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Parti 1 e 2 Corso Filosofia Diritti Umani

Filosofia del derecho. Humano apuntes españo,

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Carlo Altini

Filosofia dei diritti umani


(punti 1 e 2 del corso)

Dipartimento di Educazione e Scienze Umane

Università di Modena e Reggio Emilia

Carlo Altini
Il processo (1914-15, romanzo incompiuto e pubblicato postumo nel
1925) di Franz Kafka

Il romanzo racconta la storia di K., un uomo arrestato e perseguitato da


una remota, inaccessibile autorità, mentre la natura del suo crimine
non viene mai rivelata.
Di fronte a questa autorità si verifica una passiva accettazione
dell’ineluttabilità di una giustizia che funziona come un fenomeno
fisico, con sue logiche autoreferenziali e insondabili, contro cui a nulla
servono la razionalità e la lucidità di K., processato per motivi
misteriosi.

Il finale del romanzo: K. attende coloro che devono prelevarlo per


eseguire la condanna a morte. Due signori, eleganti e impassibili, si
presentano alla sua porta e lo conducono fuori città in un silenzio
glaciale.

Carlo Altini Carlo Altini


Il processo di Franz Kafka (capitolo finale)

Furono presto fuori dalla città, che da quella parte finiva quasi senza
transizione nei campi. Nei pressi di una casa dall'aspetto ancora del tutto
cittadino, c'era una piccola cava di pietra, abbandonata e deserta. Qui i signori
si fermarono. Ora lasciarono libero K., che aspettò senza dire parola, si tolsero
i cilindri e con i fazzoletti si tersero il sudore dalla fronte, guardandosi intorno
nella cava. Dappertutto il chiaro di luna, con quella naturalezza e quiete che
nessun'altra luce possiede. Dopo uno scambio di convenevoli riguardo a chi
spettassero i compiti successivi, uno si avvicinò a K. e gli tolse la giacca, il
panciotto e infine la camicia. L'altro signore esplorava la cava alla ricerca di un
posto adatto. Quando l'ebbe trovato, fece un cenno e l'altro signore vi
accompagnò K. Era vicino alla parete della cava, lì si trovava un masso
staccato. I signori fecero sedere K. per terra, appoggiato al masso, e su questo
adagiarono la sua testa. Per quanti sforzi facessero e per quanto K. si
mostrasse loro compiacente, la sua posizione risultava sempre molto forzata e
non convincente. Allora un signore pregò l'altro di lasciare provare un po' lui
solo a sistemare K., ma neanche così andò meglio.

Carlo Altini Carlo Altini


Il processo di Franz Kafka (capitolo finale)

Alla fine lasciarono K. in una posizione che non era nemmeno la


migliore tra quelle che già avevano trovate. Poi uno dei signori, da un
fodero appeso a una cintura stretta intorno al panciotto, estrasse un
coltello da macellaio lungo e sottile, a doppio taglio, lo tenne sollevato
ed esaminò il filo alla luce. Qui cominciarono i loro disgustosi
convenevoli, uno porgeva al di sopra di K. il coltello all'altro, questi
glielo restituiva, sempre al di sopra di K. Adesso K. sapeva con
esattezza che sarebbe stato suo dovere afferrare il coltello mentre
passava di mano in mano sopra di lui e trafiggersi lui stesso. Ma non lo
fece, girò invece il collo ancora libero e si guardò attorno. Non poteva
sottrarre alle autorità tutto il lavoro: la responsabilità di quest'ultimo
errore cadeva su chi gli aveva negato quanto gli restava della forza
necessaria.

Carlo Altini Carlo Altini


Il processo di Franz Kafka (capitolo finale)

Il suo sguardo cadde sull'ultimo piano della casa attigua alla cava.
Come una luce che si accenda improvvisa, si spalancarono le imposte
di una finestra, un uomo, debole e sottile per la distanza e l'altezza, si
sporse d'un tratto e tese le braccia ancora più in fuori. Chi era? Un
amico? Una persona buona? Uno che partecipava? Uno che voleva
aiutare? Era uno solo? Erano tutti? C'era ancora un aiuto? C'erano
obiezioni che erano state dimenticate? Ce n'erano di certo. La logica è,
sì, incrollabile, ma non resiste a un uomo che vuole vivere. Dov'era il
giudice che lui non aveva mai visto? Dov'era l'alto tribunale al quale
non era mai giunto? Levò le mani e allargò le dita. Ma sulla gola di K. si
posarono le mani di uno dei signori, mentre l'altro gli spingeva il
coltello in fondo al cuore e ve lo rigirava due volte. Con gli occhi che si
spegnevano K. vide ancora come, davanti al suo viso, appoggiati
guancia a guancia, i signori scrutavano il momento risolutivo.

Carlo Altini Carlo Altini


Schema del corso

1) Perché si giunge all’approvazione della Dichiarazione universale dei


diritti umani (1948): alcune tappe, negli anni Quaranta del XX secolo,
che delineano una breve storia politica.
2) Che cos’è il genocidio?
3) Che cos’è il totalitarismo?
4) Analisi della Dichiarazione universale.
5) Le radici lontane della Dichiarazione: il giusnaturalismo moderno.
6) Come tutelare i diritti umani?
7) Il dibattito sull’universalismo dei diritti umani: posizioni a favore
(pragmatismo politico / universalismo filosofico) e posizioni contrarie
(marxismo / differenza culturale).
8) Come conciliare universalismo e pluralismo.

Carlo Altini
Per porre riparo alla barbarie della Seconda guerra mondiale, il 26
giugno 1945 viene approvata la Carta delle Nazioni Unite e nel
gennaio 1947 iniziano i lavori della Commissione sui diritti umani,
presieduta da Eleanor Roosevelt.
La stesura del testo è dovuta a numerosi intellettuali (tra cui Charles
Malik, John Humphrey, René Cassin, Peng-chun Chang e Carlos
Romulo) e a un questionario inviato dall’Unesco a centinaia di politici
e pensatori (Gandhi, Maritain, Croce…).
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948,
approva la Dichiarazione universale dei diritti umani (48 voti a
favore, con 8 astensioni – Arabia Saudita, Sud Africa e paesi socialisti).
Nella stesura finale l’aggettivo «universale» sostituisce quello
inizialmente pensato di «internazionale».

Carlo Altini
La Dichiarazione universale sui diritti umani è una «sintesi composita»,
cioè il frutto di una nobile mediazione tra 4 grandi blocchi teorici e
politici riguardo all’interpretazione dei diritti umani.

• la concezione individualistica e liberale (gli Stati occidentali).

• la concezione “giuridico-costituzionale” che mira alla creazione di una


giustizia internazionale (i Paesi latino-americani).

• la concezione socialista ed economicista (il blocco Sovietico).

• la concezione comunitarista e tradizionalista (gli Stati asiatici e


africani).

Carlo Altini
Questa sintesi non è però un compromesso al ribasso, ma una nobile
mediazione che è giunta a formulare una concezione unitaria e
universalmente riconosciuta dei valori che devono essere tutelati sia a
livello internazionale, sia dagli Stati nei loro ordinamenti interni.

Quattro pilastri teorici dei diritti sanciti dalla Dichiarazione:


• diritti individuali (protezione della persona).
• diritti politici.
• diritti economici e sociali.
• diritti dell’individuo nei rapporti con i gruppi sociali (locali e
nazionali: famiglia, ecc.) ai quali partecipa.

Carlo Altini
Tappe che portano alla stesura della Dichiarazione universale sui
diritti umani.

Carta Atlantica

Redatta da Winston Churchill e Franklin D. Roosevelt il 14 agosto


1941, contiene l’enunciazione di alcuni principi per il futuro ordine
mondiale: divieto di espansioni territoriali, centralità del rapporto tra
pace e diritti umani, diritto all’autodeterminazione, democrazia, pace
intesa come libertà dal timore e dal bisogno, rinuncia all’uso della
forza nelle relazioni internazionali, sistema di sicurezza e disarmo
(«pacifismo armato»).

In seguito alla Carta Atlantica, il 1° gennaio 1942 26 governi (alcuni in


esilio) sottoscrivono la Dichiarazione delle Nazioni Unite

Carlo Altini
Il discorso di F.D. Roosevelt sulle «quattro libertà» (6 gennaio 1941)

Libertà di opinione e di parola;


Libertà religiosa;
Libertà dai bisogni economici;
Libertà dalla paura (cioè dalla violenza della guerra).

Carlo Altini
Conferenza di Dumbarton Oaks

Alla Conferenza (agosto-ottobre 1944) partecipano Stati Uniti, Unione


Sovietica, Gran Bretagna e Cina: si delinea la nuova organizzazione che
avrebbe preso il posto della Società delle Nazioni (bozza della futura
Carta dell’ONU).

Scarsa incisività sulla protezione internazionale dei diritti umani:


continua la storica riluttanza degli Stati ad ammettere interferenze
negli affari interni.

Carlo Altini
Conferenza di San Francisco

Alla Conferenza (aprile-giugno 1945) partecipano 50 Stati che creano


lo Statuto istitutivo dell’ONU: emerge in primo piano la questione
della tutela internazionale dei diritti umani (soprattutto grazie ai paesi
latino-americani e ad Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, India, che
miravano ad affermare l’esistenza di un obbligo internazionale di
rispetto dei diritti umani) ma non vi sono soluzioni condivise né sul
contenuto di tali diritti, né sugli strumenti operativi a loro tutela.

Carlo Altini
Il fatto storico che determina l’accelerazione politica sul piano
internazionale in favore della Dichiarazione sui diritti umani è
l’orrenda serie di violenze e massacri che si è avuta nella Seconda
guerra mondiale, in particolare la Shoah.

La creazione dei tribunali militari internazionali per i crimini di guerra,


i crimini contro la pace e i crimini contro l’umanità.
- Norimberga (1945-1946).
- Tokio (1946-1948).

Carlo Altini
La Carta delle Nazioni Unite (1945)
Nella Carta dell’ONU i diritti umani sono citati ben 7 volte, ma non si
enunciano mai i contenuti concreti di tali diritti. Al di là dei disaccordi
culturali, politici e filosofici tra gli Stati (tra USA e URSS, soprattutto), in
questa fase i diritti umani costituiscono un fine sussidiario dell’ONU, il
cui scopo principale è la salvaguardia della pace.
Non emergono prospettive concrete nemmeno per la tutela di questi
diritti: l’Assemblea Generale ha solo il potere di fare
«raccomandazioni», cioè atti a carattere non vincolante.
L’Assemblea Generale, a fine 1946, decide dunque di creare una
Commissione dei diritti umani, con lo scopo di definire un catalogo
internazionale dei diritti e di individuare un minimo comune
denominatore tra le diverse concezioni. Nella Commissione i dissidi
non riguardano solo i contenuti dei diritti, ma anche lo statuto del
documento da redigere (Convenzione? Dichiarazione?).

Carlo Altini
Nel 1944 Raphael Lemkin pubblica il volume Axis Rule in Occupied Europe
(Washington, Carnegie Endowment for International Peace, 1944) in cui
viene per la prima volta formulato il concetto di genocidio (composto dal
greco genos, razza, e dal latino caedere, uccidere).

Genocidio = La distruzione mirata e consapevole di un gruppo umano, in


tutto o in parte, ad opera dell’autorità al potere. Una tale distruzione
procede attraverso un piano coordinato di diverse azioni, il cui scopo è
quello di eliminare i caratteri essenziali di quel gruppo (istituzioni, cultura,
lingua, religione, costumi) e degli individui che ad esso appartengono
(sicurezza personale, libertà, dignità, salute): l’uccisione fisica dei membri del
gruppo risulta così essere il momento culminante, ma non l’unico, della
pianificazione del genocidio.

Carlo Altini
Per Lemkin la dinamica del genocidio si articola in sette fasi:

 (a) classificazione dei cittadini in differenti categorie fisiche e morali;


 (b) imposizione simbolica di etichette e di caratteri negativi al gruppo
che sarà vittima del genocidio;
 (c) disumanizzazione e demonizzazione dei singoli membri del gruppo
attraverso forme di rafforzamento ideologico delle contrapposizioni
fisiche e morali di carattere “primario” (umano/non umano,
interno/esterno, amico/nemico, puro/impuro ecc.);
 (d) identificazione degli individui che dovranno essere sottoposti alle
misure di coercizione;

Carlo Altini
 (e) organizzazione programmata e premeditata delle procedure di
annientamento;
 (f) attuazione intenzionale del genocidio, non solo attraverso
l’eliminazione fisica, ma anche attraverso pratiche di controllo
forzato delle nascite, di trasferimento forzato di bambini, di stupri di
massa, di creazione di condizioni di vita (p.es. alimentari e sanitarie)
tese al progressivo decremento del numero e dell’integrità psichica
dei membri del gruppo vittima del genocidio;
 (g) negazione pubblica del genocidio.

Carlo Altini
Processo di Norimberga (1945-1946)
Processo di Tokio (1946-1948)

La nuova categoria giuridica di crimine contro l’umanità determina la


prima applicazione penale del concetto di genocidio in due importanti
Tribunali militari internazionali.

Nel 1948 le Nazioni Unite approvano la Convenzione sulla prevenzione


e la repressione del genocidio (entrata in vigore dal 1951), che
prevede la responsabilità politica degli Stati e la responsabilità penale
degli individui, che si sono macchiati di atti di genocidio, anche nel
quadro dell’ordinamento internazionale (con il ricorso cioè a Corti
penali internazionali).

Carlo Altini
La Convenzione sul genocidio, da un lato, segna l’introduzione della
funzione penale nella comunità internazionale, che a Norimberga e
Tokio era stata esercitata in forma eccezionale e “post-factum”;
dall’altro lato, però, la Convenzione non afferma la superiorità del
principio di protezione delle persone sul principio di non ingerenza
negli affari interni degli Stati (problema dell’auto-determinazione).
Inoltre la Convenzione non prevede chiari e concreti meccanismi di
azione politica e giuridica (Chi deve giudicare gli atti di genocidio? Chi
deve punirli? Quali procedure e quali organi tutelano i popoli oggetto
di genocidio?). La dimensione normativa ha dunque molta più rilevanza
di quella effettuale; inoltre, non basta reagire ex-post, ma sarebbe
necessario individuare strumenti multilaterali per prevenire i genocidi.

Carlo Altini
Finalmente, nel 1993 e 1994 sono stati creati due speciali tribunali
penali internazionali (ex-Jugoslavia e Ruanda) e nel 1998 è stata istituita
la Corte Penale Internazionale (con sede a Den Haag), un tribunale
permanente e indipendente delle Nazioni Unite che ha il compito di
incriminare, processare e condannare non gli Stati, ma i singoli individui
che si siano resi responsabili di genocidio, di crimini di guerra e di
crimini contro l’umanità (deportazione, riduzione in schiavitù, tortura,
eliminazione clandestina, sequestro politico ecc.), superando così il
principio di non ingerenza. La Corte può però processare solo gli
individui degli Stati contraenti l’istituzione della Corte stessa.

Carlo Altini
Dal punto di vista giuridico della Corte Penale Internazionale, il
genocidio è il risultato di una serie di azioni intenzionali, deliberate e
coercitive condotte da singoli individui, volte a distruggere un “gruppo
indelebile” (cui gli individui appartengono “per nascita”: si tratta cioè
di gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi).

Carlo Altini
La definizione di genocidio adottata dalle Nazioni Unite è allo stesso
tempo troppo ristretta e troppo ampia.

La definizione di genocidio adottata dalle Nazioni Unite è troppo


ampia perché comprende comportamenti criminali eterogenei (p. es.
il controllo forzato delle nascite); ed è troppo ristretta perché
comprende solo i “gruppi indelebili” e perché richiede sempre il «dolo
aggravato».

Ma è chiaramente evidente che atti di genocidio sono stati compiuti


anche contro “gruppi non indelebili” (cioè gruppi legati da interessi
sociali, politici, economici, culturali). È inoltre evidente che accertare il
«dolo aggravato» (un’intenzione programmatica) è spesso difficile.

Carlo Altini
La definizione teorica di genocidio rappresenta un problema filosofico, politico e giuridico,
che porta a distinguere tra massacri, stermini, violenze di massa, eccidi, genocidi. Oltre a
quelli avvenuti nel passato (Incas, Aztechi, Indiani di America ecc.), molti terribili casi si sono
verificati nel Novecento:
 Impero ottomano
 Germania nazista
 Unione Sovietica (Ucraina)
 Cina maoista
 Cambogia (Khmer rossi)
 Uganda (Idi Amin)
 Argentina (dittatura militare anni Settanta)
 Brasile (Amazzonia)
 Iraq (Saddam Hussein)
 Sudan
 Rwanda
 Myanmar
 ex-Jugoslavia
 Congo
 Nigeria
 Siria

Carlo Altini
Altre definizioni di genocidio

 eccidio commesso in ragione dell’appartenenza di gruppo delle


vittime (R.J. Rummel, Death by Government, London, 1994).
 omicidio di massa unilaterale in cui un’autorità intende distruggere
un gruppo che viene individuato come tale dall’aggressore (F.
Chalk e K. Jonassohn, The History and Sociology of Genocide, New
Haven, 1990).
 massacro di Stato con enormi potenzialità tecnico-organizzative,
orchestrato da un governo che applica su base ideologica una
politica criminale nei confronti dei propri cittadini (Y. Ternon, L’Etat
criminel. Les genocides au XX siècle, Paris, 1995).

Carlo Altini
 distruzione di massa subita da persone inermi, compiuta in
assenza di azioni militari dichiarate e indipendentemente da fattori
di intenzionalità esplicita (I.W. Charny, Genocide, 4 voll., London,
1988-1997).
 l’incrocio di tre fattori: l’omicidio deliberato di massa, l’alto
numero di morti, la durata temporale della persecuzione (B. Harff
e T. Gurr, Ethnic Conflict in World Politics, Boulder, 1994).
 un atto sistematico e intenzionale volto a eliminare fisicamente
una collettività impedendo la riproduzione biologica e sociale dei
suoi membri (H. Fein, Genocide. A Sociological Perspective,
London, 1993).

Carlo Altini
 ecocidio (cioè distruzione dell’ambiente naturale in cui vive una
popolazione) o etnocidio (derivante da assimilazione forzata) (J.
Verhoeven, Droit international public, Bruxelles, 2000).
 distinzione tra genocidi domestici sviluppatisi sulla base di divisioni
interne (che a loro volta possono essere genocidi contro gruppi
indigeni, contro avversari politici, contro gruppi intesi come “capro
espiatorio”), genocidi sorti in conseguenza di conflitti
internazionali e genocidi conseguenti a politiche di
decolonizzazione (L. Kuper, Genocide. Its Political Use in the
Twentieth Century, New Haven, 1981).

Carlo Altini
Un aspetto problematico del concetto di genocidio

Esso presuppone, in una qualche misura, un’idea originaria di


“purezza” identitaria del gruppo (sia essa razziale, etnica, religiosa,
culturale ecc.). Ma una tale “purezza” non esiste. L’errore di fondo
delle teorie del genocidio consiste nel combattere le degenerazioni
politico-ideologiche delle idee di razza ed etnia utilizzando quello
stesso paradigma teorico, fondato più in generale sull’idea di “gruppo
indelebile”. Al contrario, quel paradigma andrebbe nettamente
rifiutato: la via di uscita dal linguaggio del genocidio consiste dunque
nel superamento dell’idea di “gruppo indelebile”, che esprime
un’ossessione identitaria patologica

Carlo Altini

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