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Appunti diritto internazionale dell'economia- [Link] Mauro

Diritto internazionale dell'economia (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali


Guido Carli)

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Diritto Internazionale
dell’Economia
[Link] Mauro, a.a. 2017/18

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Origine e sviluppo del sistema economico


internazionale
L’attuale sistema economico internazionale ha le sue origini nella rivoluzione industriale,
nonostante già a partire dai secoli XVI-XVII si possa parlare di relazioni economiche internazionali
con la nascita degli Stati nazionali a seguito della Pace di Westfalia del 1648. Questo primo periodo
(‘800) è stato definito “the first age of globalization” à flussi internazionali di merci, servizi,
capitali, persone e tecnologie che determinano una società internazionale poco omogenea,
caratterizzata da aree con diversi livelli di sviluppo secondo una configurazione centro/periferia:
divisione internazionale del lavoro, Paesi che necessitano materie prime provenienti da altri Paesi
che non sviluppano un’industria e restano quindi in uno stato di povertà, e che sono principalmente
colonie.

Tre atteggiamenti degli Stati nella gestione delle questioni economiche nel corso del tempo: (1)
astensione; (2) intervento pubblico mirato; (3) cooperazione internazionale. A questi atteggiamenti
corrispondono tre modelli di gestione dell’economia: (1) liberismo classico, XIV sec. – I guerra
mondiale; (2) nazionalismo economico, I guerra mondiale – 1945 (soprattutto dal 1930, a seguito
della crisi di Wall Street); (3) neoliberismo garantito, dopo il 1945 (nell’ambito del quale si trovano
però realtà diverse).

Fase 1
Sistema caratterizzato da un numero limitato di attori, costituiti dai Paesi europei; gli altri sono
periferia, cioè principalmente colonie dei Paesi europei. Leadership economica, finanziaria e
militare del Regno Unito; dal 1910 si affermano anche nuove potenze economiche e industriali
come gli Stati Uniti e la Germania.

Atteggiamento di astensione dello Stato nella gestione dell’economia à liberismo classico: il


mercato va spontaneamente verso una situazione di equilibrio. L’internazionalismo è affidato
soprattutto alle relazioni tra gli individui, intervento dello Stato molto limitato. I canoni del
liberismo influenzano anche la politica estera degli Stati (laissez-faire).

Questi principi furono proposti in primo luogo dal Regno Unito con l’abrogazione di due importanti
misure di stampo protezionistico:

1) 1846, abrogazione delle Corn Laws, leggi introdotte nel 1815 che prevedevano dazi sulle
importazioni dei cereali che provenivano dalle colonie ai fini di proteggere i grandi
proprietari terrieri nazionali
2) 1849, abrogazione dei Navigation Acts, adottati nel 1651 per limitare il commercio estero
delle colonie a quello con la madrepatria

La supremazia navale del Regno Unito aveva inoltre consentito il controllo delle rotte, rendendole
così libere.

Leadership del sistema finanziario: sterlina, Banca d’Inghilterra

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Il sistema monetario dell’epoca era basato sul gold standard, il primo sistema di cooperazione
internazionale volta a realizzare la stabilità monetaria attraverso l’adozione di tassi di cambio
tendenzialmente fissi, secondo cui il valore della moneta si basava sulle riserve d’oro degli Stati. Si
fissarono una serie di regole: (i) l’emissione della moneta entro un determinato rapporto; (ii)
convertibilità della moneta in oro o in valuta estera; (iii) libera circolazione dell’oro; (iv) non
intervento dello Stato nell’attività delle banche centrali. L’utilità di un sistema condiviso con cambi
fissi è favorire il commercio attraverso la certezza negli scambi.

1860, Trattato Cobden – Chevalier (Regno Unito – Francia): (i) riduzione delle tariffe tra gli Stati;
(ii) clausola della nazione più favorita incondizionata (se uno dei due Stati avesse concesso un
trattamento più favorevole a un terzo Stato, questo si sarebbe applicato automaticamente anche
all’altro Stato). Fu la base per un sistema di trattati bilaterali analoghi detti FCN’s (Friendship in
Commerce and Navigation Treaties), che interessarono anche i Paesi dell’America Latina che si
stavano rendendo indipendenti e l’Asia orientale e consentirono la nascita di un sistema economico
integrato.

Questa prima globalizzazione nasce in maniera spontanea sulla base di una rete di trattati bilaterali
fondati sugli stessi principi sul versante commerciale, e di impegni unilaterali assunti da singoli
Stati sul versante monetario. Non c’è alcun meccanismo di controllo del sistema; è un sistema
basato sulla bilateralità, dove l’unico elemento di multilateralità è dato dai rapporti tra madrepatria e
colonie (che tuttavia erano giuridicamente parte integrante del territorio della madrepatria).
Prevalgono quindi le norme convenzionali che hanno una natura bilaterale, a cui si aggiungono
poche norme consuetudinarie sul trattamento degli stranieri tratte dal diritto internazionale.

Il sistema comincia a essere messo in discussione per questa sua debolezza e negli ultimi decenni
dell’Ottocento gli Stati cominciano ad adottare misure protezionistiche di due tipi:
contingentamento e aumento delle tariffe. Cause: (i) unificazione di Italia e Germania, che
impongono barriere tariffarie per proteggere le neonate economie nazionali; (ii) crisi economica
internazionale (1873-1877), anche gli altri Stati impongono misure protezionistiche; (iii) gli Stati
Uniti decidono di non accordare più nei trattati la clausola della nazione più favorita né riduzioni di
tariffe, al fine di proteggere la produzione interna (sono diventati una potenza economica,
manifatturiera e agricola).

Negli stessi anni si ha una prima fase di decolonizzazione in America Latina, con l’emergere di
Stati che si fanno portatori di interessi e dottrine diverse:

• Dottrina Calvo (Argentina), 1870 à principio dell’uguaglianza di trattamento tra stranieri e


nazionali. Ai primi andava cioè applicato il c.d. trattamento nazionale, con la conseguenza
che l’operatore economico straniero non avrebbe potuto ricorrere nelle dispute con lo Stato
allo strumento della protezione diplomatica, ma avrebbe dovuto ricorrere ai giudici
nazionali, con minori garanzie (opposizione degli Stati occidentali, a favore del c.d.
trattamento minimo internazionale);
• Dottrina Bravo (Argentina) à divieto dell’uso della guerra come strumento per costringere
uno Stato straniero a onorare i suoi debiti nei confronti di altri Stati

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Fase 2
Gli scambi commerciali vengono limitati a causa dell’introduzione di misure protezionistiche;
d’altra parte, la guerra impone l’intervento dello Stato per la ricostruzione e per il rimpiego. Nella
stessa direzione, anche se di segno opposto, va anche la Rivoluzione Russa (1917). Gli Stati europei
e gli Stati Uniti subiscono poi la Grande Depressione successiva alla crisi di Wall Street, e alla
situazione generale si aggiunge per alcuni Stati l’obbligo di pagamento dei prestiti e delle
riparazioni di guerra. Adozione da parte degli Stati di misure restrittive non-tariffarie, come le
quantitative restrictions (accordi di contingentamento). Manca una leadership che guidi la ripresa:
chiusura degli Stati Uniti con l’adozione dello Smoot-Hawley Tariff Act, 1930: misura volta a
proteggere gli agricoltori statunitensi attraverso un aumento dei dazi doganali sui prodotti agricoli.

Viene meno il gold standard, e tutti i tentativi di adottare nuovi sistemi monetari negli anni ’20
falliscono. La politica monetaria diventa così uno strumento di politica estera (ad es. svalutazioni
della moneta per aumentare le esportazioni o manovre sui tassi di cambio per rendere più costose le
importazioni).

I rapporti tra Stati si limitano ad accordi di due tipi: (i) accordi di contingentamento; (ii) accordi di
compensazione monetaria o di pagamento (compensazione tra debiti e crediti di due Stati).

Fase 3
Leadership economica, politica e militare degli Stati Uniti; sostituzione del dollaro alla sterlina sul
piano finanziario e monetario. Fase di sviluppo economico (fino ai primi anni ’70). La
decolonizzazione fa sì che si possa parlare di un’economia veramente mondiale, di maggiore
complessità. A partire dagli anni ’70, quantomeno sul piano commerciale, assumono una certa
rilevanza anche gli Stati europei e il Giappone.

Sistema economico predefinito nei vertici svoltisi tra Stati Uniti, Regno Unito e Russia alla fine
della II guerra mondiale à creazione delle Nazioni Unite, organizzazione di stampo universale,
perno del sistema politico, che si sarebbe servita di organismi con competenze tecniche in campo
economico (c.d. neoliberismo garantito o istituzionalizzato, no laissez-faire!)

Sistema basato sulla cooperazione economica internazionale, che può attuarsi secondo tre modelli:

1) modello di Bretton-Woods (1944), neoliberismo: creazione di organizzazioni responsabili di


garantire il rispetto del sistema
2) COMECON (Consiglio per la Mutua Assistenza Economica): organizzazione voluta
dall’Unione Sovietica a cui aderirono i Paesi facenti capo all’URSS ma anche Cuba,
Mongolia, ecc, creata nel 1949 in risposta al piano Marshall del 1948 da cui nacque la
OECE (Organizzazione Economica per la Cooperazione Economica)
3) Paesi in via di sviluppo: sistema meno istituzionalizzato e meno prevalente; negli anni ’70
chiederanno un nuovo ordine economico internazionale (NIEO), basato su un rapporto non
reciproco ma preferenziale nei rapporti tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati con
l’introduzione (i) della Parte IV del GATT, intitolata “Commercio e Sviluppo” e composta
da tre soli articoli, dove viene previsto per i Paesi in via di sviluppo un regime commerciale
preferenziale non basato sulla reciprocità, e (ii) del sistema delle preferenze generalizzate
(applicazione di un trattamento favorevole alle merci provenienti dai Paesi in via di

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sviluppo) in deroga all’art.1 GATT, proposto per la prima volta in seno all’UNCTAD (U.N.
Conference for Trade and Development; nasce come conferenza e diventa una vera e propria
organizzazione). Negli stessi anni nasce anche un altro organismo, il Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP).

Le istituzioni di Bretton-Woods
Obiettivo: cooperazione economica internazionale

a) monetaria: Fondo Monetario Internazionale (FMI)


b) finanziaria: Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) à erogazione
dei finanziamenti per la ricostruzione dei Paesi europei e lo sviluppo degli Stati membri
c) commerciale: International Trade Organization (ITO), N.B.: raccomandazione per la sua
nascita, mai attuata per la mancata ratifica della Carta dell’Avana à sostituita dal GATT

Il Fondo Monetario Internazionale


Esigenza di creare un meccanismo multilaterale che operasse nel settore monetario in modo da
riportare la stabilità dei cambi ed evitare il ricorso alle manipolazioni monetarie viste negli anni ’20:
obiettivo comune di Stati Uniti e Regno Unito, ma discordia su come realizzare questo programma.

Ø Piano White (USA): interesse a ottenere tassi di cambio stabili per favorire il commercio
internazionale e promuovere le proprie imprese à creazione di uno Stabilization Fund con
una propria unità
Ø Piano Keynes (UK): interesse a rilanciare l’economia nazionale distrutta dalla guerra
evitando le pressioni inflazionistiche, garantendo una maggiore liquidità per gli Stati e
favorendo il pareggio del debito à creazione dell’Unione Internazionale di Compensazione,
anch’esso con una sua valuta (Bancor)

La struttura assunta dal Fondo rispecchia sostanzialmente gli interessi americani. Pesa infatti la
rilevanza economica dei membri: viene inserito un sistema di voto ponderato sulla base del
contributo finanziario dello Stato membro (funziona come una società per azioni). Il valore della
quota incide anche sul finanziamento a cui lo Stato può accedere.

Nuovo sistema monetario basato su una doppia parità (gold exchange standard): il valore del
dollaro viene definito in termini aurei (dollaro/oro), mentre le altre valute sono definite in base al
dollaro (altre valute/dollaro). Gli Stati Uniti diventano la fonte di valuta sulla base di un impegno
unilaterale del governo americano.

1971: il Presidente Nixon pone fine al gold exchange standard perché il governo statunitense non
ha più la quantità di dollari necessaria a sostenere il sistema; di conseguenza, cambia il ruolo
dell’FMI.

Il GATT
Sul versante commerciale, gli Stati Uniti promuovono un regime multilaterale di liberalizzazione
degli scambi, che era invece contrario agli interessi del Regno Unito, il quale era al centro di un
sistema di preferenze imperiali. N.B.: all’epoca gli scambi internazionali erano principalmente di
prodotti agricoli, settore dove spesso intervengono aiuti statali ed è quindi difficile raggiungere una
piena liberalizzazione.
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21/11/1947 – 6/3/1948: Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio à 1948: Carta dell’Avana,
ampio trattato dove si prevedeva l’istituzione dell’ITO. La Carta non fu ratificata dagli Stati Uniti
per l’opposizione interna (si temeva la cessione di competenze troppo importanti a un organo
internazionale) e la ITO non viene mai istituita.

Si cercano allora degli strumenti multilaterali alternativi à GATT: è in realtà la parte IV della
Carta, modificata durante la seconda commissione preparatoria. E’ un accordo in forma semplificata
(non è necessaria la ratifica, basta la firma perché si perfezioni). Entra in vigore nel marzo 1948. La
sua applicazione doveva essere provvisoria (fino alla ratifica della Carta), ma di fatto prende il
posto dell’ITO, nonostante inizialmente fosse solo un accordo. Questo sviluppo si ebbe secondo due
direttrici:

i. sviluppo normativo, con l’inserimento nel 1955 dell’art. XXVIII-bis che prevede l’impegno
delle parti a convocare cicli di negoziati (c.d. Rounds) volti a diminuire progressivamente le
barriere tariffarie e, in seguito, non-tariffarie. Ce ne sono stati otto fino alla creazione
dell’OMC: tre dedicati ai prodotti industriali e alla riduzione dei dazi, cinque alle barriere
non-tariffarie come le sovvenzioni pubbliche, il dumping, gli ostacoli tecnici;
ii. sviluppo istituzionale, con la trasformazione da accordo internazionale a organizzazione
internazionale de facto attraverso la creazione di vari organi.

L’OCSE
Dopo la II guerra mondiale, accanto a queste organizzazioni universalistiche nascono
organizzazioni regionali, innanzitutto di carattere economico.

Tra queste si colloca l’OECE (Organizzazione Economica Europea per la Cooperazione


Economica), creata nel 1948 con lo scopo di gestire il Piano Marshall, e a cui formalmente erano
invitati tutti i Paesi europei, ma aderirono solo i 16 Stati dell’Europe occidentale. Nel 1960 l’OECE
si trasforma nell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e perde la
sua dimensione regionale, comprendendo Stati industrializzati anche non europei.

La struttura si compone del Segretariato Generale, composto da una serie di direzioni, e del
Consiglio, organo decisionale che opera attraverso tre standing committees (Comitato Esecutivo,
Comitato per il Bilancio, Comitato per le Relazioni Esterne) e dove siedono i rappresentanti
permanenti degli Stati. Può adottare atti non vincolanti e vincolanti (molto importanti sono le
Guidelines, periodicamente aggiornate). Predispone inoltre il testo di convenzioni internazionali (ad
es. l’AMI, l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti, mai ratificato).

La cooperazione allo sviluppo


La diversa condizione economica degli Stati incide sul regime giuridico loro applicabile.
Introduzione di istituti specifici, in particolare con la parte IV-bis GATT (trattamento commerciale
di favore nei confronti delle merci provenienti dai Paesi in via di sviluppo in deroga alla clausola
della nazione più favorita, ossia il sistema generalizzato delle preferenze), e nascita di
organizzazioni specifiche in seno alle Nazioni Unite (UNEP e UNCTAD).

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Il Nuovo Ordine Economico Internazionale


Con la decolonizzazione si ha una trasformazione della società internazionale. Cominciano delle
rivendicazioni di indipendenza economica rispetto alle forti ingerenze degli ex-Paesi coloniali. Si ha
quindi una serie di risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti (uno Stato, un voto: i
Paesi in via di sviluppo hanno la maggioranza assoluta):

• Risoluzione 1803(1962): dichiarazione di principi sulla sovranità permanente delle risorse


naturali, cioè il diritto sovrano di ogni Stato di proprietà e di sfruttamento delle proprie
risorse naturali.
• Risoluzione 3201(1974): propone la realizzazione di un nuovo ordine economico
internazionale basato su equità, eguaglianza, interdipendenza e cooperazione tra tutti gli
Stati per eliminare le differenze tra i Paesi.
• Risoluzione 3202(1974): programma per l’instaurazione del nuovo ordine economico
internazionale (piano d’azione)
• Risoluzione 3281(1974) contenente la Carta dei diritti e doveri economici degli Stati:
rielaborazione dei principi costitutivi del nuovo ordine economico internazionale e
contestazione delle consuetudini preesistenti. Sovranità non solo sulle risorse naturali, ma
anche sulle attività economiche; dunque anche sugli investimenti stranieri, ciò che porta a
una crisi nei rapporti tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo.

Problema delle risorse economiche site in spazi extra-territoriali: viene formulato il principio di
patrimonio comune dell’umanità

• Risoluzione 2749(1970), regime del fondo e del sottofondo dei mari e degli oceani aldilà
della giurisdizione nazionale: risorse comuni della comunità internazionale, in quanto tali
devono essere sfruttate a vantaggio dell’intera comunità; non più principio della libertà, non
sono res nullius à UNCLASS: lo sfruttamento delle risorse spetta in via diretta ed esclusiva
all’Autorità Internazionale dei Fondi Marini; parte dei ricavi sarebbero andati ai Paesi che
avevano individuato il sito, parte ai Paesi in via di sviluppo. Opposizione dei Paesi
industrializzati, per cui non si arriva alla ratifica della Convenzione se non a seguito di una
modifica della Parte XI (c.d. Intesa). Il Paese pioniere ha quindi diritto di sfruttare per il
50% il sito, mentre l’Impresa può sfruttare il restante 50% a beneficio dei Paesi in via di
sviluppo.

Quid iuris per le risorse riproducibili in queste zone (che altro non sono che la pesca)? Conclusione
di accordi internazionali che normalmente prevedono l’istituzione di organizzazioni regionali.

1971: fine del gold exchange standard à crisi fino alla fine degli anni ’80

Dopodiché, fino all’inizio degli anni 2000: periodo di grande crescita economica, affermazione
della nuova globalizzazione che questa volta coinvolge tutte le aree geografiche del mondo con

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l’emergere di potenze economiche tra i Paesi in via di sviluppo. Nuovo fenomeno dei Paesi
occidentali: deindustrializzazione dovuta alla delocalizzazione produttiva e all’outsourcing.

La globalizzazione consiste in un aumento dei flussi internazionali di capitali, merci, servizi e


tecnologie. Sul piano giuridico, comporta un’espansione del diritto internazionale; su quello
economico, una maggiore concorrenza data la presenza di nuovi attori che hanno costi di
produzione molto inferiori.

2008: crisi bancaria negli Stati Uniti. Cause:

i. 1999: abolizione del Glass-Stiegal Act, la legge bancaria del 1933 che prevedeva la rigida
ripartizione tra banche commerciali e banche d’investimento;
ii. carenza di un sistema di vigilanza sull’attività finanziaria e sull’attività delle agenzie di
rating.

2010: crisi del debito sovrano nella zona euro. Problema: ridotta capacità di reazione visti i vincoli
europei (la BCE non può agire come prestatore di ultima istanza).

Instabilità nei rapporti di cambio tra le valute à riduzione dei flussi internazionali. Adozione di
misure protezionistiche, in particolare per limitare gli investimenti dei fondi sovrani stranieri;
istituzione della golden share (poteri speciali dello Stato durante i processi di privatizzazione delle
imprese pubbliche); ricorso alle manipolazioni monetarie (c.d. dumping monetario).

Ricaduta nei rapporti con i Paesi in via di sviluppo: limitazione dei fondi destinati a questi Stati,
salvo in quei casi in cui vi sono degli interessi politici in gioco.

Il diritto economico internazionale


Si differenzia dal diritto internazionale pubblico in relazione a fonti, soggetti, principi e regole di
funzionamento. E’ un diritto non tanto della coesistenza, quanto della cooperazione e, oggi,
dell’interdipendenza. Include tutte le regole del diritto internazionale che regolano i rapporti
economici: diritto internazionale monetario, diritto internazionale finanziario, diritto internazionale
commerciale, diritto internazionale dello sviluppo, diritto internazionale dell’ambiente. Include una
dimensione pubblicistica e una privatistica (in relazione alla quale sarebbe più corretto parlare di
diritto “transnazionale” dell’economia).

Principi
1) Sovranità degli Stati: principio cogente del diritto internazionale, con una particolarità: si
intende principalmente come sovranità permanente sulle risorse naturali e sulle attività
economiche (cfr. art. 2 Carta dei diritti e doveri economici degli Stati).

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2) Uguaglianza sovrana degli Stati (art.2 Carta delle Nazioni Unite) – viene però messo in
discussione sul piano sostanziale e formale: l’effettiva rilevanza economica dello Stato
incide sulle regole applicabili. Esempi:
i. nell’ambito delle organizzazioni economiche vige la regola del voto ponderato sulla
base della quota posseduta dagli Stati (come nelle s.p.a.): disuguaglianza di fatto e di
diritto tra gli Stati membri
ii. molto spesso viene previsto per gli Stati in via di sviluppo un trattamento di favore,
che assume forme diverse (ad es. i tempi concessi a questi Paesi per adeguarsi agli
obblighi previsti dal sistema OMC sono più lunghi; previsione del sistema di
preferenze generalizzate): c.d. disuguaglianza compensatrice

Funzionamento
Nel diritto internazionale dell’economia, la funzione della sanzione non è mai punitiva; l’obiettivo è
il ristabilimento dell’equilibrio economico violato, pertanto non si hanno sanzioni unilaterali ma
organizzate. Le sanzioni hanno inoltre un contenuto particolare, che in genere è graduato a seconda
della gravità della violazione.

Fonti
Sono le stesse fonti del diritto internazionale (quelle indicate dall’art.38 dello Statuto della Corte
Internazionale di Giustizia: i trattati, la consuetudine, i principi generali di diritto internazionale),
ma hanno una diversa rilevanza: i trattati e soprattutto gli atti di soft law (non vincolanti) delle
organizzazioni internazionali hanno una rilevanza maggiore delle norme consuetudinarie, che nel
diritto internazionale dell’economia sono in numero limitato.

Nel diritto internazionale dell’economia vi sono poi alcune fonti che, pur non essendo tali in senso
formale, assumono una rilevanza tale da non poter non essere considerate fonti in senso atecnico o
sostanziale. Si tratta infatti di un diritto poco formalistico e molto pragmatico.

Fonti in senso formale

1) Norme consuetudinarie
Sono poche, perché molte sono state oggetto di contestazione e perché si tratta di norme che si
formano con più difficoltà. Possiamo ricordare:

− il principio di sovranità;
− il principio di uguaglianza;
− le norme relative al trattamento dello straniero (operatore economico);
− l’obbligo di corresponsione di un indennizzo in caso di nazionalizzazione, espropriazione o
altre operazioni con effetti equivalenti.

2) Fonti negoziali

2.a) Trattati multilaterali


I più importanti sono quelli che fanno riferimento ai tre settori di cooperazione economica
internazionale:
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− monetario (Articles of Agreement of the IMF)


− finanziario (Articles of Agreement of the IBRD)
− commerciale (GATT e accordi OMC conclusi nell’ambito dell’Uruguay Round o
successivamente nell’ambito dell’OMC)

Resta escluso il settore degli investimenti, per cui esistono solo due trattati che disciplinano però
ambiti specifici: la Convenzione di Washington del 1965, istitutiva dell’ICSID, e la Convenzione di
Seul del 1985, istitutiva della MIGA.

2.b) Trattati regionali


Il regionalismo economico rappresenta una tendenza del secondo dopoguerra. Esempi:
MERCOSUR, NAFTA, trattati europei.

2.c) Trattati bilaterali


Strumento enormemente diffuso per la difficoltà di raggiungere accordi più ampi. Esistono varie
tipologie:

− FCNs (Friendship in Commerce and Navigation Agreements), che non contengono solo la
disciplina del trattamento dei commercianti, ma anche norme relative agli investimenti
stranieri;
− IGAs (International Guarantee Agreements), che comportano un’internazionalizzazione dei
sistemi nazionali di assicurazione degli investimenti o delle esportazioni;
− BITs (Bilateral Investment Treaties), che costituiscono il più importante regime giuridico
degli investimenti in quanto sono degli accordi-quadro, non relativi a specifici investimenti;
− DTTs (Double Taxation Treaties), che sono degli accordi volti a evitare la doppia
imposizione attraverso la disciplina della potestà impositiva degli Stati in caso di conflitto;
− FTAs (Free Trade Agreements), che disciplinano non solo il commercio ma anche gli
investimenti, il lavoro, la tutela dei diritti umani, ecc.

2.d) Trattati settoriali


Hanno portata non necessariamente universale, ma più che regionale. Esempio: Trattato sulla Carta
dell’Energia, nato come strumento regionale non vincolante (Carta Europea dell’Energia) e
divenuto successivamente un trattato vincolante a cui aderiscono anche Stati extra-europei, che
disciplina gli investimenti nel settore energetico.

3) Soft Law
Si tratta principalmente di atti non vincolanti adottati dalle organizzazioni internazionali
(dichiarazioni di principi, raccomandazioni, codici di condotta, guidelines, ecc.); hanno una grande
rilevanza in questa materia. Esempio: guidelines della Banca Mondiale sugli investimenti stranieri,
che riempiono la lacuna in materia.

Fonti in senso sostanziale

1) Atti di natura politica


Si tratta degli atti adottati al termine dei vertici internazionali.

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2) Leggi/atti interni
Il diritto interno degli Stati assume in questa materia una certa importanza (viene talvolta richiamato
sul piano internazionale).

3) Contratti internazionali
Disciplinano operazioni economiche che riguardano più ordinamenti. Principali problemi affrontati:
(i) diritto applicabile e (ii) foro competente.

Problema: parte della dottrina considera gli State contracts, cioè i contratti conclusi tra uno Stato o
un ente sottoposto al controllo dello Stato e un individuo straniero (spesso usati per disciplinare gli
investimenti stranieri), come accordi internazionali, con l’applicazione del diverso regime di
responsabilità in caso di violazione.

4) Fonti private
Esempi:

− Lex mercatoria
− Principi Unidroit (sono gli stessi privati a decidere se applicarli, ma in caso di controversie
possono essere direttamente applicati dagli arbitri)
− regole e codici di condotta, che sono tra gli strumenti più importanti per disciplinare
l’attività delle multinazionali, ad es.: Lex petrolea, regole sui prezzi auto-imposte dalle c.d.
“sette sorelle”; Sullivan Principles della General Motors, degli anni ’70; il codice di
condotta del gruppo Ferrero, del 2011.

Giurisprudenza
Non vige la regola del precedente, ma nel diritto internazionale dell’economia la giurisprudenza
viene spesso richiamata per il frequente ricorso alle c.d. clausole flessibili, che devono essere
riempite di contenuto dagli operatori del diritto (è un diritto nuovo).

Soggetti
Accanto ai soggetti in senso formale, dotati cioè di soggettività internazionale (Stati, organizzazioni
internazionali), nel diritto internazionale dell’economia vi sono degli attori (imprese multinazionali,
ONG, vertici internazionali, fondi sovrani) che pur non essendo dotati di tale soggettività hanno un
ruolo di primo piano, e che pertanto devono essere considerati soggetti in senso tecnico o
sostanziale.

Soggetti in senso formale


D’altra parte, gli stessi soggetti in senso formale assumono nel diritto internazionale dell’economia
un ruolo peculiare.

1) Stati
Il diritto internazionale dell’economia non regola la coesistenza tra gli Stati, ma la cooperazione tra
gli stessi. Lo Stato inoltre viene spesso preso in considerazione non in quanto tale, ma in quanto
facente parte di un gruppo, ad esempio:

− i Paesi OCSE, cioè i Paesi industrializzati;


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− le economie in transizione, cioè quei Paesi che passano da un’economia pianificata a


un’economia di mercato;
− i NIC’s (New Industrialized Countries), Paesi emergenti che si caratterizzano per una
crescita industriale molto forte;
− i PVS (Paesi in via di sviluppo), per i quali si pone il problema delle diverse classificazioni
adottate dalla Banca Mondiale, dall’FMI e dall’OMC;
− i PMA (Paesi meno avanzati), la cui lista è aggiornata annualmente dall’ONU sulla base dei
seguenti parametri: (i) popolazione inferiore a 75 milioni di abitanti, (ii) reddito annuo pro
capite inferiore a 990 dollari, (iii) valori bassi per l’indice di capitale umano (formulato
sulla base di (a)nutrizione, (b)salute, (c)educazione e (d)alfabetizzazione) e per l’indice di
vulnerabilità economica (formulato a sua volta sulla base di (a)instabilità della produzione
agricola e dell’esportazione di beni e servizi, (b)percentuale sul PIL delle attività non
tradizionali, (c)concentrazione delle esportazioni di beni, (d)dimensione dell’economia ed
(e)percentuale della popolazione sfollata a seguito di disastri naturali).

2) Organizzazioni Internazionali
Anche le organizzazioni internazionali nel campo del diritto internazionale dell’economia
presentano delle particolarità:

1. viene innanzitutto messa in discussione l’uguaglianza tra Stati membri, anche sul piano
formale (voto ponderato, tempi di adattamento agli accordi;
2. in secondo luogo, la regola è tendenzialmente la decisione a maggioranza (laddove nel
diritto internazionale pubblico normalmente le organizzazioni internazionali funzionano
secondo la regola dell’unanimità);
3. in terzo luogo, si ha la regola della condizionalità; originalmente aveva solo una natura
economica, ma in altri contesti assume anche una dimensione politica (ad es. l’Unione
Europea accorda la clausola della nazione più favorita a patto che vengano rispettati i diritti
umani, i diritti dei lavoratori, ecc.);
4. diversi sono anche gli strumenti attraverso cui viene garantito il rispetto delle norme: da un
lato, la sanzione non ha mai carattere punitivo, ma ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio
economico violato, ed è istituzionalizzata e controllata; dall’altro, vi sono anche strumenti
alternativi (ad es. gli strumenti di risoluzione alternativa in seno all’OMC e all’ICSID);
5. infine, vi sono degli organi che hanno competenze interpretative autentiche come la
Conferenza Interministeriale dell’OMC, la Free Trade Commission del NAFTA e la
Conferenza dei governatori della Banca Mondiale.

Vi è poi un altro aspetto da sottolineare, e cioè la distinzione tra multilateralismo e regionalismo.

Organizzazioni di cooperazione multilaterali


Gli Stati delegano all’organizzazione un numero limitato di competenze ma non accettano
limitazioni alla propria sovranità.

Organizzazioni di integrazione economica regionale


Vincolo non di cooperazione, ma di integrazione: più stretto. Si ha una cessione di sovranità all’ente
sovranazionale. Queste organizzazioni sono espressione del regionalismo economico sorto dopo la
II guerra mondiale e pongono il problema della loro relazione con il multilateralismo commerciale,
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cioè del loro possibile contrasto con il sistema OMC, che prevede la clausola della nazione più
favorita e tende dunque a uniformare il trattamento di tutti i Paesi membri. Il problema era risolto
dallo stesso GATT ‘47, che all’art. XXIV legittimava le forme di integrazione economica regionale,
giustificando in questi casi una deroga alla clausola della nazione più favorita.

Secondo i dati OMC, vi sono oggi 420 accordi regionali commerciali di varia natura. A seconda del
vincolo più o meno stringente, si possono distinguere quattro categorie:

1. Area di libero scambio (FTA): eliminazione delle barriere commerciali interne (tariffarie e
non-tariffarie).
Esempio: NAFTA
2. Unione doganale: rispetto all’area di libero scambio, prevede in più un trattamento
commerciale unico nei confronti dei Paesi terzi (politica commerciale comune e dunque
tariffa doganale comune).
Esempio: CEE, il cui primo obiettivo fu appunto la costruzione di un’unione doganale,
realizzata nel 1968.
3. Mercato comune o interno: presenta come carattere ulteriore l’eliminazione delle restrizioni
alla circolazione dei fattori produttivi
Esempio: MERCOSUR
4. Unione economica e/o monetaria: si ha l’istituzione di una politica economica e/o monetaria
unica, di una moneta unica e di una banca centrale sovranazionale.
Esempio: Unione Economica Europea (Maastricht), che era un’unione monetaria ma non
economica.

Soggetti in senso sostanziale


Si distingue tra soggetti di natura pubblicistica (che sono cioè in qualche modo legati allo Stato o
sua espressione) e di natura privatistica (che non presentano nessun legame con lo Stato). Tra i
primi si collocano i vertici (o i gruppi di varia natura) e i fondi sovrani. Tra i secondi vi sono le
imprese multinazionali (dette MNC, Multi-National Corporations o TNC, Trans-National
Corporations) e le organizzazioni non governative.

1) Vertici
Dopo la II guerra mondiale è diventato sempre più frequente il ricorso alla prassi di tenere riunioni
al massimo dei livelli per affrontare le questioni internazionali che sfuggivano alla disciplina delle
organizzazioni internazionali esistenti. Queste riunioni possono avvenire, come detto, al massimo
dei livelli (tra capi di Stato o di governo, a volte con la partecipazione dei ministri degli esteri, e/o
esponenti massimi delle organizzazioni internazionali, come il Presidente della Banca Mondiale o il
Direttore Generale dell’FMI) o con la partecipazione di ministri semplici (dell’economia, delle
finanze, del commercio estero, dello sviluppo economico).

I vertici non sono vere e proprie organizzazioni internazionali: non hanno un trattato istitutivo né
degli organi permanenti, ma solo delle riunioni periodiche, calendarizzate (no istituzionalizzazione,
è una prassi), che esprimono una serie di atti non vincolanti ma di estrema importanza. Flessibilità e
informalità:

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− sul piano operativo: non c’è una struttura operativa permanente. Il vertice viene convocato e
preceduto da dei lavori preparatori; dopodiché si hanno l’esecuzione dei deliberati e la
verifica dei risultati di vertice in vertice attraverso il meccanismo di follow-up (nella
dichiarazione adottata all’esito del vertice successivo si inseriscono i risultati di quello
precedente). Pur non essendoci degli organi, vi è una presidenza a turno tra gli Stati membri
(che hanno tutti gli oneri finanziari e organizzativi).
− sul piano degli atti: al termine di ogni riunione vengono adottate delle dichiarazioni o delle
comunicazioni che non sono qualificabili come fonti in senso formale, ma hanno una
grande rilevanza da un lato in quanto espressione del massimo livello dei rappresentanti
degli Stati, e dall’altro perché, indicando i c.d. seguiti, cioè i risultati conseguiti a livello
individuale o di gruppo rispetto alla riunione precedente, incidono sulla credibilità dei
singoli Stati e del vertice stesso. Importanza: (i) possono essere utilizzati
nell’interpretazione dei trattati (art. 21, par. 2, lett. b) Convenzione di Vienna), (ii)
favoriscono la formazione di norme consuetudinarie e (iii) il loro contenuto viene spesso
trasformato in atti giuridici vincolanti da parte delle istituzioni finanziarie internazionali o
delle organizzazioni economiche internazionali.

I due vertici più importanti sono il G7 e il G20. Ce ne sono altri, come il G77 o il vertice dei Paesi
non allineati (né a favore dei Paesi industrializzati, né a favore del blocco sovietico), che hanno però
una rilevanza minore.

i) G7
Nasce negli anni ’70 su iniziativa degli Stati Uniti nel contesto dello scontro tra Paesi
industrializzati e PVS e della crisi petrolifera del 1973, con il conseguente diffondersi di un nuovo
fenomeno economico: la svalutazione, che combina due effetti economici normalmente opposti
quali la recessione e l’inflazione.

Originariamente il G7 trattava solo di questioni economiche; a partire dagli anni 2000 ha


cominciato a occuparsi anche di questioni politiche o generali (terrorismo, ambiente, corruzione,
ecc.).

• 1974: iniziano incontri periodici tra i cinque Stati del c.d. library group (Francia, Germania
Ovest, Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti) al livello dei ministri delle finanze (si tratta
della prima forma di riunione ai vertici).
• 1975: il Presidente francese convoca a Parigi un incontro al massimo livello volto al
coordinamento delle politiche economiche degli Stati partecipanti, a cui partecipa anche
l’Italia à G6.
• 1976, vertice di Porto Rico: inizia a partecipare alle riunioni anche il Canada à G7.
• 1977, vertice di Londra: partecipa per la prima volta la CEE, non come membro ma come
osservatore (inizialmente solo per le materie in cui aveva competenza esclusiva). Ancora
oggi l’Unione Europea non è membro del G7, ma partecipa a tuti gli incontri nella persona
del Presidente della Commissione e, dal 2009, del Presidente del Consiglio Europeo, e
spesso con la partecipazione dei singoli commissari alle riunioni più tecniche.
• 1989: l’URSS tramite l’allora Presidente chiede di partecipare al vertice di Parigi e ha così
inizio il processo di amissione della Russia al gruppo à G8 (solo dal 1997).

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• 1994: invito a partecipare al vertice di Napoli, ma per molto tempo la Russia ha partecipato
solo alle riunioni di natura politica, non a quelle che si occupavano di questioni economico-
finanziarie.
• 2002: piena membership della Russia.
• 2007: inserimento della Russia nel turno di rotazione della presidenza.
• 2014: il gruppo inizia a riunirsi nuovamente nella forma del G7, a seguito della sospensione
della Russia per i fatti della Crimea.

ii) G20
E’ un incontro al vertice formatosi quasi in contrapposizione al G7, formato solo dai Paesi
industrializzati. Si tratta di un gruppo più ampio, che comprende anche alcuni Paesi emergenti (tra
cui i BRICS), costituitosi nel 1999. Originariamente erano incontri di natura prettamente tecnica;
dal 2008, a seguito della crisi globale, anche il G20 si riunisce soprattutto a livello di capi di Stato e
di governo. A differenza del G7, il focus del G20 è rimasto sulle questioni di governance del
commercio internazionale.

2) Fondi sovrani
I fondi sovrani sono mezzi di investimento di proprietà statale; si ha solo una definizione molto
generica. Vi sono però degli elementi comuni a tutti: (i) si tratta di mezzi di investimento, cioè di
strumenti attraverso cui effettuare investimenti e ottenere un risultato economico; (ii) il loro capitale
è interamente posseduto dallo Stato sebbene in genere abbiano dallo Stato una struttura
completamente separata, allo scopo di evitare ingerenze politiche; (iii) rientrano nella più ampia
categoria degli investitori istituzionali; (iv) effettuano investimenti a lungo termine e (v) hanno un
portafoglio molto diversificato.

Il primo fu istituito nel 1953 (Kuwait Investment Authority), ma solo recentemente i fondi sovrani
sono diventati attori fondamentali nel contesto economico internazionale, a seguito dell’aumento
esponenziale delle loro dimensioni e dell’intensificarsi delle loro strategie di investimento (crescita
dei fondi in termine di capitale e intensificarsi della loro attività come investitori). Alla base di
questo fenomeno vi è da un lato un fattore economico, cioè la crescita di economie emergenti come
i BRICS, che ha loro consentito di accumulare significative riserve valutarie, e dall’altro l’aumento
del prezzo delle materie prime, tra cui il petrolio, che ha comportato un aumento delle riserve
valutarie dei Paesi dell’OPEC. Tradizionalmente, le riserve valutarie venivano investite in titoli
sicuri, facilmente disinvestibili (soprattutto buoni del tesoro); in seguito, per l’aumento delle riserve
di alcuni Stati da un lato e per il rischio di svalutazione del dollaro dall’altro, si sono diversificati gli
investimenti, e parte delle riserve valutarie di alcuni Stati sono state conferite a fondi sovrani.

I fondi sovrani sono stati particolarmente attivi durante la recente crisi globale, con interventi di due
tipi: (a) ricapitalizzazione degli istituti di credito; (b) acquisizione di imprese in crisi di liquidità.
Negli ultimi anni hanno investito soprattutto negli Stati Uniti e in Europa (poco in Italia, anche se di
recente ci sono stati due casi: l’investimento in quote di partecipazione Unicredit ed ENI da parte di
fondi sovrani libici).

Questi fondi fanno molto spesso investimenti c.d. di portafoglio, cioè investimenti finanziari che
non comportano un coinvolgimento nella gestione dell’impresa), ma sempre di più fanno
investimenti diretti, acquisendo il controllo delle imprese.
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Quid iuris? Gli Stati destinatari (c.d. recipient States) hanno un atteggiamento contraddittorio nei
confronti dei fondi sovrani: da un lato, questi suscitano molte preoccupazioni per la loro natura
pubblica e perché molto spesso appartengono a Stati con governi non democratici; dall’altro ve ne è
bisogno proprio per sopperire alla crisi del credito. Esigenza quindi di una regolamentazione che da
un lato consenta allo Stato recipient di controllare l’attività del fondo soprattutto nei settori
strategici (quando cioè c’è un rischio per la sicurezza nazionale) e dall’altro non limiti i flussi di
capitale, garantendo un trattamento non discriminatorio. Strumenti:

Ø UE: già nel 2008 la Commissione ha adottato un atto non vincolante intitolato “Un
approccio europeo comune ai fondi sovrani”.

L’anno prima, al vertice dei ministri delle finanze di Washington nell’ambito del G7, era stato dato
un mandato all’FMI alla BIRS, e poi all’OCSE, perché valutassero le possibili politiche da adottare
nei confronti dei fondi sovrani.

Ø FMI: il problema è stato approfondito soprattutto dal Comitato monetario e finanziario


internazionale (organo consultivo, congiunto con la Banca Mondiale), che ha individuato le
questioni critiche ma ha rimesso la disciplina dei fondi agli Stati proprietari. Il Comitato ha
promosso la costituzione dell’International Working Group (IWG) on Sovereign Wealth
Funds, un vertice a cui partecipano 23 Stati membri dell’FMI e proprietari di fondi sovrani
con l’incarico di individuare una disciplina dei fondi sovrani. Questo gruppo si è riunito tre
volte (a Washington, Singapore e Santiago del Cile) e alla fine dell’ultimo vertice (ottobre
2008) sono stati adottati i c.d. Principi di Santiago (Generally Accepted Principles and
Practices), che sono lo strumento più importante in questo ambito. Si tratta di un codice di
condotta volontario adottato dagli Stati dell’IWG. I Principi ruotano intorno al principio di
trasparenza, imponendo soprattutto di non sfruttare la posizione privilegiata dell’investitore
pubblico.
Nel 2009, a Kuwait City, l’IWG ha poi costituito, sempre nell’ambito FMI, l’International
Forum of Sovereign Wealth Funds (IFSWF), un gruppo di fondi sovrani che si riuniscono
periodicamente. Questo gruppo si è dato un programma di lavoro su base triennale in cui
verifica l’applicazione dei Principi di Santiago.

Resta il problema del rapporto tra Stato proprietario e recipient State: (i) diritto di quest’ultimo di
limitare gli investimenti pubblici in settori strategici? (ii) Giurisdizione: il fondo gode della stessa
immunità dello Stato? (iii) Quale tassazione va applicata? (iv) Problema degli investimenti
responsabili: no investimenti in società straniere “sgradite”.

Ø OCSE: la prospettiva assunta non è quella dei fondi sovrani, bensì quella dei recipient
States. Aprile 2008: il Comitato sugli investimenti ha adottato un rapporto sui fondi sovrani
e le politiche dello Stato destinatario, sulla cui base il Consiglio dei Ministri ha adottato
nello stesso anno la Dichiarazione sui fondi sovrani e le politiche dello Stato destinatario
(atto non vincolante). Il punto di partenza è l’assunto che i fondi sovrani possano dare un
contributo positivo allo sviluppo dell’economia mondiale e debbano quindi essere favoriti,
purché operino in maniera trasparente e i loro investimenti non siano determinati da ragioni
politiche piuttosto che economiche. Vengono poi stabiliti dei principi generali simili a quelli
contenuti nella comunicazione della Commissione UE del 2008: gli Stati destinatari
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vengono invitati a non adottare misure protezionistiche nei confronti dei fondi sovrani e a
non adottare trattamenti discriminatori rispetto agli altri investitori in circostanze simili; gli
investimenti dei fondi sovrani possono essere limitati solo nei casi in cui vi siano rischi per
la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico e in ogni caso le misure adottate devono
essere trasparenti, prevedibili e proporzionate.
Maggio 2009, adozione delle Guidelines for Recipient Country Investment Policy relating to
National Security: si raccomanda ai governi di seguire sempre i principi di non
discriminazione, trasparenza delle politiche e proporzionalità delle misure adottate
nell’adozione di misure giustificate dalla tutela dell’interesse nazionale. Si cerca un
equilibrio tra l’esigenza di regolamentazione dei fondi sovrani e quella di non limitare i
flussi internazionali di capitali.

3) ONG
Le organizzazioni non governative sono associazioni no-profit costituite da privati appartenenti a
Stati diversi ed operano in vari settori. Vengono costituite secondo le norme interne di uno Stato, e
pertanto hanno formalmente soggettività giuridica di diritto interno, ma non di diritto
internazionale. Tuttavia hanno una rilevanza sempre maggiore nel diritto internazionale, tanto che la
stessa Carta delle Nazioni Unite riconosce il loro ruolo nell’art. 71, secondo cui il Consiglio
economico e sociale può consultare le ONG interessate alle questioni di competenza dell’ECOSOC.

Hanno una duplice funzione:

I. funzione di produzione di regole internazionali (o applicabili sul piano internazionale),


direttamente con l’adozione di atti utilizzati nelle relazioni economiche internazionali (ad es.
gli INCOTERMS della Camera di Commercio Internazionale) o indirettamente in quanto
vengono consultate da varie organizzazioni internazionali, tra cui l’ECOSOC e l’ILO;
II. funzione di amicus curiae: partecipano ai procedimenti di risoluzione di controversie
internazionali fornendo gli elementi di diritto o di fatto utili per la soluzione della
controversia (importanza nell’ambito dell’OMC e del sistema ICSID).

4) Imprese
Le imprese e soprattutto quelle multinazionali sono un attore fondamentale nel diritto internazionale
dell’economia. Problema: qual è la loro natura? Da questo interrogativo ne nasce un altro, relativo
alla normativa loro applicabile e alla configurabilità di una responsabilità in caso di violazione di
norme internazionali.

Problema terminologico: imprese “multi-nazionali” o “trans-nazionali”? Le organizzazioni che più


delle altre si sono occupate della questione sono le Nazioni Unite e l’OCSE. In ambito ONU il
primo termine utilizzato fu multi-national (negli anni ’70, nell’ambito dei lavori per l’elaborazione
di un codice di condotta per queste imprese poi interrotti nel 1992), per indicare un’impresa che
possiede o controlla strutture di produzione e servizi al di fuori del Paese in cui ha sede. Anni dopo
verrà adottato il termine trans-national per mettere in evidenza la natura transfrontaliera di queste
imprese. Il primo termine doveva quindi essere riservato a società possedute e controllate da entità
provenienti da diversi Paesi, mentre il secondo indicava singole società operanti all’estero. Questa
distinzione tuttavia è stata oggi abbandonata.

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Natura dicotomica delle MNC: realtà economica unitaria ma molteplicità di soggetti giuridici. Le
singole imprese che costituiscono il gruppo multinazionale sono soggetti di diritto interno dei Paesi
dove sono state costituite; non sono soggetti di diritto internazionale. Il gruppo multinazionale
invece non è né soggetto di diritto interno, né di diritto internazionale: quale normativa si applica?
Esistono forme di responsabilità delle imprese multinazionali o esiste solo la responsabilità di
diritto interno delle singole imprese? Sono state prospettate varie soluzioni. Da ultime,
organizzazioni internazionali come l’OCSE e l’ONU hanno adottato strumenti non vincolanti che
cercano di regolare l’attività delle imprese multinazionali, ma poiché queste non essendo soggetti di
diritto internazionale non possono essere destinatarie dirette di tali atti, questi passano
necessariamente per la mediazione degli Stati. Un altro strumento utilizzabile è quello dei codici di
condotta adottati volontariamente dalle multinazionali, come quello adottato dalla Ferrero.

Multinational Corporations, Human Rights, Corporate Social Responsibility

1989, caduta del muro di Berlino: nasce un nuovo sistema nelle relazioni internazionali, dove le
organizzazioni internazionali si fanno garanti di alcuni obblighi e non sono più solo luoghi di
dibattito politico. Nascita della globalizzazione dei mercati: armonizzazione politiche economiche,
fiscali, monetarie, liberalizzazione commerci, propensione per il libero mercato.

Sviluppo di imprese con presenza transnazionale: nascita di attori di grande peso economico, capaci
anche di influenzare i processi decisionali a livello internazionale. Problema: necessità di garantire
il rispetto di obblighi già assunti dagli Stati in tema di protezione dell’ambiente, diritti umani,
divieto di commettere crimini internazionali, tutela dei beni paesaggistici e culturali, ecc.

Che cosa sono le imprese multinazionali? Sono gruppi di società, formati da una società madre
(holding controllante) e delle società figlie, il cui controllo avviene secondo due modelli:
(a)controllo del pacchetto azionario; (b)controllo contrattuale attraverso contratti che stabiliscono
un rapporto di subordinazione tra una società e un’altra (ad es. franchising). Le società figlie sono
singoli enti giuridici che hanno sede in diversi Paesi del mondo, assoggettati quindi a diversi
framework giuridici. Benefici: godimento di regimi fiscali o ambientali favorevoli; isolamento dei
rischi attraverso il beneficio della responsabilità limitata (autonomia giuridica di ogni soggetto).
Difficoltà di darne una definizione per la diversa configurazione che hanno nei vari sistemi
giuridici. Ci sono stati vari tentativi da parte di organizzazioni internazionali (OCSE, ONU, Institut
de droit international), ma quello che rileva in definitiva è la transnazionalità, qualunque sia la
forma giuridica e il rapporto che lega la società madre e le società figlie. Si possono quindi
individuare due elementi: (1) l’esercizio di attività d’impresa in più Paesi; (2) le società fanno tutte
capo alla medesima società.

Le società multinazionali contribuiscono per il 60% al PIL mondiale e rappresentano un motore di


crescita per gli Stati (sia di produzione, sia di investimento). Problema: gli Stati, per attirare le
MNC, abbassano gli standard di tutela dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori, ecc. (c.d. social
dumping).

Ulteriore problema: coinvolgimento delle MNC nella commissione di crimini internazionali.


Esempi: violazioni dei diritti sindacali (Drummond in Colombia, Del Monte in Guatemala), disastri
ambientali (Texaco-Chevron in Ecuador, Freeport McMoran in Indonesia), gravi violazioni dei

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diritti umani (imprese petrolifere nell’area del delta del Niger, Talisman Energy nel genocidio del
Sudan, Rio Tinto in Papua Nuova Guinea). (1) Si può affermare una personalità giuridica
internazionale delle multinazionali, cioè l’attitudine a essere titolari di diritti e obblighi posti a
livello internazionale e la legittimazione processuale [Brownly]?

− Orientamento tradizionale: le imprese multinazionali non sono soggetti di diritto


internazionale. Sono destinatarie di norme internazionali, ma ne sono obbligate solo in
quanto siano incorporate negli ordinamenti giuridici interni a cui appartengono; sono cioè
meri soggetti di diritto interno.
− Anni ’60: (i) Parere Reparation for Injuries della CIG legato al caso del Conte Bernadot,
ucciso mentre era in missione e relativo alla richiesta di un risarcimento allo Stato israeliano
da parte dell’ONU: influenza delle esigenze della comunità internazionale sulla soggettività
di diritto internazionale à principio applicabile anche alle MNC; (ii) Caso Texaco c. Libia:
soggettività internazionale delle imprese almeno relativamente ai diritti e agli obblighi che
trovano la loro fonte in contratti conclusi con Stati. Si sviluppa quindi la teoria di una
soggettività “onoraria”, consistente nella titolarità di diritti sostanziali e processuali derivanti
da trattati o da contratti; teoria suffragata dalla circostanza che le organizzazioni
internazionali emanano molto spesso dichiarazioni indirizzate alle imprese.
Critiche: il riconoscimento, che pure è un atto pubblico e non costitutivo della soggettività
internazionale, è un atto degli Stati!
− Soggettività limitata agli ambiti che le riguardano (ad es. investimenti), relativa, derivata
(dipende dalla volontà degli Stati), funzionale [O’Higgins].

(2) Quali sono gli atti internazionali che possono regolare l’attività delle imprese multinazionali?
Anni ’70: forte dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa (“l’integrazione volontaria delle
preoccupazione sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni economiche e nelle loro
relazioni commerciali”, come definita dal Libro verde della Commissione europea del 2001).
Difficoltà di applicare gli standard internazionali a ordinamenti giuridici più arretrati con riguardo
alla tutela dei diritti umani, dell’ambiente, ecc. Vari strumenti:

− Draft UN Code: lavori interrotti nel 1992 per l’opposizione dei Paesi industrializzati (una
parte conteneva obblighi per le imprese, una parte per gli Stati);
− OECD Guidelines on MNC (1976): atto di natura raccomandatoria cui le imprese possono
aderire su base volontaria;
− Dichiarazione tripartita ILO, indirizzata a governi, organizzazioni sindacali e imprese con la
previsione di una procedura di follow-up per gli Stati;
− Global Compact, ONU (2000): dieci principi da adottare su base volontaria;
− UN Norms (2003), indirizzate alle imprese multinazionali di qualunque forma e dimensione
e contenenti obblighi di due diligence, cioè di attuazione di procedimenti interni per la
prevenzione e la repressione di violazioni di norme di diritto internazionale. Gli Stati hanno
una primary responsibility, mentre le imprese hanno una secondary responsibility: hanno
quindi anche degli obblighi positivi di tutela dei diritti umani e dell’ambiente. Le UN Norms
richiamano anche altre fonti normative, rendendole applicabili alle imprese. Sono state
redatte da un Working Group e approvate dalla Sottocommissione dei diritti umani, ma non
dalla relativa Commissione, pertanto non sono giuridicamente vincolanti;
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− Guiding Principles on Business and Human Rights, John Ruggie: obbligo di protezione,
rispetto e riparazione (tre pilastri). Obbligo di rispettare (ma non di promuovere) i diritti
umani con la previsione di piani d’azione nazionali con l’indicazione delle attività da porre
in essere in relazione a ciascun guiding principle.

Si tratta comunque di atti di soft law, a carattere raccomandatorio. Hanno tuttavia una duplice
importanza: sotto l’influenza di tali atti, molte imprese hanno adottato dei codici di condotta;
inoltre, gli atti di soft law spesso servono a creare il consenso per lo sviluppo di hard law e sono
essenziali per l’interpretazione delle norme internazionali, oltre a influenzare la creazione di norme
nazionali. Nel 2014 è iniziato il processo per la creazione di uno strumento di natura vincolante, con
l’istituzione di un Working Group per la stesura di un trattato internazionale diretto alle imprese
multinazionali, che ha già adottato un primo atto nel settembre 2017. Si tratta tuttavia di
un’iniziativa spinta principalmente dai Paesi dell’America Latina e osteggiata ai Paesi
industrializzati.

Rimedi? No giurisdizione ICSID, CIG o CPI (proposta di emendare lo Statuto di quest’ultima);


difficoltà di adire le giurisdizioni nazionali. Soluzioni:

− Alien Tort Act: norma dell’ordinamento statunitense che prevede la possibilità di proporre
claims contro società americane operanti all’estero per violazioni di norme di diritto
internazionale;
− giurisdizione olandese (sede di compagnie petrolifere);
− giurisdizione inglese;
− soprattutto, pressione della società civile sulle imprese.

Il Fondo Monetario Internazionale


L’FMI è una delle due organizzazioni internazionali la cui istituzione venne prevista a Bretton-
Woods nel 1944 (l’altra è la BIRS). Nasce con una competenza molto specifica: ricreare un sistema
di stabilità monetaria internazionale gestendo le relazioni monetarie tra i membri, garantendo la
piena convertibilità delle valute, e assicurando un sistema di tassi di cambio tendenzialmente fissi.
L’obiettivo ultimo era lo sviluppo del commercio internazionale. Per mantenere la stabilità
monetaria l’FMI avrebbe avuto la funzione di intervenire finanziariamente nei confronti dei Paesi
membri in difficoltà con la bilancia dei pagamenti, ma con interventi a breve o al massimo a medio
termine.

I progetti originari erano due: quello proposto dal delegato del Regno Unito (Keynes) voleva la
creazione di un’organizzazione internazionale che avesse il compito soprattutto di ricostruire le
economie nazionali attraverso la ripresa del lavoro; quello proposto dal delegato degli Stati Uniti
(White) voleva la creazione di un’istituzione che garantisse la stabilità monetaria, considerata come
condizione per lo sviluppo del commercio internazionale (ciò che avrebbe favorito l’industria

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statunitense). I due progetti convergevano però su una serie di punti, raccolti nel Joint Statement of
Experts on the Establishment of an International Monetary Fund of the United and Associated
Nations:

− ripudio di tutte le prassi discriminatorie di manipolazione monetaria;


− stabilizzazione dei tassi di cambio a livello internazionale;
− evitare che gli Stati possano ricorrere alla svalutazione della moneta (al fine di aumentare le
esportazioni).

Il fondo è operativo dal 1946 e dal 1947 è un istituto specializzato delle Nazioni Unite.

Evoluzione
Funzione originaria: stabilizzazione monetaria. Creazione del gold exchange standard, un sistema
monetario basato su:

i. tassi di cambio tendenzialmente fissi (cioè fissi ma aggiustabili): sono tollerati margini di
oscillazione della moneta dell’1% rispetto al valore fissato (c.d. cambio sporco);
ii. doppia parità: il valore del dollaro viene ancorato all’oro; il valore delle altre monete viene
ancorato al dollaro. Gli Stati Uniti si impegnano a mantenere fisso il valore dell’oro,
garantendo il cambio a $35 x oncia; gli altri Stati si impegnano a mantenere il valore della
propria valuta, fissato in dollari

Limiti di natura giuridica (non si basa su un accordo internazionale, ma su un impegno informale


degli Stati Uniti) e rispetto al funzionamento del sistema.

Anni ’70: aumento delle riserve valutarie ufficiali di altri Paesi in dollari (scambiabili quindi in
oro); gli stessi Paesi non garantiscono più la parità della loro moneta. Gli Stati Uniti si rifiutano di
svalutare il dollaro rispetto all’oro e hanno continui disavanzi nella bilancia dei pagamenti (aumento
degli esborsi in dollari dovuti principalmente alla guerra in Vietnam e all’aumento delle
importazioni dal Giappone). 15 agosto 1971: Nixon dichiara che gli Stati Uniti non sono più in
grado di sostenere il sistema e non garantiscono più la piena convertibilità del dollaro in oro.
Conseguenza: instabilità monetaria

Dicembre 1971: i Paesi del gruppo dei 10 (Paesi più industrializzati) si riuniscono allo Smithsonian
Institute e adottano lo Smithsonian Agreement, che prevedeva: (i) la svalutazione del dollaro
rispetto all’oro (nuova parità: $38 x oncia); (ii) la rivalutazione del marco e dello yen; (iii) nuovi
margini di oscillazione più elevati (2,25%). Anche questo sistema però fallisce.

Viene quindi adottato il II emendamento dello Statuto del Fondo (1976, in vigore dal ’78), che
modifica l’art. 4 con la previsione di tre punti principali: (i) abbandono dei cambi fissi; (ii)
abbandono dell’oro come parametro di riferimento del Fondo (sostituito dai diritti speciali di
prelievo); (iii) introduzione dell’obiettivo della stabilità finanziaria (prima, solo monetaria) e del
concetto di sistema monetario internazionale. Conseguenza: libertà degli Stati di fissare il valore
della propria valuta, con tre possibilità: (1) tassi di cambio fissi (ancoramento ad un’altra valuta, ad
es. il dollaro); (2) sistema di fluttuazione congiunta delle valute (ad es. sistema monetario europeo);
(3) libera fluttuazione (valore determinato dalla domanda e dall’offerta della moneta sul mercato).

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Cambia così il mandato del Fondo, che perde la funzione di istituzione monetaria deputata a
garantire la stabilità del sistema monetario e diventa un creditore internazionale. A partire dagli anni
’70 interviene infatti per finanziare Stati in difficoltà, soprattutto con l’emergere a metà degli anni
’80 del problema del default degli Stati (Messico, 1986). Negli anni ’80 e ’90 interviene
principalmente in favore dei Paesi in via di sviluppo e dei Paesi latino-americani. Interviene poi nei
processi di privatizzazione delle economie dei Paesi ex-URSS. Nel 1997 interviene nel crollo delle
valute delle c.d. tigri asiatiche (Singapore, Corea del Sud, Hong Kong e Taiwan). Negli ultimi anni
infine è intervenuto soprattutto a favore di Paesi dell’area euro (Greca, Irlanda, Portogallo)

Procedura di emendamento
A questi interventi corrispondono delle modifiche formali allo Statuto. L’art. 28 degli Articles
regola la procedura di emendamento:

− la proposta può essere avanzata da un membro, da un governatore o dal Consiglio dei


direttori esecutivi;
− deve essere approvata dal Consiglio dei governatori;
− viene infine sottoposta a tutti gli Stati membri: deve infatti essere accettata attraverso ratifica
interna dai tre quinti dei membri, che dispongano dell’85% dei voti complessivi.

Ad oggi ci sono sette emendamenti:

I. 1969, introduzione dei diritti speciali di prelievo;


II. 1978, abolizione del sistema dei tassi di cambio fissi e introduzione del sistema dei tassi di
cambio fluttuanti;
III. 1992, introduzione della procedura di sospensione dai diritti di voto del membro
inadempiente;
IV. 2009, riallocazione speciale (aumento della quantità) dei diritti speciali di prelievo;
V. 2011, espansione della capacità d’investimento del Fondo;
VI. 2011, Reform of quota and voice in the IMF: aumento dei diritti di voto di base per ogni
membro;
VII. 2016: raddoppiamento delle quote dei membri e composizione esclusivamente elettiva del
Consiglio dei direttori esecutivi (non ce ne sono più nominati dai singoli Stati).

Membership del Fondo


I membri sono 189. Solo gli Stati possono essere membri del Fondo (diversamente dall’OMC, di
cui possono far parte anche organizzazioni internazionali). L’unico requisito formale è fissato
dall’art.3 dello Statuto ed è la sottoscrizione di una quota periodicamente fissata dal Consiglio dei
governatori e proporzionale al capitale versato.

E’ previsto il diritto di recesso, che diventa effettivo al momento della ricezione della dichiarazione
dello Stato. E’ previsto anche il ritiro obbligatorio: quando, passato un periodo di tempo
ragionevole dalla sospensione, lo Stato non attemperi ai suoi obblighi, il Consiglio dei governatori
può con l’85% dei voti costringere lo Stato a ritirarsi dal Fondo. Si tratta di una extrema ratio; vi
sono altre due misure adottabili in caso di inadempienza degli Stati, cioè l’ineligibilità all’accesso
alle risorse del Fondo e la sospensione dei diritti di voto, secondo tre diversi livelli di gravità.

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Ogni cinque anni il Consiglio dei governatori aggiorna le quote sulla base delle modificazioni degli
equilibri economici internazionali (peso economico degli Stati) e delle esigenze di liquidità del
Fondo. La quota veniva determinata originariamente in base alla c.d. formula di Bretton-Woods,
che prevedeva quattro parametri: (1) prodotto nazionale lordo inumano, (2) riserve ufficiali in
valuta estera e in oro in un anno, (3) partite correnti nel corso degli anni e (4) entrate correnti nel
corso degli anni. Si basava molto sul reddito degli Stati e favoriva quindi gli Stati industrializzati.
Pertanto, negli anni ’70 la formula Bretton-Woods viene integrata da formule aggiuntive che danno
maggior peso al commercio estero e alla variabilità delle esportazioni per favorire Stati con
economie minori, ma aperti al commercio internazionale. Ad oggi vi sono state quattordici revisioni
delle quote, ed è in corso la quindicesima (da ultimare entro il 2019). La formula attuale per
determinare le quote dei membri si fonda su una media ponderata tra prodotto nazionale lordo
(50%), grado di apertura verso l’estero (30%), variabilità economica (15%) e riserve ufficiali (5%).

Le quote venivano originariamente espresse in dollari. A seguito dell’abbandono del gold exchange
standard vengono espresse in diritti speciali di prelievo, introdotti dal I emendamento. Il valore dei
diritti speciali di prelievo viene determinato da un paniere di valute, composto originariamente da
dollaro, marco, sterlina, franco e yen; a partire dal 1999 franco e marco sono stati sostituiti
dall’euro, e dal 2015 è stato aggiunto il renminbi.

Le quote hanno un’importanza fondamentale:

− le risorse conferite attraverso la sottoscrizione delle quote consentono al fondo di operare;


− lo Stato membro può accedere a risorse del fondo in proporzione alla propria quota (fino al
2009, per il 200%, poi aumentato al 600% con il limite del 200% annuo);
− dalla quota dipendono i diritti di voto (sistema di voto ponderato), partendo da dei voti di
base a salire con un numero di voti aggiuntivi proporzionato al capitale posseduto.

Struttura
Struttura tripartita: Board of Governors, organo politico rappresentativo degli Stati; Executive
Board, organo decisionale; Managing Director. Nell’ambito del Consiglio esecutivo (o dei direttori
esecutivi) la regola è la maggioranza (in alcuni casi qualificata) e si applica la regola del consensus.

1) Consiglio dei governatori


Organo assembleare, rappresentativo di tutti gli Stati membri: un rappresentante per Stato membro
(normalmente, il governatore della banca centrale o il ministro dell’economia o della finanza). Si
riunisce per propria convocazione, perché convocato dal Consiglio esecutivo, o perché convocato
da quindici Stati membri ovvero da un gruppo di Stati che rappresenta un quarto dei voti
complessivi.

Ha tutti i poteri non espressamente conferiti dallo Statuto al Consiglio esecutivo, al Direttore
generale o a esso stesso. Trattandosi di un organo politico e non permanente, delega però la maggior
parte dei suoi poteri al Consiglio esecutivo (tranne quelli espressamente conferitigli dallo Statuto).

2) Consiglio esecutivo (o dei direttori esecutivi)


E’ responsabile della gestione operativa; in particolare, decide sull’attività del Fondo. Ha tutti i
poteri ad esso delegati dal Consiglio dei governatori.

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E’ un organo permanente, presieduto dal Direttore generale, con una composizione ristretta:
attualmente vi sono 24 direttori esecutivi. Tradizionalmente, di questi ventiquattro cinque non erano
eletti ma nominati dai cinque Stati con le quote più elevate (Stati Uniti, Giappone, Francia,
Germania, Regno Unito); altri tre venivano eletti dagli Stati le cui valute erano state maggiormente
utilizzate dal Fondo nelle sue operazioni negli ultimi due anni precedenti la nomina (Russia, Cina e
Arabia Saudita), c.d. mini-constituencies; gli altri venivano eletti da constituencies, cioè
raggruppamenti di Stati (circoscrizioni). L’VIII emendamento ha riformato questo sistema, per cui
oggi la composizione del Consiglio è esclusivamente elettiva.

3) Direttore generale
E’ a capo del personale. Opera sotto il controllo del Consiglio esecutivo, di cui presiede le riunioni
ma in cui non ha diritto di voto, se non quando non si riesca altrimenti a formare una maggioranza.
Partecipa senza diritto di voto anche al Consiglio dei governatori.

Altri organi
1) Tra il 1975 e il 1999 ha operato un Internal Committee, sostituito poi dal Comitato monetario e
finanziario internazionale (IMFC), un organo di collegamento con la Banca mondiale. Si tratta di un
organo consultivo del Consiglio dei governatori; esercita una funzione di sorveglianza sul sistema
monetario e finanziario internazionale e definisce le misure che le istituzioni internazionali
economiche devono adottare per dare seguito alle decisioni del G20.

2) Comitato ministeriale congiunto dei governatori, altro organo di collegamento con la Banca
mondiale con funzioni consultive dei consigli dei governatori delle due organizzazioni. Ha
competenza in materia di sviluppo dei Paesi in via di sviluppo e di risorse a ciò dedicate ed ha una
composizione ristretta.

Obiettivi
Art. I Statuto:

1. cooperazione monetaria;
2. espansione e crescita equilibrate del commercio internazionale, al fine di sviluppare e
mantenere elevati i livelli di occupazione, di reddito reale, e di produzione;
3. stabilità dei cambi, mantenendo regimi ordinati ed evitando svalutazioni;
4. creare un sistema multilaterale dei pagamenti relativi alle transazioni correnti tra gli Stati
membri ed eliminazione delle restrizioni valutarie;
5. assicurare agli Stati membri un’assistenza finanziaria temporanea per correggere gli squilibri
nella bilancia dei pagamenti (diversamente dalla Banca mondiale, che finanzia progetti di
sviluppo e fornisce quindi un’assistenza finanziaria a lungo termine);
6. ridurre la durata e l’ampiezza degli squilibri nella bilancia dei pagamenti degli Stati membri.

Obblighi generali dei membri


Art. VIII Statuto:

1. non ricorso a restrizioni in materia di pagamenti correnti;


2. non ricorso a pratiche monetarie discriminatorie nei confronti degli altri Stati membri;
3. obbligo di acquistare le disponibilità della propria moneta detenute dal un altro Stato
membro, a certe condizioni;
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4. trasmissione di informazioni necessarie all’attività del Fondo;


5. consultazioni tra gli altri Stati membri facenti parte di un accordo internazionale vigente che
preveda obblighi incompatibili con le eventuali restrizioni previste dallo Statuto;
6. obbligo di collaborare per le politiche relative agli attivi di riserva.

Funzioni
I. Sorveglianza;
II. capacity development (assistenza tecnica e formazione);
III. assistenza finanziaria.

1) Funzione di sorveglianza
Sebbene a partire dall’adozione del II emendamento (1978) gli Stati siano liberi di scegliere il
proprio regime di cambio, essi hanno l’obbligo di mantenerne uno ordinato e di non ricorrere a
svalutazioni competitive della propria moneta. In relazione a questi obblighi l’FMI ha un potere di
controllo duplice: da un lato sui singoli Stati membri, dall’altro sull’andamento economico a livello
regionale e globale, esercitabile attraverso un meccanismo di sorveillance bilaterale o multilaterale:

Ø sorveglianza bilaterale (art. IV): è una sorveglianza obbligatoria, a cui gli Stati membri
devono sottoporsi periodicamente. E’ volta a raccogliere dati sull’andamento dell’economia
nazionale attraverso l’invio di una missione di funzionari del Fondo. Sulla base di questa
missione viene elaborato un rapporto del Consiglio esecutivo (Country report), contenente
contiene delle correzioni non vincolanti ma di grande rilevanza, che viene inviato allo Stato
membro e che non può essere divulgato senza il consenso di quest’ultimo. Favorevoli a
questo tipo di controllo sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo (costituisce un passo
preliminare per l’ottenimento di finanziamenti).
Ø sorveglianza multilaterale: riguarda il sistema internazionale (stato dei pagamenti e stabilità
monetaria e finanziaria). Valutazione periodica, il cui esito sono degli studi di vario tipo (ad
es. il World Economic Outlook).

L’esercizio della funzione di controllo viene revisionata ogni tre anni (revisione delle procedure,
Triennial Sorveillance Review). Ottobre 2011: il meccanismo di sorveglianza è stato rafforzato
attraverso l’introduzione di correttivi volti a consentire al Fondo di fare previsioni più corrette.
Questa revisione si è basata sui feedback ricevuti dagli Stati e sui consigli di esperti interni ed
esterni all’FMI, e per la prima volta è stata approvata da un organo esterno al Fondo, l’External
Advisory Group (trasparenza). 2014: ulteriore revisione, tentativo di adeguare la sorveglianza alle
sfide dei Paesi emergenti e ai problemi specifici dei singoli Stati; sottoposizione a un meccanismo
di valutazione esterna.

2) Capacity development
Assistenza tecnica e di formazione: è la più importante in termini di risorse impiegate (grande
sviluppo negli anni). Diverse modalità: progettazione di politiche e assistenza alla loro attuazione,
raccolta di dati statistici, corsi di formazione, ecc. Si tratta comunque di attività che vengono svolte
in loco, e richiedono dunque la collaborazione delle autorità pubbliche dello Stato interessato.

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3) Assistenza finanziaria
Nasce per dare agli Stati membri la possibilità di accedere a risorse finanziarie che consentano loro
di riequilibrare squilibri temporanei nella bilancia dei pagamenti. Intervento diverso da quello della
Banca mondiale: il Fondo non è un’agenzia di sviluppo, pertanto non finanzia programmi a lungo
termine. Due tipi di programmi: (a) di stabilizzazione; (b) di aggiustamento strutturale (della
produzione e del consumo). Due tipi di assistenza: (a) automatica, non soggetta ad alcuna
condizione particolare; (b) condizionata, subordinata alla conclusione di un accordo e di una lettera
d’intenti. In questo contesto la condizionalità è volta ad assicurare attraverso l’implementazione
delle riforme richieste che lo Stato beneficiario sia in grado di restituire il credito ottenuto, ed allo
stesso tempo a facilitare il risanamento dell’economia dello stesso.

Le risorse messe a disposizione del Fondo da parte degli Stati sono di due tipi:

Ø ordinarie (le uniche originariamente previste): sono le quote sottoscritte dagli Stati quando
aderiscono al Fondo. Originariamente erano versate per il 25% in oro (gold tranche) e per il
restante 75% in valuta nazionale. Le riserve ordinarie confluiscono nel c.d. conto generale,
che finanzia la maggior parte delle transazioni tra FMI e Stati. Al suo interno vi sono risorse
inutilizzabili e utilizzabili; queste ultime sono quelle fornite degli Stati membri con una
posizione finanziaria abbastanza forte da consentire al Fondo di ricorrere alla loro valuta
nell’erogazione di finanziamenti ad altri Stati membri. Tutti gli Stati membri possono
accedere a questo conto per risolvere le difficoltà relative alla bilancia dei pagamenti.
Ø mutuate: sono state introdotte a partire dalla metà degli anni ’60 per integrare le risorse
ordinarie e confluiscono nei c.d. conti speciali. Il Fondo agisce come mutuatario in accordi
di prestito; in base all’art. VII, par. 1, lett. i) potrebbe ottenere prestiti da privati (banche),
ma nella pratica la controparte sono Stati o altre istituzioni finanziarie internazionali. Tali
prestiti sono di due tipi: (a) bilaterali, che il Fondo ottiene da singoli Stati membri o da altre
organizzazioni finanziarie internazionali, prima fra tutte la Banca dei regolamenti
internazionali; (b) multilaterali, che sono a loro volta di due tipi: (b.1) General
Arrangements to Borrow (GAB); (b.2) New Arrangements to Borrow (NAB). I primi sono
stati introdotti nel 1962 dai dieci Stati più industrializzati, che hanno accettato di prestare
all’FMI le risorse di cui avesse bisogno nelle loro valute. I finanziamenti derivanti da questi
accordi, che vengono revisionati ogni cinque anni, sono stati estesi anche ai Paesi esterni ai
dieci solo nel 1985. I NAB sono stati conclusi dai Paesi del G10 e altri quindici Paesi nel
1997, a seguito della crisi finanziaria del Messico. Questi accordi sono stati via via estesi ad
altri Paesi e sono oggi la risorsa più importante. N.B.: gli Stati estranei al G10 possono
accedere ai GAB solo dopo aver richiesto i NAB.

Negli ultimi anni la crisi finanziaria ha richiesto ulteriori fondi per finanziare i c.d. pacchetti di
salvataggio, con due conseguenze: (1) incremento dei NAB, su decisione del G20; (2) apertura di
altri canali bilaterali di finanziamento.

Altre tre risorse del Fondo:

1. vendita delle disponibilità di oro;


2. proventi degli investimenti;
3. commissioni.
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L’assistenza finanziaria del Fondo, come detto, è volta a riequilibrare squilibri temporanei nelle
bilance dei pagamenti. Originariamente non vi era alcuna distinzione basata sulle cause di tali
difficoltà, e gli Stati avevano un’unica possibilità: ricorrere alle disponibilità ordinarie, accedendo a
tranche successive di prelievo a condizione di aver utilizzato le quote già ottenute e sottostando a
condizioni via via più onerose (sistema c.d. a torre). In seguito il Fondo ha introdotto delle
disponibilità speciali (c.d. policies o facilities), a cui gli Stati possono accedere a seconda delle
difficoltà che incontrano e delle loro esigenze specifiche (c.d. fila di sportelli). In questo sistema, le
linee di credito possono anche non essere condizionate, quando gli squilibri dipendano da fattori
esogeni, e se sono condizionate sono previsti periodi di tempo più lunghi per il soddisfacimento di
tali condizioni (condizionalità meno stringente). Nel sistema della fila di sportelli inoltre lo Stato
può accedere a risorse maggiori.

L’introduzione del sistema delle risorse speciali è stata conseguenza della circostanza che, a partire
dagli anni ’70, l’attività di assistenza finanziaria del Fondo si è concretata in interventi diretti a
sostenere le riforme di politica economica interna e svolti in funzione delle difficoltà che lo Stato di
volta in volta incontra, nonché delle caratteristiche dello Stato stesso (non più mero riequilibrio
della bilancia dei pagamenti).

1) Le disponibilità ordinarie
Ogni Stato membro può accedere alle risorse del Fondo attraverso un prelievo: lo Stato accede alle
risorse di altri Stati in cambio di riserve della propria valuta. I prelievi ordinari sono quelli effettuati
sulle disponibilità ordinarie ed erano previsti originariamente dallo Statuto.

Nell’ambito delle disponibilità ordinarie si trova la c.d. quota di riserva. Gli Stati membri possono
effettuare prelievi su una parte della loro quota, quella cioè del 25% versata in valuta internazionale
al momento della sottoscrizione. Questa parte della quota è appunto la quota di riserva, a cui gli
Stati possono accedere in qualunque momento e senza sottostare a condizioni particolari. Questo
diritto di prelievo nasce al momento della sottoscrizione della quota.

Lo Stato può poi acquisire ulteriori tranche, ma in questo caso l’acquisto non è automatico, bensì
avviene a determinate condizioni di riforma delle politiche economico-finanziarie (c.d.
condizionalità), contenute negli arrangements e nella lettera d’intenti. Le tranche sono trimestrali:
ogni tre mesi infatti il Fondo effettua una review circa l’adempimento di tali condizioni da parte
degli Stati, a cui è sottoposta la concessione della tranche successiva. Vale a dire che se le
condizioni concordate non vengono rispettate, lo Stato non può accedere alla tranche successiva.

La condizionalità (o Washington Consensus)


La condizionalità è definita come l’insieme delle politiche economiche che il Fondo vuole che i
membri applichino per poter utilizzare le sue risorse. Originariamente non era prevista da alcuna
norma dello Statuto, che prevedeva come unica condizione per l’erogazione di finanziamenti il loro
rimborso, ma fu introdotta quasi subito con la previsione del sistema delle tranche, da un lato
proprio per garantire il rimborso, dall’altro per facilitare il risanamento dell’economia nazionale. La
prima volta che fu applicata fu nel 1954 nei confronti del Perù, e divenne una prassi abituale a
partire dalla fine degli anni ’60. Solo nel 1979 fu giuridicamente prevista da una decisione del
Consiglio esecutivo, contenente le Linee guida sulla condizionalità (il cui ultimo aggiornamento
risale al 2012).
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Il Fondo richiede l’adozione di riforme di stampo liberista (sempre la medesima ricetta) definite nel
Programma di stabilizzazione (contenente le misure di politica monetaria e fiscale volte a creare un
clima economico stabile) e nel Programma di aggiustamento strutturale (che incide sulla struttura
del consumo e della produzione). Nel corso degli anni le riforme richieste dal Fondo sono diventate
sempre più precise e sostanziali.

Fattori presi in considerazione nella politica di condizionalità:

• quantitative performance criteria: variabili macroeconomiche a cui si deve attenere lo Stato;


• indicative targets: soglie di verifica individuate dal Fondo;
• structural benchmarks: indicatori individuati per valutare l’attuazione del programma.

Strumenti della condizionalità:

1. Stand-by arrangements: accordi conclusi dallo Stato richiedente assistenza finanziaria con il
Fondo, normalmente della durata di un anno, un anno e mezzo ma estendibili fino a tre anni.
L’accesso alle risorse è subordinato via via al rispetto della condizionalità e non si tratta di
un’assistenza finanziaria agevolata (non è a tasso zero). La procedura prevede:
− la richiesta di assistenza da parte dello Stato membro attraverso il Direttore
generale;
− l’invio di una missione di funzionari del Fondo;
− una consultazione con le autorità locali e la finalizzazione della lettera d’intenti;
− conclusione dell’accordo di finanziamento (stand-by arrangement).
2. Lettera d’intenti: documento programmatico con cui lo Stato si impegna a realizzare una
serie di riforme volte a correggere gli squilibri nella bilancia dei pagamenti. Nonostante si
tratti formalmente di un documento adottato dallo Stato, le riforme sono in realtà imposte o
quantomeno concordate con il Fondo (che infatti prepara la bozza). La lettera d’intenti deve
essere approvata dal Comitato esecutivo.

La natura di questi documenti è controversa: parte della dottrina li considera accordi internazionali,
altra parte li considera accordi unilaterali, con l’applicazione di due diversi regimi di responsabilità
dello Stato in caso di violazione. Altri due documenti:

3. Memorandum of Economic Policies (MEP): descrizione delle varie ridorme da attuare;


4. Technical Memorandum of Understanding (TMU): indicazione degli obiettivi in termini di
risultati di attuazione.

Dal punto di vista economico, queste intese sono linee di credito subordinate all’attuazione delle
condizioni; da quello giuridico, rappresentano più che un prestito una vendita a termine, mediante la
quale lo Stato cede valuta nazionale in cambio di una valuta straniera.

2) Le disponibilità straordinarie
Gli sportelli sono una forma di assistenza finanziaria più mirata, volta a rispondere alle specifiche
esigenze degli Stati. Pertanto l’assistenza finanziaria in questo caso è soggetta a condizionalità solo
se le cause dello squilibrio sono endogene. Gli sportelli sono finanziati o da contributi volontari dei
Paesi più ricchi, o tramite i profitti derivanti dalla vendita delle riserve auree del Fondo.

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La prima di queste facilities è stata introdotta a metà anni ’70 e da allora molte sono state
modificate o sostituite. Il Fondo ne ha operato una razionalizzazione e riorganizzazione nel 2009 a
seguito della crisi finanziaria, da cui è derivata un’esigenza di liquidità a cui si è risposto con
l’introduzione di misure volte ad aiutare gli Stati a prevenire o a mitigare eventuali crisi successive.
In particolare è stata introdotta la flexible credit line, la cui concessione è chiesta dagli Stati in via
precauzionale. La somma viene poi erogata in un’unica tranche quando lo Stato ne abbia bisogno.
La somma massima viene stabilita caso per caso, e il finanziamento deve essere rimborsato entro
cinque anni. Un altro strumento, questo introdotto nel 2011, è il rapid financing instrument, che
prevede un intervento immediato del Fondo nei confronti di Paesi che hanno urgente bisogno di
finanziamenti.

Il Fondo Monetario Internazionale e la crisi greca *

Che cos’è la bilancia dei pagamenti? E’ un sistema di conti nel quale vengono registrate tutte le
operazioni economiche che avvengono tra gli operatori economici di un Paese ed operatori
economici stranieri (importazioni/esportazioni, transazioni finanziarie) identificati per categoria.

Ø entrate > spese: avanzo (+) à il Paese sta comprando valuta estera
Ø spese > entrate: disavanzo (-) à il Paese deve utilizzare le sue riserve per finanziare le sue
importazioni

Quali sono le cause delle crisi economiche? (a) Fattori interni: politiche fiscali ed economiche
inadeguate, (b) fattori esterni (c.d. shock): disastri naturali, innalzamento dei prezzi della materia
prima, ecc. Varie forme: (a’) crisi del debito: il Paese non è in grado di pagare le importazioni
fondamentali o di rimborsare il suo debito estero; (b’) crisi finanziarie: fallimento di istituti di
credito; (c’) crisi fiscali: deficit fiscali (spesa pubblica > imposte), no pareggio di bilancio. In questi
casi si può avere un intervento dell’FMI, purché sia richiesto dallo Stato interessato.

Nel caso della Grecia, il debito pubblico era aumentato a causa delle politiche economiche attuate
dai vari governi. Quando la Grecia si è candidata a entrare nell’area euro, ha nascosto la reale entità
del debito pubblico, dichiarando di rientrare nel parametro del 60% relativo al disavanzo deficit/PIL
fissato a Maastricht (in realtà era al 121%). Nel 2009, il neoeletto primo ministro Papandreou rivela
che il rapporto deficit/PIL è del 113%, con debiti per oltre 60 miliardi di euro. Nel 2010 viene
approvata una legge finanziaria improntata all’austerità, con privatizzazioni (da cui ci si aspettavano
50 miliardi di euro, mentre ne sono entrati solo sette), l’abbassamento delle pensioni, il
congelamento degli stipendi superiori a €2000, licenziamenti, ecc., e a cui sono seguite violente
manifestazioni da parte dei cittadini.

Cominciano le negoziazioni con le istituzioni monetarie e l’Unione Europea: vengono accordati 110
milioni di euro (80 dall’UE attraverso prestiti bilaterali, 30 dall’FMI) sulla base di una stretta
condizionalità. Si instaura così la cosiddetta Troika, che comprende Commissione europea, Banca
centrale europea e Fondo monetario internazionale, con il compito di verificare il rispetto del
Memorandum (che, tra le altre cose, prevedeva il taglio della tredicesima e della quattordicesima,
l’aumento dell’IVA, il congelamento delle assunzioni, l’innalzamento dell’età pensionabile).

Questo piano però non prevedeva il c.d. air-cut, cioè una ristrutturazione del debito, che viene
normalmente negoziata quando il debito estero è particolarmente alto sostanzialmente allo scopo di
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evitare il default del Paese. Tuttavia buona parte del debito greco era in mano alle banche tedesche e
francesi, che erano quindi particolarmente esposte e avrebbero subito gravi perdite dalla previsione
di un air-cut, con il rischio di nuove crisi nell’area euro.

Nel frattempo si ha la creazione di nuovi strumenti nell’ambito dell’UE:

1. c.d. fondo salva-Stati, una società di diritto lussemburghese di cui sono azionari gli Stati
della zona euro;
2. MES, costituito da due fondi che garantiscono l’emissione di strumenti finanziari;
3. agenzie di vigilanza a livello europeo;
4. Fiscal Compact, con l’obbligo per gli Stati dell’area euro di introdurre il principio del
pareggio di bilancio (golden rule) nel proprio ordinamento, possibilmente a livello
costituzionale.

Problema: le misure di austerità promosse soprattutto dai primi due piani di aiuto hanno intaccato
diritti umani previsti da accordi internazionali firmati dalla Grecia quali il diritto alla salute,
all’istruzione, alla previdenza. Chi è responsabile di queste violazioni: lo Stato greco, l’Unione
europea, il Fondo monetario internazionale? Nel 2015 Olivier Blanchard (capo-economista del
Fondo) ha lanciato una grave critica all’azione del Fondo nella crisi greca, in particolare sotto tre
aspetti: (1) ha causato un aumento ulteriore del debito pubblico greco; (2) c’è stato un ritardo
nell’adozione dell’air-cut, lo scopo del primo finanziamento è stato consentire il rimborso dei debiti
nei confronti delle banche straniere (la preoccupazione di salvare il progetto euro ha prevalso
sull’obiettivo di salvare e risanare l’economia greca); (3) l’attuazione delle riforme strutturali
richieste è stata nulla o insufficiente. E’ stata quindi proposta una riforma della politica della
condizionalità, che tenga in conto anche aspetti sociali e non solo parametri economici.

Il diritto finanziario internazionale


Il diritto finanziario internazionale è l’insieme di regole e istituzioni il cui compito principale è
favorire lo sviluppo economico e sociale degli Stati. L’istituzione più importante è la BIRS (Banca
internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo). A partire dagli anni ’50 sono state istituite una
serie di banche regionali per lo sviluppo che operano come la BIRS.

La BIRS fa parte del gruppo della Banca mondiale, in cui rientrano cinque organizzazioni
internazionali autonome ed indipendenti tra loro:

1. BIRS, 1945 (dal ’47 istituto specializzato delle Nazioni Unite);


2. International Development Association (IDA), 1960 à medesime funzioni della BIRS, ma
opera solo a favore di Paesi sottosviluppati;
3. International Finance Corporation (IFC), 1956 à finanziamento di imprese pubbliche e
private;
4. International Center for the Settlement of Investment Disputes (ICSID), 1965
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5. Multilateral Investment Guarantee Agency (MIGA), 1985 à agenzia di assicurazione degli


investimenti effettuati all’estero.

La BIRS
La BIRS viene istituita nell’ambito della Conferenza di Bretton-Woods come pilastro della
cooperazione finanziaria internazionale.

Art. I Articles of Agreement, obiettivi:

− ricostruzione (dei Paesi europei) e sviluppo degli Stati membri;


− promozione degli investimenti privati all’estero;
− promozione del commercio internazionale e dell’equilibrio nella bilancia dei pagamenti;
− coordinamento dei mutui da essa accordati o garantiti con quelli provenienti da altre fonti.

Trasformazione del mandato della banca


In realtà, la ricostruzione dei Paesi europei viene finanziata su base bilaterale dal Piano Marshall
(European Recovery Program, 1947), attuato attraverso la creazione dell’OECE, poi trasformata in
OCSE; di conseguenza, la Banca si concentra sullo sviluppo degli Stati membri.

I primissimi progetti di sviluppo riguardarono Paesi europei, con il finanziamento di acquisti di


derrate alimentari (prestiti in dollari). Già dagli anni ’50, la BIRS sposta la sua attenzione su altre
aree geografiche, finanziando specifici progetti di sviluppo (c.d. specific purpose o project lending).
All’inizio le risorse impiegate erano limitate e andavano a sostenere lo sviluppo delle economie dei
Paesi in via di sviluppo (infrastrutture, industrie, agricoltura) come Cile, Messico e Brasile.

Dalla fine degli anni ’60 alla fine degli anni ‘80 l’attività di assistenza finanziaria è completamente
diversa: diventa più ingente e risponde alle esigenze delle popolazioni, con finanziamenti volti a
sostenere lo sviluppo di settori e servizi sociali (formazione, sanità, ecc.).

Dalla metà degli anni ’80 inoltre la Banca interviene in un ambito nuovo: quello del debito sovrano,
con interventi volti ad alleggerire il debito soprattutto dei Paesi in via di sviluppo (debt-relief).
Viene quindi introdotto un nuovo tipo di finanziamento, molto simile a quello del Fondo monetario
internazionale: lo structural adjustment lending, con cui la Banca comincia a finanziare programmi
strutturali legati a riforme macro-economiche (deregolamentazione, privatizzazione, ecc.).

Inizio anni ’90: interventi a favore dei Paesi ex-URSS. Negli stessi anni, si ha un ulteriore
cambiamento dovuto a pressioni e critiche provenienti da ONG: introduzione di nuovi temi
nell’agenda della Banca (c.d. non-economic values, ad es. ambiente, anti-corruzione, parità di
genere) e di operational policies volte a promuovere questi nuovi interessi. Influenza della nuova
nozione di sviluppo introdotta nell’ambito delle Nazioni Unite dalla Risoluzione ONU contenente la
Dichiarazione sul diritto allo sviluppo del 1986, in cui lo sviluppo viene inteso non solo in termini
di economic development, ma anche di human development, tenendo quindi conto anche di fattori
ambientali, sociali, ecc. (precorre la nozione di sviluppo sostenibile). In questo contesto, nel 1999 la
Banca adotta il Comprehensive Development Framework (CDF), in cui si propone un approccio

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olistico alla nozione di sviluppo, tale da includervi tutte le variabili e non solo quelle economico-
finanziarie (adozione di misure di good governance, tutela dei diritti umani, ecc.).

2013: la Banca mondiale ha sviluppato una nuova strategia per le quattro agenzie (è esclusa
l’ICSID), incentrata su due obiettivi: (1) ridurre al 3% della popolazione mondiale quella che vive
in condizione di estrema povertà (meno di $1,25 al giorno) entro il 2030; (2) promuovere una
prosperità condivisa attraverso uno sviluppo del reddito del 40% nei Paesi in via di sviluppo.

Oggi la Banca è la principale agenzia mondiale di promozione dello sviluppo e lotta alla povertà.

Procedura di emendamento
Diversamente dal Fondo monetario internazionale, gli input per i cambiamenti del mandato della
Banca provennero soprattutto dalla prassi, cristallizzata nelle opinioni dei legal advisors della
Banca, che forniscono un’interpretazione autentica degli Articles. Nello Statuto della Banca vi sono
infatti solo tre emendamenti:

I. in vigore dal 17/12/1965: la BIRS può accordare, partecipare a o garantire mutui a favore
dell’IFC
II. in vigore dal 16/2/1989: abbassamento della quota di voti necessaria per l’approvazione e
l’entrata in vigore degli emendamenti (inizialmente erano i tre quinti dei membri, con i
quattro quinti dei voti). Ciò per consentire agli Stati Uniti di mantenere de facto un potere di
veto, in quanto il loro diritto di voto era sceso al di sotto del 20%;
III. in vigore dal 27/6/2012: riforma della governance e della rappresentanza della Banca
(parallelamente a quella del Fondo).

Procedura:

− proposta: (a) Stati membri (b) direttori esecutivi (c) governatori


− sottoposizione al Consiglio dei governatori (approvazione a maggioranza semplice)
− accettazione attraverso la ratifica interna da parte di almeno i tre quinti degli Stati membri,
che abbiano l’85% dei diritti di voto.

Membership della Banca


Solo gli Stati possono essere membri della Banca (non le organizzazioni internazionali). La
membership della Banca è sottoposta al possesso di certi requisiti finanziari e costituisce il
presupposto per quella delle altre agenzie.

Lo status di membro si perde:

− per volontà dello stesso Stato (diritto di recesso), effettiva dalla notifica scritta del recesso;
− a seguito dell’espulsione dello Stato dal Fondo monetario internazionale, a meno che il
Consiglio dei governatori non decida diversamente;
− ulteriore possibilità: sospensione a seguito di inadempienza dello Stato. Questa però colpisce
solo i diritti, mentre lo Stato mantiene tutti gli obblighi che derivano dalla membership della
Banca (responsabilità per i prestiti richiesti e le garanzie accordate).

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Anche la membership della Banca viene identificata in quote: ogni Stato, nel momento in cui
aderisce alla Banca, sottoscrive una parte del capitale della stessa (quota) proporzionata alla sua
importanza economica. Solo il 2% della quota viene versato dallo Stato immediatamente, in oro o in
dollari; il 18% verrà versato in valuta nazionale in caso di esigenza della Banca; il restante 80%
viene versato su richiesta della Banca (attraverso le c.d. calls for subscribed capital) da tutti gli Stati
membri. La determinazione delle quote viene effettuata sulla base della ripartizione delle quote
dell’FMI. Le quote sono soggette a revisione ogni cinque anni (revisioni generali) o ogni volta che
ve ne sia l’esigenza per rendere conforme le quote alla posizione economica degli Stati o per
rispondere ad esigenze di liquidità della Banca.

Parallelamente alle riforme introdotte dal Fondo, anche la Banca ha modificato le quote, mentre non
ha introdotto riforme al sistema di nomine per il Consiglio dei governatori. E’ comunque in atto
anche nella Banca un processo di democratizzazione volto a dare maggior peso ai Paesi in via di
sviluppo e a quelli in transizione: il 16/3/2011 il Consiglio dei governatori ha adottato tre
risoluzioni con cui ha previsto un aumento del capitale finalizzato a garantire una maggiore
partecipazione proprio di questi Paesi. Inoltre, nel marzo 2012 il Consiglio dei governatori ha
approvato il III emendamento, che attua questa riforma di governance attraverso la modifica delle
partecipazioni azionarie e dei diritti di voto degli Stati membri.

Diritto di voto = diritti di base, garantiti a tutti in egual misura + 1 voto aggiuntivo x azione

Prima della riforma, i voti di base erano 250. Oggi, sono pari al 5,55% del valore complessivo dei
membri, diviso tra tutti i membri.

Inizialmente, le quote erano espresse in dollari americani. A seguito dell’introduzione dei diritti
speciali di prelievo nel Fondo, lo stesso è successo nella Banca; non tuttavia attraverso degli
emendamenti, bensì a livello interpretativo.

Diversamente dal Fondo, l’importanza della quota si ripercuote sulla determinazione dei diritti di
voto, ma non sull’individuazione delle risorse cui uno Stato può accedere: la sola condizione per
accedere alle risorse della Banca è la difficoltà dello Stato di accedere in altro modo a risorse a
condizioni ragionevoli.

Struttura
La regola per adottare decisioni è la maggioranza, ma anche per la Banca si è ormai sviluppata la
regola del consensus.

La struttura è identica a quella del Fondo, con tre organi principali: Consiglio dei governatori,
Consiglio esecutivo e Presidente.

1) Consiglio dei governatori


Organo politico, rappresentativo degli Stati membri. I rappresentanti degli Stati hanno un mandato
di cinque anni, ma possono essere rinominati. Al Consiglio dei governatori spettano tutti i poteri,
che può però delegare al Consiglio esecutivo, ad eccezione di quelli ad esso attribuiti espressamente
dallo Statuto (art. V, sez. 2, lett. b)).

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Si riunisce una volta all’anno ovvero tutte le volte che esso stesso lo ritenga opportuno o lo
richiedano il Consiglio esecutivo, cinque Stati membri, o tanti Stati membri che dispongano di un
quarto dei voti.

2) Consiglio esecutivo
A seguito della riforma del 2010 è composto da 25 direttori esecutivi, ognuno dei quali ha un
supplente. La composizione a venticinque è stata prevista da una decisione del Consiglio dei
governatori dell’aprile del 2010 (efficace dal novembre dello stesso anno), che ha previsto un
direttore esecutivo aggiuntivo in rappresentanza dei Paesi dell’Africa sub-sahariana. I venticinque
direttori esecutivi sono infatti: sei di nomina diretta degli Stati che hanno le quote maggiori (Stati
Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Giappone, Cina); gli altri elettivi, e rappresentano delle
circoscrizioni (c.d. constituencies, gruppi di Stati). Anche nella Banca ci sono due Paesi che
formalmente eleggono un proprio rappresentante, ma in realtà lo nominano, e cioè Russia e Arabia
Saudita (c.d. mono-constituencies).

I direttori esecutivi sono eletti o nominati ogni due anni. Si tratta di un organo permanente, che si
riunisce ogni volta che ve ne sia la necessità. E’ l’organo operativo della Banca; in particolare
decide sui prestiti e le garanzie da accordare.

3) Presidente
E’ a capo dello staff dell’organizzazione. Opera sotto le istruzioni del Consiglio esecutivo, alle cui
riunioni partecipa ma senza diritto di voto, salvo che vi sia una parità. Il Consiglio esecutivo decide
anche quando il Presidente cessa dal suo incarico. Il Presidente può partecipare anche alle riunioni
del Consiglio dei governatori, ma senza diritto di voto.

Per prassi, il Presidente ha il potere di presentare proposte per l’attività di prestito a favore di singoli
Stati o per l’attività generale di prestito della Banca.

Altri organi
1) C’è anche un organo consultivo composto da esperti scelti dal Consiglio dei governatori, che dà
pareri sulla politica generale della Banca.

2) Ci sono poi i Comitati dei prestiti, incaricati di riferire sui mutui concessi dalla Banca. Sono
formati da un esperto nominato dal governo dello Stato il cui progetto viene finanziato e altri
tecnici nominati dalla Banca.

3) Development Committee: organo congiunto istituito dal Consiglio dei governatori di FMI e BIRS
e che si occupa di reperire le risorse per i Paesi in via di sviluppo.

Risorse
Le risorse della Banca derivano in primo luogo dalle quote sottoscritte dagli Stati, che vengono
periodicamente aumentate (contestualmente all’aumento delle quote del Fondo). L’ultimo aumento
è stato nel 2010, contestualmente del capitale e delle quote di ciascuno Stato.

Solo il 2% del valore nominale delle azioni è dato dal capitale sottoscritto dagli Stati membri
(diversamente dall’IDA, dove gli Stati membri versano l’intero capitale). Tali risorse non sono
sufficienti a finanziare l’attività della BIRS, che ricorre quindi ad altri strumenti:

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− emissione di obbligazioni (bonds);


− debt securities;
− interessi ed altri oneri finanziari a carico dei mutuatari.

Negli anni si è sviluppato il c.d. co-finanziamento: la Banca è depositaria di fondi fiduciari in cui
vengono versati capitali da parte di finanziatori esterni (finanziamento indiretto).

L’IDA viene invece finanziata da contributi volontari degli Stati membri industrializzati, che si
riuniscono ogni tre anni per decidere le politiche di prestito dell’IDA e per condurre le
replenishment negotiations. Da qualche anno anche i Paesi in via di sviluppo partecipano a questi
negoziati, per assicurare maggiore trasparenza (2002, processo di democratizzazione).

Funzioni
Art. I Articles of Agreement:

1. promozione degli investimenti, in particolare privati, attraverso vari strumenti;


2. supporto a operazioni volte all’uso produttivo delle risorse degli Stati membri, in particolare
emettendo mutui o accordando garanzie, quando il capitale privato non è disponibile a
condizioni ragionevoli.

La prima funzione è esercitata dalla BIRS congiuntamente all’IFC e alla MIGA. Anche l’ICSID
svolge un ruolo fondamentale nell’ambito degli investimenti, dando un quadro stabile per la
risoluzione delle controversie. La BIRS promuove gli investimenti stranieri anche dal punto di vista
normativo, in particolare con l’emanazione delle Guidelines on foreign investment (1992), una
raccolta di prassi, dottrina e giurisprudenza in materia.

La seconda funzione comporta il finanziamento di progetti di ricostruzione e sviluppo, attraverso


un’assistenza finanziaria prestata in varie forme. Diversa da quella dell’FMI, l’assistenza finanziaria
della Banca si concretizza innanzitutto nell’emissione di prestiti, che ne costituiscono la gran parte.
Esistono due tipi principali di prestiti:

i. project (o investment o specific purpose) lending;


ii. non-project (o general purpose o adjustment o development policy) lending.

Altre forme di assistenza finanziaria sono:

iii. le garanzie;
iv. i doni;
v. l’assistenza tecnica.

Nel corso degli anni si sono sviluppati altri strumenti ancora, in particolare:

vi. il co-finanziamento;
vii. program for results operations.

L’attività di prestito
1. Project lending à originariamente questo tipo di prestiti, che hanno una finalità specifica,
erano i più diffusi per l’attività di finanziamento della BIRS. Art. III, sez. 4, n. vii): la Banca

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può erogare o garantire mutui volti a promuovere l’utilizzo produttivo delle risorse (scopi
produttivi) che servano a progetti specifici di investimento, e pertanto valutabili in termini
economici.
Il progetto di investimento viene finanziato secondo il project cycle, nel corso del quale i
ruoli della Banca e dello Stato cambiano. In primo luogo lo Stato individua il progetto da
finanziare, che deve essere coerente con la “strategia-Paese” elaborata dalla Banca. Nella
seconda fase il mutuatario prepara il progetto, e la Banca può prestare assistenza tecnica. La
Banca deve poi approvare il progetto. Il mutuatario è infine responsabile dell’attuazione del
progetto, ma deve rendere conto periodicamente alla Banca, che sorveglia sull’attuazione.
Al termine del progetto deve essere inviata una valutazione finale. Durata del prestito: 5/10
anni. Il finanziamento avviene solo a fronte delle spese effettivamente sostenute.
2. Non-project lending: Art. III, sez. 4, n. vii), “except in special circumstances” à
legittimazione di finanziamenti di tipo diverso, intensificatisi a partire dagli anni ’80 e
diventati sempre più importanti, al punto di perdere il carattere dell’eccezionalità.
Programmi di natura diversa, ad es. riforme o adeguamenti strutturali, stabilizzazione
economica; riforme della governance e delle variabili macroeconomiche.

L’erogazione dei prestiti si basa sull’erogazione di tranche successive sottoposte all’adempimento


di condizioni. La BIRS si coordina con il Fondo per l’erogazione del prestito e per l’attuazione delle
riforme concordate.

Spesso il prestito si accompagna all’elaborazione di liste positive e liste negative, contenenti


rispettivamente le spese che lo Stato deve affrontare per attuare il progetto e le spese che lo Stato
non può assumere perché non necessarie.

Strumenti:

− Letter of development policy: lettera d’intenti in cui il mutuatario indica le misure che
adotterà (N.B.: solo per il secondo tipo di prestiti!).
− Loan Agreement: accordo concluso dalla BIRS con il mutuatario, che disciplina l’erogazione
del prestito con l’indicazione di tutte le condizioni (ammontare del prestito, suddivisione in
tranche, piano di rimborso, ecc.).
− Accordo di garanzia: nel caso in cui la Banca conceda garanzie o prestiti a suddivisioni
territoriali degli Stati o a imprese pubbliche o private, lo Stato sul cui territorio si svolge il
progetto deve farsi garante.

Possono essere conclusi anche altri accordi:

− Project Agreement, concluso con il soggetto responsabile della realizzazione del progetto;
− Ancillary Agreements, in cui vengono specificati i dati tecnici.

Qual è la natura dei primi due accordi (gli altri hanno natura tecnica)? Secondo la Banca si tratta di
veri e propri accordi internazionali.

Questi accordi sono conclusi per conto della Banca dal Consiglio esecutivo nel rispetto di due
documenti interni alla Banca:

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Ø General Conditions Applicable to Loan and Guarantee Agreements, che devono essere
accettate espressamente dal mutuatario e dall’eventuale garante;
Ø Operational Policies, che devono ispirare tutta l’attività di erogazione di mutui della Banca
e riguardano temi non economici (ad es. rispetto delle popolazioni indigene, tutela
dell’ambiente).

Prima dell’erogazione del prestito o della garanzia, la Banca deve compiere una serie di valutazioni:
natura del progetto, necessità del suo intervento (non ci devono essere condizioni ragionevoli sul
mercato per il mutuatario; la Banca è un lender of last resort), piano di rimborso previsto (del
capitale e degli interessi). Opera come una banca commerciale.

Ø ≠ IDA:
Chi può accedere ai finanziamenti della BIRS? Quegli Stati il cui reddito pro capite annuo
varia tra $1000 e $10000 (Paesi a reddito medio) e i Paesi a basso reddito di cui sia accertata
la solvibilità. Gli altri (quelli con reddito estremamente basso) possono ricorrere all’IDA, la
cui attività finanziaria è infatti riservata a quegli Stati che hanno un reddito pro capite
massimo pari a $1215 (c.d. IDA Countries; nel 2016 erano 77). La funzione dell’IDA è la
promozione dello sviluppo economico, l’aumento della produttività e il miglioramento delle
condizioni di vita delle regioni meno sviluppate attraverso l’erogazione di finanziamenti a
condizioni più favorevoli della stessa BIRS.
Anche le condizioni dell’IDA e della BIRS sono diverse: la seconda eroga prestiti al tasso
d’interesse di mercato o poco più basso, con il pagamento di una commissione, e i prestiti
devono restituiti a vent’anni dalla loro erogazione con un periodo di grazia di cinque anni. I
prestiti dell’IDA devono invece essere restituiti entro quarant’anni dall’erogazione con un
periodo di grazia di dieci anni, senza l’applicazione di interessi ma solo di una commissione
annua per coprire le spese di gestione.
Ø ≠ FMI:
1) Le operazioni del Fondo si qualificano come swap, scambi di flussi monetari in entrata e
in uscita con l’impegno di realizzare la medesima operazione ma inversa; quelle della BIRS
sono veri e propri prestiti.
2) Per accedere alle risorse dell’FMI bisogna avere una difficoltà nella bilancia dei
pagamenti; per l’accesso alle risorse della BIRS invece la condizione è che il futuro
mutuatario non possa accedere sul mercato a condizioni altrimenti ragionevoli.
3) Nell’FMI tutti gli Stati membri possono accedere alle risorse del conto generale; alle
risorse della BIRS invece possono accedere solo gli Stati di cui sopra.

La promozione dello sviluppo


Riguarda tutti gli Stati membri (diversamente dall’IDA). Relativamente al sostegno allo sviluppo la
Banca adotta una strategia “olistica”: non solo sviluppo economico, bensì sviluppo integrato
(dimensione ambientale e sociale, lotta alla corruzione, misure di governance, ecc.) come definito
dal CDF (Comprehensive Development Framework), nel cui ambito la Banca elabora specifiche
strategie di sviluppo per gli Stati membri, a medio e a lungo termine.

Principali strumenti a cui la Banca ha fatto ricorso per attuare queste strategie di sviluppo:

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− Country Assistance Strategy (CAS), che viene periodicamente aggiornata (ogni quattro o
cinque anni) secondo una prassi formatasi alla fine degli anni ’80 per rendere più efficace
l’intervento della Banca;
− Poverty Reduction Strategy Paper (PRSP), introdotto nel 1999 ed espressione della strategia
“olistica” di sviluppo della Banca: da un lato indica gli obiettivi da perseguire per
promuovere lo sviluppo economico, dall’altro mette in evidenza gli aspetti non economici.
Prevede anche eventuali riforme di tipo strutturale. E’ sottoposto sia alla Banca, sia all’FMI,
e deve essere approvato da entrambe secondo le relative competenze.

Si tratta di documenti elaborati dalla Banca per i singoli Stati membri, in cui si delinea la strategia
di sviluppo per lo specifico Stato. Il contenuto di questi documenti viene definito a seguito di
consultazioni tra la Banca e lo Stato interessato, nell’ambito delle quali sono individuate le priorità
di sviluppo e le modalità di intervento della Banca. I progetti di sviluppo finanziati dalla Banca
devono essere compatibili con questi documenti.

Nell’ambito della sua attività finanziaria la Banca opera anche sulla base delle sue operational
policies, documenti di carattere generale (si applicano a tutti i progetti e a tutti gli Stati membri) e di
natura operativa relativi ai c.d. non-economic values (tutela dell’ambiente, diritti delle popolazioni
indigene, ecc.).

Il 1° luglio 2014 la Banca ha promosso inoltre un nuovo approccio in materia di sostegno allo
sviluppo, cioè il Country Partnership Framework, che andrà a sostituire la CAS. Questo modello
prevede che la Banca si concentri ancora di più sugli obiettivi specifici e le priorità dei singoli
Paesi, alla luce dei due obiettivi che si è data nel 2013. Il CPF si basa sulla c.d. Systematic Country
Diagnostic, un’analisi delle sfide e opportunità che affronta il Paese interessato elaborata attraverso
consultazioni tenute durante l’intero periodo di intervento della Banca. In futuro questo modello
dovrà guidare anche le altre agenzie.

La BIRS, come l’IDA e l’FMI, è poi costretta dal suo Statuto a rispettare il principio di neutralità
politica, secondo cui la Banca nella sua attività deve tenere in considerazione solo fattori economici.
Questo principio porta come conseguenza l’obbligo di non intervenire nelle vicende politiche dei
Paesi i cui progetti vengono finanziati, l’obbligo di non sottostare alle influenze politiche degli
Stati, l’obbligo di decidere sui finanziamenti e di valutare i risultati secondo parametri
esclusivamente economici.

L’IDA
Istituita nel 1960, insieme alla BIRS costituisce la Banca mondiale in senso proprio. Ragione della
sua istituzione fu l’impossibilità per certi Paesi di accedere ai finanziamenti della BIRS perché per
la loro condizione di sottosviluppo non riuscivano a rispettarne le condizioni (c.d. PNA, Paesi non
avanzati, oggi detti IDA eligible Countries).

Il gruppo degli IDA Countries è variabile: si tratta di Paesi il cui reddito pro capite annuo è molto
basso (al di sotto di un tetto periodicamente aggiornato e attualmente fissato a $1215 all’anno).
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L’IDA interviene per finanziare progetti specifici, salvo “circostanze speciali”, a cui come la BIRS
l’IDA ha fatto sempre più spesso ricorso, tanto che oggi conclude principalmente Development
Credit Agreements sotto questa clausola. L’IDA interviene secondo due modalità:

1. finanziamenti (c.d. credits) a condizioni molto agevolate:


− no tassi di interesse o tassi di interesse molto bassi;
− possono essere rimborsati in un periodo di tempo molto più lungo (normalmente
venticinque anni, ma estendibili fino a 38-40 anni);
− periodo di grazia più esteso (da cinque a dieci anni).
2. doni, che di solito vengono concessi o per finanziare assistenza tecnica, o a Paesi che sono a
rischio di default (crisi del debito sovrano) nell’ambito della Healing Indebted Poor
Countries (HIPC) Initiative e della Multilateral Debt Relief Initiative, iniziative congiunte
con l’FMI nell’ambito delle quali la Banca concede doni per alleviare il debito sovrano di
certi Stati.

Per quanto riguarda le risorse di cui dispone, l’IDA è finanziata solo da contributi volontari dei
Paesi industrializzati (ma anche di altri Paesi). La struttura e la modalità di erogazione dei prestiti
invece sono analoghe a quelle della BIRS.

L’IFC
Istituita nel 1956 con lo scopo di contribuire allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo attraverso il
sostegno e la promozione delle imprese, soprattutto private. L’IFC è finanziata:

1. dalle quote sottoscritte dai membri;


2. dall’emissione di obbligazioni;
3. da prestiti concessi dalla BIRS.

L’IFC concede prestiti o garanzie a imprese private o pubbliche, ma in quest’ultimo caso l’impresa
deve comunque operare secondo criteri privatistici. Può finanziare anche le c.d. subnational entities.
Può concedere prestiti solo per progetti specifici, coprendo fino al 25% del loro costo. I
finanziamenti hanno una durata tra i sette e i dodici anni e non sono a tasso agevolato (interessi o
commissioni di mercato).

Altre due funzioni:

− può acquistare partecipazioni azionarie di imprese fino a un massimo del 20% del capitale
sociale, con l’impegno di non intervenire nella gestione dell’impresa;
− opera come leading mobilizer, catalizzatore cioè di risorse provenienti da altre fonti e
destinate a progetti specifici.

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Criticità
Le critiche mosse alla Banca mondiale sono simili a quelle indirizzate all’FMI.

Ø Relazione della Commissione Meltzer (marzo 2000): intervento eccessivo nei confronti dei
Paesi in via di sviluppo; invece di prestiti scollegati dal piano politico e sociale, dovrebbe
intervenire con sovvenzioni subordinate al rispetto di certe condizioni non economiche
(rispetto dello Stato di diritto, tutela dei diritti umani, ecc.).
Ø Altri economisti e ONG hanno rivolto alla Banca una critica di segno opposto: intervento
insufficiente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli dell’Africa.
Ø Rapporto del rapporteur speciale delle Nazioni Unite sul tema della povertà estrema e dei
diritti umani (Philip Alston, 2015): la Banca è incapace di operare in maniera significativa
nel campo della tutela dei diritti umani e di assistere i Paesi membri nel rispetto degli
obblighi assunti in materia. Viene fortemente contestata la neutralità politica, che viene
considerata anacronistica visto lo stretto rapporto tra sviluppo e diritti umani.

Le banche regionali di sviluppo


Necessità di istituzioni con competenza regionale specifica. In che senso?

Ø Non è limitata la membership: tutti gli Stati del mondo possono farne parte.
Ø Non sono limitati i Paesi donatori né i Paesi beneficiari.

In che cosa sta allora la regionalità? Nella dimensione dell’intervento, che è attuato su uno specifico
continente.

Obiettivo: favorire lo sviluppo economico e sociale, attraverso tre strumenti:

1. erogazione di prestiti;
2. partecipazione diretta a investimenti a sostegno di progetti sia nel settore pubblico, sia nel
settore privato;
3. assistenza tecnica.

Anche il mandato di queste banche è cambiato nel corso degli anni: nascono come un’alternativa
regionale alla BIRS, quindi originariamente il loro mandato era il finanziamento di singoli progetti
(soprattutto costruzione di infrastrutture), e non di programmi di sviluppo. Durante la Guerra
Fredda le banche regionali sono diventate uno strumento politico: i prestiti venivano erogati per
finanziare progetti volti a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali in ottica anti-
comunista (sviluppo urbano, sviluppo agricolo, ecc.). Infine, a partire dagli anni ’80, come la BIRS
queste banche cominciano a finanziare non più singoli progetti ma programmi di sviluppo, e
soprattutto a finanziare il bilancio pubblico degli Stati, imponendo riforme strutturali e di
governance (privatizzazioni, deregolamentazione, ecc.).

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L’importanza di queste banche è cresciuta negli anni perché la BIRS non sempre è stata in grado di
intervenire sui singoli continenti in maniera specifica, a causa della diminuzione nel corso degli
anni del sostegno finanziario degli Stati Uniti alla cooperazione allo sviluppo e delle finanze
dedicate all’intervento dell’ONU attraverso istituti, agenzie specializzate, programmi, ecc.

Quali sono queste banche?

1. Inter-American Development Bank (1959), istituita nell’ambito dell’OSA (l’Organizzazione


degli Stati americani) e attiva soprattutto a favore dei Paesi dell’America Latina e dei
Caraibi;
2. African Development Bank (1964), riformata all’inizio degli anni 2000 per dare più spazio al
settore privato;
3. Asian Development Bank (1965), che finanzia progetti in Asia e soprattutto nell’area del
Pacifico;
4. Banca europea di ricostruzione e sviluppo (BERS, 1990): contesto dell’adesione all’Unione
Europea di alcuni Stati che facevano precedentemente parte dell’URSS e della Jugoslavia.
Ha pertanto una forte connotazione politica, tanto che la BERS non opera solo, come le altre
banche, secondo una condizionalità economica, ma anche secondo una condizionalità
politica, subordinando l’erogazione dei prestiti al rispetto dei principi democratici e dei c.d.
indicatori di democratizzazione: libertà di informazione, libertà di circolazione, libertà
d’impresa e tutela dei diritti umani. Membership: più di 60 Stati, non solo europei, e
organizzazioni internazionali tra cui l’UE e la BEI (Banca europea degli investimenti).

Caratteri comuni:

− obiettivo: promozione dello sviluppo economico-sociale, poi declinato dagli statuti secondo
le esigenze specifiche;
− struttura: simile a quella della BIRS, hanno tre organi principali che funzionano come quelli
della BIRS (Consiglio di amministrazione, Consiglio dei direttori esecutivi e Presidente);
− funzionamento: erogano prestiti, partecipano direttamente in investimenti o prestano
assistenza tecnica. I prestiti vengano erogati con modalità simili alla BIRS, a volte con
condizioni più agevolate.
− presenza di organi di controllo interno che funzionano sul modello degli special panels della
BIRS.

Due realtà nuove:

1. New Development Bank: banca dei BRICS, istituita al Summit di Fortaleza del 2014 per
finanziare infrastrutture negli stessi BRICS e negli altri Paesi in via di sviluppo a seguito del
fallimento del progetto di riforma dell’FMI.
2. Asian Infrastructure Development Bank: istituita nel 2015 su iniziativa cinese con i seguenti
scopi: (i) rafforzare lo sviluppo economico sostenibile, (ii) creare ricchezza, (iii) migliorare i
collegamenti infrastrutturali in Asia, (iv) promuovere la cooperazione regionale.

Queste ultime due sono banche regionali di sviluppo in senso ampio, interessanti perché in realtà
fanno capo a singoli Paesi. Sono segno di un’esigenza di riforma della governance internazionale
non del tutto soddisfatta.
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Operational Policies and Procedures e Inspection Panel della BIRS *

Che condizioni deve rispettare la Banca nella concessione di prestiti? Article X: principio di
political neutrality, considerazioni di natura esclusivamente economica.

Dichiarazione 1986: cambia il contenuto del concetto di sviluppo, adozione di un approccio olistico
che include elementi sociali e ambientali.

Dalla metà degli anni ’80: critiche all’attività della Banca, che non teneva minimamente in conto
alcune conseguenze dei progetti che finanziava, in particolare il c.d. resettlement, cioè la
ricollocazione di popolazioni locali, che costituisce una violazione dei loro diritti umani e del diritto
internazionale nel caso in cui riguardi popolazioni indigene.

Fine anni ’90, anni 2000: nuovi obiettivi, espressi nei Millennium Development Goals del 2000.
Questi erano otto obiettivi che costituivano la priorità della comunità internazionale per lo sviluppo,
rinnovati con gli obiettivi di sostegno sostenibile adottati nel 2015.

La Banca adotta delle politiche interne per l’attuazione dei nuovi valori ambientali e sociali, le c.d.
operational policies and procedures, che fissano degli standard che i progetti della Banca devono
rispettare. Le operational policies and procedures sono infatti norme interne: non sono dirette ai
membri della Banca, ma servono a disciplinare l’attività dei dipendenti della Banca stessa. Non
sono norme di soft law, in quanto per i soggetti che hanno rapporti di dipendenza o, dal 2014,
rapporti contrattuali con la Banca sono vincolanti. Dal 2014 quindi gli Stati c.d. borrowers si
devono impegnare al rispetto delle norme operative della Banca nel momento in cui appaltano la
realizzazione dei progetti finanziati dalla stessa, con l’apposizione di clausole contrattuali che
obblighino il contractor privato.

A vigilare sul rispetto di questi principi c’è un Inspection Panel, che controlla che il management
della Banca segua le procedure prescritte per il rispetto delle operational policies. Il panel non
effettua il suo controllo su tutti i progetti, ma solo su quelli per cui c’è una richiesta di ispezione,
che deve (1) riguardare certe specifiche lesioni (resettlement, diritti delle popolazioni indigene,
danni ambientali o al patrimonio culturale) e (2) provenire da certi soggetti: (a) un direttore
esecutivo della Banca o (b) un gruppo di venti o più persone che abitano nell’area in cui si è
realizzato il progetto (N.B. il danno non può riguardare un singolo soggetto), che possono anche
nominare un rappresentante che presenti per loro conto la richiesta di investigazione. Infine, (3) il
danno denunciato deve essere diretta conseguenza del mancato rispetto delle operational policies da
parte della Banca. La richiesta (4) deve essere scritta e corredata dai documenti che dimostrino
l’esistenza del danno (anche potenziale), nonché, nel caso di cui alla lett.b), da quelli che dimostrino
che i richiedenti abitano nell’area interessata dal progetto. Segue un controllo di ammissibilità della
richiesta da parte del panel, che riguarda la forma scritta (in qualsiasi lingua), l’esistenza del danno,
la violazione delle operational policies, e la previa informazione della Banca da parte dei
richiedenti, e verifica che non si tratti di materie su cui il panel non si può pronunciare (progetti
completati o per cui sia stato già erogato più del 95% del prestito accordato).

Se ammessa, il panel registra la richiesta e ne informa il management della Banca attraverso una
nota che ne riassume il contenuto. Entro 21 giorni il management invia la sua risposta al panel, che
valuta la lesione del richiedente e la risposta. Il panel può compiere ispezioni in loco e raccogliere
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testimonianze dei soggetti (richiedenti e non) che vivono nell’area, dei rappresentanti di ONG o
dello Stato, o dei vertici delle compagnie (contractors). Il panel elabora quindi un report finale della
verifica in cui afferma se ha intenzione di effettuare l’investigazione o meno. Il report va sottoposto
ai direttori esecutivi, che devono autorizzare l’investigazione (problema, no effettiva indipendenza
del panel). All’esito dell’accertamento viene adottato un report finale con la proposta delle
soluzioni da mettere in atto o delle azioni di compensazione da intraprendere. Anche questo
documento va sottoposto al Board, che può proporre altre soluzioni o anche non adottarne nessuna.

Oltre all’intervento dell’Inspection Panel, la violazione delle operational policies and procedures
può provocare altri provvedimenti della Banca, tra cui la sospensione del finanziamento.

Problemi del Panel: no vincolante, no indipendente, ma è uno strumento che comunque funziona,
tanto che questo modello è stato replicato in altri frameworks istituzionali:

Ø Inter-American Development Bank;


Ø Asian Development Bank (dal 2003 ha un Accountability Mechanism);
Ø BERS, Independent Recourse Mechanism.

Sono tutti meccanismi di valutazione dell’operato della relativa Banca con riguardo a norme
interne, con una differenza: le banche regionali non seguono il principio della political neutrality,
anzi in certi casi gli statuti prevedono il rispetto di una serie di valori democratici o sociali. Inoltre
in questi meccanismi sono solitamente previste due fasi, delle quali la seconda corrisponde
all’attività investigativa del panel, mentre la prima è una fase di consultazione corrispondente a una
sorta di mediazione, che sfocia nella seconda fase solo nel caso in cui non si arrivi a una soluzione
concordata.

Il diritto internazionale degli investimenti


L’internazionalizzazione delle imprese
Alla base degli investimenti esteri vi è un’operazione di internazionalizzazione, e quindi quasi
sempre un privato: l’impresa è il soggetto principale del diritto degli investimenti.
Internazionalizzazione dell’impresa significa che l’impresa amplia la propria attività su mercati
stranieri, e si ha in varie forme: la più semplice è la vendita di veni sul mercato straniero
(internazionalizzazione commerciale, cioè esportazioni e importazioni), che non richiede la
presenza dell’impresa sul mercato straniero e vede un ruolo ancora molto importante dello Stato; la
più complessa sono gli investimenti produttivi, che prevedono la presenza di un’impresa nazionale
(c.d. home Country) in un Paese straniero (c.d. host Country). Nel mezzo vi sono molte forme
intermedie, disciplinate dai contratti internazionali.

Il processo di internazionalizzazione è di solito supportato da un sistema di sostegno pubblico, con


cui lo Stato interviene sia finanziariamente, sia in altri modi a sostegno delle imprese nazionali per

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favorirne l’internazionalizzazione su mercati stranieri. In Italia questo sistema è costituito da una


serie di attori:

1. in primo luogo il Ministero dello sviluppo economico (e, secondariamente, il Ministero


degli affari esteri e gli altri ministeri);
2. le tre agenzie operanti su base nazionale:
i. l’ICE, che è stato a lungo il braccio operativo del MISE, operando a sostegno delle
imprese italiane all’estero in vari modi: informazione agli imprenditori, formazione,
attività di consulenza ed assistenza, ecc.;
ii. la SACE, che ha invece lo scopo di promuovere le esportazioni e gli investimenti
delle imprese italiane all’estero attraverso un’attività di assicurazione simile a quella
della MIGA, che però assicura solo da rischi politici (espropriazioni, rischi di valuta,
guerre, ecc.), mentre la SACE assicura anche da rischi commerciali, surrogandosi
all’impresa nei rapporti con lo Stato;
iii. la SIMEST, che ha la funzione di finanziare in vario modo (erogazione di
finanziamenti, acquisizione di partecipazioni azionarie) le imprese che intendono
investire all’estero;
3. le regioni, che con la riforma del Titolo V del 2001 hanno acquisito nuove competenze, e le
associazioni di categoria, come Confindustria, Unioncamere e Assocamere estero, che
svolgono varie attività a sostegno delle imprese italiane.

N.B.: il tessuto produttivo italiano è composto al 99% da piccole e micro-imprese, che incontrano
difficoltà a internazionalizzarsi.

Evoluzione
Origine nell’ambito delle norme sul trattamento dello straniero e dei suoi beni, che per lungo tempo
sono state le uniche norme applicabili; solo con l’evolversi delle relazioni internazionali dopo la II
guerra mondiale si sono affermate nuove regole specifiche.

I primi investimenti venivano effettuati nelle colonie, il cui ordinamento giuridico era un’appendice
di quello della madrepatria; pertanto non vi era l’esigenza di regole internazionali, che iniziano
invece a formarsi come norme consuetudinarie alla fine del XIX e inizio del XX secolo, quando la
società internazionale diventa meno omogenea con la nascita di Stati che adottano ideologie diverse
sul piano politico ed economico, e sorge l’esigenza di tutelare gli Stati da cui provenivano gli
investimenti e i loro investitori da eventuali interferenze da parte dello Stato ospite. Prima frattura
fu l’indipendenza degli Stati dell’America Latina, che secondo la dottrina Calvo rifiutano
l’applicazione allo straniero di regole diverse da quelle applicate ai nazionali (c.d. standard minimo
internazionale, sostenuto da Stati Uniti e Paesi europei), propugnando la teoria che allo straniero
debba essere garantito il trattamento riservato a questi ultimi, cioè il c.d. standard di trattamento
nazionale. La seconda frattura fu la Rivoluzione russa del 1917, con la contrapposizione ai principi
di inviolabilità della proprietà privata e della sacralità dei contratti (rispetto dei diritti acquisiti) di
un sistema di principi nuovi, che prevedono la possibilità che la proprietà privata sia sottoposta a
espropriazione o a nazionalizzazione. Si formano così regole consuetudinarie che hanno a che fare
non più solo con il trattamento, ma anche con la protezione dello straniero: protezione da misure di
espropriazione e nazionalizzazione, mentre le misure sul trattamento dello straniero riguardano la
vita normale dell’investimento.
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Dopo la II guerra mondiale i flussi internazionali di investimenti vedono uno sviluppo significativo,
tanto da diventare la principale transazione economica transnazionale. Fino allora esistevano solo
quelle poche norme consuetudinarie che abbiamo detto; vi sono perciò dei primi tentativi di
concludere una convenzione multilaterale che disciplini tutti gli aspetti del diritto degli
investimenti.

− 1948, Carta dell’Avana (ITO), al cui interno vi sono importanti norme in materia di
investimenti: mai ratificata
− 1948, Accordo economico di Bogotá nell’ambito della Conferenza degli Stati americani:
mai ratificato dagli Stati uniti e da alcuni Stati dell’America Latina
− 1949, la ICC predispone un progetto di codice internazionale sul trattamento degli
investimenti stranieri
− 1952, Progetto Abs-Shawcross, comitato istituito in ambito OCSE, che nel ’62 e poi nel ’67
elabora una bozza di Convenzione sulla protezione della proprietà straniera: il testo non
viene mai aperto alla firma, manca il consenso anche tra gli Stati industrializzati.

Difficoltà: rilevanza degli interessi economici in gioco e delle implicazioni sociali; scontro tra Paesi
esportatori e importatori di capitali (si tratta di strumenti volti a tutelare gli interessi degli investitori
a scapito degli host Countries).

L’inizio degli anni ’90 sembra caratterizzato da un clima internazionale diverso (caduta dell’URSS,
crisi del debito sovrano nei Paesi in via di sviluppo): si ha una svolta pro-investimenti nelle
politiche di certi Stati, e conseguentemente modifiche giuridiche importanti in primo luogo a livello
nazionale, con l’adozione di leggi volte ad attirare investimenti stranieri, e in secondo luogo a
livello internazionale, con la conclusione di accordi sulla protezione degli investimenti, a livello
regionale (NAFTA, ASEAN, MERCOSUR) e anche settoriale (Carte europea dell’energia).

Questo clima induce gli Stati a ritenere che si possa finalmente giungere alla conclusione di una
convenzione multilaterale: nel 1995 l’OCSE avvia quindi i negoziati per un accordo detto MIA
(Multilateral Investment Agreement). Tentativo molto ambizioso: il MIA avrebbe dovuto
disciplinare tutti gli aspetti degli investimenti, compresi alcuni normalmente non considerati negli
accordi; il testo del MIA nasceva inoltre dal lavoro di giuristi, non solo di delegazioni governative.
Nel 1998 tuttavia i negoziati vengono interrotti a seguito del ritiro della delegazione francese
(particolare importanza visto che la Francia era il Paese ospite dei negoziati, essendo Parigi la sede
dell’OCSE), che aveva chiesto in precedenza che fossero sospesi per le forti contestazioni della
società civile (prime contestazioni in chiave anti-globalization). In particolare rimanevano
controversi: (i) il tema delle regulatory measures (ogni Stato ha il diritto di legiferare per tutelare
interessi pubblici confliggenti con quelli dell’investitore straniero, che non essendo formalmente
soggetto a espropriazione non ha diritto a un indennizzo) e (ii) il tema del dumping sociale e
ambientale (possibilità per uno Stato di stabilire standard normativi più bassi della media per
attrarre capitali, visto che il testo del MIA doveva essere firmato anche da Paesi non-OCSE. Un
altro problema era che il MIA tutelava esclusivamente gli interessi dell’investitore, anche a scapito
dello Stato ospitante.

Anche l’OMC (nata nel 1995) si è occupata della materia, con tre accordi rilevanti (GATS, TRIPS,
TRIMS) che però la toccano solo incidentalmente. Anche l’OMC infatti aveva cominciato a
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lavorare per la conclusione di un accordo internazionale in materia di investimenti: nella prima


Conferenza interministeriale fu creato un gruppo di lavoro a ciò dedicato (1996, Singapore). Nel
2001, la IV Conferenza interministeriale a Doha assunse l’impegno di avviare dei negoziati ad hoc
dopo la V Conferenza interministeriale, che si sarebbe tenuta nel 2003 a Cancún. Tuttavia, in quella
sede ci rese conto che mancava il consenso necessario e il tema degli investimenti venne escluso
dall’Agenda di Doha.

Ad oggi non si è quindi raggiunto un consenso tale da consentire la conclusione di un accordo


multilaterale: le regole vincolanti in materia sono contenute in strumenti bilaterali o, a partire dagli
anni ’90, regionali. Questo anche perché i tentativi OCSE e OMC sono stati messi in atto in un
periodo in cui era forte la contestazione delle associazioni e delle ONG no-global e ambientaliste. In
secondo luogo, su alcuni temi non vi è un consenso non solo tra Paesi industrializzati e Paesi in via
di sviluppo, ma nemmeno tra gli stessi Paesi industrializzati. Infine, un ulteriore fattore negativo è
stata la crisi che dalla fine degli anni ’90 ha colpito prima l’America Latina, la Russia e gli altri
Paesi emergenti, e poi Stati Uniti ed Europa.

Fonti

1) Accordi multilaterali
Ne sono stati conclusi alcuni nell’ambito della Banca Mondiale:

• Convenzione di Washington (1965) istitutiva dell’ICSID (risoluzione controversie Stato


ospite/investitore)
• Convenzione Seul (1985) istitutiva della MIGA (assicurazione investimenti esteri)

La Banca ha così contribuito agli aspetti istituzionali e procedurali della disciplina degli
investimenti stranieri. Per gli aspetti sostanziali c’è invece un altro strumento, questo però non
vincolante, a carattere raccomandatario, adottato su iniziativa della Banca mondiale e del Fondo
monetario internazionale:

• Guidelines on the Treatment of Direct Foreign Investment (1982)

La dottrina ritiene da un lato che queste guidelines esprimano norme consuetudinarie, e dall’altro
che codifichino regole e principi contenuti in prassi, lodi arbitrali, dottrina, ecc. Contengono inoltre
una disciplina tendenzialmente completa degli investimenti. Le guidelines sono cinque e
riguardano: (1) la nozione di investimento e investitore; (2) l’ammissione degli investimenti
stranieri; (3) il trattamento degli investimenti stranieri; (4) l’espropriazione e le modifiche
unilaterali di rescissione dei contratti; (5) la risoluzione delle controversie (si tratta di aspetti
tendenzialmente disciplinati dai BITs). Approccio opposto rispetto al Draft UN Code of Conduct on
Transnational Corporations, che si focalizzava sugli obblighi delle multinazionali nei confronti
dello Stato ospite (i relativi negoziati iniziarono infatti nel contesto del NIEO, e vennero interrotti
all’inizio degli anni ’90 proprio per l’emergere della tendenza a liberalizzare il regime degli
investimenti): lo scopo delle Guidelines è l’individuazione di uno standard di trattamento che lo
Stato dovrebbe garantire agli investitori stranieri.

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2) Accordi bilaterali
Strumento principale in materia sono però i BITs (Bilateral Investment Treaties), accordi che
vengono conclusi dal 1959, quando fu concluso il primo BIT tra Repubblica Federale Tedesca e il
Pakistan, e il cui numero è cresciuto in maniera esponenziale a partire dagli anni ’90 (oggi sono
2597). Funzione storica: depoliticizzazione di un settore molto controverso. N.B.: inizialmente la
distinzione tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo coincideva con quella tra Paesi
esportatori e importatori di capitali. Oggi non è più così.

I BITs sono accordi-quadro, che si applicano a tutti gli investimenti effettuati da investitori di uno
dei due Stati (home State) nell’altro Stato (host State) secondo un regime perfettamente reciproco.
Un investimento sarà quindi regolato dal contratto e dal BIT. I BITs seguono modelli adottati a
livello nazionale, elaborati dai ministeri competenti e aggiornati periodicamente, perciò hanno tutti
più o meno la stessa struttura:

− Preambolo; indicazione degli obiettivi


− ambito di applicazione: definizioni
− ammissione: fase di costituzione dell’investimento (establishment)
− (nei Paesi europei) standard di trattamento applicabile (post-establishment; negli altri Paesi è
uguale a quello applicabile nella fase dell’establishment)
− espropriazione e misure equivalenti
− risoluzione delle controversie in materia di interpretazione e applicazione del BIT tra Stati o
tra Stato e investitore straniero

Problema giuridico: i BITs possono dare vita a norme consuetudinarie?

Ø Secondo alcuni, dato il numero crescente, la struttura simile e l’uniformità di contenuto, i


BITs sarebbero dichiarativi di norme consuetudinarie già esistenti;
Ø secondi altri, i BITs avrebbero addirittura una funzione creativa di nuove norme
consuetudinarie;
Ø altri ancora ritengono invece che i BITs non possono dare vita in nessun caso a norme
consuetudinarie, trattandosi di lex specialis la cui ratio starebbe proprio nella mancanza di
norme consuetudinarie e nella difficoltà che se ne formino in questa materia.

Ø sent. 5 febbraio 1970, Barcelona Traction: prendendo in considerazione gli accordi di


compensazione globale (lump sum agreements), la CIG afferma che trattandosi di lex
specialis questi accordi non possono dare vita a né essere espressione di norme generali.
Questa tesi fu poi ripresa dal Tribunale Iran-Stati Uniti e ribadita poi, questa volta in
relazione ai BITs, dal Tribunale ICSID nel caso AAPL c. Sri Lanka del 1990, in cui il
tribunale definì il BIT tra Regno Unito e Sri Lanka appunto come lex specialis, quindi non
idonea a creare diritto consuetudinario.

3) Accordi regionali
Dagli anni ’90, vengono stretti anche accordi regionali (ad es. NAFTA), che rispetto ai BITs
riguardano anche altri temi (contenuto più ampio) e assumono un altro approccio: i primi seguono
la logica della protezione degli investimenti, gli accordi regionali invece seguono quella della
liberalizzazione dei flussi di capitale (rimozione delle barriere nella fase dell’establishment).
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La politica dell’Unione Europea


Trattato di Lisbona (2006): modifica art. 207, par. I, relativo alla politica commerciale comune, il
cui ambito di applicazione è stato esteso fino a includere da ultimi gli investimenti esteri diretti.

La risoluzione delle controversie


Tre possibili tipi di controversie relative agli investimenti effettuati all’estero:

a) tra privati appartenenti ad ordinamenti diversi (oggetto: contratto di investimento);


b) tra Stati (oggetto: trattato internazionale su investimenti, che possono essere tanto pubblici
quanto privati), ad es. interpretazione di un BIT;
c) tra Stato ospite e investitore privato.

Strumenti per la risoluzione di queste controversie:

a') arbitrato commerciale internazionale (strumento denazionalizzato, non collegato a nessun


ordinamento giuridico in particolare);
b') risoluzione per mezzi diplomatici (mediazione, buoni uffici, inchieste, ecc.), arbitrato
internazionale davanti alla CIG, ecc.;
c') problematico. Sono state a lungo risolte attraverso due strumenti:
1. protezione diplomatica ad opera dello Stato nazionale. Limiti: (i) discrezionalità
dello Stato, no diritto dell’individuo; (ii) il risarcimento è di solito molto inferiore
all’entità del danno; (iii) previo esaurimento dei rimedi interni (caso celebre:
Barcelona Traction, ma sono pochi).
2. tribunali dello Stato ospite. Inadeguatezza: gli investimenti una volta erano
unidirezionali e gli ordinamenti giuridici degli Stati ospiti peccavano di imparzialità.

Erano quindi entrambi strumenti inadeguati. Soluzioni:

A. istituzione di commissioni e tribunali arbitrali misti (composti da soggetti legati a


entrambi gli Stati), che consentiva eccezionalmente a privati l’accesso a rimedi
giurisdizionali internazionali di fronte a un soggetto sovrano;
B. istituzione nel 1965 dell’ICSID (Convenzione di Washington, adottata nell’ambito
della Banca Mondiale).

L’ICSID
L’ICSID è un’organizzazione internazionale che fa parte del gruppo della Banca mondiale, con una
struttura molto semplice: un Presidente, che è il Presidente della Banca mondiale, un Segretariato
con al vertice un Segretario Generale, un Consiglio rappresentativo degli Stati membri, e i tribunali
arbitrali e le commissioni di conciliazione di volta in volta costituiti (non sono permanenti).

Inizialmente e fino agli anni ‘90 quasi tutti i Paesi dell’America Latina rifiutarono di firmare la
Convenzione (noto come el no de Tokyo), e lo stesso fecero i Paesi dell’Est Europa. Oggi la
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Convenzione di Washington è stata ratificata da 153 Paesi e firmata da più di 160. Nel 2007 la
Convenzione è stata però denunciata dalla Bolivia, nel 2009 dall’Ecuador e nel 2012 dal Venezuela.

Il sistema ICSID prevede due strumenti di risoluzione delle controversie: (1) la conciliazione (non
vincolante) e (2) l’arbitrato (vincolante).

Art. 25, giurisdizione del centro


v Si estende alle sole controversie giuridiche (legal disputes). No definizione nell’ambito della
Convenzione di Washington, bensì in un rapporto dei direttori esecutivi della Banca
mondiale ad essa allegato, che chiarisce che si deve trattare di un “contrasto di diritti” e non
di un mero conflitto di interessi. Ad esempio costituiscono controversie giuridiche la
violazione di obblighi contrattuali, e in genere questioni sull’interpretazione e l’applicazione
di un contratto. Nel report vengono citati due esempi: la determinazione della riparazione e
l’esistenza di un diritto o di un obbligo (N.B. non la modifica dei termini economici del
contratto).
v Le controversie devono sorgere direttamente da un “investimento”. Non viene tuttavia data
una definizione, da un lato perché non si vuole limitare l’ambito di competenza delle
commissioni, dall’altro perché si ha consapevolezza che si tratta di una nozione in continua
evoluzione (tendenza espansiva).
Ø Caso Salini c. Marocco, decisione del 2001: il tribunale stabilisce dei parametri per
affermare la competenza. (i) Apporto di capitali, (ii) carattere durevole
dell’operazione (no vendita commerciale), (iii) presenza di un rischio per
l’investitore straniero, (iv) contributo allo sviluppo economico del Paese ospite à
c.d. test Salini, non vincolante.
v Soggetti della controversia possono essere lo Stato contraente (inclusi enti pubblici) o gli
enti territoriali di uno Stato contraente da un lato, e un privato appartenente a un altro Stato
contraente, persona fisica o giuridica, dall’altro. L’appartenenza allo Stato è data per la
persona fisica dalla cittadinanza (se più di una, quella considerata prevalente, cioè
sostanzialmente la residenza; se però la seconda cittadinanza è quella dello Stato ospite, il
privato non può accedere ai tribunali ICSID; per la persona giuridica, mentre la Corte
internazionale di giustizia nel caso Barcelona Traction ha dato priorità ai criteri formali ad
esclusione di quelli sostanziali, la Convenzione di Washington consente di prendere in
considerazione anche il criterio del controllo, purché le parti siano d’accordo (problema: no
definizione di controllo, giurisprudenza ICSID molto varia; deve comunque essere un
requisito oggettivo). Anche le imprese pubbliche possono ricorrere ai tribunali ICSID nella
veste di investitori, purché non esercitino funzioni governative, bensì commerciali con
riguardo alla natura e non allo scopo dell’attività (giurisprudenza).
v Le parti della controversia devono manifestare il loro consenso. Giurisprudenza: fino agli
anni ’90 la manifestazione del consenso avveniva attraverso una clausola compromissoria o
compromesso arbitrale (forma tradizionale). D’altra parte l’art. 25 richiede una
manifestazione scritta di consenso, ma niente di più: non richiede che il consenso delle due
parti sia contestuale. Si è quindi sviluppata una prassi molto controversa, quella
dell’arbitration without privity, secondo l’espressione coniata da Jan Paulsson:

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Ø caso S.P.P. c. Egitto: il consenso dello Stato è stato ricostruito attraverso una
clausola contenuta in una legge nazionale egiziana che prevedeva l’arbitrato ICSID
come strumento di risoluzione delle controversie;
Ø caso A.A.P.L. c. Sri Lanka: il consenso è stato rinvenuto non in una legge nazionale,
ma in un BIT tra lo Sri Lanka e lo Stato dell’investitore.
Limite: il consenso si forma in maniera differita; il tribunale formula un’offerta di arbitrato
sulla base della ricostruzione del consenso dello Stato, e l’investitore può o meno accettare,
cosicché in definitiva tutto viene rimesso a quest’ultimo.
N.B.: il Preambolo alla Convenzione specifica (i) che l’adesione alla stessa non vale come
consenso; (ii) che il consenso non può essere ritirato; e (iii) che la rinuncia alla Convenzione
non può far sì che sia ritirato il consenso già prestato per una specifica controversia.

Procedimento
Una delle parti deposita la domanda di arbitrato presso il Segretariato. Il Segretario Generale la
registra ed effettua un controllo formale, che non incide in alcun modo sul controllo effettivo della
competenza, che spetta allo stesso tribunale arbitrale.

Il tribunale accerta infatti la propria competenza sulla base dell’art. 25 ed eventualmente decide la
controversia sulla base dell’art. 42, che individua il diritto applicabile in quello scelto dalle parti o,
in mancanza, in quello dello Stato ospite, unitamente alle regole internazionali applicabili.
Inizialmente il diritto internazionale aveva una funzione integrativa o sussidiario-correttiva del
diritto interno (era cioè applicabile quando il diritto interno presentava lacune o contrastava con il
diritto internazionale); a partire dalla decisione nel caso Wena c. Egitto del 2002, diritto interno e
diritto internazionale hanno la medesima rilevanza. Il tribunale può decidere anche secondo equità,
ma solo se le parti sono d’accordo.

La sentenza deve essere adottata entro 60 giorni dalla chiusura della procedura a maggioranza dei
voti. Composizione: quasi sempre tre membri, due nominati uno da ciascuna parte e il terzo di
comune accordo. Se le parti non si accordano, il tribunale viene nominato dal Presidente del
Consiglio di amministrazione dell’ICSID tra gli arbitri indicati dagli Stati all’interno del Panel of
Arbitrators.

La Convenzione ICSID è un sistema autonomo e autosufficiente: non serve seguire la procedura


prevista dalla Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere di
New York (1958), in quanto la Convenzione di Washington impone non solo agli Stati parti delle
singole controversie, ma a tutti gli Stati contraenti di riconoscere il carattere vincolante delle
sentenze e di garantire sul proprio territorio l’esecuzione delle obbligazioni pecuniarie che ne
derivano, come se si trattasse di decisioni definitive di giudici nazionali.

Non è prevista la possibilità di fare appello (è fallito il tentativo OCSE-ICSID iniziato su spinta
degli Stati Uniti all’inizio degli anni 2000), ma è prevista la possibilità (a) di revisione, quando
vengano scoperti fatti ignoti al tribunale e alla parte istante (art. 51) e (b) di annullamento, per i
cinque vizi tassativamente previsti dall’art. 52 (1. vizio di costituzione del tribunale, 2. manifesto
eccesso di potere, 3. corruzione di un membro, 4. inosservanza grave di una regola di procedura, 5.
difetto di motivazione della sentenza).

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Additional Facility Rules


Adottate nel 1998, consentono l’applicazione del sistema di Washington anche a controversie non
derivanti direttamente da investimenti e ai casi in cui uno degli Stati coinvolti non sia parte
dell’ICSID. Ai lodi adottati sulla base delle AFR non sono però applicabili le regole sull’exequatur;
pertanto, la loro esecuzione sarà disciplinata dalle regole in vigore nel foro del giudice richiesto.

L’arbitrato commerciale internazionale


Le parti della controversia sono due privati: non c’è la presenza di un soggetto sovrano,
diversamente dall’investment arbitration.

v “Arbitrato”: è un procedimento alternativo agli ADR, cioè ai mezzi di risoluzione non


vincolanti, e alla litigation, cioè la giurisdizione: come quest’ultima porta a un risultato
vincolante, ma diversamente da questa ha natura consensuale e può riguardare solo le
materie sottoposte dalle parti.
v “Commerciale”: è legato ad operazioni economiche internazionali, quindi anche ma non
solo ad investimenti;
v “Internazionale” (≠ domestic arbitration, come contrapposto al foreign arbitration):
l’internazionalità sta nel fatto che l’arbitrato non deve essere legato a nessun ordinamento
giuridico in particolare (denazionalizzazione) à Model Law sull’arbitrato commerciale
internazionale adottata dall’UNCITRAL nel 1985: l’arbitrato è internazionale se incontra i
requisiti fissati dall’art.1, par.3.

La MIGA
Scopo: assicurare soggetti che investono in Paesi in via di sviluppo esclusivamente da:

− rischi di valuta;
− rischi di espropriazione;
− rischi di inadempimento contrattuale;
− rischio di conflitto armato o di disordini civili interni.

Chi sono gli eligible investors? Art.13 Convenzione di Seul: persone fisiche o giuridiche che hanno
la nazionalità di uno Stato contraente diverso da quello in cui investiranno. La nazionalità delle
persone giuridiche viene accertata o applicando contestualmente luogo di costituzione e sede
principale degli affari, o applicando il criterio di controllo. Par. c): sia per le persone giuridiche, sia
per le persone fisiche è previsto che su richiesta congiunta dell’investitore e dello Stato ospite possa

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essere accordata una copertura assicurativa anche a investimenti da parte di soggetti nazionali dello
Stato ospite, purché i capitali investiti siano invece stranieri.

Quali sono gli eligible investments? Art. 12 Convenzione di Seul: tendenzialmente, investimenti
indiretti a medio/lungo termine e investimenti diretti ammessi dal Consiglio di amministrazione;
possono essere investimenti nuovi (green-fee investments) o volti all’ammodernamento o
all’ampliamento di investimenti già esistenti, o ancora volti a partecipare a programmi di
privatizzazione.

Condizioni per accedere all’assicurazione della MIGA:

− l’investitore non può avere altre coperture assicurative;


− la copertura può essere concessa solo per investimenti in Stati che soddisfano certe garanzie
giuridiche (ad es. che hanno concluso almeno un BIT).

L’investitore conclude un contratto internazionale di assicurazione con la MIGA, dove sono


individuate tutte le condizioni della garanzia. Se poi subisce un danno relativo ai rischi di cui sopra,
è previsto innanzitutto l’obbligo di previo esaurimento dei rimedi interni. A quel punto, l’investitore
può chiedere l’intervento della MIGA, che lo indennizza e si surroga nella sua posizione.

La disciplina sostanziale degli investimenti


Lo Stato è sovrano sul suo territorio e può decidere quali investimenti ammettere; una volta
ammesso l’investimento, tuttavia, la sua libertà è limitata dalle norme internazionali in materia di
trattamento degli investimenti.

Norme originate dal trattamento dello straniero à due standard possibili:

− trattamento nazionale (propugnato a lungo dai Paesi sudamericani e in via di sviluppo)


− standard minimo internazionale

Nel diritto internazionale degli investimenti si è poi sviluppato un terzo standard: quello del
trattamento “giusto ed equo”, previsto per la prima volta dal progetto OCSE e poi di volta in volta
riempito di contenuto dai tribunali arbitrali (prima dal Tribunale Iran-Stati Uniti e poi dai tribunali
ICSID), ad es. tutela delle legittime aspettative dell’investitore, ecc. Importanza: spesso gli Stati
ricorrono a misure che di fatto sono espropriazioni, ma formalmente non lo sono, e sono quindi
censurabili solo attraverso il ricorso al principio del trattamento giusto ed equo.

Nazionalizzazioni ed espropriazioni
Le nazionalizzazioni e le esportazioni rientrano nei poteri degli Stati, purché rispettino le condizioni
di legalità. Differenza: le prime di solito riguardano un intero settore economico (vengono attuate
attraverso l’emanazione di leggi e si considera che vi sia un interesse in re ipsa), le seconde invece
riguardano un bene o un operatore specifici (vengano attuate attraverso l’adozione di un atto
amministrativo, e si ha la necessità di provare l’interesse pubblico). Vengono ricomprese nel
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concetto di “taking”, usato per ricomprendere anche quelle misure che formalmente non sono
nessuna delle due. Vengono così prese in considerazione anche le c.d. misure di effetto equivalente,
che per essere considerate espropriazioni devono però:

a) incidere sulla titolarità del diritto di proprietà (giurisprudenza più risalente);


b) incidere sul godimento dell’investimento e non necessariamente sulla titolarità del diritto
(giurisprudenza più recente).

Problema: distinzione con le regulatory measures, che ogni Stato può legittimamente adottare per
tutelare interessi collettivi (ad es. protezione dell’ambiente, tutela del lavoro, misure fiscali, ecc.) e
che possono tuttavia incidere sull’investimento straniero. Se non costituiscono delle espropriazioni
de facto, lo Stato non dovrà corrispondere alcun indennizzo. Soluzione? Gli Stati cominciano a
inserire norme relative alle regulatory measures negli strumenti convenzionali.

Quali sono le condizioni di liceità di nazionalizzazioni ed espropriazioni? Non c’è accordo:

Ø Stati industrializzati:
− interesse pubblico
− non discriminazione
− corresponsione di un indennizzo “prompt, adequate and effective” (c.d. formula
Hull, formulata nel 1928 dal Segretario di Stato degli Stati Uniti).

Queste condizioni sono considerate norme consuetudinarie, ma i Paesi in via di sviluppo non le
hanno mai accettate.

Ø Risoluzione 1803 (1962), Dichiarazione sulla sovranità permanente degli Stati sulle risorse
naturali:
− interesse pubblico
− corresponsione di un indennizzo “appropriato”, da definire in relazione al diritto
interno dello Stato ospite e al diritto internazionale
No formula Hull, no condizione della non discriminazione.
Ø Risoluzione 3281 (1974), Carta dei diritti e doveri economici degli Stati: scompare il
riferimento a qualsiasi condizione di liceità, salvo l’indennizzo “appropriato” che però (i) è
eventuale e (ii) deve essere stabilito solo secondo il diritto interno e le circostanze che lo
Stato ritiene rilevanti (ad es. la teoria dell’indebito arricchimento, formulata nel 1973 dal
governo cileno e secondo cui il guadagno ottenuto sfruttando le risorse dello Stato ospite
deve essere sottratto dall’ammontare dell’indennizzo).

Nella prassi dei BITs oggi si ritrovano le seguenti condizioni:

− interesse pubblico (no beneficio di un privato, ma della collettività), problema: chi giudica
sulla sussistenza di questo requisito è lo stesso Stato
− non discriminazione (caso Oscar Chinn, 1934, Corte permanente di giustizia internazionale:
no discriminazione degli stranieri in quanto tali)
− corresponsione di un indennizzo, problema: quantum dell’indennizzo. Prassi ampia, vari
standard proposti. Non è un problema di diritto, ma di valutazione dell’investimento (vari
metodi: book value, valore dell’avviamento, ecc.).
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Il diritto del commercio internazionale


Bretton-Woods, obiettivo: liberalizzazione del commercio internazionale

21 novembre 1947: Conferenza ONU sul commercio e l’occupazione dell’Avana

24 marzo 1948: accordo internazionale (Carta dell’Avana) suddiviso in capitoli dedicati ad attività
economica e impiego, politica commerciale, accordi internazionali sulle commodities, sviluppo
economico e ricostruzione, concorrenza. Uno dei capitoli prevedeva l’istituzione dell’ITO. Principi
previsti: non discriminazione, reciprocità, divieto di misure di dumping e di sovvenzioni. Fu firmato
da 53 Stati, ma non entrò mai in vigore perché nel dicembre 1950 gli Stati Uniti dichiararono che
non lo avrebbero firmato e di conseguenza defezionò anche il Regno Unito, che aveva interesse a
mantenere il sistema di preferenze imperiali.

Il GATT ‘47
Gli Stati ricorrono quindi all’unico strumento allora disponibile: il GATT, un accordo firmato a
Ginevra il 30 ottobre 1947 da 23 Stati nell’ambito dei lavori preparatori della Conferenza ONU. I
tre Paesi del Benelux, la Francia, il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia e il Canada decidono di
concludere un accordo di applicazione provvisoria del GATT nelle more dell’entrata in vigore della
Carta dell’Avana, di cui doveva inizialmente essere un allegato. Secondo questo accordo, la Parte I
contenente l’obbligo di trattamento della nazione più favorita (art. I) e la lista delle concessioni
tariffarie (art. II) e la Parte III contenente le norme procedurali avrebbero avuto applicazione piena,
mentre la Parte II contenente le norme sostanziali sarebbe stata applicata dagli Stati solo in quanto
compatibile con l’ordinamento giuridico nazionale (e ciò per evitare che diventasse necessaria la
ratifica degli organi legislativi, che avrebbe comportato un ritardo nell’applicazione del GATT; si
rivelò però un boomerang).

Obiettivo del GATT: liberalizzazione del commercio e lotta al protezionismo messo in atto tra le
due guerre. Principi su cui si fonda:

1. principio di non discriminazione:


− clausola della nazione più favorita (MFN), art. I: ogni Stato contraente deve
applicare il trattamento più favorevole riservato a uno Stato a tutti gli Stati contraenti
(uguale trattamento per tutti gli Stati);
− trattamento nazionale, art. II: gli Stati contraenti non possono applicare alle merci
provenienti da altri Stati contraenti tasse interne più elevate o regole diverse rispetto
ai prodotti nazionali simili.
2. divieto di restrizioni quantitative (ricorso a quote nell’importazione o nell’esportazione).

Tali principi subiscono delle eccezioni, previste dall’accordo o sviluppate in via interpretativa.

Piano piano si ha una trasformazione del GATT da accordo internazionale a organizzazione


internazionale de facto grazie a un ampliamento dell’ordinamento giuridico originale:

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A. sul piano istituzionale, con la creazione di organi sviluppatisi nella prassi. Il trattato
prevedeva solo lo svolgimento di un’azione collettiva a verifica dell’attuazione dell’accordo
nell’ambito delle PARTI CONTRAENTI, che erano cioè non un vero e proprio organo,
bensì un foro, i cui compiti principali erano l’interpretazione dell’accordo e la risoluzione
delle controversie tra gli Stati, e da cui sarebbe poi originato l’organo assembleare del
GATT (art. XXV).
1951: istituzione del Comitato intersessionale, composto da un numero limitato di Stati
individuato sulla base di criteri geografici.
1960: istituzione del Consiglio dei rappresentanti permanenti, unico organo permanente
composto da rappresentanti di tuti gli Stati e subordinato alle PARTI CONTRAENTI (che si
riuniscono invece di volta in volta).
Funzioni di segretariato: fino al 1965 svolte dall’ICITO (Interim Commission for the
International Trade Organization), una commissione istituita in seno all’UNCTAD e poi
sostituita da un Direttore Generale.
Sono stati poi previsti anche altri organi.
B. sul piano normativo, c’è stata una trasformazione del regime giuridico attraverso i vari
“Round”, cioè cicli di negoziati internazionali tra tutti gli Stati membri, basati sull’art.
XXVIII GATT. All’accordo originale si aggiungono quindi dei “codici”, nuovi accordi che
però non vincolano tutte le Parti contraenti ma solo quelle che li hanno di volta in volta
sottoscritti.

Vantaggi: contributo alla liberalizzazione del commercio internazionale (a Ginevra nel 1947 erano
solo 23 Stati; al termine dell’Uruguay Round erano 125).

Aspetti critici:

− quadro giuridico scarno, norme poco dettagliate e suscettibili di numerose deroghe;


− quadro istituzionale inadeguato, in particolare per la coincidenza tra l’organo esecutivo e
quello assembleare e per la configurazione e il funzionamento delle PARTI CONTRAENTI
come una conferenza internazionale che come un organo (decisioni prese all’unanimità
all’esito di negoziazioni tra gli Stati);
− pluralità di obblighi giuridici diversi, no uniformità per via del fatto che gli accordi adottati
nei vari round non vincolano tutte le Parti contraenti;
− disciplina esclusivamente dello scambio di merci, ad esclusione per di più dei prodotti tessili
e dei prodotti agricoli;
− la liberalizzazione del commercio si basava solo sull’eliminazione dei dazi e non prendeva
in considerazione gli altri ostacoli;
− assenza di un meccanismo di risoluzione delle controversie.

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L’Uruguay Round
Originariamente non era prevista la creazione di un’organizzazione. L’Uruguay Round è l’ottavo e
ultimo ciclo negoziale del GATT, iniziato nel 1986 a Punta del Este e concluso nell’aprile 1994,
quando a Marrakech viene firmato l’atto finale della conferenza. Successi: (i) notevole riduzione
delle barriere agli scambi di merci; (ii) conclusione di numerosi accordi in settori che prima non
erano coperti; (iii) istituzione dell’OMC.

L’OMC
Personalità giuridica di diritto interno e di diritto internazionale; immunità e privilegi
dell’organizzazione, dei funzionari e dei rappresentanti degli Stati (art.89).

≠ FMI e BIRS: non rientra nel sistema ONU e non richiama nel suo Statuto i principi della Carta
ONU. Inoltre, non funziona come una società per azioni: ha risorse molto limitate, finalizzate a
coprire solo le spese di gestione degli Stati membri (no sostegno finanziario degli Stati membri). Di
conseguenza, non si applica il sistema del voto ponderato.

Membership
Membri: membri originari (del GATT ’47 che hanno ratificato l’accordo OMC) + nuovi membri,
che per aderire all’OMC devono rispettare delle condizioni relative alle modifiche del proprio
ordinamento giuridico e alla riduzione delle tariffe in specifici settori; l’accordo di adesione deve
poi essere approvato dal Consiglio dei ministri (organo assembleare, leadership politica).

Riconoscimento formale della possibilità di aderire per le organizzazioni internazionali individuate


dall’art. XII par.1: territori doganali autonomi, norma scritta con il proposito di regolarizzare la
posizione formale dell’Unione europea. All’epoca del GATT la Comunità aveva via via affiancato
gli Stati membri per via della Commissione, ma si trattava di una soluzione nella prassi. Un
ulteriore problema era rappresentato dai limiti alle competenze dell’Unione europea. Oggi la UE si
sostituisce nelle votazioni agli Stati membri esercitando il voto plurimo previsto dall’art. IX par.1
(no rilevanza pratica: regola del consensus, non è rilevante il numero di voti espressi).

I membri possono recedere con effetto a partire da sei mesi dopo la notifica al Direttore generale.

Funzioni
Funzioni principali ([Link]):

1. favorire l’attuazione, l’amministrazione e il funzionamento degli accordi, sorvegliandone


l’applicazione. Tre strumenti:
i. obbligo per gli Stati membri di notificare le misure di difesa commerciale e le
sovvenzioni adottate;
ii. Trade Policy Review Mechanism, tramite cui il Consiglio generale nella veste di
trade policy review body svolge una funzione di verifica dell’impatto delle politiche

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economiche e commerciali degli Stati membri, a breve termine per i Paesi in via di
sviluppo e a lungo termine per i Paesi industrializzati;
iii. sistema di risoluzione delle controversie.
2. fornire un contesto nell’ambito del quale possano svolgersi i negoziati commerciali
(funzione di input normativo). L’OMC infatti non ha competenze normative: i suoi organi
non possono adottare atti contenenti la disciplina sostanziale di materie commerciali. Questa
funzione viene svolta attraverso la convocazione e l’organizzazione di round di negoziati, di
cui l’ultimo è il Doha Round, iniziato nel 2001 nell’ambito della IV Conferenza
interministeriale.

Struttura
Struttura orizzontale: tutti i membri sono rappresentati in tutti gli organi (non vi è nessun organo a
rappresentanza ristretta).

1. Leadership politica: Conferenza dei ministri, organo composto dai ministri che a livello
nazionale hanno la competenza per il commercio internazionale. Si riunisce almeno ogni
due anni ed è un organo vero e proprio: deve svolgere le funzioni attribuitele dallo Statuto e,
quando richiesto, adotta decisioni.
2. Consiglio generale: organo permanente, si riunisce quando è necessario ed esercita le
funzioni della Conferenza dei ministri tra una riunione e l’altra. Esercita anche delle
funzioni proprie: ha un ruolo fondamentale nell’ambito del sistema di risoluzione delle
controversie nella veste di Dispute Settlement Body (DSB) e nell’ambito del Trade Policy
Review Mechanism in quella di Trade Policy Review Body.
3. Ci sono poi dei consigli di settore (merci, servizi, proprietà intellettuale), che si occupano
dell’applicazione degli accordi sotto l’indirizzo del Consiglio generale. Si riuniscono
quando è necessario e possono istituire organi sussidiari.
4. Segretariato con al vertice un Direttore generale responsabile delle relazioni esterne
dell’organizzazione.

La procedura decisionale è diversa da quella delle altre istituzioni: non c’è il sistema del voto
ponderato, bensì opera il principio di uguaglianza dei membri. La regola è la maggioranza;
l’unanimità è prevista solo in casi particolari (ad es. concessione di deroghe, emendamento degli
accordi), ma nella prassi si applica la regola del consensus.

Quadro giuridico
15 aprile 1994, Atto finale di Marrakech: contiene tutti gli accordi e i protocolli, le intese e le
decisioni che costituiscono il quadro giuridico dell’OMC. Struttura:

− accordo istitutivo dell’OMC (c.d. accordo-ombrello): accordo sintetico, contiene sedici


articoli riguardanti obiettivi, funzioni, organi, membership e procedura decisionale (no
regime sostanziale, rimesso agli accordi).
− allegati, contenenti altri accordi:
All.1 a sua volta contiene tutti gli accordi relativi alle tre aree oggetto degli scambi
internazionali:

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1.A accordi relativi allo scambio di merci ovvero a settori o aspetti


particolari dello scambio di merci (tra cui il GATT ’94, che include tutte le
intese interpretative, le decisioni delle PARTI CONTRAENTI e i protocolli
relativi alle concessioni tariffarie; il GATT ’47 si estinguerà nel 1996);
1.B accordi relativi allo scambio di servizi (GATS e allegati);
1.C accordi relativi allo scambio di diritti di proprietà intellettuale
(TRIPS).
All.2 contiene l’Intesa sulle regole e procedure che gestiscono la risoluzione delle
controversie (c.d. Intesa);
All.3 contiene il Trade Policy Review Mechanism;
All.4 contiene gli accordi plurilaterali negoziati nell’ambito dei Tokyo Rounds,
conclusisi nel 1979. Quelli visti fino ad ora sono accordi multilaterali, per cui vale il
principio del single undertaking, e che cioè vincolano tutte le Parti contraenti; gli
accordi plurilaterali invece possono essere sottoscritti dalle Parti contraenti oppure
no. Originariamente erano quattro: (1) accordo sul commercio nell’aviazione civile;
(2) accordo sugli appalti pubblici; (3) accordo sulle carni bovine; (4) accordo
internazionale sul latte. Gli ultimi due si sono estinti nel 1997; oggi rimangono
quindi solo i primi due.

Nuovi principi fondamentali:

− single undertaking;
− obbligo di conformità dell’ordinamento giuridico nazionale (art. XVI, par.4) agli obblighi
derivanti dalla partecipazione all’OMC, secondo la teoria dualista degli ordinamenti:
l’ordinamento nazionale e quello internazionale sono autonomi, indipendenti e sovrani e la
norma interna non può limitare l’applicazione delle norme internazionali.

Problema: efficacia diretta (creazione automatica di diritti e obblighi che possono essere invocati
dagli individui davanti ai giudici nazionali)? Problema affrontato inizialmente in relazione al GATT
e poi all’OMC:

Ø giurisprudenza nazionale ed europea risalente: sì


Ø giurisprudenza più recente: no (ragione politica: i principali partner commerciali
dell’Unione europea non riconoscevano efficacia diretta alle norme OMC)

N.B.: fanno parte di questi accordi anche i rapporti adottati nell’ambito del sistema di risoluzione
delle controversie dai panels e dall’organo di appello, che sono formalmente vincolanti solo per le
parti della controversia, ma vengono in pratica richiamati nelle controversie successive.

All’OMC si applicano inoltre le norme di diritto internazionale generale.

Gli accordi generali


GATT, GATS e TRIPS sono accordi generali, che disciplinano cioè il tema in generale e non
singoli aspetti; sono accordi-quadro. Il GATT e il GATS hanno una struttura analoga: sono divisi in
tre parti principali, e disciplinano la materia attraverso una serie di divieti imposti alle Parti
contraenti. Questi due accordi hanno inoltre, in aggiunta all’accordo-quadro, una lista di impegni
specifici assunti dai singoli membri per consentire l’accesso al proprio mercato a prodotti o a
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fornitori di servizi stranieri. Il TRIPS contiene invece principalmente obblighi positivi. Tutti e tre
gli accordi si basano su due principi fondamentali:

− trasparenza;
− non discriminazione, attuato attraverso il rispetto di due regole:
i. trattamento della nazione più favorita, che prevede l’applicazione e automatica del
trattamento più favorevole concessa a un membro a tutti gli altri membri (clausola di
liberalizzazione continua);
ii. trattamento nazionale, che prevede che il trattamento applicato a beni, servizi e
diritti di proprietà intellettuale stranieri non sia meno favorevole di quello concesso
a quelli nazionali: crea una condizione di concorrenza tra i prodotti, servizi e diritti
di p.i. nazionali e quelli stranieri.

Oltre a questi due principi fondamentali, ci sono altre regole che riguardano l’accesso al mercato,
basate su concessioni reciproche e sul principio del comune vantaggio, e altre ancora che hanno lo
scopo di garantire la correttezza dei rapporti commerciali attraverso la disciplina della condotta sia
degli Stati, sia dei privati (rispettivamente, sovvenzioni pubbliche e pratiche di dumping).

L’allegato 1.A
E’ quello storicamente più sviluppato; si tratta del settore precedentemente disciplinato dal GATT
’47. Contiene il GATT e tutta una serie di altri accordi che disciplinano o settori specifici del
commercio di merci (ad es. agricoltura, tessili e abbigliamento) o suoi aspetti specifici (ad es.
misure sanitarie e fitosanitarie, accordo sulle misure di salvaguardia o sulle sovvenzioni,
sovvenzioni per pratiche di dumping, regole di origine). I più importanti sono:

− sull’agricoltura;
− sul tessile e abbigliamento;
− sulle misure sanitarie e fitosanitarie;
− il TRIMS, l’accordo sulle misure di investimento collegate agli aspetti commerciali (meno
rilevante, ma noto perché è la prima volta che nel sistema GATT si parla di investimenti);
− sulle misure di salvaguardia;
− sulle sovvenzioni e misure compensative.

Nel rapporto tra GATT ’94 e accordi specifici vale il principio di specialità, come specificato nella
Nota generale sull’interpretazione dell’all.1.A: in caso di conflitto tra una norma del GATT ’94 e
una norma di questi accordi, prevale la seconda, perché costituiscono lex specialis rispetto al GATT
’94.

Il GATT ‘94
E’ l’accordo che ha incorporato il GATT ’47, tutti gli atti giuridici relativi al GATT ’47 ed entrati in
vigore prima dell’accordo OMC (protocolli e decisioni), e quanto negoziato durante l’Uruguay
Round, e cioè una serie di intese e il c.d. protocollo di Marrakech del GATT 1994. Che cosa sono
queste intese? Sono degli accordi che hanno lo scopo di chiarire l’ambito di applicazione e il
contenuto di singole norme del GATT. Il protocollo di Marrakech invece contiene gli elenchi delle
concessioni decise dai membri e le modalità della loro applicazione. E’ l’accordo che disciplina in
via generale lo scambio di merci.
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Come opera il GATT? Il GATT tende a garantire la liberalizzazione del commercio di merci
contrastando in maniera diversa misure di natura tariffaria o non-tariffaria:

Ø misure tariffarie (dazi doganali): sono lecite purché nel rispetto di determinate aliquote
massime, a meno che non venga corrisposto al membro danneggiato da un dazio superiore
un indennizzo. Le concessioni tariffarie sono negoziate direttamente tra i membri e gli
impegni assunti da ciascuno sono indicati nella lista delle tariffe e delle concessioni. N.B.:
applicazione del trattamento della nazione più favorita.
Ø misure non tariffarie (ad es. misure tecniche, misure fiscali): quelle per eccellenza sono le
quote, per cui vi è un divieto assoluto (art. XI GATT), diversamente che per le misure
tariffarie. Questo perché spesso le quote sono misure non trasparenti e discriminatorie,
perciò sono ammesse solo quando uno Stato deve salvaguardare la propria posizione
finanziaria esterna o l’equilibrio della propria bilancia dei pagamenti, nel rispetto delle
condizioni fissate dall’art. XII e del principio di non discriminazione.
Un’altra misura non tariffaria sono le misure tecniche, standard relativi alla merce (tra cui
rientrano anche le misure sanitarie e fitosanitarie), che sono state disciplinate in due accordi
separati, negoziati durante l’Uruguay Round: (1) l’Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi
e (2) l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie, che sviluppano una clausola già
contenuta nell’art. XX GATT ‘47 relativo alle eccezioni generali.

Il regime GATT può avere a monte delle deroghe (a parte le eccezioni) concesse a Stati che si
trovano in condizioni particolari, a cui si può accordare un trattamento commerciale di tipo
preferenziale. Due ipotesi:

1. possibilità che vengano costituite unioni doganali o aree di libero scambio in deroga alla
regola del trattamento della nazione più favorita (art. XXIV), ratio: al loro interno
favoriscono la liberalizzazione del commercio internazionale, ma non devono costituire un
ostacolo per i rapporti con gli Stati terzi;
2. sistema di preferenze generalizzate à 1971: la C.E. introduce in via unilaterale un
trattamento commerciale di favore nei confronti delle merci provenienti dai Paesi in via di
sviluppo, in deroga al regime GATT. Successivamente il GATT adotta una enabling clause,
che doveva avere inizialmente una durata provvisoria di dieci anni, ma estesa nel 1979 a
tempo indeterminato, con cui permette ai singoli Stati membri o alle organizzazioni che
fanno parte dell’OMC di concedere su base unilaterale un trattamento favorevole ai Paesi in
via di sviluppo. L’Unione europea concede sulla base di questa clausola un trattamento
tariffario agevolato alle merci provenienti da una serie di Paesi espressamente indicati, a
condizione che ratifichino una serie di convenzioni adottate nel contesto dell’ILO, in
materia di diritti umani, ecc. (condizionalità politica).

Settore tessile e abbigliamento


Novità ratione materiae dell’Uruguay Round. Prima del GATT ’94 non vi era alcuna
regolamentazione specifica del settore, ed era dubbia l’applicabilità del GATT ’47, ciò che era
problematico trattandosi di un settore labor intensive e molto importante sia per le economie non
sviluppate, sia anche per alcuni Paesi europei.

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Dagli anni ’60 gli Stati cominciano ad applicare al settore il sistema delle quote (Paesi
industrializzati nei confronti di merci provenienti da economie emergenti). Si ha quindi un primo
tentativo di disciplina: lo Short Term Cotton Arrangement del 1961. L’anno dopo viene concluso un
accordo analogo ma a lungo termine (Long Term Cotton Agreement), che rimane in vigore fino al
1973. Nel 1974 si ha il primo accordo importante nel settore, il c.d. Accordo Multifibre, rinegoziato
ogni quattro anni fino all’Uruguay Round, che prevedeva una liberalizzazione del settore attraverso
una progressiva riduzione delle quote. Vi era tuttavia una clausola che consentiva agli Stati di
limitare in via unilaterale le importazioni di tessili ogni volta che queste provocassero o rischiassero
di provocare turbolenze sui mercati, clausola su cui si era sviluppata la prassi di concludere accordi
bilaterali per limitare la quantità di prodotti tessili esportati dagli Stati (Voluntary Export Restraint
Agreements).

Uruguay Round: conclusione dell’Accordo sui tessili e l’abbigliamento, che dal 1° gennaio 1995 ha
sostituito l’Accordo Multifibre. Oggi non esiste più: il suo scopo era la liberalizzazione completa e
graduale del settore nei dieci anni successivi attraverso l’applicazione delle regole GATT a quantità
sempre maggiori di merci, sotto la vigilanza del Textile Monitoring Body, organo di controllo che
riferiva al Consiglio delle merci. Dal 1° gennaio 2005 il settore tessile è stato quindi integrato nel
sistema GATT.

Settore agricolo
Altro settore che ha trovato disciplina con l’Uruguay Round è quello dei prodotti agricoli, che sotto
il GATT ‘47 godeva di una disciplina specifica sotto forma di eccezioni à limitazione della
possibilità di ricorrere a misure quantitative e a sovvenzioni.

In materia oltre all’Accordo sull’agricoltura è rilevante quello sulle misure sanitarie e fitosanitarie.
Il primo prevede l’obbligo di riformare le proprie politiche agricole secondo un calendario diverso
per Paesi industrializzati (cinque anni) e quelli in via di sviluppo (dieci anni). Tre focus del
programma:

− accesso al mercato;
− sostegno interno;
− sovvenzioni alle esportazioni.

Il secondo contiene la disciplina relativa all’adozione di misure in materia di sicurezza alimentare,


sanità animale e protezione delle piante. Ogni Stato ha diritto di decidere i livelli di protezione, ma
queste misure possono essere applicate solo finché “necessarie” per proteggere la vita o la salute
dell’uomo, degli animali o delle piante, e purché non siano discriminatorie né arbitrarie.

Altri accordi relativi alla correttezza della condotta di Stati e privati:

Ø accordo in materia di anti-dumping (possibilità di adottare dazi compensativi o anti-


dumping per lo Stato danneggiato);
Ø accordo su sovvenzioni e misure compensative.

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L’allegato 1.B
No molteplicità di accordi: contiene solo l’Accordo generale sul commercio di servizi (GATS) e i
suoi allegati.

Impegno di ogni membro di liberalizzare il settore dei servizi erogati secondo quattro modalità, che
comprendono tutte le modalità possibili di fornitura di servizi (art. I par. 2):

1. dal territorio di un membro a quello di un altro membro;


2. nel territorio di un membro a un consumatore di servizi di un altro membro;
3. da parte di un prestatore di servizi di un membro attraverso la presenza commerciale nel
territorio di un altro membro;
4. da parte di un prestatore di servizi di un membro attraverso la presenza di persone fisiche di
un membro nel territorio di un altro membro.

Struttura:

− accordo-quadro: regole generali applicabili a tutti gli Stati parti


− allegate: liste di impegni specifici assunti dai singoli Stati (c.d. elenchi nazionali di impegni)
− quattro allegati relativi a settori specifici: (1) servizi finanziari, (2) movimento delle persone
fisiche, (3) telecomunicazioni di base, (4) un altro sui servizi finanziari.

L’allegato 1.C
Anche questo contiene solo l’accordo generale, cioè il TRIPS. Si tratta di una novità dell’Uruguay
Round: esigenza di contrastare il commercio di merci contraffatte e la pirateria commerciale.

Due esigenze opposte: da un lato assicurare una protezione efficace ed adeguata dei diritti d’autore,
dall’altro evitare la giustificazione di misure protezionistiche.

Applicabilità dei principi di base del GATT e contestualmente di quelli contenuti nei principali
trattati in materia di proprietà intellettuale. Ciò comporta per la prima volta l’applicazione del
principio del trattamento della nazione più favorita in materia di proprietà intellettuale, mentre la
regola del trattamento nazionale era già prevista dalle Convenzioni di Parigi del 1967 e di Berna del
1971.

Esecuzione dell’accordo: tempistiche diverse per Paesi industrializzati (un anno), Paesi in via di
sviluppo ed economie in transizione (cinque anni) e Paesi meno avanzati (dieci anni).

Sistema di risoluzione delle controversie


Nel sistema GATT, le controversie venivano rimesse ai panel, che però (1) decidevano per
consensus (limite: la parte soccombente bloccava la decisione) e (2) non erano un sistema
istituzionalizzato. Soluzioni:

1. Regola del consensus invertito o negativo per l’adozione di tutte le decisioni: la decisione è
adottata a meno che tutte le parti si oppongano.
2. Introduzione di un organo di appello, che consente un secondo grado.

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Disciplina: Intesa sulle norme e le procedure che gestiscono la soluzione delle controversie,
contenuta nell’All.2.

Ambito: controversie relative a tutti gli accordi OMC.

Obiettivo: non solo (1) indurre il membro responsabile di una violazione a cessarla, ma anche (2)
evitare alterazioni dell’equilibrio delle concessioni commerciali reciproche. Il sistema può pertanto
essere attivato in due situazioni diverse:

a) quando vi sia una violazione specifica di una norma (illecito)


b) quando vi sia un pregiudizio derivante da una condotta non conforme alle regole OMC (no
illecito).

Le regole applicabili sono diverse: nel primo caso lo Stato responsabile deve cessare la violazione e
riparare il danno; nel secondo vi è solo un obbligo di consultazioni tra le parti e il ristabilimento
dell’equilibrio degli interessi commerciali attraverso compensazioni concordate.

Due fasi:

I. obbligo delle parti di risolvere la controversia in via diplomatica (obbligo di consultazioni o


negoziato, buoni uffici, conciliazione e mediazione, eventualmente con l’intervento del
Direttore generale).
Se entro 60 giorni dal ricevimento della richiesta di consultazioni la controversia non è
risolta, la parte che afferma di aver subito la violazione può chiedere l’istituzione di un
panel. Se le parti sono d’accordo il termine può essere ridotto.
II. Il panel eventualmente istituito (la relativa decisione viene presa attraverso la regola del
consensus negativo) è composto da tre o cinque esperti che siedono a titolo individuale e
sono proposti alle parti dal Segretariato. Le parti si possono opporre solo se vi sono ragioni
impellenti.
Il panel adotta, sempre secondo la regola del consensus negativo, un rapporto che riguarda
sia le questioni di diritto, sia quelle di fatto e che deve essere sottoposto al DSB (cioè al
Consiglio generale nella veste di Disputes Settlement Body). La controversia si conclude con
l’adozione del rapporto da parte del DSB.

Possibilità di ricorso all’Appellate Body, organo permanente composto da sette esperti che siedono a
titolo individuale; giudica però in composizione ristretta (tre membri). Solo le parti possono
ricorrere, e l’organo di appello non può riesaminare i fatti (gli possono essere sottoposte solo
questioni di diritto). L’Appellate Body adotta, sempre secondo la regola del consensus invertito, un
rapporto che può confermare, modificare o annullare il rapporto precedente, e che deve essere a sua
volta adottato anche dal DSB.

Se il rapporto del panel (o dell’Appellate Body) giunge alla conclusione che c’è stata una
violazione, viene raccomandata l’eliminazione dell’incompatibilità, con l’eventuale indicazione
delle modalità di attuazione. Il DSB vigila sull’attuazione del rapporto. Se il rapporto non viene
rispettato entro un termine ragionevole dalla parte soccombente, il membro vincitore può adottare
misure provvisorie; può cioè o concordare un indennizzo, o adottare contromisure (sospensione di
concessioni o del rispetto di altri obblighi previsti in ambito OMC) nel rispetto delle regole indicate

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dall’Intesa (1. la parte deve innanzitutto adottare tali contromisure limitatamente al settore
interessato dalla violazione (c.d. retaliation); se questa misura risulta impossibile o inefficace, 2. la
parte può chiedere la sospensione in settori diversi ma contemplati dal medesimo accordo (c.d.
cross-retaliation); se anche questa possibilità è impossibile o inefficace e le circostanze sono
abbastanza gravi, 3. la parte può chiedere la sospensione relativamente ad altri accordi OMC) e
fermo restando che ogni contromisura deve essere autorizzata dal DSB. La controparte può a sua
volta contestare l’incidenza o il mancato rispetto di tali regole da parte della contromisura adottata;
in questo caso, la soluzione è rimessa a un arbitrato.

Limiti:

Ø gestione della procedura da parte di un organo politico (DSB);


Ø possibilità di adottare misure di autotutela contrarie all’obiettivo di fondo del sistema
(liberalizzazione degli scambi).

Sistema delle eccezioni *

Quadro giuridico multilaterale per la liberalizzazione del commercio tra gli Stati membri:

I. gradualità: l’abolizione dei dazi avviene gradualmente attraverso la conclusione di accordi a


cadenza regolare (a ogni accordo, riduzione del 4%);
II. reciprocità: non sono ammesse disposizioni che assicurano trattamenti speciali, pari diritti e
doveri per tutti gli Stati;
III. non discriminazione:
Ø dimensione esterna: art. I GATT, principio della nazione più favorita;
Ø dimensione interna: art. II GATT, principio del trattamento nazionale.

Perché questi tre principi favoriscono il commercio internazionale? Le policies di liberalizzazione


commerciale si ispirano alla teoria del Comparative Advantage (David Ricardo): collegamento tra
prosperità degli Stati e capacità di commerciare i beni da essi prodotti. Ogni Stato possiede
determinate risorse, da cui può produrre solo determinate categorie di beni, che quindi scambia con
i diversi beni prodotti dagli altri Stati. Questo porterebbe a un vantaggio per tutti gli Stati.

Tuttavia, la Grandfather Clause consentiva agli Stati di derogare alle norme GATT. Con l’OMC
scompaiono tanto questa clausola, quanto la possibilità riconosciuta ai Paesi in via di sviluppo di
derogare ad alcuni obblighi di liberalizzazione. Questi sono tuttavia riusciti ad ottenere delle norme
che conferiscono loro un trattamento speciale in deroga al principio di reciprocità (ad es. assistenza
tecnica e giuridica da parte dell’OMC, accesso privilegiato ai mercati, più tempo per adeguarsi agli
obblighi di liberalizzazione) à art. IX accordo OMC: facoltà dell’organizzazione di concedere
deroghe temporanee da accordare sotto circostanze eccezionali e con il consenso degli altri Stati
(c.d. waivers).

Vari tipi di eccezioni:

i. eccezioni generali (artt. XX GATT e XIV GATS): gli Stati mantengono il diritto di attuare
misure commerciali che possono avere effetti restrittivi, purché non siano arbitrarie né
ingiustificate e rispondano a una delle esigenze individuate dall’art. XX GATT;
ii. eccezioni necessarie per la sicurezza nazionale;
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iii. eccezioni per la partecipazione a sistemi di integrazione economica regionale (artt. XXIV
GATT, VI GATS);
iv. eccezioni necessarie per esigenze della bilancia dei pagamenti.

Eccezioni a che cosa? Alla clausola della nazione più favorita.

Eccezioni generali
Le misure adottate sotto la clausola di cui all’art. XX GATT devono soddisfare un two-tier test:

1. finalità di tutela di uno dei valori elencati alle lett. a) – h). N.B.: alcune misure devono
essere “necessarie” (raggiungimento di un obiettivo), altre devono solo essere “relative” a
una data policy à diverso nesso giuridico richiesto: nel primo caso si ha un necessity test,
nel secondo una verifica della relatability della misura alla policy indicata;
2. compatibilità con lo chapeau (cappello) del medesimo articolo: no “mezzo di
discriminazione arbitrario o ingiustificato fra Paesi nei quali prevalgano le medesime
condizioni”, né “restrizione mascherata al commercio internazionale” à espressione del
principio di buona fede a cui devono essere improntate le relazioni internazionali: serve a
prevenire abusi del sistema di eccezioni.

Ø Caso “gamberetti” (art. XX, lett. g): conservazione delle risorse naturali esauribili), Stati
Uniti c. Paesi asiatici che attuavano modalità di pesca dei gamberi che non tutelavano le
tartarughe marine (che sono una specie in via d’estinzione);
Ø Caso “tuna-dolphin”, Stati Uniti c. Messico e Stati Uniti c. CEE: adozione di misure
restrittive giustificate dall’art. XX, lett. g).

Eccezioni per partecipazione ad accordi regionali


Art. XXIV parr. 3 e 4 GATT: tali deroghe sono consentite nei limiti delle condizioni poste dall’art.
XXIV, cioè purché le misure facilitino il commercio nella regione e non lo restringano con i Paesi
esterni à (a) internal requirements: le misure devono abbassare le barriere tra gli Stati appartenenti
all’accordo, (b) external requirements: le regolamentazioni verso l’esterno non devono essere
restrittive.

Problema: frammentazione? No: gli accordi regionali costituiscono spesso la base per la creazione
di accordi multilaterali (ad es. politica agricola comune in ambito europeo), ad es. nel Doha Round
si trattano materie già disciplinate a livello regionale (prodotti agricoli, tessili, ecc.) che trovano
maggiori difficoltà a essere regolamentate a livello multilaterale.

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Il debito sovrano
Problema particolarmente grave a partire dal 1800, con l’incrementare delle spese militari a seguito
delle guerre napoleoniche e l’accollo del debito spagnolo da parte dei neonati Stati dell’America
Latina. In seguito l’affermarsi di nuovi principi ha fatto sì che per la maggior parte degli Stati le
spese superano di gran lunga le entrate.

Distinzione importante tra debito pubblico interno ed estero. Quest’ultimo pone un problema di
sostenibilità in quanto comporta una deviazione di valuta e risorse verso l’estero. Che cos’è la
sostenibilità del debito? E’ la capacità di uno Stato di adempiere alle obbligazioni derivanti dal
debito senza ricorrere a forme di cancellazione (cioè all’annullamento) o di ristrutturazione (cioè
alla modifica delle condizioni) del debito, né all’accumulo di debiti.

Il debito estero emerge come problema a livello internazionale a partire dagli anni ’70-’80 per
l’aumento improvviso dei tassi d’interesse di riferimento da parte di Stati Uniti e Regno Unito, a cui
consegue un problema di insostenibilità del debito dei Paesi in via di sviluppo, i quali sono costretti
a chiedere prestiti per pagare gli interessi sui debiti precedenti. 15 agosto 1982, Messico:
dichiarazione di moratoria sul pagamento del servizio del debito (“servizio del debito”: prestito +
interessi). E’ la primi crisi del debito dopo la II guerra mondiale.

Problemi fondamentali dal punto di vista giuridico:

− non c’è un’organizzazione che abbia competenza internazionale in materia di


ristrutturazione o di risoluzione delle controversie in materia;
− diritto applicabile tra Stato debitore e creditore (soprattutto quando questo è privato)?
− poche norme internazionali in materia, ricavate da altri settori (ad es. applicazione dello
stato di necessità in Argentina, legittimità dubbia);
− ripercussione del debito estero sui diritti della popolazione: si pone un problema di
bilanciamento tra due obblighi dello Stato debitore, da un lato quello di natura
consuetudinaria di adempiere ai propri obblighi internazionali, e dall’altro quello di
assicurare i diritti della propria popolazione (ad es. in materia di previdenza, sanità,
istruzione)

Nazioni Unite, “approccio umano” al problema del debito:

• il Consiglio sui diritti umani nel 2008 ha nominato un esperto indipendente (rapporteur)
per analizzare gli effetti del debito estero e degli altri obblighi finanziari ad esso collegati
sul pieno godimento di tutti i diritti umani (in particolare quelli economici, sociali e
culturali), al cui lavoro ha fatto seguito nel 2012 l’adozione dei Guiding principles on
foreign debt and human rights. Principio fondamentale: esigenza primaria di assicurare il
rispetto dei diritti umani in tutte le circostanze da parte non solo degli Stati, ma anche delle
istituzioni finanziarie e delle società private. Afferma l’obbligo per gli Stati di non adottare
misure regressive e di garantire un livello minimo di protezione dei diritti umani in ogni
circostanza. Nuovo principio: responsabilità comune di debitori e creditori di evitare debiti
insostenibili (shared responsibility).
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• Il modello della shared responsibility si ritrova nei Principles on promoting sovereign


lending and borrowing adottati dall’UNCTAD nel 2012 (c.d. finanziamento responsabile):
tentativo di sistematizzare principi, regole e best practices che coinvolgano
contemporaneamente creditori e debitori nella responsabilità di assicurare che il
finanziamento sia responsabile, cioè sostenibile; corresponsabilità per difendere gli interessi
pubblici dei cittadini dello Stato debitore.

Problema di nozione: che cos’è il debito sovrano?

Ø Convenzione di Vienna sulla successione degli Stati in materia di beni, archivi e debiti di
Stato (1983), definizione di debito di Stato (cioè debito sovrano): “ogni obbligazione sorta
conformemente al diritto internazionale nei confronti di un altro Stato, un’organizzazione
internazionale o un altro soggetto di diritto internazionale” (art.33). Nozione limitata:
vengono escluse le obbligazioni nei confronti di soggetti privati, che oggi sono creditori
importantissimi, e quelle contratte non in conformità con il diritto internazionale. Inoltre
riguarda un aspetto specifico.

Possiamo quindi definire il debito sovrano (o debito pubblico) come il debito contratto dallo Stato,
dalle sue emanazioni (ad es. anche da banche centrali o agenzie governative), dalle sue suddivisioni
territoriali o da imprese pubbliche la cui attività è ad esso imputata. Vi rientrano i debiti contratti da
privati ma garantiti dallo Stato (c.d. pubblicizzazione del debito)? La dottrina non è concorde nel
dare una risposta affermativa o negativa (dubbio).

E il debito sovrano estero? Elemento di internazionalità: il debito è contratto nei confronti di un


altro soggetto internazionale o di creditori che abbiano la residenza all’estero. Il debito sovrano
estero è quindi l’insieme delle obbligazioni pecuniarie assunte o garantite dallo Stato o da altri
soggetti pubblici nei confronti di altri soggetti internazionali o di persone fisiche o giuridiche
appartenenti a uno Stato diverso.

Classificazione a seconda del creditore (importante, muta il regime giuridico applicabile) a seconda
che si tratti di creditori ufficiali (cioè pubblici), a loro volta suddivisi in multilaterali (istituzioni
finanziarie anche regionali) o unilaterali (altri Stati), o privati.

Quid iuris?

Uno Stato è insolvente quando non è in grado di adempiere ai propri impegni finanziari; in questo
caso si ha una condizione di default, che sul piano giuridico comporta una violazione dell’accordo
di prestito. Ma ad essere insolvente è pur sempre un soggetto sovrano à problema: non esiste un
organo specifico di risoluzione delle controversie. Se sorgono tra Stati, si ricorrerà ai mezzi normali
(ad es. Corte permanente di giustizia internazionale, casi gemelli dei prestiti serbi e brasiliani,
1929). Ma se i creditori sono privati? Possono citare in giudizio lo Stato straniero? Problema: le
controversie in materia di debito vengono escluse dalle immunità (riconosciuta invece dalla Corte di
cassazione italiana all’Argentina nell’attività di emissione di titoli di Stato, con conseguente ricorso
all’ICSID da parte dei ricorrenti).

Prima di arrivare alla fase contenziosa, comunque, si tenta la ristrutturazione, cioè un accordo che
alleggerisca l’onere del debitore attraverso l’adozione di misure di vario tipo: dal semplice

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riscadenzamento dei termini alla modifica di alcune condizioni (tassi d’interesse, valuta, ecc.). Può
essere concordata o unilaterale (come nel caso dell’Argentina nel 2001, nel 2005 e soprattutto nel
2010, quando ha riacquistato i propri titoli di Stato a un valore nominale molto più basso rispetto a
quello a cui i privati li avevano acquistati). Generalmente è concordata, e in questi casi viene
concertata a livello internazionale in specifici fori (Club di Parigi e Club di Londra) che non sono
formalmente organizzazioni internazionali (non hanno uno Statuto né degli organi), ma di fatto lo
sono per la regolarità degli incontri che vi si tengono.

Club di Parigi
Istituito nel 1956 per far fronte a un crisi debitoria-finanziaria dell’Argentina. Le parti sono 22 Stati
(i principali creditori del debito dei Paesi poveri) e, in qualità di osservatori, alcune organizzazioni
internazionali (tra cui l’FMI). Si occupa della ristrutturazione del debito sovrano dei Paesi con
debiti molto elevati nei confronti degli Stati parti. In che modo funziona? Approccio case by case,
opera in modo informale in base al caso concreto; decisioni secondo la regola del consensus;
applicazione del principio di condizionalità alla ristrutturazione del debito. Crediti elegibili: crediti
(i) di Stati parti, (ii) a medio o a lungo termine, (iii) garantiti per una durata superiore a un anno;
questo significa che non sono ricompresi i crediti da Stati che hanno un’esposizione eccessiva.

Il riscadenzamento del debito, in base a cui la restituzione delle somme è prorogata nel tempo,
avviene nel rispetto delle seguenti condizioni:

1) richiesta da parte dello Stato debitore;


2) rispetto della condizionalità: lo Stato debitore deve dimostrare di stare attuando un piano di
risanamento conforme al programma di aiuto avviato dall’FMI;
3) oggettiva impossibilità dello Stato debitore di pagare il debito (cioè situazione di default
imminente), comprovata dalle analisi svolte dall’FMI;
4) accettazione da parte dello Stato debitore della c.d. clausola di iniziativa: lo Stato si impegna
ad avviare quanto prima negoziazioni con i creditori esterni al Club per concludere anche
con questi accordi di ristrutturazione.

L’attività del Club si basa su due principi fondamentali:

I. Par condicio creditorum (o clausola della comparabilità): lo Stato si impegna a non


concedere condizioni più favorevoli ai creditori esterni al Club.
II. Sharing clause: ogni pagamento da parte dello Stato debitore deve essere ripartito tra i
creditori in proporzione all’entità dei rispettivi crediti.

Procedura:

− richiesta di ristrutturazione da parte dello Stato debitore;


− negoziati periodici a cui partecipano tutti i creditori dello Stato che appartengono al Club
(quindi non necessariamente tutti i creditori di quello Stato);
− adozione mediante consensus di un’intesa contenente il programma di risanamento;
− conclusione sulla base di tale intesa di accordi bilaterale tra debitore e singoli creditori.

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I Paesi creditori si impegnano a controllare che i fondi sbloccati in favore dei Paesi debitori
vengano utilizzati nel rispetto dei principi fissati in materia dal G8 (good governance, stato di
diritto, diritti umani, ecc.).

Club di Londra
Vi fanno parte i creditori privati, cioè principalmente banche commerciali. E’ connotato da una
maggiore flessibilità: è composto da comitati ad hoc (c.d. steering committees) istituiti di volta in
volta con la rappresentanza dei creditori dello Stato su richiesta di quest’ultimo.

Le banche di solito chiedono allo Stato debitore di concludere un accordo di risanamento con l’FMI
e di ristrutturare anche i debiti nei confronti degli Stati nell’ambito del Club di Parigi.

A seguito di una consultazione con il Paese indebitato viene raggiunta un’intesa sulla cui base
vengono poi adottati accordi bilaterali tra lo Stato e le singole banche.

Altri strumenti per risolvere il problema del debito estero?

Ø anni ’80, c.d. strategia concertata del debito: tentativo di definire una strategia a cui
partecipassero i debitori, le banche commerciali, le istituzioni finanziarie, e gli Stati
creditori, basata su (i) la ristrutturazione del debito, (ii) l’attuazione di un piano di
risanamento concordato con il Fondo e (iii) l’erogazione di nuovi prestiti da parte del Fondo.
Messa in atto nella crisi del Messico del 1982, fu un fallimento.
Ø iniziative unilaterali: piani elaborati da due Segretari di Stato degli Stati Uniti
1. Piano Baker (1985), relativo a quindici Paesi fortemente indebitati di varie aree
geografiche: prevedeva un incremento di risorse (nuovi prestiti) per il primo triennio,
ma non fu concordato con le banche e le istituzioni finanziarie;
2. Piano Brady (1989), approccio case by case: non solo ristrutturazione del debito, ma
anche alleggerimento (debt relief), con l’emissione di titoli con cui i Paesi in via di
sviluppo avrebbero riacquistato le obbligazioni emesse a un valore pari a una piccola
parte del loro valore nominale (c.d. Brady bonds).

Ø Ci sono state anche delle iniziative da parte dell’FMI e della Banca mondiale volte
all’alleggerimento del debito degli Stati con i debiti più elevati. La più importante è la
Healing Indebted Poor Countries (HIPC) Initiative, promossa nel 1996 a seguito di un
impegno politico formalizzato nell’ambito del G7. Due caratteristiche: da un lato riduzione
del debito, dall’altro concessione di prestiti a basso tasso d’interesse. Novità: (i) vengono
presi in considerazione solo i Paesi più poveri, quelli cioè con una situazione debitoria
insostenibile nonostante l’adozione di riforme strutturali, per i quali si prevede la riduzione
del debito totale attraverso l’eliminazione del debito eccedente (cioè della parte che rende il
debito insostenibile); (ii) è oggetto di ristrutturazione anche il debito multilaterale; (iii) è
previsto il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.

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Quali sono gli Stati elegibili? (1.a) IDA Countries o (1.b) Paesi beneficiari della Poverty
Reduction Loan Facility dell’FMI il cui debito (2) sia insostenibile secondo le analisi svolte
dalle istituzioni finanziarie (insufficienza dei meccanismi esistenti di riduzione del debito) e
che (3) presentano un Poverty Reduction Strategy Paper nell’ambito della Banca mondiale
(documento che indica le cause delle difficoltà degli Stati e le strategie da adottare).
1997, G7 di Colonia: modifica ed adozione della Enhanced HIPC Initiative, nuova strategia
che prevede la cancellazione del 90% e oltre dei debiti elegibili.
Nel 2006, a seguito del G8 del 2005, l’FMI e l’IDA hanno approvato una nuova iniziativa
per l’alleggerimento del debito estero dei Paesi meno sviluppati, la Multilateral Debt Relief
Initiative, con la previsione di una cancellazione completa del debito di certi Stati nei
confronti di Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Banca africana.

Problema: mancanza di organismi generali. Tentativo di creazione di un meccanismo comune di


ristrutturazione per evitare il fenomeno degli hold-outs, cioè di quei creditori che non accettano la
ristrutturazione perché sperano di ottenere il giudizio il valore pieno del loro credito (come successo
nella crisi argentina, in cui i creditori erano una moltitudine di obbligazionisti privati), fenomeno
che può inoltre dare luogo al problema dei fondi c.d. avvoltoi: fondi sovrani che fanno speculazione
acquistando dai privati titoli di Stato a prezzo stracciato per poi citare lo Stato in giudizio e
ottenerne il pieno valore à Progetto Kruger (2001): Sovereign Debt Restructuring Mechanism, che
prevedeva lo svolgimento di una procedura unica di ristrutturazione del debito attraverso l’adozione
a maggioranza di decisioni poi vincolanti per tutti i creditori. La forte opposizione dei Paesi
creditori e degli stessi Paesi debitori, che vi rinvenivano una limitazione alla loro sovranità, portò
questo progetto al fallimento.

Soluzione? Inserimento delle c.d. Collective Action Clauses nei contratti di acquisto di titoli di
Stato, con cui il risparmiatore si impegna in caso di insolvenza dello Stato ad accettare la
ristrutturazione concertata (normalmente attraverso l’intermediatore finanziario).

Il MES
Art.125(1) TFUE: esclude che l’Unione e gli Stati membri possano rispondere del debito di altri
Stati membri. Questa previsione pone un problema quando la crisi economica diventa crisi del
debito sovrano; era una situazione non prevista. Soluzioni:

− per la Grecia, adozione di tre pacchetti di salvataggio da parte della Commissione


nell’ambito della Troika (urgenza);
− riforma della governance economica europea:
i. istituzione di due strumenti temporanei di assistenza:
1) MESF (Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria, maggio 2010);
2) FESF (Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria, giugno 2010);
ii. creazione di un meccanismo permanente, il MES (Meccanismo Europeo di
Stabilità), attraverso un trattato internazionale firmato il 2 febbraio 2012 dagli Stati
dell’area euro.

Il MES è strettamente collegato al Fiscal Compact, altro accordo firmato un mese dopo da 25 Stati
membri (tutti tranne Regno Unito e Repubblica Ceca) che impone agli Stati di inserire nel proprio

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ordinamento, possibilmente a livello costituzionale, il principio del pareggio di bilancio: il MES


può infatti intervenire solo a favore degli Stati che rispettino i principi del Fiscal Compact.

Si tratta di un’organizzazione speculare all’FMI: stessi organi (governatori, Consiglio di


amministrazione, Direttore generale) e stesse modalità di intervento (eroga prestiti e acquista titoli
di Stato nel rispetto della condizionalità); opera con risorse costituite da contributi degli Stati
dell’area euro.

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