Plebiscito del Veneto del 1866
Plebiscito delle province venete e di quella di Mantova | |||||||||||
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Avviso di convocazione del plebiscito nella città di Treviso | |||||||||||
Stato | Regno Lombardo-Veneto Regno d'Italia | ||||||||||
Regione | province venete e di Mantova | ||||||||||
Data | 21 e 22 ottobre 1866 | ||||||||||
Tipo | plebiscito con suffragio universale maschile | ||||||||||
Tema | annessione al Regno d'Italia | ||||||||||
Esito | |||||||||||
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Affluenza | > 85% degli aventi diritto al voto | ||||||||||
Regno d'Italia prima del plebiscito
Province venete e provincia di Mantova
Impero austriaco |
Il plebiscito del Veneto del 1866, conosciuto ufficialmente anche come plebiscito di Venezia, delle province venete e di quella di Mantova, fu un plebiscito che avvenne nelle giornate di domenica 21 e lunedì 22 ottobre 1866 per sancire l'annessione al Regno d'Italia delle terre cedute alla Francia dall'Impero austriaco a seguito della terza guerra d'indipendenza.
Contesto storico
[modifica | modifica wikitesto]La terza guerra d'indipendenza italiana
[modifica | modifica wikitesto]Nell'aprile 1866 il Regno d'Italia strinse un'alleanza militare con la Prussia, avente lo scopo di unire "la Venezia" e Trento al proprio territorio. L'alleanza fu mantenuta nonostante l'offerta austriaca di cedere il Veneto alla Francia di Napoleone III (l'Austria ufficialmente non aveva rapporti diplomatici con l'Italia), che a sua volta l'avrebbe consegnato all'Italia.[1] La terza guerra di indipendenza, scatenata da parte italiana nel quadro più vasto della guerra austro-prussiana, vide, dopo l'iniziale sconfitta nella battaglia di Custoza avvenuta quattro giorni dopo la dichiarazione di guerra del 20 giugno, i successi militari di Garibaldi in Trentino, a Bezzecca, e di Cialdini, che giunse fin oltre Palmanova e vinse la battaglia di Versa. La sconfitta della marina italiana nella battaglia di Lissa, avvenuta il 20 luglio, convinse il Regno d'Italia ad accettare una tregua a partire dal 25 luglio e a iniziare le trattative che portarono alla fine delle ostilità sul fronte italo-austriaco con l'armistizio di Cormons, firmato il 12 agosto.
La tregua del 25 luglio congelava i movimenti di truppe e, a quella data, risultava liberato dalla dominazione austriaca tutto il territorio residuo dell'ex Regno Lombardo-Veneto, con l'esclusione delle sole fortezze del Quadrilatero: Verona, Legnago, Mantova e Peschiera del Garda, oltre a Palmanova e Venezia, quest'ultima città caratterizzata da un forte simbolismo unitario e dal ricordo della sua rivolta durante i moti del 1848.
Trattato di Praga
[modifica | modifica wikitesto]L'Austria, sconfitta dalla Prussia (armistizio di Nikolsburg), cedette con il trattato di Praga del 23 agosto 1866 i territori residui[2] del Regno Lombardo-Veneto alla Francia, nell'intesa che Napoleone III li consegnasse a Vittorio Emanuele II previa organizzazione di una consultazione, che formalmente avesse confermato la volontà popolare alla liberazione del Veneto dal dominio austriaco.
La forma del trattato, per quanto riguardava il plebiscito, non incontrò i favori del re e del governo italiano:
«Il plebiscito si trova un atto veramente ridicolo e urta moltissimo il Re. [...] Cosa diventa adunque il Plebiscito? Io non sono così persuaso che sia inevitabile. Che può venirne non lo facendo? L'Austria non mi pare che potrebbe portarlo in campo come condizione per evacuare. Oramai la stipulazione tra Austria e Francia ha avuto effetto. Noi faremo un trattato da soli con l'Austria e in questo trattato non parleremo di Plebiscito.»
«I giornali italiani vi avranno a quest'ora informato della cattiva impressione prodotta dal Trattato di cessione alla Francia e dalla missione del generale Leboeuf. Il plebiscito istesso che doveva essere un modo d'evitare una retrocessione prese sotto la penna del Governo Francese e dello stesso Imperatore la forma d'una condizione restrittiva della cessione. [...] E notate che dove il progetto del plebiscito fu peggio accolto, fu appunto nel Veneto. [...]
Le truppe italiane entreranno tosto in Venezia e nelle altre fortezze, e insieme alle truppe saranno installate le autorità italiane. In questo modo s'intenderà compiuta la consegna e la riconsegna delle fortezze e dei territori e finita la missione del Generale Leboeuf. Il plebiscito avrà luogo dappoi contemporaneamente in tutto il Veneto, provocato dalle Municipalità e come una manifestazione spontanea della volontà del paese. In questo modo dopo firmata la pace, in tre o quattro giorni tutto sarebbe finito, perché in Venezia e in Verona entrerebbero i nostri soldati e sarebbero installate le nostre autorità. La Venezia sarebbe nostra e il plebiscito apparirebbe come una formalità susseguente. [...] Se le nostre truppe non potessero entrare, se non dopo il plebiscito, in Venezia, se il Generale Leboeuf dovesse rimanervi come il rappresentante d'una sovranità, chiamare le popolazioni a votare etc. etc., il paese, credetelo, sarebbe posto a troppo dura prova, il Governo screditato, il Re costretto ad accettare una situazione le cui conseguenze non sarebbero così presto cancellabili.»
Al plebiscito era contrario anche il Comitato veneto centrale, che a tale riguardo citava la richiesta dei veneti nel 1848 a favore di una fusione col Piemonte delle loro provincie stando sotto la dinastia Savoia,[5] richiesta rinnovata a guerra finita nel 1859.[6][7]
Trattato di Vienna
[modifica | modifica wikitesto]Il trattato di Vienna del 3 ottobre 1866, concluso fra Austria e Italia, stabiliva le condizioni della consegna e affermava nel suo preambolo che l'imperatore d'Austria aveva ceduto il Regno Lombardo-Veneto all'Imperatore dei Francesi, il quale, a sua volta, si era dichiarato pronto a riconoscere la riunione del "Regno Lombardo Veneto agli Stati di Sua Maestà il Re d'Italia, sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate".[8] L'articolo 14 del trattato permetteva agli abitanti della regione, che l'avessero desiderato, di trasferirsi con i loro beni negli stati che rimanevano sotto il dominio dell'impero austriaco, conservando quindi il loro stato di sudditi austriaci.[8] L'evacuazione del territorio ceduto dall'Austria, dettagliata nell'articolo 5, sarebbe cominciata immediatamente dopo la sottoscrizione della pace, la cui data sarebbe coincisa col giorno dello scambio delle ratifiche del trattato di Vienna, come riportato nel primo articolo del trattato.[8]
Convocazione del plebiscito
[modifica | modifica wikitesto]Da parte del governo italiano venne presentata a Vittorio Emanuele II la Relazione del Presidente del Consiglio e del Ministro di grazia e giustizia e dei culti a S. M. il Re intorno di plebiscito delle Provincie Venete: la relazione iniziava con un preambolo in cui si affermava che il Regno d'Italia «crebbe e si ingrandì con il consenso spontaneo dei popoli ansiosi di dare all'idea nazionale una forma, che ne assicurasse lo svolgimento, e fosse all'Europa una guarentigia di ordine e di civiltà»; venivano poi ricordati gli eventi del 1848 e le connesse manifestazioni di intenti di unione col Regno,[9] a cui seguirono «diciassette anni di resistenze e di patimenti». In risposta alla relazione il sovrano emanò il 7 ottobre il regio decreto n. 3236 per la convocazione del plebiscito, all'insaputa dei francesi,[10] pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 19 ottobre.[11]
In quei giorni era iniziata la consegna ufficiale delle fortezze e delle città da parte dei francesi alle autorità locali, seguita dall'ingresso delle truppe italiane: Borgoforte l'8 ottobre, Peschiera del Garda il 9 ottobre,[12] Mantova e Legnago l'11 ottobre, Palmanova il 12 e Verona il 15,[13] mentre Venezia fu consegnata per ultima il 19 ottobre.
Il 17 ottobre venne emanato il decreto di convocazione per il plebiscito e rese note le sue modalità: le votazioni sarebbero avvenute i giorni 21 e 22 ottobre, mentre lo spoglio delle urne sarebbe avvenuto dal 23 al 26; infine, il 27 il tribunale di appello di Venezia, riunito in seduta pubblica, avrebbe sommato i dati e comunicato i risultati al Ministero della giustizia a Firenze (all'epoca capitale d'Italia) e una deputazione di notabili sarebbe partita per portare i risultati a Vittorio Emanuele II. Contemporaneamente fu indicato che Venezia, Padova, Mantova, Verona, Udine e Treviso sarebbero state sede di intendenze militari.[14]
La notizia del decreto di convocazione, diffusa dalla stampa il 17 ottobre, provocò la reazione del generale plenipotenziario francese Edmond Le Bœuf, che protestò che «a fronte delle determinazioni reali, la sua consegna del Veneto a tre notabili onde organizzino un plebiscito, diventa derisoria [...] e d'altra parte essendo il Decreto Reale una violazione del trattato, egli protestava che ne riferiva al suo Governo, e che senza ordine ulteriore dall'Imperatore non avrebbe rimesso il Veneto».[15] Genova Thaon di Revel riuscì a convincerlo che si trattava solo di istruzioni preparatorie date ai comuni,[10] facendogli ritirare la protesta,[16] ma ammise che «in fondo aveva ragione».[10]
La cessione del 19 ottobre
[modifica | modifica wikitesto]La guarnigione austriaca aveva iniziato l'abbandono della città di Venezia già dalla notte del 18 ottobre, con i primi reparti imbarcatisi sui bastimenti del Lloyd triestino di navigazione e il resto della truppa raccolta, in attesa dell'imbarco, sul Lido.[17]
Nella mattina del 19 ottobre il generale Le Bœuf, che alloggiava nell'albergo Europa, riunì il commissario militare austriaco generale Karl Möring, il generale italiano Thaon di Revel, la municipalità di Venezia, la commissione incaricata di ricevere il Veneto, il console generale di Francia M. de Surville e M. Vicary per espletare le procedure del passaggio del potere.
Le formalità si svolsero in quattro fasi:[18]
- alle ore 7:00 Möring consegnò la fortezza di Venezia al rappresentante francese Le Bœuf;[10]
- alle ore 7:30 il generale Le Bœuf rimise la piazzaforte di Venezia nelle mani della municipalità cittadina e degli assessori Marcantonio Gaspari, Giovanni Pietro Grimani e Antonio Giustiniani Recanati;[19]
- Quindi Möring consegnò il Regno Lombardo-Veneto al rappresentante francese Le Bœuf;
- alle ore 8:00 il generale Le Bœuf "riconsegnò" infine il Veneto a Luigi Michiel e Edoardo De Betta, rappresentanti rispettivamente di Venezia e Verona, scelti su suggerimento di Thaon di Revel,[10][20] che firmarono il verbale di riconsegna; Achille Emi-Kelder, rappresentante di Mantova, era invece momentaneamente assente per un'improvvisa indisposizione e firmò più tardi l'atto di cessione.[21]
La riconsegna del Veneto venne presentata da Le Bœuf con la seguente dichiarazione:
«In nome di S. M. l'Imperatore dei Francesi, ... : Noi Generale Le Boeuf visto il trattato firmato a Vienna il 24[22] Agosto 1866 tra l'Imperatore dei Francesi e l'Imperatore d'Austria circa il Veneto: Vista la consegna a Noi fatta del Veneto il 19 Ottobre 1866 dal Generale Móhring Commissario di S.M. l'Imperatore d'Austria nel Veneto dichiariamo di restituire il Veneto a se stesso a ciò le popolazioni dispongano del loro destino e possano esperire liberamente col suffragio Universale i loro voti per l'annessione del Veneto al Regno d'Italia.[21]»
Quest'ultima cerimonia era originariamente prevista nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale, ma - secondo Dubarry - Le Bœuf ritenne più opportuno concentrare tutte le varie consegne in un unico evento e luogo, al fine di non lasciare lunghi intervalli di tempo tra un passaggio di potere e un altro.[18]
Subito dopo la firma, Michiel fece innalzare il tricolore sui pennoni di piazza San Marco, mentre suonavano e rimbombavano salve di artiglieria; in seguito, in base agli accordi presi, chiese a Thaon di Revel di far entrare le truppe italiane nella città. Il generale italiano, recatosi alla stazione ferroviaria assieme agli assessori, accolse così i propri militari, che sfilarono per la città suddivisi in tre colonne, ciascuna preceduta da una banda civica: la prima percorse la strada di Cannaregio, la seconda la strada dei Tolentini e la terza navigò sul Canal Grande con barconi.[23] Dopo aver attraversato la città tutta in festa e pavesata di tricolori, alle 15:00 i tre cortei confluirono in piazza San Marco con una sfilata che si prolungò per altre due ore.
Il giorno stesso venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del 7 ottobre per il plebiscito.[10]
«Al Presidente del Consiglio dei Ministri è pervenuto oggi alle ore 10 ¾ antimeridiane il seguente dispaccio da Venezia:[24]
La bandiera Reale italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco, salutata dalle frenetiche grida della esultante popolazione. - Generale Di Revel
Il Presidente del Consiglio dei Ministri rispose immediatamente con questo dispaccio:
Alla Rappresentanza municipale di Venezia - Il Governo del Re saluta Venezia esultante mentre la bandiera nazionale italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco, simbolo di Venezia restituita all'Italia, dell'Italia restituita finalmente a se stessa. - Ricasoli»
Secondo alcune fonti, il 19 ottobre il Veneto sarebbe stato invece ceduto direttamente dall'Austria al Regno d'Italia: il quotidiano Gazzetta di Venezia in pochissime righe riportò che: «Questa mattina in una camera dell'albergo Europa si è fatta la cessione del Veneto».[25]
Il 20 ottobre giunse a Venezia il commissario regio Giuseppe Pasolini, nominato già dal 13 ottobre.[10]
La votazione
[modifica | modifica wikitesto]La votazione per il plebiscito ebbe luogo nei giorni 21 e 22 ottobre 1866; a Venezia gli uffici elettorali rimasero aperti dalle 10:00 alle 17:00 in entrambi i giorni.[26]
Il plebiscito fu a suffragio universale maschile. Le istruzioni di voto, stabilite dal decreto del 7 gennaio,[11] vennero diffuse alla popolazione tramite manifesti, come nel caso della città di Mantova:
«La popolazione di questa Città come delle altre del Veneto, viene invitata ad esprimere la sua volontà di riunirsi al REGNO D'ITALIA mediante PLEBISCITO, e perché ciò possa compiersi senza indugi, è intenzione del Governo del RE che si ponga mano subito alle relative disposizioni.
La votazione seguirà nei giorni 21 e 22 corrente in ore da destinarsi. La Città di Mantova sarà divisa in sei Sezioni in ciascuna delle quali funzioneranno cinque Probi Viri per la legalità dell'atto.
Saranno ammessi a dare il loro voto tutti i Cittadini che hanno compiuti gli anni 21, che sono domiciliati da sei mesi nel Comune e, meno le donne, non è escluso che chi subì condanna per crimine, furto o truffa. I Cittadini che hanno fatto parte dell'Esercito Nazionale o dei Volontarii durante la campagna per l’indipendenza Nazionale saranno ammessi al voto anche se non abbiano compiuti gli anni 21.
La votazione seguirà secondo la formola qui sotto esposta. I bollettini stampati in questo senso si distribuiranno in località che saranno indicate con altro avviso. I Cittadini esprimeranno la loro volontà di aggregarsi al Regno d'Italia portando all'urna che si troverà nella località pure da destinarsi o il bollettino stampato od altro anche manoscritto che valga alla manifestazione della volontà.
CITTADINI
Accorrete festosi al compimento di un atto che nel mentre assicura un èra da tanto sospirata addimostrerà anche novellamente che fra noi non esiste che un unico voto una sola aspirazione, l'unione nostra alla grande famiglia Italiana sotto l'egida del Magnanimo Re VITTORIO EMANUELE.
FORMULA
«Dichiariamo la nostra unione al Regno d'Italia sotto il Governo Monarchico costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e de' suoi successori»»
Era pertanto possibile votare consegnando un qualsiasi foglio contenente il testo del quesito, aggiungendo Sì oppure No.
Coloro che avevano diritto al voto in quanto maschi di età maggiore di 21 anni costituivano circa il 28% della popolazione residente; tale dato approssimativo è ottenuto considerando i maggiori di 21 anni come pari al 55% degli abitanti ed escludendo la popolazione femminile (50%), secondo i dati rilevati dal censimento del 1871.[27] Secondo il censimento austriaco del 1857, rispetto alla popolazione totale, gli uomini con età maggiore di 21 anni erano il 27% nelle province venete (624 728 su 2 306 875)[28] e il 28% nei cinque distretti mantovani rimasti all'impero dopo il 1859 (40 461 su 146 867).[29]
Il quesito riguardava l'adesione delle province del Veneto (che all'epoca includeva anche le province dell'odierno Friuli centro-occidentale) e quella di Mantova al Regno d'Italia.
Testo del quesito |
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Dichiariamo la nostra unione al Regno d'Italia sotto il Governo monarchico-costituzionale del re Vittorio Emanuele II e de' suoi successori. |
Affluenza alle urne
[modifica | modifica wikitesto]L'affluenza al voto fu molto alta, oltre l'85% degli aventi diritto al voto.[31] Nel solo distretto di Padova votarono 29 894 elettori,[32] pari a circa il 98% degli aventi diritto.[33]
Nel comune di Venezia gli aventi diritto erano 30 601, ma votarono 4 000 persone in più (34 004 sì, 7 no e 115 nulli), poiché furono ammessi al voto anche i militari e gli esiliati che erano rientrati.[34]
Il voto della minoranza slovena
[modifica | modifica wikitesto]La partecipazione al plebiscito del 1866 della minoranza friulana di lingua slovena della cosiddetta Benecija o Slavia Veneta (situata nell'odierna provincia di Udine),[35] fu particolarmente significativa.[36] L'Impero austriaco, infatti, dopo il trattato di Campoformio aveva annullato l'autonomia giuridica,[37] linguistica e fiscale un tempo riconosciuta dalla Serenissima alla comunità slovena, la quale anche per questo motivo aderì alle idee risorgimentali,[38] che andarono ampliandosi sempre di più dopo la breve parentesi del 1848. Il voto antiaustriaco degli sloveni fu unanime: su 3 688 votanti vi fu una sola scheda contraria al Regno d'Italia.[39] Il passaggio al Regno d'Italia comportò molti cambiamenti economici, sociali e culturali per tale territorio,[40] ma iniziò anche una politica di italianizzazione delle Valli del Natisone e del Torre,[41] che nei decenni successivi al plebiscito alimentò un progressivo sentimento di delusione delle speranze di riconoscimento dell'identità slovena.
Il voto fuori dai confini veneti
[modifica | modifica wikitesto]In varie città del Regno d'Italia ci furono votazioni per gli emigrati e gli esiliati veneti, in quanto l'articolo 10 del decreto stabiliva che avrebbero potuto votare "tutti gli Italiani delle provincie liberate che si trovassero, o per ragioni di pubblico servizio o per qualsiasi altro motivo in qualunque parte del Regno"; a Torino, ad esempio, ci furono 757 votanti, tutti per il Sì.[42]
A Firenze la votazione divenne una manifestazione pubblica:
«Firenze, 21 ottobre 1866
I Veneti e Mantovani residenti in Firenze adunavansi quest'oggi a mezzogiorno al palazzo municipale onde recarsi in forma solenne a deporre il voto per l'unione della loro terra natale all'Italia. Erano in numero di più centinaia e preceduti dalla banda della guardia nazionale e da bandiere colla croce di Savoia e col leone di San Marco procedevano per le vie de' Tornabuoni, de' Cerretani, piazza del Duomo, via de' Calzaioli e piazza della Signoria fino alla residenza dei Pretori nel palazzo degli Uffizi. Il popolo plaudente li accompagnava lungo la via e dalle finestre sventolavano le bandiere in segno d'esultanza.»
Il voto delle donne
[modifica | modifica wikitesto]Seppure non richiesto (in quanto all'epoca il suffragio era solo maschile), anche le donne di Venezia, Padova, Dolo, Mirano e Rovigo vollero esprimere il proprio voto.[44] Anche a Mantova le donne, seppure non ammesse al voto, vollero portare il proprio sostegno: circa 2 000 voti vennero raccolti in urne separate.[45]
Le donne veneziane inviarono un messaggio al re:
«Gli uomini hanno creduto d'esser saggi e giusti, quando decretarono che quella, la quale qui chiamano più eletta parte dell'umanità, fosse esclusa dal concorrere colla sua azione in tutto ciò che si attiene al governo della pubblica cosa. Le donne di Venezia non si arrogano il diritto di giudicare tal legge ma proclamano in faccia al mondo che mai il sesso loro ne sentì l'amarezza e l'umiliazione più profondamente che in questa circostanza, in cui le popolazioni sono appellate a dichiarare se vogliono unirsi alla comune patria sotto il glorioso scettro della Maestà Vostra e de' suoi augusti successori. Ma se ad esse è vietato il deporre nell'urna quel sì che compirà l'Italia, non sia però tolto loro di farlo giungere in altro modo a' piedi della Maestà Vostra. Accogliete dunque, o magnanimo Sire, questo grido che spontaneo, unanime, ardente, prorompe dal fondo de' nostri cuori: — Sì: noi vogliamo, come lo vogliono i nostri fratelli, l'unione della Venezia all'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele e de' suoi successori!»
Nella stampa dell'epoca venne sottolineato il carattere patriottico di questa partecipazione, trascurando gli accenni di protesta (l'amarezza e l'umiliazione) e di rivendicazione del diritto di voto da parte delle donne.[47]
Risultati
[modifica | modifica wikitesto]Il 27 ottobre a Venezia, nella Sala dello Scrutinio del Palazzo Ducale, si svolsero le operazioni di spoglio dei voti. Dopo un breve discorso di Sebastiano Tecchio, presidente del Tribunale di Appello, i consiglieri del Tribunale annunciarono i risultati delle nove province.[48][49]
Provincia | Sì | No | Nulli[50] |
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Belluno | 37 636 | 2 | 5 |
Mantova | 37 000 | 2 | 36 |
Padova | 84 375 | 4 | 1 |
Rovigo | 33 696 | 8 | 1 |
Treviso | 84 524 | 2 | 11 |
Udine | 105 050 | 36 | 121 |
Venezia | 82 879 | 7 | 115 |
Verona | 85 589 | 2 | 6 |
Vicenza | 85 930 | 5 | 60 |
Da altre province del Regno | 5 079 | 1 | 3 |
Totale | 641 758 | 69 | 370 |
L'annuncio dei risultati fu dato prima nella Sala dello Scrutinio e fu poi ripetuto dal balcone di Palazzo Ducale.[48]
A causa del mancato conteggio dei voti di alcuni comuni del distretto di Rovigo (5 339 voti per il sì, nessun no e una scheda nulla) e di 149 voti di emigrati (tutti positivi), nella seduta del 31 ottobre 1866 il Tribunale di Appello si vide costretto a correggere i risultati:[51][52]
Totale | Percentuale | Note | |
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Elettori | n.d. | 100,00 | |
Votanti | 647 686 | n.d. | (su n. elettori) |
Voti nulli | 371 | 0,06 | (su n. votanti) |
Voti | Percentuale | |||
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RISPOSTA AFFERMATIVA | Sì | 647 246 | 99,99 | (su n. voti validi) |
RISPOSTA NEGATIVA | No | 69 | 0,01 | (su n. voti validi) |
Totale voti validi | 647 315 | 99,94 | (su n. votanti) |
Si ritrovano pubblicate diverse versioni dei risultati:[53]
- la lapide posta in piazza delle Erbe a Padova riporta i dati definitivi del Tribunale di Appello (647 246 favorevoli e 69 contrari);
- la lapide posta nel corridoio di accesso alla Sala dello Scrutinio, al primo piano nobile del Palazzo Ducale a Venezia sembra riportare i primi dati del Tribunale, ma con una differenza nel numero di schede nulle (641 758 favorevoli, 69 contrari e 273 nulli, totale 642 100 votanti);
- la lapide del monumento a Vittorio Emanuele II posto presso la riva degli Schiavoni a Venezia riporta anch'essa i primi dati del Tribunale;
- Denis Mack Smith, in Storia d'Italia, riporta 641 000 favorevoli;
- altri citano una popolazione di 2 603 009 persone, con 647 426 votanti e 69 voti contrari.
Le critiche dell'epoca
[modifica | modifica wikitesto]L'adesione unanime al plebiscito venne così spiegata in un articolo su La Civiltà Cattolica, pubblicata a Roma, a quel tempo impegnata nella questione romana a difesa del potere temporale:
«Fatto sta che in mezzo a gran tripudio, a suon di campane in certi luoghi, accorsero i popoli a gettare le loro schede nell'urna. Deporre un no, oltre che inutile era quanto votare per l'anarchia; tutti deposero il sì.»
Lo Spirito Folletto l'8 novembre 1866 pubblicò una serie di vignette raffiguranti esempi di votanti per il plebiscito:[55]
- Ho votato pel no per prudenza e per paura di vederli a ritornare
- Capitano austriaco e decorato dell'aquila nera, poteva votare pel sì?
- – Gastu dito sì o no? – Cossa gogio da saver mi?... I m'ha dà un pezetin de carta scrito, e oto soldi; go butà la carta nel buso e i bezi in scarsela... e servitor, paroni.
- Fingere di votare sì e votare pel no, ecco il non plus ultra della furberia pretina.
- Non voterò mai pei libertini... son troppo buon cattolico.
Eventi successivi al plebiscito
[modifica | modifica wikitesto]Restituzione della corona ferrea
[modifica | modifica wikitesto]Il 22 aprile 1859, a causa dell'avanzata dei piemontesi nel milanese, gli austriaci decisero di trasferire a Vienna la corona ferrea, antico e prezioso simbolo usato fin dal Medioevo per l'incoronazione dei re d'Italia, che era custodita presso il Tesoro del Duomo di Monza.[56]
La restituzione della corona all'Italia fu oggetto di specifiche note allegate all'accordo di pace[57][58] e venne consegnata ufficialmente il 12 ottobre 1866 dal generale austriaco Alessandro di Mensdorff al rappresentante italiano il generale Menabrea; costui dopo la firma del trattato, tornò da Vienna portando la corona a Torino, durante il viaggio fermatosi a Venezia, la mostrò al commissario regio militare Thaon di Revel.[59]
Una lapide posta in Calle Larga dell'Ascensione[60][61] indica il 25 ottobre 1866 come data della presenza a Venezia della corona restituita all'Italia.
Consegna dei risultati a Torino
[modifica | modifica wikitesto]Alla mezzanotte del 2 novembre la delegazione veneta partì da Venezia con un treno speciale che, dopo una sosta di alcune ore a Milano (dove i rappresentanti veneti furono accolti a festa dall'amministrazione comunale milanese[62]) giunse alla stazione di Torino il giorno dopo, sabato 3 novembre, alle 14:00, salutato da colpi di cannone a festa[63] e ricevuta dal consiglio comunale di Torino e condotta attraverso un sontuoso corteo[64] all'albergo Europa, dal cui balcone il commendatore Tecchio pronunciò un discorso alla folla sottostante.
Domenica 4 novembre 1866, nella Sala del Trono del Palazzo Reale di Torino, una delegazione veneta consegnò a re Vittorio Emanuele II i risultati del plebiscito; la delegazione era così composta:[65]
- Giambattista Giustinian, podestà di Venezia;
- Giuseppe Giacomelli, sindaco di Udine;
- Edoardo De Betta, podestà di Verona;
- Francesco De Lazara, podestà di Padova;
- Gaetano Costantini, podestà di Vicenza;
- Antonio Pernetti, facente funzioni di podestà di Mantova;
- Antonio Caccianiga, sindaco di Treviso;
- Francesco Derossi, podestà di Rovigo;
- Francesco Piloni, facente funzioni di sindaco di Belluno.
Era presente anche Sebastiano Tecchio, presidente del Tribunale di Appello di Venezia.
Giambattista Giustinian pronunciò il discorso ufficiale:
«Sire, il fatto di recente avvenuto nelle venete Provincie ed in quelle di Mantova, e di cui oggi siamo onorati di presentarvi lo splendido risultamento, resterà ricordato dalle più tarde generazioni ... Sì, o sire, questo plebiscito, che a noi sembrava superfluo, ma volentieri accettammo, siccome quello che ci offriva l'occasione di affermare una volta di più ciò che tutta Europa sapeva, riuscì così largo e concorde da maravigliare quasi noi stessi che l'abbiamo fatto, se nulla poteva riuscire di nuovo di ciò che s'attiene alla devozione nostra verso di voi e della dinastia vostra ed all'affetto per la patria italiana. Quei 647.246 sì, raccolti nelle urne delle nostre Provincie e di tante altre parti ove a caso si trovavano veneti ... offrono all'Europa tutta una novella testimonianza della concordia italiana ...[66]»
a cui rispose il re con queste parole:
«Signori, il giorno d'oggi è il più bello della mia vita. Or sono 19 anni il padre mio bandiva da questa città la guerra dell'Indipendenza nazionale; in oggi, giorno suo onomastico, voi, signori, mi recate la manifestazione della volontà popolare delle province venete, che ora, riunite alla gran patria italiana, dichiarano col fatto essere compiuto il voto dell'augusto mio genitore. Voi riconfermate con questo atto solenne quello che Venezia faceva fin del 1848, e seppe ognora mantenere con tanta ammirabile costanza ed abnegazione. ... Nel giorno d'oggi scompare per sempre dalla Penisola ogni vestigio di dominazione straniera. L'Italia è fatta, se non compiuta: tocca ora agli Italiani saperla difendere, e farla prospera e grande. ... La Corona di ferro venne pure restituita in questo giorno solenne all'Italia, ma a questa corona antepongo quella a me più cara, fatta coll'amore e coll'affetto dei popoli.[66]»
Al termine dei discorsi venne presentata e consegnata al re la Corona Ferrea di Teodolinda, restituita dall'Austria. Nonostante l'alto valore simbolico,[67] Vittorio Emanuele II "con indifferenza" fece deporre la corona sul trono.[63] La corona venne resa al Duomo di Monza il 6 dicembre dello stesso anno.[56]
Il giorno stesso fu emanato il regio decreto n. 3300 di annessione con il quale «le provincie della Venezia e quelle di Mantova fanno parte integrante del Regno d'Italia».[68] Il decreto fu convertito in legge il 18 luglio 1867 (approvato dalla Camera il 16 maggio 1867 con 207 voti favorevoli e quattro contrari; approvato dal Senato il 25 maggio 1867 con 83 voti favorevoli e uno contrario).[69]
Ingresso di Vittorio Emanuele II a Venezia
[modifica | modifica wikitesto]Il 7 novembre 1866, con l'ingresso di Vittorio Emanuele II nella città di Venezia, si concludeva anche la fase politica della terza guerra d'indipendenza italiana.[70]
Vittorio Emanuele II giunse con il treno reale alla stazione di Venezia Santa Lucia verso le ore 11:00, preceduto da colpi di cannone a salve sparati da Forte Marghera. La città era addobbata a festa, con coccarde tricolori e manifesti di saluto (tra cui alcuni, fatti stampare da un certo Simonetti, riportavano l'anagramma "Vittorio Emanuele - O Re, ami tu il Veneto? Mira! il Veneto è tuo!!"). Il re, accompagnato dai figli Umberto e Amedeo, fu accolto dalle autorità cittadine e fu portato alla lancia reale, condotta da 18 vogatori in costume, che percorse tutto il Canal Grande scortata da un gran corteo di gondole, salutato da un gran pubblico. Giunto al Palazzo Ducale, il notaio Bisacco consegnò ufficialmente al re il rogito del 1848 con cui la Repubblica di San Marco aveva già giurato fedeltà ai Savoia.[71] I festeggiamenti proseguirono ininterrottamente per sei giorni, con spettacoli di gala al Teatro La Fenice, fuochi pirotecnici, balli in maschera, illuminazioni a gas e serenate. L'evento venne seguito e descritto da circa 1 200 giornalisti e corrispondenti giunti a Venezia da tutto il mondo.[71]
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Pietro Bertoja, L'arrivo di Vittorio Emanuele II a Venezia il 7 novembre 1866
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Vittorio Emanuele II sul Canal Grande
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Frans Vervloet, Entrata di Vittorio Emanuele a Rialto (schizzo dal vero, 7 novembre 1866)
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Gerolamo Induno, Ingresso di Vittorio Emanuele II in Venezia
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Arrivo di Vittorio Emanuele a Palazzo Ducale (The Illustrated London News)
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Vittorio Emanuele II dal patriarca di Venezia in piazza San Marco
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Vittorio Emanuele II riceve in San Marco la benedizione del patriarca
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Visita a Venezia di Vittorio Emanuele II
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Ponte sul Canal Grande decorato per la visita ufficiale
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Imbarcazione utilizzata da Vittorio Emanuele II
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Decorazione della bandiera di Venezia
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Piazza San Marco durante i festeggiamenti
Rimanevano ancora sotto l'Impero austriaco quei territori mai inclusi nell'ormai scomparso Regno Lombardo-Veneto, ossia il Trentino, la città di Trieste e le aree della costa dalmata con significativa presenza italiana, questo darà nuovo vigore agli spiriti irredentisti e fornirà il principale motivo ai sostenitori dall'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria nel corso della prima guerra mondiale (nota anche come quarta guerra d'indipendenza italiana).
L'Ordine della Corona d'Italia
[modifica | modifica wikitesto]Con decreto del 20 febbraio 1868 Vittorio Emanuele II istituì l'Ordine della Corona d'Italia con specifico riferimento all'annessione del Veneto:
«Essendosi non ha guari consolidata, mercè l'annessione della Venezia, l'indipendenza e l'unità d'Italia, abbiamo determinato di consacrare la memoria di questo gran fatto, mercè l'istituzione di un nuovo ordine cavalleresco, destinato a remunerare le benemerenze più segnalate tanto degli Italiani, quanto degli stranieri, e specialmente quelle che riguardano direttamente gl'interessi della nazione.»
Le decorazioni per tutti i gradi dell'ordine contenevano un'immagine della Corona Ferrea; la decorazione per il grado più alto (Cavaliere di Gran Croce o Gran Cordone) riportava l'iscrizione VICT. EMMAN. II REX ITALIAE - MDCCCLXVI (Vittorio Emanuele II re d'Italia - 1866).
La ricostituzione della provincia di Mantova
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1859, dopo la seconda guerra d'indipendenza, la provincia di Mantova, in quanto parte dell'Impero austriaco, era stata privata dei distretti a ovest del fiume Mincio, passati all'allora Regno di Sardegna e suddivisi tra le province di Brescia e di Cremona.
Con l'annessione della provincia di Mantova al Regno d'Italia, venne richiesto di ripristinare i confini storici; la riunificazione avvenne nel febbraio 1868.[72]
Discussioni sulla validità del plebiscito
[modifica | modifica wikitesto]A partire dalla metà degli anni 1990,[73] alcuni storici, per lo più riconducibili al movimento regionalista veneto[74][75] hanno iniziato a contestare la validità di quel plebiscito imputando ai Savoia una forte pressione politica, una serie di presunti brogli e un non corretto svolgimento delle votazioni,[76] aggiungendo che la società veneta ottocentesca era prevalentemente rurale con un tasso di analfabetismo ancora elevato e larghi strati della popolazione erano pronti ad accettare le indicazioni dei «ceti superiori».
Altri storici e costituzionalisti respingono tale ricostruzione antirisorgimentale,[77] ricordando da un lato che il plebiscito fu solo la convalida dell'attività diplomatica successiva al trattato di Praga, dall'altro lato facendo notare il grande clima di festa che accompagnò la votazione e che si protrasse fino al trionfale ingresso di Vittorio Emanuele II di Savoia a Venezia il 7 novembre 1866, pertanto escludendo del tutto che l'annessione non fosse voluta dalla popolazione del Veneto e di Mantova.
Nella notte tra l'8 e il 9 maggio 1997, un gruppo di persone autodefinitesi "Veneta Serenissima Armata" (meglio conosciuti come i Serenissimi) occupò militarmente il campanile di San Marco a Venezia: tali attivisti, successivamente arrestati e condannati, sostenevano di aver fatto delle ricerche storiche e scoperto elementi che, a loro parere, avrebbero invalidato, fra l'altro, anche il plebiscito di ratifica dell'annessione al Regno d'Italia del 1866,[78] caratterizzato, sempre a loro dire, da presunti brogli e violazioni degli accordi internazionali sottoscritti durante l'armistizio di Cormons e il trattato di Vienna.
Nel 2012 il Consiglio regionale del Veneto approvò una risoluzione nella quale veniva affermato che «l'adesione del Veneto al Regno italiano con il referendum del 21 e 22 ottobre 1866 è maturata con uno strumento di consultazione diretta, caratterizzato, per la verità, da una serie di azioni truffaldine messe in atto dal Regno d'Italia».[79]
Nel settembre 2016 la Regione del Veneto ha inviato a novanta biblioteche venete una copia del libro "1866 la grande truffa: il plebiscito di annessione del Veneto all'Italia" di Ettore Beggiato, che sostiene la tesi della truffa,[80] rinvigorendo il dibattito tra gli storici.[81][82][83][84]
Il 24 aprile 2017 il presidente della Regione Luca Zaia ha indetto un referendum consultivo per sottoporre[85] ai cittadini residenti il quesito «Vuoi che alla regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni di autonomia?»,[86] per poi chiedere competenze di governo simili alle regioni a statuto speciale confinanti. La data della votazione, scelta congiuntamente alla Lombardia dove si è svolta una consultazione analoga, è avvenuta simbolicamente il 22 ottobre 2017, proprio nel giorno del 151º anniversario del voto del 21-22 ottobre 1866, anche per "dare una risposta" allo storico plebiscito.[87]
Formale abrogazione del decreto di annessione
[modifica | modifica wikitesto]Nel dicembre 2010 Roberto Calderoli, allora ministro per la Semplificazione normativa del Governo Berlusconi IV, annunciò l'approvazione del cosiddetto "decreto ammazza-norme"[88] con cui si volevano eliminare dall'ordinamento italiano migliaia di leggi considerate inutili od obsolete: tra le norme abrogate vi era però anche il regio decreto 4 novembre del 1866, n. 3300, oltre alla relativa legge di conversione 18 luglio 1867, n. 3841, che avevano decretato l'annessione del Veneto al Regno d'Italia.[89]
Si trattò in realtà di un'abrogazione meramente formale, in quanto la Costituzione repubblicana da un lato sancisce l'indivisibilità dell'Italia e dall'altro include il Veneto tra le regioni italiane.[90] Sebbene alcune fonti giornalistiche riportino un presunto decreto correttivo successivo,[91] il regio decreto n. 3300 del 1866 rimase formalmente abrogato.[92]
Il plebiscito veneto del 1866 nella letteratura italiana
[modifica | modifica wikitesto]I fatti del plebiscito veneto hanno ispirato anche narratori e romanzieri italiani di differenti opinioni politiche.
Nel 1872, nel suo racconto Ai fratelli che partono per l'esercito. Predicozzo, il giornalista cattolico intransigente padovano Giuseppe Sacchetti (1845-1906) scrisse: «Non vi ricordate di quel bel giorno del 1866, quando avete portato anche voi il vostro sì in quel bussolotto? Allora voi senza saperlo diventavate italiani! Eh! Ve lo dirò tra parentesi, io non ho mica dato allora il mio sì; avrei dato volentieri il no, ma siccome sarei stato solo, e ben me la pensava, in tutta la Provincia di Padova, ho creduto meglio di astenermi. Calcolate, che una affare simile dei sì vostri è accaduto anche in quelle città; per cui furono annesse. Sapete cosa vuol dire annettere? Ve lo direi, ma non posso»[93]. Anche un altro intransigente padovano, Alessio De Besi (1842-1893), scrisse un racconto intitolato Di tasca in tasca: viaggio d'un quarto di fiorino, che narra la storia di una moneta parlante che testimonia di essere stata usata per comprare i sì al plebiscito del 1866[94].
Recentemente anche Andrea Molesini nel romanzo Non tutti i bastardi sono di Vienna ha inserito una riflessione critica sullo svolgimento delle votazioni del 1866[95].
Filmografia
[modifica | modifica wikitesto]- Senso, regia di Luchino Visconti (1954) tratto dalla novella di Arrigo Boito
- Il leone di vetro, regia di Salvatore Chiosi (Italia, 2014)
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Giordano, Cilindri e feluche, p. 66.
- ^ La Lombardia era stata ceduta al Regno di Sardegna con la Pace di Zurigo del 1859.
- ^ Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici, pp. 329-330.
- ^ Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici, pp. 331-333.
- ^ Nel 1848 nella sola provincia di Padova si erano raccolti 62259 voti per la fusione immediata, e 1002 per la fusione dilazionata.
- ^ L'11 gennaio 1860 Gloria aveva scritto: «Vien asserito che molti Comuni delle provincie venete rinnovarono nei giorni passati la fusione al Piemonte fatta nel 1848. Fatto è che il nostro Podestà, gli Assessori e il Segretario firmarono una scheda a stampa che recava questa rinnovazione. Il coraggio civile di questi rappresentanti la città dimostra l'animo dei cittadini verso il governo austriaco.
- ^ Comitato, L'ultima dominazione austriaca e la liberazione del veneto nel 1866 (1916), p. 423-424.
- ^ a b c Cfr. Pace di Vienna - 3 ottobre 1866.
- ^ Il 4 luglio 1848, a Venezia l'Assemblea Nazionale aveva approvato con 127 voti contro 6 la proposta di immediata fusione di Venezia negli Stati Sardi colla Lombardia e alle stesse condizioni della medesima, e pochi giorni dopo il parlamento torinese decretò l'immediata l'unione al regno della Lombardia, e delle province di Treviso, Padova, Vicenza e Rovigo; la di poco successiva sconfitta piemontese e l'armistizio di Salasco renderanno nulli tutti questi tentativi di unione, vedi pag. 22 in Consiglio regionale del Veneto, La Rivoluzione a Venezia, 2012, pp. 22-24.
- ^ a b c d e f g La procedura per la cessione del Veneto all'Italia, in Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, vol. 1, Roma, 1968, pp. 3-9.
- ^ a b c Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia, su augusto.agid.gov.it, 19 ottobre 1866 (archiviato il 20 ottobre 2016).
- ^ pp. 374-375, Archives diplomatiques.
- ^ Toscana e Stati annessi, in La Civiltà Cattolica, 1866, pp. 374-375 (archiviato il 18 ottobre 2016).
- ^ Dubarry, Deux mois de l'histoire de Venise (1866), p. 160.
- ^ Lettera del commissario militare nelle province venete Genova Thaon di Revel al ministro degli affari esteri Emilio Visconti Venosta, in Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici, pp. 476-477.
- ^ Lettera del ministro degli Esteri a Costantino Nigra, in Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici, p. 478.
- ^ Dubarry, Deux mois de l'histoire de Venise (1866), pp. 166, 172.
- ^ a b Dubarry, Deux mois de l'histoire de Venise (1866), p. 168.
- ^ p. 383, Archives diplomatiques.
- ^ pp. 383-385, Archives diplomatiques.
- ^ a b Comitato, L'ultima dominazione austriaca e la liberazione del veneto nel 1866 (1916), p. 314.
- ^ Il testo riporta erroneamente il giorno 22. Cfr. Recueil des traités de la France, vol. 6, Paris, 1868, pp. 608-610.
- ^ Comitato, L'ultima dominazione austriaca e la liberazione del veneto nel 1866 (1916), p. 317.
- ^ Cfr. «Cessione della Venezia compiuta. La bandiera Reale Italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco. Le truppe Italiane entrano fra mezzo popolazione esultante. Gioja spinta quasi al delirio», Dispaccio telegrafico del Commissario del Re, su comune.portogruaro.ve.it, 19 ottobre 1866 (archiviato dall'url originale il 25 giugno 2016).
- ^ Alessandro Mocellin, Il Veneto nel 1866 non è mai stato ceduto all'Italia (prima parte), in Il Mattino di Padova, 19 ottobre 2011 (archiviato il 9 giugno 2016).
- ^ Operazioni di voto per il plebiscito nella prima sezione elettorale di Venezia (PDF), in Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova, vol. 2, Roma, Ministero dell'Interno, 1968, pp. 138-140 (archiviato il 6 ottobre 2016).
- ^ Popolazione classificata per età, sesso, stato civile ed istruzione elementare (PDF), vol. 2, Roma, 1875, pp. 7,32. URL consultato il 24 ottobre 2016.
- ^ Statistische Übersichten über die Bevölkerung und den Viehstand von Österreich. Nach der Zählung vom 31 October 1857, Wien, 1859, pp. 414-415.
- ^ Statistische Übersichten über die Bevölkerung und den Viehstand von Österreich. Nach der Zählung vom 31 October 1857, Wien, 1859, pp. 144-145.
- ^ sito in campo San Fantin
- ^ Michieli, Storia di Treviso, p. 297.
- ^ G. Solitro, Padova nei primi mesi della sua liberazione (12 luglio-23 ottobre 1866), in L'ultima dominazione austriaca e la liberazione del Veneto nel 1866 : memorie, 1916, p. 428.
- ^ Raffaele Vergani, Elezioni e partiti a Padova nel '66-'70, in Rassegna storica del Risorgimento, 1967, p. 255 (archiviato il 5 ottobre 2016).
- ^ Distefano, Paladini, Storia di Venezia 1797-1997 - 2. La Dominante Dominata, p. 275.
- ^ Così gli sloveni nel 1866 entrarono nel Regno d’Italia, in Il Piccolo, 21 ottobre 2016 (archiviato il 25 ottobre 2016).
- ^ Le Valli fra Italia, Austria e il rimpianto di Venezia, in Messaggero Veneto, 19 ottobre 2016 (archiviato il 25 ottobre 2016).
- ^ In particolare, l'Austria abolì la comunione della terra, che venne divisa e affittata a privati.
- ^ Si veda a tal fine la poesia Predraga Italija, preljubi moj dom (Carissima Italia, amatissima mia casa) di don Pietro Podrecca e l'esperienza garibaldina di Carlo Podrecca.
- ^ Michela Iussa, Le Valli del Natisone dal risorgimento all'avvento del fascismo, in Lintver (archiviato il 25 ottobre 2016).
- ^ (SL, IT) Posledice plebiscita na posvetu / Il post plebiscito in un convegno, in Dom, 20 ottobre 2016 (archiviato il 25 ottobre 2016).
- ^ (SL, IT) Benečija in Rezija 150 let v Italiji / Benecia e Resia da 150 anni in Italia, in Dom, 14 ottobre 2016 (archiviato il 25 ottobre 2016).
- ^ L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata, vol. 4, p. 908.
- ^ Plebiscito dei Veneti e Mantovani residenti in Firenze, in La Nazione, 22 ottobre 1866, p. 1 (archiviato il 19 ottobre 2016).
- ^ Nicolò Biscaccia, Cronaca di Rovigo, 1866, p. 93 (archiviato il 18 ottobre 2016).
- ^ Manifesto del 25 ottobre 1866 del Commissario del re, Guicciardi.
- ^ (senza titolo), in Gazzetta di Mantova, 25 ottobre 1866, p. 2 (archiviato dall'url originale il 19 ottobre 2016).
- ^ Nadia Maria Filippini, Donne sulla scena pubblica: società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento, Milano, FrancoAngeli, 2006, p. 136 (archiviato il 21 ottobre 2016).
- ^ a b Cronaca della nuova guerra d'Italia del 1866, Rieti, 1866, pp. 573-574 (archiviato il 19 ottobre 2016).
- ^ Thaon di Revel, La cessione del Veneto, pp. 162-163.
- ^ I dati parziali sui voti nulli sono indicati solo dalle memorie di Thaon di Revel e il totale da lui indicato (366), non coincide con quello dei dati parziali.
- ^ Notificazione del Tribunale d'Appello del 31 ottobre 1866, in Raccolta delle leggi decreti e regolamenti pubblicati dal governo del Regno d'Italia nelle provincie venete, vol. 2, s.d., pp. 314-316.
- ^ Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, vol. 2, Roma, 1911, pp. 727-730.
- ^ Ettore Beggiato, Plebiscito: prima e dopo la truffa, in Etnie, 16 gennaio 1983 (archiviato il 1º giugno 2016).
- ^ Toscana e stati annessi, in La Civiltà Cattolica, 1866, p. 493 (archiviato il 21 ottobre 2016).
- ^ Sì e no del plebiscito, in Spirito Folletto, 8 novembre 1866, pp. 2-3. Immagini: 2 Archiviato il 6 novembre 2016 in Internet Archive., 3 Archiviato il 6 novembre 2016 in Internet Archive..
- ^ a b Rocco Bombelli, Storia della Corona Ferrea dei Re d'Italia, Firenze, 1870, pp. 170-178 (archiviato il 12 dicembre 2017).
- ^ Giordano, Cilindri e feluche, p. 82.
- ^ La corona del ferro detta “ferrea”, su Monarchic in rete, 12 settembre 2012 (archiviato il 4 febbraio 2017).
- ^ Thaon di Revel, La cessione del Veneto, p. 176.
- ^ Cfr. la lapide posta in Calle Larga dell'Ascensione (Luna Hotel Baglioni) a Venezia.
- ^ Sestiere di San Marco: Calle larga de l'ascension, su veneziatiamo.eu. URL consultato il 3 febbraio 2017 (archiviato il 31 dicembre 2014).
- ^ Notizie e fatti diversi, in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 304, 5 novembre 1866 (archiviato il 18 ottobre 2016).
- ^ a b Antonio Caccianiga, Feste e funerali, Treviso, Luigi Zoppelli editore, 1889, pp. 1-2.
- ^ Notizie e fatti diversi, in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 301, 2 novembre 1866 (archiviato il 20 ottobre 2016).
- ^ Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, vol. 2, Roma, 1911, pp. 731-732.
- ^ a b Memorie_re, Memorie del re galantuomo, p. 100.
- ^ La corona Ferrea fu utilizzata per incoronare tutti i re italici del passato.
- ^ Regio decreto 4 novembre 1866, n. 3300, in Gazzetta Ufficiale, 5 novembre 1866, p. 1 (archiviato il 18 ottobre 2016).
- ^ Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, vol. 2, Roma, 1911, pp. 734-738.
- ^ Giordano, Cilindri e feluche, pp. 82-83.
- ^ a b Franzina, L'unificazione, p. 31.
- ^ Legge n. 4232, 9 febbraio 1868
- ^ Trabucco, Romano, L'Antirisorgimento e il passato che non c'è.
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- ^ Articolo 116, su La Costituzione, Senato della Repubblica (archiviato il 26 aprile 2017).
- ^ Roberta De Rossi, Referendum consultivo per l'autonomia del Veneto: si vota il 22 ottobre, in La Nuova di Venezia e Mestre, 12 maggio 2017 (archiviato il 5 giugno 2017).
- ^ Zaia: referendum il 22 ottobre Salvini: «Dopo 30 anni più libertà», in Corriere del Veneto, 21 aprile 2017 (archiviato il 26 maggio 2017).
- ^ Decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, in materia di "Abrogazione di disposizioni legislative statali, a norma dell'articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246."
- ^ Alessio Antonini, Abrogata per errore dal governo l'annessione del Veneto all'Italia, in Corriere del Veneto, 8 febbraio 2011 (archiviato il 9 ottobre 2011).
- ^ Luigi Bacialli, Il Veneto da 72 ore non è in Italia, in Italia Oggi, n. 34, 10 febbraio 2011, p. 6.
- ^ Marco Bonet, Dai venetisti «anni '20» all'assalto del Campanile, ribellismo mai sopito, in Corriere del Veneto, 22 ottobre 2016 (archiviato il 24 ottobre 2016).
- ^ REGIO DECRETO 4 novembre 1866, n. 3300, su normattiva.it.
- ^ Riccardo Pasqualin, Il Codino. Un giornale padovano filocarlista, collana di Studi Carlisti, Chieti, Solfanelli, 2024, p. 102.
- ^ Ibidem, pp. 112-136.
- ^ Riccardo Pasqualin, La possibile influenza del revisionismo storico nel romanzo “Non tutti i bastardi sono di Vienna” di Andrea Molesini, su sololibri.net.
Bibliografia
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- Daniele Trabucco e Sergio Romano, L'Antirisorgimento e il passato che non c'è, in Il paese delle molte storie, Milano, Rizzoli, 2007, ISBN 978-88-586-0166-2.
- Genova Giovanni Thaon di Revel, La cessione del Veneto. Ricordi di un commissario regio militare, Milano, Dumolard, 1890, OCLC 56987382.
- Genova Giovanni Thaon di Revel, Venezia 1866: dall'occupazione asburgica all'occupazione sabauda dei territori veneti. La cessione del Veneto, Editoria Universitaria Venezia, 2003, ISBN 978-88-88618-03-6.
- Comitato regionale veneto per la storia del risorgimento italiano, L'ultima dominazione austriaca e la liberazione del veneto nel 1866. Memorie di Filippo Nani Mocenigo - Ugo Botti - Carlo Combi - Antonino Di Prampero - Manlio Torquato Dazzi e Giuseppe Solitro., Chioggia, Stab. Tip. Giulio Vianelli italiano, 1916.
- Anonimo, Memorie del re galantuomo, Milano, Ferdinando Garbini, 1882.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- Plebisciti risorgimentali
- Referendum consultivo in Veneto del 2017
- Regno Lombardo-Veneto
- Terza guerra d'indipendenza italiana
- Unità d'Italia
Altri progetti
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Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Alliance with Italy (October 22, 1866), su C2D - Centre for Research on Direct Democracy, Zentrum für Demokratie Aarau. URL consultato il 18 ottobre 2021.