Parti 1 e 2 Corso Filosofia Diritti Umani
Parti 1 e 2 Corso Filosofia Diritti Umani
Carlo Altini
Il processo (1914-15, romanzo incompiuto e pubblicato postumo nel
1925) di Franz Kafka
Furono presto fuori dalla città, che da quella parte finiva quasi senza
transizione nei campi. Nei pressi di una casa dall'aspetto ancora del tutto
cittadino, c'era una piccola cava di pietra, abbandonata e deserta. Qui i signori
si fermarono. Ora lasciarono libero K., che aspettò senza dire parola, si tolsero
i cilindri e con i fazzoletti si tersero il sudore dalla fronte, guardandosi intorno
nella cava. Dappertutto il chiaro di luna, con quella naturalezza e quiete che
nessun'altra luce possiede. Dopo uno scambio di convenevoli riguardo a chi
spettassero i compiti successivi, uno si avvicinò a K. e gli tolse la giacca, il
panciotto e infine la camicia. L'altro signore esplorava la cava alla ricerca di un
posto adatto. Quando l'ebbe trovato, fece un cenno e l'altro signore vi
accompagnò K. Era vicino alla parete della cava, lì si trovava un masso
staccato. I signori fecero sedere K. per terra, appoggiato al masso, e su questo
adagiarono la sua testa. Per quanti sforzi facessero e per quanto K. si
mostrasse loro compiacente, la sua posizione risultava sempre molto forzata e
non convincente. Allora un signore pregò l'altro di lasciare provare un po' lui
solo a sistemare K., ma neanche così andò meglio.
Il suo sguardo cadde sull'ultimo piano della casa attigua alla cava.
Come una luce che si accenda improvvisa, si spalancarono le imposte
di una finestra, un uomo, debole e sottile per la distanza e l'altezza, si
sporse d'un tratto e tese le braccia ancora più in fuori. Chi era? Un
amico? Una persona buona? Uno che partecipava? Uno che voleva
aiutare? Era uno solo? Erano tutti? C'era ancora un aiuto? C'erano
obiezioni che erano state dimenticate? Ce n'erano di certo. La logica è,
sì, incrollabile, ma non resiste a un uomo che vuole vivere. Dov'era il
giudice che lui non aveva mai visto? Dov'era l'alto tribunale al quale
non era mai giunto? Levò le mani e allargò le dita. Ma sulla gola di K. si
posarono le mani di uno dei signori, mentre l'altro gli spingeva il
coltello in fondo al cuore e ve lo rigirava due volte. Con gli occhi che si
spegnevano K. vide ancora come, davanti al suo viso, appoggiati
guancia a guancia, i signori scrutavano il momento risolutivo.
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Per porre riparo alla barbarie della Seconda guerra mondiale, il 26
giugno 1945 viene approvata la Carta delle Nazioni Unite e nel
gennaio 1947 iniziano i lavori della Commissione sui diritti umani,
presieduta da Eleanor Roosevelt.
La stesura del testo è dovuta a numerosi intellettuali (tra cui Charles
Malik, John Humphrey, René Cassin, Peng-chun Chang e Carlos
Romulo) e a un questionario inviato dall’Unesco a centinaia di politici
e pensatori (Gandhi, Maritain, Croce…).
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948,
approva la Dichiarazione universale dei diritti umani (48 voti a
favore, con 8 astensioni – Arabia Saudita, Sud Africa e paesi socialisti).
Nella stesura finale l’aggettivo «universale» sostituisce quello
inizialmente pensato di «internazionale».
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La Dichiarazione universale sui diritti umani è una «sintesi composita»,
cioè il frutto di una nobile mediazione tra 4 grandi blocchi teorici e
politici riguardo all’interpretazione dei diritti umani.
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Questa sintesi non è però un compromesso al ribasso, ma una nobile
mediazione che è giunta a formulare una concezione unitaria e
universalmente riconosciuta dei valori che devono essere tutelati sia a
livello internazionale, sia dagli Stati nei loro ordinamenti interni.
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Tappe che portano alla stesura della Dichiarazione universale sui
diritti umani.
Carta Atlantica
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Il discorso di F.D. Roosevelt sulle «quattro libertà» (6 gennaio 1941)
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Conferenza di Dumbarton Oaks
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Conferenza di San Francisco
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Il fatto storico che determina l’accelerazione politica sul piano
internazionale in favore della Dichiarazione sui diritti umani è
l’orrenda serie di violenze e massacri che si è avuta nella Seconda
guerra mondiale, in particolare la Shoah.
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La Carta delle Nazioni Unite (1945)
Nella Carta dell’ONU i diritti umani sono citati ben 7 volte, ma non si
enunciano mai i contenuti concreti di tali diritti. Al di là dei disaccordi
culturali, politici e filosofici tra gli Stati (tra USA e URSS, soprattutto), in
questa fase i diritti umani costituiscono un fine sussidiario dell’ONU, il
cui scopo principale è la salvaguardia della pace.
Non emergono prospettive concrete nemmeno per la tutela di questi
diritti: l’Assemblea Generale ha solo il potere di fare
«raccomandazioni», cioè atti a carattere non vincolante.
L’Assemblea Generale, a fine 1946, decide dunque di creare una
Commissione dei diritti umani, con lo scopo di definire un catalogo
internazionale dei diritti e di individuare un minimo comune
denominatore tra le diverse concezioni. Nella Commissione i dissidi
non riguardano solo i contenuti dei diritti, ma anche lo statuto del
documento da redigere (Convenzione? Dichiarazione?).
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Nel 1944 Raphael Lemkin pubblica il volume Axis Rule in Occupied Europe
(Washington, Carnegie Endowment for International Peace, 1944) in cui
viene per la prima volta formulato il concetto di genocidio (composto dal
greco genos, razza, e dal latino caedere, uccidere).
Carlo Altini
Per Lemkin la dinamica del genocidio si articola in sette fasi:
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(e) organizzazione programmata e premeditata delle procedure di
annientamento;
(f) attuazione intenzionale del genocidio, non solo attraverso
l’eliminazione fisica, ma anche attraverso pratiche di controllo
forzato delle nascite, di trasferimento forzato di bambini, di stupri di
massa, di creazione di condizioni di vita (p.es. alimentari e sanitarie)
tese al progressivo decremento del numero e dell’integrità psichica
dei membri del gruppo vittima del genocidio;
(g) negazione pubblica del genocidio.
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Processo di Norimberga (1945-1946)
Processo di Tokio (1946-1948)
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La Convenzione sul genocidio, da un lato, segna l’introduzione della
funzione penale nella comunità internazionale, che a Norimberga e
Tokio era stata esercitata in forma eccezionale e “post-factum”;
dall’altro lato, però, la Convenzione non afferma la superiorità del
principio di protezione delle persone sul principio di non ingerenza
negli affari interni degli Stati (problema dell’auto-determinazione).
Inoltre la Convenzione non prevede chiari e concreti meccanismi di
azione politica e giuridica (Chi deve giudicare gli atti di genocidio? Chi
deve punirli? Quali procedure e quali organi tutelano i popoli oggetto
di genocidio?). La dimensione normativa ha dunque molta più rilevanza
di quella effettuale; inoltre, non basta reagire ex-post, ma sarebbe
necessario individuare strumenti multilaterali per prevenire i genocidi.
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Finalmente, nel 1993 e 1994 sono stati creati due speciali tribunali
penali internazionali (ex-Jugoslavia e Ruanda) e nel 1998 è stata istituita
la Corte Penale Internazionale (con sede a Den Haag), un tribunale
permanente e indipendente delle Nazioni Unite che ha il compito di
incriminare, processare e condannare non gli Stati, ma i singoli individui
che si siano resi responsabili di genocidio, di crimini di guerra e di
crimini contro l’umanità (deportazione, riduzione in schiavitù, tortura,
eliminazione clandestina, sequestro politico ecc.), superando così il
principio di non ingerenza. La Corte può però processare solo gli
individui degli Stati contraenti l’istituzione della Corte stessa.
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Dal punto di vista giuridico della Corte Penale Internazionale, il
genocidio è il risultato di una serie di azioni intenzionali, deliberate e
coercitive condotte da singoli individui, volte a distruggere un “gruppo
indelebile” (cui gli individui appartengono “per nascita”: si tratta cioè
di gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi).
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La definizione di genocidio adottata dalle Nazioni Unite è allo stesso
tempo troppo ristretta e troppo ampia.
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La definizione teorica di genocidio rappresenta un problema filosofico, politico e giuridico,
che porta a distinguere tra massacri, stermini, violenze di massa, eccidi, genocidi. Oltre a
quelli avvenuti nel passato (Incas, Aztechi, Indiani di America ecc.), molti terribili casi si sono
verificati nel Novecento:
Impero ottomano
Germania nazista
Unione Sovietica (Ucraina)
Cina maoista
Cambogia (Khmer rossi)
Uganda (Idi Amin)
Argentina (dittatura militare anni Settanta)
Brasile (Amazzonia)
Iraq (Saddam Hussein)
Sudan
Rwanda
Myanmar
ex-Jugoslavia
Congo
Nigeria
Siria
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Altre definizioni di genocidio
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distruzione di massa subita da persone inermi, compiuta in
assenza di azioni militari dichiarate e indipendentemente da fattori
di intenzionalità esplicita (I.W. Charny, Genocide, 4 voll., London,
1988-1997).
l’incrocio di tre fattori: l’omicidio deliberato di massa, l’alto
numero di morti, la durata temporale della persecuzione (B. Harff
e T. Gurr, Ethnic Conflict in World Politics, Boulder, 1994).
un atto sistematico e intenzionale volto a eliminare fisicamente
una collettività impedendo la riproduzione biologica e sociale dei
suoi membri (H. Fein, Genocide. A Sociological Perspective,
London, 1993).
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ecocidio (cioè distruzione dell’ambiente naturale in cui vive una
popolazione) o etnocidio (derivante da assimilazione forzata) (J.
Verhoeven, Droit international public, Bruxelles, 2000).
distinzione tra genocidi domestici sviluppatisi sulla base di divisioni
interne (che a loro volta possono essere genocidi contro gruppi
indigeni, contro avversari politici, contro gruppi intesi come “capro
espiatorio”), genocidi sorti in conseguenza di conflitti
internazionali e genocidi conseguenti a politiche di
decolonizzazione (L. Kuper, Genocide. Its Political Use in the
Twentieth Century, New Haven, 1981).
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Un aspetto problematico del concetto di genocidio
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