizzo sistematico nell’esame della delinquenza: l’antropologia criminale.
L’opera <L’uomo delinquente= asserisce che la caratteristica fondamentale del delinquente nato e
l’atavismo per cui i delinquenti ricordano istinti bisogni, caratteri selvaggi facendo sì che il delitto appaia
come un fenomeno naturale. Di conseguenza anche la pena dovrà tradursi in difesa sociale e selezione
naturale, non concedendo spazio alcuno alla responsabilità morale e alla libertà di volere come sostenuto
dalla scuola classica. Intorno al 1900 Enrico Ferri cerca di contrapporsi all’astrattismo psicologico di Raffaele
Garofalo e antropologico di Lombroso e al razionalismo della scuola classica. In altri termini, non più diritto,
non più psicologia ma sociologia criminale. Gli studi di sociologia criminale si dividevano all’epoca di Ferri in
due grandi correnti:
E da ricordare la formazione presso la Berkeley School of criminology che nel periodo di maggior successo
del movimento catalizzò le lotte contro la guerra in Vietnam si impegnarono contro ogni forma di
discriminazione razziale sessuale. Uno dei più attivi esponenti della Berkley School of criminology fu
Anthony Platt che analizzò il child-saving moviment, smascherò le vere intenzioni dei benefattori che
avevano dato vita ad un vero e proprio movimento per salvare dalla delinquenza i ragazzi cresciuti nelle
città. Chapman, come pure Chambliss e Seidman, hanno focalizzato l’attenzione sul fatto che certe azioni
sono definite criminali perché è interesse della classe dominante definirli tali. In una società che diventa
sempre più complessa gli interessi individuali cominciano a differenziarsi ed aumentano le probabilità di
conflitto. Se in un primo momento la conflittualità può essere risolta mediante compromessi
successivamente la fiducia viene riposta sulle norme, sulle sanzioni da applicare nei confronti di coloro che
la violano.
Nessun presentante della classe alta arredato per i poliziotti l’agenda operativa che li ha indotti ad
interessarsi ai ghetti ed agli angoli di strada, che li ha spinti a vedere l’atteggiamento del ragazzo della
classe inferiore come volesse quello del giovane della classe medio-alta come tollerabile. Piuttosto le
procedure si sono sviluppate semplicemente partendo dall’esperienza. L’atto deviante non può allora
essere interpretato solo come distruttivo dell’equilibrio sociale ma diviene anche su un’importante
condizione per preservare la stabilità, pertanto il delitto va punito non solo perché è intrinsecamente
dannoso ma anche perché offende la solidarietà sociale in quanto il deviante è una persona le cui attività si
sono svolte al di fuori del gruppo e quando la comunità chiama il deviante a rendere conto del suo
comportamento fa una dichiarazione circa la natura e la collocazione dei propri confini. Si potrebbe
sostenere che nel momento in cui la medicina, la psicologia dell’educazione, l’assistenza, il lavoro sociale si
assicurano una parte sempre maggiore dei poteri di controllo e di sanzione si dà vita a tutta una serie di
dispositivi quali società di patronato, opere di moralizzazione fanno regnare l’universalità del normativo ed
assicurativo una sorta di formazione disciplinare continua e costrittiva che assume forme multiple,
garantendo una sorveglianza discreta ed una coercizione insistente. In ambito scientifico la New
Criminologu inglese fu la prima espressione della criminologia critica in Europa. Taylor Walton Young,
riflettono sui modi di reagire della società nei confronti della devianza.
Secondo Taylor Walton e Young, le cause più generali dell’atto deviante possono essere appurate. Solo nei
termini delle rapide trasformazioni delle situazioni economiche e politiche della società industriale
avanzata. A questo livello il requisito formale può essere soddisfatto solo attraverso quella che possiamo
chiamare un’economia politica del crimine. La criminologia critica in Italia trova la sua principale
espressione intorno alla rivista <la questione criminale= sorta nel 1975. Melossi a questo proposto sostiene
che ciò di cui la criminologia critica ha bisogno è un processo di sperimentazione dove concetti che
derivano dall’elaborazione teorica sia di queste correnti che di quelle d’ispirazione marxista possono essere
posti in opera e provati liberamente. A partire dalla metà degli anni 80 sorge la corrente del realismo
criminologico. Il suo scopo principale è quello di mantenersi fedele alla realtà del crimine e pertanto
dovrebbe rivolgere una particolare attenzione alla creazione del crimine al contesto sociale in cui esso si
verifica alla sua struttura, alla sua traiettoria nel tempo e al suo ruolo nello spazio. È dal rapporto tra politici
e cittadini che dipende l’efficacia delle strategie di controllo, è l’interazione reo-vittima che definisce
l’impatto del crimine, è la relazione tra lo Stato, è il reo che definisce la probabilità di recidiva. Quattro
punti del quadrilatero: reo, vittima, agenzie di controllo e pubblico. L’aspetto temporale del crimine
consiste nel prendere in attenta considerazione le cause che hanno rappresentato il background per
l’azione delittuosa, il contesto morale che ne ha permesso la stigmatizzazione, la scoperta del crimine, la
reazione nei confronti del reo e la risposta fornita dalla vittima. L’evolvere della carriera criminale di un
soggetto dipende anche dal contatto con l’altro che significa incorporare esperienze che gli permettono di
costruire la propria interiorità e il proprio modo di apparire. Il programma dei realisti si propone di
sviluppare una teoria in cui il controllo del crimine includa interventi che coinvolgono tutti e quattro i verti
del quadrilatero, in tal senso occorrerà una ridefinizione delle strategie di intervento della polizia; una
maggior partecipazione della cittadinanza, obiettivo questo che dovrebbe essere perseguito attraverso
progetti di sorveglianza di vicinato formati da un attento riconoscimento del fatto che il crimine è il
prodotto dei problemi strutturali strettamente correlato.
Gary Becker e Isaac Ehrlic sottolineano che il criminale agisce sulla base del proprio benessere. La decisoine
del soggetto di impegnarsi nella commissione di un reato dipenderà dall’entità relativa dei guadagni e delle
perdite, dalla probabilità di essere scoperti e dall’atteggiamento individuale nei confronti del rischio. Cohen
e Felson teorizzarono che la possibilità che si verifichi un reato dipende dalla compresenza di tre elementi
fondamentali: una persona motivata a compiere un reato, un bersaglio interessante e l’assenza di guardiani
in grado di proteggere adeguatamente beni e persone.
La <teoria degli stili di vita= elaborata da Hindelang, Gottfredson e Garofalo, gi schemi di azione delle
persone implicano anche l’esistenza di differenziati tassi di vittimizzazione. Gli stili di vita sono influenzati
da tre elementi: il ruolo sociale, la posizione nella struttura sociale, la componente razionale dell’agire. Lo
status sociale con la posizione ricoperta farà sì che quanto più elevata sarà quest’ultima tanto minore sarà il
rischio di divenire vittima in virtù delle attività svolte e dei luoghi frequentati. Prima di assumere la sua
decisione, il criminale razionale valuta quindi il rischio di essere scoperto ed anche l’entità della pena che gli
potrebbe essere eventualmente comminata. Nel momento in cui la polizia concentra la sua presenza in una
determinata zona di tassi di criminalità si innalzano sovente nelle aree adiacenti percepite dai criminali
come maggiormente sicure, il noto fenomeno del <crimine displacement=. Il trasgressore non è da
considerare un individuo coinvolto in modo casuale, in azioni illegali poiché al contrario prima di
intraprendere qualsiasi azioni egli valuterà se possiede i requisiti in termini di abilità, motivi, bisogni e
timori per impegnarsi in tale situazione. La prevenzione del crimine sarà possibile riducendo le opportunità
che le persone hanno di commettere reati, una strategia nota come <prevenzione situazionale=.
L’accresciuta sorveglianza degli spazi mediante, ad esempio, l’illuminazione avrebbe reso più agevole il
controllo. La prevenzione situazionale può rappresentare una guida nella ricerca di misure idonee a far sì
che l’eventuale delinquente si arrenda all’evidenza che il suo progetto sia troppo difficile.
Nella letteratura sociologica il termine controllo sociale è stato definito in molti modi. Il gruppo che fa capo
a Ross E Cooley impiega il termine in un’accezione molto vicina a quella europea continentale mentre altri
sociologi americani parlano di controllo in termini di potere, dominazione, coercizione. Mentre le società
<semplici= non hanno un sistema giuridico intendendo con ciò delle istituzioni formali specializzate nel
produrre norme, risolvere liti, attenuare il controllo.
Posto dinanzi a questa domanda, il teorico della scelta razionale risponderà facendo riferimento al timore
della punizione. Lo strutturalista affermerà che l’obbedienza è funzione dell’accesso alle opportunità
legittime, mentre il teorico dell’apprendimento sosterrà che esse dipende dal contatto prolungato con i
genitori e con il gruppo dei pari rispettosi delle norme. Per i teorici del controllo sociale invece la risposta
corretta sarà che le persone rispettano le norme perché il loro comportamento è controllato da fattori
interni ed esterni. La teoria dei contenitori di Reckless rappresenta un esempio di questo approccio nello
studio del delitto e della delinquenza. Rispetto alla teoria del controllo presuppone che le azioni
delinquenziali si verifichino allorquando il legame dell’individuo con la società è debole o interrotto,
aggiunge alla sorveglianza e alla disciplina esercitate dai contenitori esterni, quali freni strutturali che
operano nell’immediato contesto sociale del soggetto, consentendogli di non oltrepassare i limiti normativi,
il fattore self come meccanismo chiave di regolazione interna. Il tentativo di delineare il rapporto di
interdipendenza tra devianza, concetto di sé e struttura sociale è ben evidenziato nei lavori di Hewitt e
Kaplan. Questi modelli sottolineano come la conformità di un individuo ad attuare comportamenti che la
maggioranza dei membri della collettività alla quale appartiene giudicano come uno scostamento o una
violazione di determinate norme lo condurrà alla consapevolezza di essere in grado di adottare stili di
condotta devianti la cui particolare forma dipenderà dall’insieme dei fattori sociali. Lo schema di Kaplan
prevede che l’autostima sia negativamente correlata alla delinquenza poiché l’esigenza di autorealizzazione
dell’individuo è stata ostacolata e impedita da esperienze sociali frustranti che lo hanno portato ad una
considerazione negativa di sé. Un importante esponente dello sviluppo delle teorie del controllo sociale è
Travis Hirschi che ha delineato il concetto di legame sociale. Secondo Hirschi non esiste alcuna motivazione
specifica dietro la scelta di intraprendere un comportamento criminale: è la natura umana. Esiste un
legame tra il soggetto e la società convenzionale ed è all’intensità di questo legame che viene fatta
dipendere l’interiorizzazione delle norme sociali con conseguente minore probabilità di adozione di
comportamenti devianti. Gli elementi costruttivi di questo legame sociale sono:
- una molteplicità di fattori non dovrebbe essere confusa con una molteplicità di variabili; anche una
singola teoria può servirsi di molte variabili
- riferendosi all’ipotesi di intrinseche qualità patogene, egli dichiarerà che fattori associati non
dovrebbero confondersi con le cause
- Cohen fa osservare che è falso il ragionamento che il <male causa il male=, non è necessariamente
vero che le conseguenze negative (delitto) dipendano da antecedenti negativi
Qualora si consideri la criminalità come un campanello d’allarme cioè il segnale che qualcosa nella società
non funziona, si tenderà a modificare il sistema sociale per tentare di ridurre le cause del crimine. La <teoria
del campo= che si distingue dalla maggior parte delle teorie del comportamento propone di considerare
quali fattori del comportamento, tutti i fatti coesistenti a un momento dato sia nel soggetto che negli
oggetti che lo circondano, dei fatti interni o soggettivi essendo al tempo stesso determinato e determinante
rispetto ai fatti esterni o oggettivi.
Si propone di ricorrere alla <teoria del campo= appunto per un’interpretazione non agevolmente
falsificabile della dinamica dei crimini.
Il ruolo pubblico della criminologia è identificato nella diffusione di letture e riflessioni criminologiche in
gradi di competere con le rappresentazioni abituali e consolidate del crimine e della giustizia che vengono
abilmente offerte. Il criminologo dovrà acquisire una buona padronanza delle tecniche impiegate dai mezzi
di comunicazione di massa. LOADER e SPARKS ritengono che il criminologo per pervenire ad una
conoscenza più adeguata e maggiormente proficua del crimine e del sistema della giustizia debba adottare
un atteggiamento di maggiore umiltà. Il ruolo del criminologo sarà quello di essere latore e interprete di un
sapere il cui contributo al perseguimento di politiche migliori consisterà nell’indirizzare tali conoscenze
verso tematiche di pubblico interesse. Il compito primario è quello di produrre conoscenze circa le cause
del crimine, le motivazioni e i comportamenti dei trasgressori, l’impatto dei processi di vittimizzazione.
Per coniugare criminologia e psicopatologia forense si parte dalla teoria del campo di Lewin, secondo cui il
comportamento C, anche quello criminoso Cc, può essere considerato come funzione dell’ambiente A e
della persona P, quindi: (P):C = f(Aff P).
La teoria del campo sostiene che la percezione di un campo di fiori d’estate varia in base all’individuo che lo
osserva. Ad esempio, un passeggiatore domenicale si soffermerà ad osservare l’ambiente e a percepirne gli
stimoli, osservando anche il grande spazio attorno a lui, mentre per un soldato il campo di fiori diventa un
campo di battaglia, e il suo unico obiettivo è quello di fuggire e di salvarsi, quindi la percezione della spazio
si riduce, per esempio, ad un cespuglio dove potrà nascondersi. Infatti, la teoria sostiene anche che la
percezione dell’ambiente circostante e degli stimoli che ci fornisce, varia in base all’individuo, allo stato
d’animo e alla situazione in quel determinato momento.
Questa formula viene presa in considerazione dal criminologo psichiatra, poiché deve cercare di capire i
meccanismi che intervengono nell’esecuzione delle condotte delittuose.
Lo strumento usato dal criminologo forense è la perizia o la consulenza. (art. 220 c.p.p.): la perizia è
ammessa quando bisogna svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche
competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Salvo quanto previsto ai fini dell’esecuzione della pena o
della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilite l’abitualità o la professionalità nel reato, la
tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche
indipendenti da cause patologiche.
Occorre distinguere tra la CONSULENZA TECNICA e la PERIZIA; la prima opera nell’ambito del PROCESSO
CIVILE ed è disciplinata dal codice di procedure civile; la seconda è invece impiegata nel PROCESSO PENALE
ed è prevista dal codice di procedura penale.
- art. 220 < la PERIZIA è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazione che
richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche=.
- art. 225 <Disposta la perizia, il pubblico ministero e le parti private hanno facoltà di nominare propri
CONSULENTI TECNICI in numero non superiore, per ciascuna parte, a quello dei periti=.
2. LA PERIZIA PSICHIATRICA
La perizia psichiatrica è una particolare visita medica con lo scopo di verificare le capacità cognitive e
psichiche di un determinato soggetto. In particolare, il medico specialista ha il compito di determinare se,
nel momento della visita, il paziente sia in grado di intendere e di volere.
La perizia pschiatrica in ambito penale può essere disposta nei confronti di diversi soggetti:
- Dell’AUTORE DI REATO in tema di: imputabilità, pericolosità sociale, capacità di stare in giudizio,
misure cautelari personali
- Del detenuto (condannato)
- Dell’internato
- Della vittima
- Del testimone
Il perito può essere autorizzato dal giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose prodotti
dalle parti dei quali la legge prevede l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento. Inoltre, il perito può
essere autorizzato ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di prove nonché a servirsi di ausiliari di
sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni. Qualora, ai
fini dello svolgimento dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre
persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini dell’accertamento peritale.
Quando le operazioni peritali si svolgono senza la presenza del giudice sorgono questioni relative ai poteri
del perito e ai limiti dell’incarico, la decisione è rimessa al giudice, senza che ciò importi sospensione delle
operazioni stesse.
- I fase: studio degli atti processuali forniti dai giudici relativi all’inchiesta giudiziaria e a quella socio-
ambientale (art. 228 c.p.p.)
- II fase: COLLOQUI con il soggetto, se minore con i suoi genitori, incontri fra questi e il minore, con le
persone che attualmente interagiscono con il soggetto
- III fase: rielaborazione di tutti i dati ricavati e traduzione in termini giuridici delle conclusioni
raggiunte a livello psicologico.
L’esame psichiatrico completo ed approfondito del soggetto si basa sull’OSSERVAZIONE CLINICA DIRETTA,
integrata dalla videoregistrazione dello svolgimento dei COLLOQUI e dalla raccolta ed elaborazione di
eventuali protocolli dei test psicodiagnostici.
Il COLLOQUIO, nel caso della perizia psichiatrica, è una forma, una tecnica di comunicazione, che si svolge in
una situazione istituzionale, che ha come antecedente il fatto che l’intervistato ha commesso un reato, e
che ha come scopo fornire ad altri che hanno su di lui autorità, informazioni sulla sua personalità in
relazione alla genesi e alla dinamica del reato, in caso di colloquio criminologico, sulla sua sanità mentale,
(riferita al momento del fatto) in caso di perizia sull’imputabilità.
La comunicazione avviene in primo luogo a voce ed in un gruppo di due persone; se nel caso del colloquio
clinico terapeutico si incontrano volontariamente instaurandosi in tal modo un rapporto clinico-paziente,
nel caso della perizia psichiatrica, manca l’elemento della volontarietà ed il suddetto rapporto.
MERZAGORA ha anche precisato la differenza tra intervista e colloquio. Sono entrambe forme di
comunicazione, ma il colloquio è caratterizzato dalla maggiore profondità del rapporto interpersonale
mentre la seconda sarebbe caratterizzata dalla finalità di ricercare informazioni senza un rapporto stretto o
profondo tra intervistatore ed intervistato.
I test di personalità si prefiggono di esplorare la personalità o nella sua globalità o in qualche sua
dimensione, come i testi di dominanza-sottomissione o quelli di introversione-estroversione, allo scopo di
riferirla a una classificazione o a una tipologia. Possono essere divisi in TECNICHE PROIETTIVE, tipiche
dell’approccio idiografico, e STRUMENTI PSICOMETRICI (test obiettivi, questionari di personalità), tipici
dell’approccio nomotetico.
Le TEORIE PROIETTIVE sono procedure che utilizzano stimoli vaghi e ambigui (macchie di inchiostro, disegni,
fotografie, frasi incomplete) ai quali gli individui rispondono riferendo ciò che percepiscono, costruendo
storie e completando o ordinando frasi. Poiché il materiale è scarsamente strutturato, il modo in cui
l’esaminato lo elabora viene intrepretato come una proiezione delle sue caratteristiche di personalità
(bisogni, conflitti, paure).
La società di oggi è creata da giovani che sono sempre più soggetti ad eventi che li portano a smarrirsi
durante il loro percorso di maturazione. Il contesto sociale porta spesso questi ultimi ad avere
comportamenti devianti.
Di solito, il rapporto tra comportamento del giovane e relazione familiare può scaturire una devianza da
parte del giovane. Molto spesso, i genitori portano avanti il loro ruolo con molta fatica, trasmettendo
incoerenza nei valori, insegnamenti e spesso eccedono in punizioni o in premi per colmare dentro di loro
inadeguatezza del loro ruolo.
Secondo Maggiolini e Riva, la trasgressività è una caratteristica universale dell’adolescenza, età in cui il
rapporto con le regole educative e sociali viene rivisto e di norma messo in discussione.
IL GRUPPO IN ADOLESCENZA
Il gruppo dei coetanei assume, durante l’adolescenza, un’importanza notevole. Esso può considerarsi
l’habitat privilegiato degli adolescenti non solo per il fatto che essi vi investono gran parte del loro tempo,
ma soprattutto perché esso rappresenta un’interfaccia significativa tra il soggetto e la società circostante
nel processo di formazione delle opinioni e delle forme di rappresentazione di sé e degli altri.
Nel corso dell’adolescenza il gruppo dei pari rappresenta per l’individuo una fonte di sicurezza e di stima di
sé, derivata dall’accettazione che egli riceve dai coetanei.
Ma, in gruppo si può anche trasgredire, sconfinando nella violenza e nel teppismo o nel caso dell’uso e
abuso di sostanza tossiche.
La devianza del gruppo rispetto all’ambiente sociale ed individuale appare come il risultato
dell’annullamento della frequentazione: violenza e consumo di droghe rappresentano cioè il surrogato di
forme di comunicazione che non riescono ad affermarsi e il gruppo usa la violenza per produrre una
possibilità di consenso e di confronto in condizioni di comunicazione impossibile.
È il caso della BANDA, intesa come aggregazione patologica di gruppo in quanto mossa da meccanismi di
coesione, e a volte di fusione, che rispondono al bisogno di condividere le proprie frustrazioni, paure, ansie,
con gli altri membri del gruppo, attraverso l’identificazione proiettiva precoce.
Ci sono stati vari studi sulle bande criminali; si tratta di ipotesi di ricerca articolate che spesso si
differenziano tra loro per impostazione e strumenti di analisi. La maggior parte di essi riconducono
l’esistenza delle gang minorili a tre ordini di spiegazioni: la disorganizzazione sociale, l’esistenza di una
sottocultura delle classi inferiori e lo sviluppo di ideali, norme e valori propri alla banda criminale.
Per THRASHER le bande nascono da specifici bisogni dei giovani sottoprivilegiati, residenti in aree
interstiziali delle grandi città. Esse sono di origine spontanea e raccolgono i ragazzi che vivono in strada e
legati ad uno specifico territorio, i quali maturano lentamente una consapevolezza e una tradizione comune
la cui difesa induce alla solidarietà, ad una stretta integrazione ed alla lealtà verso i capi. La gang si forma
per reazione alla carenza nella comunità di risorse adeguate ai bisogni dei giovani.
YABLONSKY, invece, afferma che le bande criminali esercitano una violenza brutale fine a se stessa per
dimostrare ai loro membri di essere e sentirsi vivi.
JANKOWSKI ritiene che le bande rappresentano una risposta alla mancanza di opportunità di crescita
sociale.
Per COHEN le bande non sono il risultato dell’espressione diretta delle culture delle classi meno agiate, ma
del conflitto a cui sono esposti i giovani appartenenti a tali classi, i quali dovendo competere per il successo
secondo i valori e le norme delle classi medie, risultano svantaggiati a seguito della mancanza degli
strumenti idonei alla competizione.
Violenza carnale di gruppo: delitto commesso da chiunque partecipi con più persone ad atti di violenza
sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. trova la sua disciplina nell’art. 609 octies c.p., che così sancisce: chiunque
commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
La violenza carnale attuata in gruppo, essendo un fenomeno che oltrepassa il semplice atto fisiologico, è
interpretabile solo se valutata nel quadro sociale ove si verifica, dove si è formato il gruppo.
È possibile stabilire un rapporto tra devianza giovanile e personalità psicopatica. Il termine personalità
psicopatica fu utilizzato per molti anni per indicare quel vasto gruppo dei cosiddetti disturbi del carattere o
della condotta in cui si raccolgono in un’unica categoria diverse alterazioni. Storicamente si fece risalire il
termine alle osservazioni di Pinel. Con SCHNEIDER ci fu una precisazione del termine.
Lui parla di personalità abnormi che sono gli scarti e le deviazioni che oltrepassano l’ampiezza di
oscillazione delle personalità.
Si cercherà di esaminare il problema dei rapporti tra malattie mentali e comportamenti criminosi,
mettendo in evidenza l’alcolismo, debolezza mentale, difetto schizofrenico&
2. TOSSICOMANE
L’espansione delle droghe nelle società industrializzate è un fenomeno ormai non più recente ed è
considerato tanto diffuso che si è ritenuto necessaria la messa in atto di progetti di legge e di regolamenti
per frenare l’estensione sia in ambito repressivo, sia in ambito preventivo.
Il consumo di droga è legato alla giovane età dei consumatori e questo minaccia il loro sviluppo psicofisico.
La tossicomania secondo l’OMS è uno stato di intossicazione periodica o cronica derivante dall’uso ripetuto
di un farmaco naturale o sintetico. Le sue caratteristiche sono:
- Desiderio irrefrenabile o necessità di continuare l’uso del farmaco o di procurarselo con ogni mezzo
- Tendenza ad aumentare la dose
- Dipendenza psichica o fisica dall’effetto del farmaco
- Effetto nocivo per l’individuo e la società
Una sostanza deve possedere tre caratteristiche per essere ritenuta capace di generare la tossicomania,
cioè deve produrre tolleranza, sintomi di astinenza e desiderio di ottenerla.
L’adolescente si rivolge ad esse perché essendo incapace di risolvere conflitti e come soluzione al proprio
fallimento. Il consumo delle droghe tra i giovani non dipende solo dalla rapida mobilità geografica e agli
scarsi controlli ma si deve tener conto di quelle pressioni che portano alla subcultura astensionista.
La necessità di reperirla e il piccolo spaccio possono essere lo sfondo da cui scaturisce un’azione omicida.
3 ALCOOLISMO
Il fenomeno è molto vario e comunque frequente tra i giovani. Molti autori ritengono che l’alcool favorisca
le condotte criminose. L’alcolismo è una sindrome patologia costituita dalla dipendenza al consumo di alcol.
È caratterizzato da un consumo compulsivo di alcol, a scapito delle relazioni sociali del bevitore, della sua
posizione sociale e della sua salute.
L’alcoolismo acuto si presenta soprattutto negli incidenti stradali. La paranoia alcoolica si presenta
soprattutto nelle liti di gelosia e si può tradurre in maltrattamenti, lesioni ecc. L’alcoolismo cronico in cui si
ha una perdita della modulazione affettiva con ottundimento del senso etico e delle capacità di cogliere le
esigenze connesse con la normale vita associativa, forme di reato più attuate sono le manifestazioni che
trasgrediscono il pubblico pudore.
Sul piano della criminogenesi è necessario conoscere la personalità dell’alcoolista e tutti i suoi problemi.
4. DEBOLEZZA MENTALE
Inizialmente si ritiene che la recidività nei giovani con ritardo mentale fosse più alta, ma non è sufficiente
dato che bisogna esaminare la personalità del debole di mente nel suo complesso in rapporto alla struttura
dell’ambiente ed alla costellazione di quelle forze che in esse interagiscono. La debolezza mentale deve
essere letta utilizzando la teoria del campo di Lewin.
5. LE SINDROMI SCHIZOFRENICHE
Questa sindrome occupa un posto non indifferente nei rapporti tra malattie mentali e comportamenti
criminosi. La schizofrenia è una psicosi cronica caratterizzata dalla persistenza di sintomi di alterazione delle
funzioni cognitive e percettive del comportamento e dell’affettività, con un decorso superiore ai sei mesi, e
con forte disadattamento della persona.
Diversi studi evidenziano un incremento dei tassi di violenza nelle persone schizofreniche rispetto alla
popolazione generale, legata soprattutto ad una esagerata percezione della minaccia su base
psicopatologica.
Queste sono definite alterazione psicotiche caratterizzate da deliri persistenti, senza allucinazioni. Si
intende una psicosi caratterizzata da un delirio cronico, basato su un sistema di convinzioni, principalmente
a tema persecutorio, non corrispondenti alla realtà. Questo sistema di convinzioni si manifesta sovente nel
contesto di capacità cognitive e razionali altrimenti integre. La paranoia non è un disturbo d’ansia, bensì
una psicosi. Si tratta, in sostanza, non di una sensazione di ansia o di paura, ma di disturbi di pensiero
(giudizio distorto, sbagliato) di cui il paziente non ha coscienza.
Dalle fasi iniziali di allarme si arriva alla comunità paranoide che è un’organizzazione immaginaria composta
di persone reali e immaginarie che il paziente rappresenta come unite allo scopo di compiere qualche
azione contro di lui. successivamente, può verificarsi l’azione paranoide nel corso della quale il paziente
può compiere tentativi di fuga per sottrarsi ai presunti persecutori o può essere spinto ad attaccare per
vendicarsi di quanto sofferto o per evitare quanto teme.
Si può far riferimento, in psicopatologia forense, alla paranoia persecutoria caratterizzata da atteggiamenti
litigiosi fondati su presunti danni e persecuzioni.
7. LE PSICOSI AFFETTIVE
La psicosi affettiva è un disturbo psichico di carattere cronico e fa parte dei disturbi affettivi. È formata dai
tratti tipici della schizofrenia e della depressione.
Ad oggi non sappiamo con certezza quale sia l’origine della psicosi affettiva. Sono comunque riconosciute
una serie di fattori genetici combinati ad altre condizioni che possono causare tale patologia, come le cause
familiari e genetici, biologiche, traumatiche e da assunzione di sostanze psicoattive o psicotrope.
In genere la psicosi affettiva insorge un mese dopo agli episodi di schizofrenia. Perciò, devono dapprima
essere riconosciuti deliri e allucinazioni, con una successiva condizione di depressione mista o maniacale.
Questo perché, appunto, tale patologia è una combinazione della schizofrenia, della depressione e del
disturbo bipolare.
Tali condizioni possono essere così persistenti da condizionare negativamente la qualità di vita di una
persona. Inoltre, è anche vero che possono scomparire, per poi riacutizzarsi in un periodo successivo. I
sintomi principali che possiamo trovare sono:
Più nel dettaglio, abbiamo anche: senso di fatica, cambiamento del peso corporeo, nervosismo, disturbi del
sonno, autosvalutazione, pensieri legati al suicidio e alla morte, tristezza e sentimenti negativi, mancanza di
motivazione o interesse, improvvisa ed eccessiva autostima, isolamento sociale, apatia, alterazione
comportamentale.
Una cura per la psicosi affettiva si basa sulla tipologia di diagnosi della condizione in sé. Di fatto,
diagnosticare tale disturbo non è così semplice. Bisogna, quindi, sempre rivolgersi a un medico e a uno
psicoterapeuta per valutare la strada più efficace da seguire.
In linea di massima, le soluzioni fornite per una cura sono farmaci (stabilizzatori dell’umore, antidepressivi o
antipsicotici), terapie specifiche (percorso individuale, familiare o cognitivo-comportamentale) o supporto
sociale.
I sintomi depressivi o maniacali possono verificarsi prima dell’esordio della psicosi, durante gli episodi
psicotici e dopo la cessazione della psicosi.
8. PSICOSI ORGANICHE
Per psicosi organiche si intendono le malattie psichiche provocate da un noto agente patogeno e
accompagnate da ben conosciute alterazioni anatomo-patologiche.
- LE PSICOSI DELL’Età SENILE, consistenti nella accentuazione del naturale deterioramento delle
funzioni mentali, dovuto alla vecchiaia (demenza senile) o ad alterazioni della circolazione
sanguigna (demenza arteriosclerotica).
Le psicosi involutive hanno un particolare interesse criminologico, essendo ad esse attribuibile
molta della pur scarsa criminalità primaria senile.
Nella criminalità senile vengono ravvisate peculiari caratteristiche:
sia QUANTITATIVE, perché molto più scarsa, in cifra assoluta e relativa, rispetto alla delinquenza
giovanile, per cui la disposizione a delinquere nella vecchiaia è molto inferiore rispetto a qualsiasi
altro periodo dell’età giovanile o adulta;
sia QUALITATIVE, constatandosi una significativa diminuzione delle attività criminose tipiche della
delinquenza abituale e professionale o comunque incompatibili con l’età molto avanzata (rapine,
reati stradali)
- LE PSICOSI CONFUSIONALI, che si verificano nel corso di certe malattie acute, comportando
mancanza di chiarezza nel pensiero, disorientamento nello spazio e nel tempo, turbamenti nella
percezione
- LE PSICOSI TRAUMATICHE, dovute a lesioni cerebrali causate da incidenti e che possono provocare
disturbi psichici, eccitabilità o anche profondi cambiamenti della personalità.
Una forma di psicosi organica può essere provocata dalla encefalite letargica, forte febbre infettiva
che colpisce i giovani e produce un’infiammazione del cervello, seguita generalmente da gravi e
permanenti effetti
- LE PSICOSI PUERPERALI, che colpiscono donne incinte e dopo il parto e costituiscono forme
psicotiche da esaurimento
- LE PSICOSI EPILETTICHE, dovute cioè all’epilessia
La capacità di agire o capacità legale è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici finalizzati ad
acquistare o ad esercitare i propri diritti e ad assumere obblighi.
La capacità di agire presuppone il possesso sia della capacità giuridica, che consiste nell’attitudine alla
titolarità di diritti ed obblighi, sia della capacità naturale, cioè della capacità di intendere e di volere.
Mentre la capacità legale si acquista con la maggiore età, la capacità giuridica è conferita al soggetto dal
momento della nascita.
La capacità legale si declina in capacità sostanziale, intesa come capacità di alienare, disporre, obbligarsi ed
in capacità processuale, che è l’idoneità del soggetto ad esercitare le azioni e ad essere convenuto in
giudizio.
L’art. 2 del codice civile stabilisce che la capacità di agire si acquista al raggiungimento della maggiore età.
L’età è di 18 anni e si presuppone che il soggetto a quell’età possieda la capacità all’autodeterminazione ed
alla cura dei propri interessi. Prima della maggiore età, il minore è rappresentato dai genitori che ne
amministrano i beni e rispondono degli atti illeciti compiuti nei confronti di terzi.
Accanto alla perdita totale della capacità di agire, esistono situazioni nelle quali essa viene limitata, sono
questi i casi di: INABILITAZIONE e AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO.
Sono incapaci di agire gli interdetti, sia per causa di INFERMITà MENTALE, che a causa di INTERDIZIONE
LEGALE. Sono incapaci di agire anche i minori, salvo i casi di emancipazione per matrimonio al compimento
dei sedici anni o di capacità di prestare il proprio lavoro al raggiungimento dei quattordici anni di età.
La sentenza di INTERDIZIONE GIUDIZIALE accerta l’infermità mentale del soggetto, e quindi la sua inidoneità
a provvedere ai propri interessi; l’interdetto è equiparato alla condizione del minore d’età.
L’inabilitazione è disposta con sentenza, quando viene accertata un’infermità che non elimina del tutto, ma
riduce comunque grandemente l’idoneità del soggetto a provvedere ai propri interessi. La condizione
giuridica dell’inabilitato è equiparata a quella del minore emancipato. Con l’amministrazione di sostegno,
l’amministrato conserva la capacità di agire per il compito di tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria.
CAPITOLO XIV. DAGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI (OPG) ALLE RESIDENZE ESECUZIONE MISURE DI
SICUREZZA (REMS): ASPETTI INNOVATIVI E CRITICITà ALLA LUCE DEL MUTATO ASSETTO NORMATIVO
L’organizzazione e la gestione dell’assistenza sanitaria nei confronti di persone con problemi psichici autrici
di reato e interessate da un provvedimento di restrizione (misura cautelare, misura di sicurezza detentiva e
non detentiva) sono profondamente mutate in Italia negli ultimi anni.
Tale processo è stato innescato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) DEL 1/4/2008,
in cui è stato sancito il passaggio dell’assistenza sanitaria delle persone detenute dal Ministero della
Giustizia al Ministero della Salute, ovvero al Sistema Sanitario Nazionale (SSN).
Dal mese di ottobre del 2010 il personale sanitario che aveva un rapporto contrattuale con il Ministero
della Giustizia ha traslato tale rapporto alle Aziende Sanitarie Locali (ASL) di competenza. La responsabilità
organizzativa e gestionale delle attività sanitarie nei confronti delle persone autrici di reato con misura di
sicurezza detentiva e non detentiva viene attribuita al SSN. Viene istituito un apposito Fondo nazionale
definito <Fondo Sanità Penitenziaria=.
Il processo di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e l’identificazione di percorsi di cura e
riabilitazione necessari in tale processo- ivi inclusa la messa in funzione di strutture alternative quali le
Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS)- si inseriscono in questo processo di passaggio
di responsabilità organizzative e gestionali. Questo, se da un lato ha determinato il promulgare di norme
che hanno dato un impulso verso un approccio prevalentemente <sanitario= dall’altro si scontra con ben
radicate prassi di organizzazioni e persone.
Il DPCM del 1/4/2008, con i successivi accordi in Conferenza Unificata, ha previsto che, nell’assistenza alle
persone con misure di sicurezza detentiva e non, si passi da un soggetto unico, il Ministero della Giustizia, a
un insieme di sistemi interagenti tra di loro; il sistema giudiziario (Tribunali, Amministrazione Penitenziaria)
e il SSN. Questi hanno funzioni precise, distinte e collaboranti, che rispondono ai dettati costituzionali del
diritto alla salute, del diritto alla sicurezza personale dei singoli individui, della complessiva sicurezza dei
diritti dei cittadini e dei beni giuridici loro sottesi, in un contesto sociale complesso e ricco di contraddizioni.
Il passaggio dagli OPG alle REMS è stato normato, oltre che da una serie di accordi in Conferenza Unificata,
attraverso l’emanazione di norme giuridiche e atti organizzativi sanitari a valenza regionale.
Negli accordi in Conferenza Unificato è stato evidenziato che non tutte le persone presenti negli OPG hanno
una diagnosi principale di natura strettamente psichiatrica; è necessario realizzare progetti terapeutico-
riabilitativi individualizzati (PTRI) condivisi tra i servizi territoriali non solo sanitari ma anche sociali; entra un
terzo sistema, il Welfare; l’obiettivo finale necessario di tale processo è il reinserimento dell’utente nei
contesti sociali di appartenenza.
Inoltre, viene richiesto che: 1) il SSN effettui una completa ristrutturazione dell’offerta dei servizi e che
metta la Magistratura in condizione di effettuare la misura di sicurezza in contesti sanitari ordinari con
garanzie di equità di trattamento rispetto alla popolazione psichiatrica generale; 2) le Regioni, il
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Magistratura definiscano, mediante specifici accordi,
le modalità di collaborazione inerenti l’applicazione delle misure di sicurezza detentive, la loro
trasformazione e l’eventuale applicazione di misure di sicurezza non detentive; 3) il SSN provveda alla
predisposizione e l’invio all’Autorità Giudiziaria competente dei PTRI finalizzati all’adozione di soluzioni
diverse dal ricovero in REMS.
La legge 81/2014 e la sua esplicitazione nella sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2915 richiedono,
propedeuticamente all’emissione di un provvedimento nei confronti di un autore di reato con problemi
psichici, due tipi di attività che per le loro caratteristiche possono essere distinte in: sincroniche, ovvero
concernenti l’evento in causa e la correlazione con le condizioni psichiche dell’indagato; diacroniche,
ovvero concernenti gli interventi sanitari necessari nei confronti della persona autrice di reato con problemi
psichici che permettano idonee e adeguate cure, nel contesto di una equità di trattamento rispetto alla
popolazione psichiatrica generale, e di far fronte alla sua pericolosità sociale anche con misure di sicurezza
non detentive che tengano in considerazione la complessiva sicurezza dei diritti dei cittadini e dei beni
giuridici individuali e collettivi.
| L’ OPG (ospedale psichiatrico giudiziario) era una struttura detentiva che, a seguito della riforma
penitenziaria del 1975, ha sostituito i manicomi criminali. Alla OPG non venivano, però, destinati
acriticamente tutti gli autori di reato. In generale, da un punto di vista strettamente giuridico, si trattava di
soggetti ritenuti, da una perizia, incapaci di intendere e di volere al momento del fatto e per questo motivo
prosciolti. In seguito a tale situazione, quindi, a tali soggetti veniva applicata una misura di sicurezza
detentiva perché considerati pericolosi socialmente. L’OPG aveva, quindi, una duplice funzione: di custodia,
per la difesa sociale; e di cura e trattamento, per il reinserimento del soggetto nella società.
L’OPG ad un certo punto non soddisfaceva più le condizioni iniziali. Nel 2008, infatti, il CTP (comitato
europeo per la prevenzione della tortura) ha denunciato le condizioni di vita in cui versava l’OPG di
Anversa. Si parlava di reparti sprovvisti di mobilio, pessime condizioni igieniche, insufficienti dotazioni sia
sanitarie per far fronte ai pazienti incontinenti e disumani mezzi di costrizione e isolamento; sono stati
trovati pazienti legati al letto da giorni, sedati, senza alcuna assistenza medica. Sorta questa nuova
consapevolezza, era evidente la necessità di un cambiamento.
Il primo passo verso un cambiamento è stato il trasferimento delle competenze di medicina penitenziaria
dal Ministero di Grazie e Giustizia a quello della Sanità. Il secondo tassello è stato rappresentato
dall’introduzione delle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Le REMS, introdotte con
legge 17 febbraio 2012, n. 9, hanno costituito la risposta alle esigenze sopra esposte. A differenza degli
OPG, l’unica funzione svolta in tali strutture avrebbero dovuto essere la gestione sanitaria dei pazienti.
L’ultima tappa è rappresentata dalla legge 30 maggio 2014, n.81, che ha prorogato al 31 marzo 2015 il
termine per la chiusura definitiva degli OPG, con l’entrata in funzione delle REMS. Questa legge ha inoltre
previsto l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in OPG solo in via sussidiaria e residuale,
qualora risulti inidonea qualsiasi altra misura.
Le REMS hanno natura più prettamente medico-sanitaria. La logica che sta alla base di queste nuove
strutture è quella riabilitativa: gli operai sono medici, non carcerieri. Il loro scopo è quello di aiutare il
paziente, curarlo, al fine di reintrodurlo nella società. le REMS oggi, infatti, assomigliano più a strutture
sanitarie che alle carceri e alle prigioni. Hanno, infine, messo fine all’ergastolo bianco. Se nelle OPG non era
previsto un termine massimo di durata della misura, con le REMS la durata di una misura di sicurezza non
può essere superiore al massimo edittale della pena prevista per il reato. |
| L’OPG è un istituto in cui sono rinchiuse persone che devono scontare una misura di sicurezza detentiva,
poiché hanno commesso reati, ma sono state prosciolte per infermità psichica, per intossicazione cronica
da alcol o stupefacenti, o per sordomutismo non curato. È una struttura di cura e detenzione: da un lato si
vuole curare il malato psichico che si è macchiato di un reato, ma per legge non è imputabile, dall’altro si
vuole rinchiuderlo per proteggere la società dalla possibilità che reiteri il reato.
L’internamento presso gli ospedali psichiatrici giudiziari è disciplinato dal Codice penale italiano entrato in
vigore nel 1931, al titolo VIII <Delle misure amministrative di sicurezza=. È una delle possibili misure di
sicurezza detentive e come le altre è applicabile a chi è considerato socialmente pericoloso e ha compiuto
un reato. Gli infermi e semi infermi di mente, anche se per legge non punibili e non imputabili, sono
comunque sottoponibili a tali misure se giudicati pericolosi socialmente per se stessi o per gli altri. La
pericolosità sociale è un concetto di estrema importanza: è il presupposto necessario per l’ingresso in un
OPG, giacché conferma il pericolo di reiterazione del reato e dunque giustifica l’internamento del soggetto
malato. Fino all’emanazione della legge Gozzini, l’art. 204 c.p. prevedeva la non obbligatorietà di accertare
la pericolosità sociale al fine di disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico. Dal 1986 il magistrato di
sorveglianza può invece ordinare tale misura di sicurezza per il reo affetto da disturbi psichici solo dopo
averne accertato l’eventuale pericolosità sociale.
Il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario è regolato dall’art. 222 c.p., secondo cui nel caso di
proscioglimento per infermità psichica, è sempre ordinato il ricovero dell’imputato in un ospedale
psichiatrico per un tempo non inferiore a due anni; salvo che si tratti di contravvenzioni o di delitti colposi
per i quali la legge stabilisce la pena pecuniaria o la reclusione per un tempo non superiore nel massimo a
due anni. Lo stesso articolo statuisce che per chi ha compiuto fatti punibili con l’ergastolo la durata del
ricovero è di almeno dieci anni, mentre se si tratta di fatti punibili con una reclusione di minimo dieci anni,
il ricovero ne dura almeno dieci. Una volta trascorsa la durata minima della misura di sicurezza, questa può
essere rinnovata.
Inoltre, l’internamento in un OPG può essere prescritto anche come misura di sicurezza detentiva
provvisoria.
I destinatari dell’internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari sono persone affette da patologie
psichiche e disturbi mentali di diversa gravità, che hanno o si presume abbiano commesso reato. Esse sono
indistintamente rinchiuse in un ospedale psichiatrico e sottoposte ai medesimi trattamenti, senza
rispondere alle esigenze del singolo detenuto. Ciò ostacola l’attuazione di terapie riabilitative efficaci e
dunque proibisce il conseguimento dell’unico obiettivo che l’ospedale psichiatrico giudiziario dovrebbe
prefiggersi, cioè il reinserimento dell’internato nella società.
L’art. 3-ter, al comma uno, fissa il termine per la chiusura degli OPG al 1 febbraio 2013. Una disposizione
rivoluzionaria: è il primo passo verso il completo superamento degli OPG, a lungo auspicato e giustificato da
inchieste e denunce che ne hanno mostrato gli orrori e le violazioni alla dignità dei detenuti.
La legge 9/2012 non determina la rimozione dal nostro ordinamento delle misure di sicurezza psichiatriche;
tuttavia, rappresenta un primo passo nella direzione verso il superamento degli Ospedali psichiatrici
giudiziari e la riacquisizione della dignità di tutti quelli che vi sono reclusi.
Il termine per la chiusura degli OPG fissato al 1 aprile 2014 deve essere prorogato. È questo l’incipit con cui
si apre il decreto legge n. 52 del 31/03/2014, che introduce importanti modifiche all’articolo 3-ter del
decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211m convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
La legge 81/2014 apre la strada ad una riforma importante: chiudono gli OPG, considerati un’istituzione
sbagliata, inefficace, arretrata. Si tratta di un cambiamento notevole, anche se forse non radicale.
Il 26 febbraio 2015 la Conferenza unificata ha approvato il regolamento per l’entrata in funzione delle
REMS. Quindi, sostituendo i fatiscenti e indegni OPG, dal 1 aprile 2015, le REMS sono il luogo in cui avviene
il ricovero dei folli rei. Queste strutture appartengono al sistema sanitario nazionale e hanno la funzione di
detenere e al contempo curare i pazienti che vi risiedono, fornendo loro trattamenti terapeutici individuali
e garantendogli il pieno rispetto della propria dignità. Ogni REMS sarà gestita da un’equipe di medici,
psichiatri e operatori sanitari, adeguatamente istruiti al fine di assistere gli ospiti.
La legge 81/2014 apre la strada ad una riforma importante: chiudono gli OPG, considerati un’istituzione
sbagliata, inefficace, arretrata. Anni di battaglie, inchieste, dibattiti e sentenze hanno condotto alla scelta di
superare tali luoghi. Si tratta di un cambiamento notevole, anche se forse non radicale. Da un lato
scompaiono i sei ospedali presenti sul territorio italiano, dall’altro permane l’istituto della misura di
sicurezza detentiva, che sarà scontata presso le strutture sostitutive degli OPG. È però una conquista
storica: la pena manicomiale, sulla carta superata con la legge Basaglia ma concretamente ancora
perpetrata negli OPG, si avvia al tramonto. Si ha la consapevolezza che la segregazione in tali luoghi non
porti a un’efficace cura; sono evidenti gli orrori e le pessime condizioni di vita che i detenuti devono
sopportare; è chiaro che la gestione dell’intero sistema delle misure di sicurezza per i malati psichici vada
ripensato. La riforma degli OPG richiede tempo, risorse e collaborazione fra le varie istituzioni coinvolte,
dunque è solo all’inizio: il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici è possibile solo attraverso la
concreta attuazione di quanto disposto dalla legge 81/2014. |
L’analisi del fenomeno della criminalità solitamente ha preso in considerazione la figura del criminale e le
statistiche inerenti questa tematica hanno riguardato, a partire dal secolo XIX, le caratteristiche del reo e il
suo percorso processuale all’interno del sistema giudiziario. La letteratura si è soffermata sullo studio della
criminalità dal punto di vista oggettivo, cioè quella riguardante il numero dei reati denunciati.
Le fonti utilizzate per elaborare questi dati sono le statistiche della delittuosità e della criminalità
alimentate dagli organi periferici del Ministero degli interni e del Ministero di giustizia. Queste rilevazioni
offrono un quadro molto interessante del fenomeno della criminalità, ma non tengono conto del così detto
numero oscuro dei reati, ovvero di quella parte di criminalità che non emerge dalle statistiche ufficiali di
fronte amministrativa: non tutti i reati sono denunciati, non tutti vengono scoperti grazie all’azione delle
forze dell’ordine.
È con l’introduzione delle indagini di vittimizzazione che ci si appropria con maggiore consapevolezza di
questo concetto. Questi studi assumo il punto di vista della vittima e attraverso queste risalgono al numero
di reati da esse subiti. Si tratta di indagini di popolazione che rilevano se gli individui o le famiglie hanno
subito alcuni tipi di reati.
Inoltre, offrono informazioni importanti anche sull’aspetto soggettivo della sicurezza, ovvero la paura, la
preoccupazione di subire i reati, la capacità di governo del territorio da parte delle forze dell’ordine così
come percepita dai cittadini e il contesto sociale ed ambientale in cui si vive.
Le indagini di vittimizzazione permettono di calcolare tre indicatori per cogliere la misura del fenomeno
della criminalità e della sua pervasività: ovvero la prevalenza, l’incidenza e la concentrazione.
L’indicatore di prevalenza è quello più utilizzato. Calcola il numero delle vittime in un determinato periodo
rispetto alla popolazione.
Gli indicatori di incidenza e di concentrazione calcolano invece il numero dei reati che in uno specifico
periodo di tempo si sono verificati a danno degli abitanti di una determinata zona. L’indicatore di incidenza
calcola il numero dei reati sulla popolazione.
Le indagini di vittimizzazione permettono anche di evidenziare quale è la popolazione più a rischio di subire
i reati. La distribuzione del rischio è differenziata nel territorio a seconda del tipo di reato preso in
considerazione.
Nel variegato panorama delle vittime emerge che le donne hanno maggiori probabilità di subire uno scippo
o borseggio; i maschi una rapina, un’aggressione e i furti di oggetti personali. Le famiglie dei dirigenti, liberi
professionisti ed imprenditori subiscono di più i furti in abitazione e di veicoli; le persone di status sociale
più alto e con titolo di studio più elevato i reati contro la proprietà.